Da Sergio Leone, ad Amadeus, all’Ultimo Imperatore, Renato Casaro è il cartellonista che “firmò” i manifesti per i capolavori del cinema, da Cinecittà a Hollywood. Renato Casaro è considerato l’ultimo dei grandi cartellonisti del cinema. Il docufilm trasmesso stasera su Rai4 ci regala uno spaccato della vita e dell'opera di un assoluto maestra dell'arte, amato ed apprezzato dai più grandi registi.
Renato Casaro è considerato uno dei più importanti, influenti e innovativi cartellonisti cinematografici italiani. Conosciuto per i suoi manifesti e le sue locandine cinematografiche oltre che per le sue pitture e le sue stampe artistiche, ha realizzato, nel corso della sua lunga carriera, migliaia di opere dedicate alla settima arte. Un’artista che ha saputo trasporre, disegnandola, l’anima di un film in un manifesto, il tutto mentre lo stesso era ancora in lavorazione, potendo spesso contare solo su qualche fotografia di scena e su un formidabile intuito comunicativo.
Ultimo protagonista di un’arte ormai scomparsa Casaro ci lascia in eredità una mirabile galleria di manifesti, testimonianza fondamentale per la storia del cinema, assurgendo a simbolo di quella scuola italiana di cartellonisti del cinema, dove perizia tecnica, creatività, genio e istinto erano le garanzie e il valore aggiunto per il successo di innumerevoli film nazionali e internazionali.
Il grande merito di Walter Bencini, regista di questo docufilm, è quello di farci entrare non solo nel dato biografico ma, anche e soprattutto, nel pensiero creativo dell'artista nonché nel profondo rispetto ed ammirazione che altri Maestri dell'arte cinematografica hanno nutrito per lui. Artigiano di genio, sin dagli esordi misura la sua arte con quanto Cinecittà e il cinema internazionale andavano proponendo. Via via il suo stile conquista grandi registi e Hollywood: Jean-Jacques Annaud, Dario Argento, Marco Bellocchio, Ingmar Bergman, Bernardo Bertolucci, Luc Besson, John Boorman, Tinto Brass, Liliana Cavani, Francis Ford Coppola, Milos Forman, Costa-Gavras, Pietro Germi, Claude Lelouch, Ugo Liberatore, Sergio Leone, Sidney Lumet, Anthony Mann, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Alberto Sordi, John Sturges, Giuseppe Tornatore, François Truffaut, Carlo Vanzina, Carlo Verdone…
Bencini però va oltre. Ci mostra non solo questo tipo di interventi (che qualcuno potrebbe, a torto, ritenere 'facili' in quanto basati su film di grande valore. Ci mostra anche come Casaro sia stato un maestro anche nel rappresentare, nella sintesi di un manifesto, anche il cinema più popolare, quello che si usa definire 'di genere' o anche 'di serie B'. L'uomo che dipinse il cinema non è, come forse si potrebbe ritenere, un documentario rivolto solo ai collezionisti o ai cinefili doc. Parla a tutti coloro (e sono tanti) che nel corso della loro vita, vedendo un manifesto in strada o davanti a un cinema, si sono detti "questo film lo vado a vedere".
Il sodalizio di Casaro con il cinema inizia quando, ancora ragazzo, crea le grandi sagome, pezzi unici dipinti a mano, che venivano collocate all’ingresso del Cinema Teatro Garibaldi e del Cinema Esperia di Treviso dove l'artista è nato nel 1935. A 19 anni, nel 1954, parte per Roma dove trova lavoro nello studio di Augusto Favalli e dove rimane per circa un anno e mezzo imparando le tecniche e i “trucchi del mestiere”. “Criminali contro il mondo” (1955) è il suo primo manifesto ufficiale. Nel 1957, sempre a Roma, apre uno studio a proprio nome. Artista in rapida formazione, grazie al fertile ambiente romano, dove Cinecittà è in quegli anni una delle industrie più prolifiche, riesce a dare il meglio di sé in ogni genere: storico, commedia, noir, ed anche i peplum insieme al nascente e dirompente fenomeno del “Western all’italiana”, due generi che hanno trovato in lui uno straordinario comunicatore, tanto che Quentin Tarantino, che come si sa ama questo genere, lo ha chiamato per creare dei finti manifesti vintage da utilizzare in C'era una volta a... Hollywood.
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