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All'alba di Raffaello. La Pala dei Decemviri del Perugino, l'opera nella sua interezza in mostra ai Vaticani

Ai Musei Vaticani, l’anno di Raffaello inizia col capolavoro del suo maestro Perugino. In occasione delle Celebrazioni Raffaellesche inaugurata la mostra All'alba di Raffaello. Dall'8 febbraio al 30 aprile 2020 ai Musei Vaticani. 






Le celebrazioni per i 500 anni della morte di Raffaello Sanzio, iniziano in Vaticano con l’esposizione della Pala dei Decemviri di di Pietro Vannucci, detto il Perugino, il maestro del grande pittore urbinate. Il capolavoro dopo essere stato esposto da ottobre 2019 a fine gennaio 2020, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nella sua ritrovata unità e bellezza originaria, torna trionfalmente a casa per far ancora bella mostra di sé, sempre eccezionalmente e temporaneamente ricomposto.

Rientra così nei Musei Vaticani, nella sua interezza, con la sua cornice e la sua “cimasa”, la “Pala dei Decemviri” di Pietro Perugino, e l'occasione è l'apertura delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte del suo allievo, il grande Raffaello Sanzio da Urbino. I due dipinti, realizzati nel 1495 per la Cappella del Palazzo dei Priori di Perugia, furono separati nel 1797, in seguito alle requisizioni francesi che portarono a Parigi la sola grande tavola. Cornice e cimasa furono invece lasciate nel Palazzo. Dopo la caduta di Napoleone, la tavola non fu restituita a Perugia ma, per disposizione di Pio VII, entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana.

Un’occasione imperdibile, nata dalla felice e proficua collaborazione tra i Musei del Papa e la Galleria Nazionale dell’Umbria, per ammirare anche nella Pinacoteca Vaticana, la celebre Pala del maestro umbro: la tavola con la Madonna in trono col Bambino e Santi dei Musei Vaticani reinserita nella sua splendida cornice originale e riunita alla cimasa raffigurante il Cristo in pietà del museo perugino. Guido Cornini, responsabile scientifico del Dipartimento delle Arti dei Musei Vaticani, ha spiegato l'opera sotto l'aspetto contestuale; essa raffigura una sacra conversazione, che era il nome convenzionale che si dava all'epoca, ad una situazione di gruppo in cui una Madonna col bambino direttamente seduta trono ma poteva essere anche in piedi, era circondata da santi che variavano a seconda della devozione della chiesa alla quale la pala era destinata. Questa invenzione stilistica si situa intorno agli anni cinquanta del Quattrocento a Firenze in particolare nell'ambito del Beato Angelico. 30-40 anni dopo, all'epoca del Perugino, si è evoluta allo stadio che vediamo. I santi riuniti con la Madonna sono san Lorenzo, san Ludovico da Tolosa, sant'Ercolano, e san Costanzo, i patroni della città di Perugia e quindi appropriati per la Cappella del Palazzo Dei Priori, sede della magistratura cittadina e del governo della città. E’ il momento più alto della produzione stilistica del Perugino, manifesto degli stilemi della pittura umbra di fine Quattrocento, che vediamo trasmigrare puntualmente nel primo Raffaello come ossatura di fondo, prima di arrivare al Raffaello classicista delle Stanze, delle Logge e di Villa Madama.

"Ricordata dal Vasari e dalle successive fonti storico-artistiche per la sua bellezza, la Pala è firmata sulla pedana del trono dal suo autore", ha spiegato nel suo intervento, il direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta. "Questa del Perugino è una delle opere identitarie delle nostre collezioni. Quando Luca Beltrami insieme a Pio XI concepisce questa nuova pinacoteca la pone nella stanza precedente al grande salone dedicato a Raffaello. Esporre Perugino in questa occasione è un modo di fare tornare un po' indietro anche la storia di questi Musei. l'opera arriva grazie al soggiorno che ha a Parigi per le asportazioni napoleoniche, ma arriva grazie a Canova quando decide di riportare le opere, dopo la caduta di Napoleone, non nei luoghi d'origine ma in Vaticano per una maggiore condivisione. Tante nostre opere identitarie fanno parte di quella riacquisizione: pensiamo a Caravaggio, pensiamo alla Madonna di Foligno di Raffaello, pensiamo al Domenichino, grazie all'intuizione di Canova di avere delle opere d'arte importanti condivise all'interno del Vaticano".

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