Presentazione del volume Archeologia della vite e del vino in Toscana e nel Lazio. Dalle tecniche dell’indagine archeologica alle prospettive della biologia molecolare
Su gentile invito ho avuto il grande
piacere ieri di essere presente alla presentazione di questo bellissimo e colto libro. Archeologia, vino, biologia molecolare. Parole e discipline che messe
insieme possono sembrare solo in apparenza un ardito mix, offrono,
invece, uno spunto quanto mai interessante e proficuo per comprendere
l'identità e il profilo di Siena e della sua economia rurale
La Sala della Fortuna, all'interno del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, ha fatto da suggestiva cornice a questo che è da considerare un evento ad hoc per tutti gli appassionati di storia della vitivinicoltura.
La presentazione è stata presieduta, alla presenza di Andrea Ciacci, Paola Rendini ed Andrea
Zifferero, curatori di questo volume, da Alfonsina Russo, soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale ed Andrea Pessina, soprintendente per i Beni
Archeologici della Toscana, che hanno introdotto e delineato le varie fasi di ricerca
e sviluppo dell’opera, facendo subito emergere il loro grande spirito divulgativo che ne ha
determinato la realizzazione.
Ricco di contenuti l’intervento di Michel Gras già
Direttore dell’Ecole Française de Rome, che ha focalizzato il discorso sulla
tecnica di indagine archeologica nelle aree interessate alla ricerca.
Un densissimo libro, questo, concepito con lo scopo di verificare se
e quanto la produzione vitivinicola attuale si possa ricollegare ad una
tradizione antica, finora documentata episodicamente da scoperte archeologiche
nel territorio riferibili alla frequentazione di età etrusca e romana.
All’interno del volume ci sono gli atti, con un’integrazione
relativa agli ulteriori sviluppi delle ricerche, del Convegno Internazionale
Archeologia della Vite e del Vino in Etruria, svoltosi nel 2005 a Scansano
(GR), centro della valle dell’Albegna indissolubilmente legato alla produzione
del vino Morellino.
Il tema della viticoltura e della produzione del vino
dell’antichità, fu in quell’occasione affrontato in un’ottica contemporanea
multidisciplinare, in cui archeologia, (archeo)botanica e biologia molecolare
concorrevano forse per la prima volta a far emergere le possibili relazioni tra
il paesaggio delle viti silvestri, tuttora frequenti nelle aree boscate della
Maremma, e i siti archeologici, partendo
dal presupposto che le piante potessero conservare, nel proprio patrimonio
genetico, tracce delle modificazioni più antiche.
Queste nuove indagini, promosse nell'ambito dei Progetti
VINUM e Senarum Vinea e condotte dai ricercatori dell'Università di Siena,
dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana con il coordinamento
dell'Associazione Nazionale Città del Vino e la collaborazione della Provincia
di Siena, si spingono oltre i confini senesi e toscani per giungere fino
al Lazio, comprendendo quindi tutto il territorio etrusco e romano.
I risultati hanno contribuito a delineare questa visione
dinamica della viticoltura, con nuovi scenari storici e archeologici
sull’origine di alcuni vitigni italiani, prendendo in considerazione le forme
di domesticazione della vite selvatica nel distretto territoriale compreso tra
Toscana centro-meridionale e Lazio settentrionale, una ricerca che restituisce
alla comunità preziosi elementi di riflessione, rendendo chiara la necessità di
tutelare le nostre migliori risorse, come l'ambiente e i frutti della terra, in
questo caso la vite selvatica che si sviluppa in popolazioni rigogliose intorno
ai siti archeologici, condividendo talvolta affinità genetiche con i vitigni
autoctoni dell'area tirrenica.
La caratterizzazione genetica del germoplasma delle viti silvestri
campionate in prossimità di siti archeologici (insediamenti abitativi e
necropoli etruschi e romani) ha messo in evidenza le diverse forme di
domesticazione da parte delle comunità locali nel tempo, partendo dalla vite
selvatica.
In particolare i risultati di queste ricerche hanno permesso
di delineare una vera e propria filiera di tipo “industriale” per la produzione
e commercializzazione del vino nel territorio della valle dell’Albegna,
comprensiva dei siti di produzione delle anfore a punta e quindi da trasporto,
confermando il ruolo fondamentale di questo contesto per la produzione e
esportazione del vino verso la Gallia fin dall’età etrusca.
Entrambi i progetti di ricerca forniscono anche
significativi argomenti per una difesa attiva del paesaggio e una valorizzazione
della sua storia in questo caso segnatamente vitivinicola, attraverso un
proficuo dialogo tra archeologia e discipline scientifiche.
L’intervento del giovane sindaco di Castiglione in Teverina Mirco Luzi
ha messo poi l’accento sul concetto di valorizzazione del territorio attraverso
iniziative culturali di questo genere che si vanno ad affiancare
ad altri progetti di rilancio economico di questi territori. Aggiungendo che, proprio attraverso la sinergia tra cultura
e marketing, che nasce il nostro progetto più ambizioso, il Museo del Vino e
delle Scienze agroalimentari.
Il MUVIS è un museo che raccoglie testimonianze e reperti
della nostra civiltà contadina; lavoro, tradizioni e devozioni; culture paesane
e colture agricole di cui protagonista è il vino: nell’arte, nella storia,
nell’economia, nelle relazioni umane.
A conclusione della presentazione è seguita, a cura dell’A.I.S. Delegazione
Etruria, una gradevole degustazione dei vini di questo territorio di origine etrusca.
La Fattoria Madonna delle Macchie e Trappolini di Castiglione
in Teverina e l’Azienda Sergio Mottura di Civitella d’Agliano.
Per il Morellino di Scansano, La Cantina Cooperativa
Vignaioli del Morellino di Scansano, la Fattoria dei Barbi, l’Azienda Agricola Ghiaccio
Forte Aquilaia di Rossano Teglielli e I Botri di Ghiaccio Forte.
Tra questi anche un altro vino prodotto da una vinificazione
sperimentale della vitis sylvestris, un vino rosso diverso con una spiccata
acidità, un esperimento che ho comunque apprezzato e ben si intona con le ricerche
prese in esame.
Giancarlo dei Botri di Ghiaccioforte |
La degustazione, ha messo in risalto per tutti i vini, una
spiccata aderenza al territorio, risultando tutti organoletticamente
validi, quello che però ha destato in me maggiore interesse è stato Il Vigna i Botri.
I Botri di
Ghiaccio Forte è un azienda ad agricoltura biologica
condotta da Giancarlo, enologo e sua moglie Giulia, sommelier che è un ottimo
connubio per fare vino.
Volevo far notare che il progetto ArcheoVino ha messo in
evidenza, attraverso l’analisi del germoplasma, la reale possibilità che le
viti silvestri ritrovate in questa zona siano i relitti di antichi vitigni
coltivati, andati incontro a un progressivo rinselvatichimento con un elevato
grado di similarità genetica ai vitigni Sangiovese e Canaiolo Nero.
I 4 ettari di vigneto a bacca rossa si trovano di fronte l’abitato Etrusco del Ghiaccio Forte sulla via Aquilaia ad una dozzina di Km
da Scansano vicino Grosseto e dista circa 20 Km in linea d’aria dal Tirreno dominando
la valle del fiume Albegna.
Sangiovese in prevalenza con due cloni di Morellino e
Prugnolo Gentile, il restante Alicante che è un clone del Grenache e
Ciliegiolo.
Il vigneto ha ottenuto il riconoscimento della De.Co.
(Denominazione Comunale), uscendo dalle precedenti D.O.C.G. e D.O.C. di
appartenenza e che dopo averlo assaggiato ne ho capito il motivo.
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