Stasera su Rai5 in onda Velázquez, l'ombra della vita. Tomaso Montanari racconta il "pittore dei pittori".
Dopo le serie dedicate a Bernini, Caravaggio e Vermeer, Tomaso Montanari sbarca nella Spagna del Seicento sulle tracce di Diego Velázquez. In quattro puntate - in onda da stasera alle 21.15 su Rai5 – realizzate con la regia di Luca Criscenti, tra Roma, Siviglia e Madrid, Montanari segue, tela dopo tela, il percorso poetico e artistico di uno dei “giganti” dell’arte del Seicento nella nuova serie in prima visione “Velázquez. L’ombra della vita”.
Nessun artista si è mai accostato al ritratto con una tale forza e una tale capacità di scavare nel fondo dell’anima umana come ha fatto Diego Velázquez. Un aspetto che continua a colpire gli artisti contemporanei, così come aveva “ossessionato” Francis Bacon negli anni Sessanta del Novecento. Nel primo episodio - “La materia della Realtà” - gli inizi di Diego Velázquez “pittore dei pittori” secondo la felice definizione di Manet. Nasce 1599 a Siviglia, l’estremo lembo meridionale d’Europa, ma una terra di confine e una città straordinariamente vivace dal punto di vista artistico: un anno prima vi ha visto la luce Francisco de Zurbaràn; vent’anni dopo vi nascerà Murillo. Diego comincia nella bottega di Francisco Pacheco, di cui sposerà la figlia Juana. Gli inizi sono caravaggeschi, segnati da un estremo naturalismo e da una felice capacità di rappresentazione della realtà, nei volti dei santi come nei ritratti della gente comune. L’acquaiolo di Siviglia, uomo di condizione umile, è reso con una monumentalità che ben si adatterebbe al santo di una pala d’altare. La vecchia missionaria Madre Jeronima de la Fuente sprigiona dal volto un furore e una determinazione rari nei ritratti dell’epoca.
Diego si muove con naturalezza e propone soluzioni sorprendenti già nelle prime opere: nel Cristo in casa di Marta e Maria e nella Cena in Emmaus relega sullo sfondo le scene sacre, che pure danno il titolo alle tele, per mettere in primo una cucina, con una domestica che prepara la cena, o una mulatta che lava le stoviglie, quasi a ribaltare le gerarchie dei valori.
Proprio questa straordinaria capacità di interpretare la realtà in modo nuovo gli fa bruciare le tappe. Velázquez arriva a Madrid che non ha ancora 25 anni. È Luis de Gòngora, uno dei grandi poeti del tempo, a cui Diego dedica un indimenticabile ritratto, a introdurlo a corte. Filippo IV è sul trono da pochi anni; è un sovrano giovanissimo, cinque anni meno del pittore. I due resteranno legati per tutta la vita.
Il caravaggismo traspare anche nelle opere più impegnative, come il Trionfo di Bacco, che si risolve in un grande ritratto di gruppo: il giovane dio ha l’aspetto di un garzone di bottega, mentre gli uomini che gli stanno intorno hanno i volti segnati: viandanti, mendicanti avvinazzati o semplici contadini della Castiglia.
È abbastanza perché qualcuno si accorga di lui. Rubens, per esempio, che convince il re a mandarlo in Italia, dove Diego arriva nel settembre 1629. Le suggestioni della grande tradizione pittorica italiana, Tiziano prima di tutti, si fa sentire nelle due grandi tele che realizza sullo scorcio del 1630, una di argomento mitologico e una a tema biblico, una farsesca e una tragica: Apollo nella fucina di Vulcano e La tunica di Giuseppe. Due opere bellissime, decisive nel percorso pittorico di Diego Velázquez.
Una produzione Land Comunicazioni, in collaborazione con Rai Cultura. Fotografia: Francesco Lo Gullo. Montaggio: Emanuele Redondi, Anjan Di Leonardo. Musica: Giorgio Giampà
Diego Velázquez, Tre Musici, 1618 |
Dopo le serie dedicate a Bernini, Caravaggio e Vermeer, Tomaso Montanari sbarca nella Spagna del Seicento sulle tracce di Diego Velázquez. In quattro puntate - in onda da stasera alle 21.15 su Rai5 – realizzate con la regia di Luca Criscenti, tra Roma, Siviglia e Madrid, Montanari segue, tela dopo tela, il percorso poetico e artistico di uno dei “giganti” dell’arte del Seicento nella nuova serie in prima visione “Velázquez. L’ombra della vita”.
Nessun artista si è mai accostato al ritratto con una tale forza e una tale capacità di scavare nel fondo dell’anima umana come ha fatto Diego Velázquez. Un aspetto che continua a colpire gli artisti contemporanei, così come aveva “ossessionato” Francis Bacon negli anni Sessanta del Novecento. Nel primo episodio - “La materia della Realtà” - gli inizi di Diego Velázquez “pittore dei pittori” secondo la felice definizione di Manet. Nasce 1599 a Siviglia, l’estremo lembo meridionale d’Europa, ma una terra di confine e una città straordinariamente vivace dal punto di vista artistico: un anno prima vi ha visto la luce Francisco de Zurbaràn; vent’anni dopo vi nascerà Murillo. Diego comincia nella bottega di Francisco Pacheco, di cui sposerà la figlia Juana. Gli inizi sono caravaggeschi, segnati da un estremo naturalismo e da una felice capacità di rappresentazione della realtà, nei volti dei santi come nei ritratti della gente comune. L’acquaiolo di Siviglia, uomo di condizione umile, è reso con una monumentalità che ben si adatterebbe al santo di una pala d’altare. La vecchia missionaria Madre Jeronima de la Fuente sprigiona dal volto un furore e una determinazione rari nei ritratti dell’epoca.
Diego si muove con naturalezza e propone soluzioni sorprendenti già nelle prime opere: nel Cristo in casa di Marta e Maria e nella Cena in Emmaus relega sullo sfondo le scene sacre, che pure danno il titolo alle tele, per mettere in primo una cucina, con una domestica che prepara la cena, o una mulatta che lava le stoviglie, quasi a ribaltare le gerarchie dei valori.
Proprio questa straordinaria capacità di interpretare la realtà in modo nuovo gli fa bruciare le tappe. Velázquez arriva a Madrid che non ha ancora 25 anni. È Luis de Gòngora, uno dei grandi poeti del tempo, a cui Diego dedica un indimenticabile ritratto, a introdurlo a corte. Filippo IV è sul trono da pochi anni; è un sovrano giovanissimo, cinque anni meno del pittore. I due resteranno legati per tutta la vita.
Il caravaggismo traspare anche nelle opere più impegnative, come il Trionfo di Bacco, che si risolve in un grande ritratto di gruppo: il giovane dio ha l’aspetto di un garzone di bottega, mentre gli uomini che gli stanno intorno hanno i volti segnati: viandanti, mendicanti avvinazzati o semplici contadini della Castiglia.
È abbastanza perché qualcuno si accorga di lui. Rubens, per esempio, che convince il re a mandarlo in Italia, dove Diego arriva nel settembre 1629. Le suggestioni della grande tradizione pittorica italiana, Tiziano prima di tutti, si fa sentire nelle due grandi tele che realizza sullo scorcio del 1630, una di argomento mitologico e una a tema biblico, una farsesca e una tragica: Apollo nella fucina di Vulcano e La tunica di Giuseppe. Due opere bellissime, decisive nel percorso pittorico di Diego Velázquez.
Una produzione Land Comunicazioni, in collaborazione con Rai Cultura. Fotografia: Francesco Lo Gullo. Montaggio: Emanuele Redondi, Anjan Di Leonardo. Musica: Giorgio Giampà
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