Cantina Giardino: naturalmente Pasky
Ci capita sempre più spesso, in questi ultimi anni, di venire a conoscenza di nuove ri-scoperte in campo viticolo. Vitigni dimenticati che tornano a nuova luce dalle mani sapienti di qualche viticoltore illuminato che ne valorizza le qualità, esaltandone l'espressione territoriale.
Siamo in Campania, e questo è il caso del Coda di Volpe, un vitigno che è sempre stato presente nel vigneto contadino, la cui uva veniva utilizzata per riequilibrare l’acidità eccessiva della Falanghina sul Vesuvio, del Fiano e del Greco di Tufo in Irpinia.
Alla fine degli anni ’80 due signori a nome di Antonio Troisi dell’azienda Vadiaperti e Mimmo Ocone - nell’ambito di un processo di valorizzazione della tipicità varietale delle uve e dei vini legata al territorio - individuarono nella “cultivar” Coda di Volpe, particolarmente diffusa nella provincia di Avellino, non più un uva da taglio, come prevede il disciplinare di produzione del Greco di Tufo, ma un uva da cui ottenere un vino ad Indicazione Geografica Tipica, degno di avere una bottiglia ed un etichetta proprie.
Questi due signori, dicevo, da considerare veri e propri pionieri, diedero così al Coda di Volpe l’identità territoriale che gli spettava. Ne seguì poi, un grande lancio commerciale, di cui ricordiamo ancora oggi le affusolate bottiglie renane della Cantina del Taburno.
Il nome “Coda di Volpe” deriva dal latino "Cauda Vulpium", per la forma caratteristica del grappolo, che ricorda appunto la coda della volpe. La sua storia è particolarmente affascinante se si considerano oltre all’antichità che ne contraddistingue le origini anche i numerosi casi di sinonimia e omonimia segnalati da numerosi studiosi.
Il primo a citare il Coda di Volpe nella sua Naturalis Historia, è Plinio il Vecchio che, scrivendo di vitigni adatti ad essere allevati a pergola, scrive: “minus tamen, caudas vulpium imitata, alopecia”.
Fu il Porta nel 1584 a sostenere che con il nome di Coda di Volpe si coltiva un vitigno identificabile con le uve alopecia sebbene tale ipotesi non fosse suffragata da elementi certi.
Altro caso di studio per gli ampelografi campani è stata la sinonimia tra il Coda di Volpe e il Pallagrello. A tal riguardo è il Froio a produrre la maggior quantità di notizie. Egli descrive prima nel 1875 e poi nel 1878 la Coda di Volpe utilizzando anche i sinonimi di Pallagrella bianca e Durante.
Più tardi tratterà dei vitigni coltivati in Campania dando notizia di una Coda di Volpe diffusa a Torre del Greco e del Pallagrello presente nel casertano ritenendo quindi diverse le due varietà.
Ad oggi, l’esame comparativo dei due vitigni, unito agli studi di caratterizzazione ampelografica e molecolare, non hanno ancora chiarito il caso. È stato comunque accertato che il Coda di Volpe non ha tra i suoi sinonimi il Coda di Pecora denominazione con la quale è conosciuto nel casertano una varietà diversa.
Dalle uve Coda di Volpe si possono ottenere vini pregiati; Mincione a tal proposito scrive: “ (…) si ricava un vino di buona produzione alcolica, dal colore brillante, giallo dorato. Il vino estrinseca , altresì, un odore vinoso con leggero aroma gradevole. Nel primo anno di vita del prodotto si rivela leggermente dolce; ma, invecchiato, assume un sapore asciutto e non molto ricco di corpo”.
Queste sono le DOC e DOCG dove ritroviamo questo vitigno in percentuali regolate da disciplinare: Campi Flegrei DOC, Greco di Tufo DOCG, Irpinia DOC, Sannio Coda di Volpe DOC, Solopaca DOC, Taburno DOC, Vesuvio DOC.
Oltre ai due grandi nomi del Coda di Volpe già citati, volevo segnalare un’azienda che dichiaratamente si propone di valorizzare i vitigni autoctoni, in particolare i vini ottenuti da viti di oltre 30 anni, con lo scopo di salvaguardare l'originaria varietà biologica nel vigneto incentivando i vignaioli ad evitare gli espianti delle vecchie viti.
Si tratta della Cantina Giardino. Produce solo vini naturali e la versione della loro Coda di Volpe ne rispecchia la filosofia: fermentazione con lieviti naturali, lunga macerazione sulle bucce, nessuna chiarifica, nessuna filtrazione e nessuna aggiunta di SO2.
Parte del prodotto fermenta in piccole botti castagno come un tempo si usava da queste parti, un vino che ricorda gli antichi bianchi contadini ed il colore ne è una prova, forse meno fresco di una Coda di Volpe a cui siamo abituati, ma in compenso in bocca è lungo e sapido. Abbinamenti ideali sono tutti i piatti di pesce possibilmente senza pomodoro.
Per chi vive o fosse di passaggio a Roma, in questi giorni, lo potrà trovare anche in mescita al bicchiere, presso Stavio, noto locale brassicolo capitolino, conosciuto ed apprezzato per la sua egregia selezione di birre naturali, ma anche, e questo ci tengo a segnalarlo, per una fornitissima cantina di vini naturali.
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