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Coronavirus, asintomatici: la scienza ora studia se sviluppano anticorpi e memoria immunitaria contro il virus

Il mondo della ricerca si sta muovendo per comprendere se le persone che hanno contratto il virus e non presentano sintomi “misurabili” possa essere la speranza per una rapida immunità di gregge. 







Del coronavirus SARS-CoV-2 si sa ancora poco e, di fatto, acquisiamo le informazioni  giorno per giorno: da quanto apparso in alcuni articoli su Science e dai dati che stanno emergendo dallo studio epidemiologico di Vo' Euganeo, le persone che hanno contratto il virus e non presentano sintomi “misurabili” (febbre, tosse, difficoltà respiratorie) sono in numero elevatissimo. Quindi non avendo alcun sintomo, tali soggetti sono purtroppo inconsapevoli diffusori del virus: ciò significa che l'infezione si propaga molto più efficientemente ed è quindi più difficile da contenere. SARS-CoV-2 ha già provocato un numero di casi cinque volte superiore e in un quarto del tempo impiegato dal virus della SARS-CoV: la strategia #iorestoacasa è, quindi, estremamente utile nel ridurre drasticamente la possibilità che gli asintomatici creino insospettati focolai di contagio.

Con il test del tampone attualmente utilizzato si preleva del materiale biologico dal naso e dalla gola che poi viene utilizzato per amplificare le sequenze specifiche del virus se è presente. Il risultato di positività non ci dà, però, nessuna informazione sulla risposta immunitaria della persona analizzata. E’ la fotografia di un momento: un negativo di oggi potrebbe diventare positivo domani. Il tampone è, quindi, utile per avere informazioni immediate, ma non è sufficiente per identificare focolai nascosti, e non ci aiuta a comprendere il fenomeno degli asintomatici che sembra essere responsabile dell’enorme diffusione del virus, ma che potrebbe anche essere la nostra speranza per il futuro di ottenere rapidamente un’immunità di gregge.

Le domande chiave a cui occorre rispondere in tempi brevi sono: “gli asintomatici sviluppano immunoglobuline contro il virus? Hanno attivato delle risposte immunitarie aumentando i livelli di IgM? Ma soprattutto sviluppano memoria immunitaria aumentando le IgG specifiche per il virus?”

Cercando di semplificare al massimo, quando il nostro organismo viene a contatto con un virus si attiva una risposta immunitaria complessa, che coinvolge immediatamente le cellule dell’immunità innata (Natural Killer, monociti, granulociti) e poi le cellule dell’immunità adattativa (linfociti T e B) e che consente all’organismo di avere la meglio sull’infezione virale. Durante la risposta adattativa si attivano le cellule B che producono inizialmente, nella fase acuta, anticorpi chiamati IgM che riconoscono il virus e lo neutralizzarlo inizialmente. La presenza di IgM specifiche per il virus nel sangue indica, quindi, che c'è un’infezione virale iniziale. Le cellule B che producono IgM capaci di riconoscere il virus si differenziano in una fase successiva e iniziano a produrre IgG, anticorpi che riconoscono le proteine virali con elevatissima specificità e neutralizzano il virus. La produzione di IgG dura per molte settimane per poi diminuire ma non sparisce mai del tutto. Rimangono nel nostro organismo delle cellule B “della memoria” che sono in grado, nel caso si venga di nuovo a contatto con il virus, di attivare una risposta immediata proliferando e producendo di nuovo IgG altamente specifiche per il virus da combattere. Creare la memoria immunitaria è il principio alla base dei vaccini. Avere quindi una memoria immunitaria per SARS-CoV-2 consente quindi di essere protetti qualora si rincontri il virus. Avere tante persone intorno che sono resistenti al virus crea “ l’immunità di gregge“ per cui il virus non riesce a diffondersi nella popolazione, e così i pochi che non hanno sviluppato una memoria immunitaria non rischiano di incontrarlo e di infettarsi.

Quindi, è di assoluta importanza in questo momento coordinare gli sforzi di medici e ricercatori, e iniziare subito a svolgere analisi sierologiche e studi sulle caratteristiche immunologiche dei pazienti asintomatici, che secondo alcuni studi iniziali rappresentano il 75% dei contagiati e di cui noi non abbiamo traccia non avendo sviluppato sintomi clinici. La raccolta di dati sierologici e immunitari è essenziale per capire che percentuale della popolazione ha effettivamente sviluppato resistenza al virus, se esiste una resistenza legata all’età, e quali sono le basi immunologiche di tale resistenza. Queste informazioni sono fondamentali per definire le strategie future di contenimento del virus in attesa di avere un vaccino o strumenti farmacologici specifici per contrastarne la diffusione.

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