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Produrre di più con meno: oltre lo slogan, una promessa fragile sotto la lente della scienza. Una ricerca internazionale mette in discussione la narrazione dominante dell’agricoltura iper-efficiente

"Produrre di più con meno" è diventato uno slogan ricorrente nella comunicazione sull’agricoltura del futuro, evocando l’idea di un progresso tecnologico capace di garantire rese elevate con impatti ambientali ridotti. Ma quanto è solida questa promessa? Uno studio del CREA, in collaborazione con la Michigan State University e pubblicato su Nature Food, mette in discussione questa narrazione dominante, svelandone i limiti e i potenziali rischi. Dietro la semplicità del messaggio si nasconde una complessità sistemica che richiede ben più di soluzioni tecnocratiche: servono trasformazioni strutturali, integrazione tra innovazione e pratiche agroecologiche, e politiche di lungo respiro. Necessaria un analisi delle criticità sollevate dalla ricerca, proponendo una lettura più articolata delle sfide agricole globali.


Lo studio "The risk of the ‘producing more with less’ narrative", firmato da Pasquale De Vita (CREA) e Bruno Basso (Michigan State University), pubblicato su Nature Food il 13 giugno 2025, mette in discussione un mantra ormai onnipresente nell’agricoltura moderna: "produrre di più con meno". Un’espressione chiara e rassicurante, ma che agli occhi degli autori rischia di diventare un’arma a doppio taglio, se semplifica la complessità delle sfide sistemiche che la nostra epoca richiede.

L’agricoltura è un sistema complesso e interdipendente, in cui la salute del suolo, la disponibilità idrica, i cicli climatici, la biodiversità e le dinamiche socio-economiche, si intrecciano in un equilibrio delicato e in continua evoluzione. Ridurlo a un problema di "messa a punto tecnologica" come fertirrigazione di precisione o genome editing rischia di escludere trasformazioni di governance, uso delle risorse e comportamenti a lungo termine. Senza una prospettiva olistica, l’innovazione rischia di diventare sterile. Questo avvertimento emerge con forza anche dallo studio di Basso sul ruolo delle emissioni agricole: la gestione del suolo e dei fertilizzanti non solo influenza rendimento e sostenibilità, ma è anche cruciale per controllare l’impatto climatico dell’agricoltura.

Secondo i ricercatori, adottare lo slogan "produrre di più con meno" come bussola rischia di indirizzare politiche e ricerca verso risultati immediati e facilmente quantificabili, privilegiando l’efficienza a scapito della visione strategica e della resilienza a lungo termine. Questo approccio tende a favorire investimenti in tecnologie dal ritorno rapido, penalizzando invece la ricerca di base e le pratiche agroecologiche, il cui impatto, pur fondamentale, è spesso meno immediatamente misurabile.

Spesso si tende a enfatizzare il potenziale "rivoluzionario" di strumenti come il genome editing, la de novo domestication o l’agricoltura digitale, alimentando aspettative sproporzionate. Tuttavia, come viene sottolineato, il progresso in agricoltura è per sua natura incrementale, frutto di processi graduali e cumulativi. Quando le promesse vengono percepite come immediate e risolutive, il rischio è generare disillusione tra agricoltori, decisori politici e opinione pubblica. È quindi necessario ristabilire un orizzonte realistico: l’innovazione esiste e avanza, ma richiede tempo, adattamenti e continuità. I risultati non si ottengono con salti improvvisi, ma passo dopo passo.

Lo studio propone un approccio sinergico: unire le potenzialità delle suddette genome editing e de novo domestication, a investimenti in pratiche agroecologiche (rotazioni, biodiversità funzionale, conservazione del suolo) e strumenti digitali (monitoraggio satellitare, agricoltura di precisione). L’obiettivo è ricercare un equilibrio tra efficienza, resilienza e sostenibilità lungo l’intera filiera.

Un altro nodo cruciale riguarda la normativa europea sull’editing genomico: la sua incertezza frena l’adozione e mantiene le innovazioni nei laboratori,  e di fatto lontane dal campo. Senza regole chiare, strumenti potenzialmente utili restano relegati alla teoria. Serve quindi una revisione normativa che sostenga l’adozione responsabile e trasparente di tecnologie avanzate, in sinergia con misure economiche e incentivi mirati non solo all’efficienza, ma alla sostenibilità di lungo periodo.

Secondo i dati di Climate TRACE, nel 2024 l’agricoltura è stata responsabile di circa il 13% delle emissioni globali di gas serra, quota questa che non include la deforestazione, per un totale stimato di circa 8 gigatonnellate. Pratiche come la fertilizzazione, la lavorazione del suolo e la gestione delle risorse naturali, giocano un ruolo decisivo nel determinare l’impronta climatica del settore. Questo conferma che un approccio integrato, capace di coniugare efficienza produttiva e sostenibilità ambientale, non è solo auspicabile ma ormai indispensabile per il futuro dell’agricoltura.

Pasquale De Vita dichiara: "La narrazione del ‘produrre di più con meno’, sebbene accattivante, rischia di distogliere l'attenzione dalle complessità e dai compromessi fisiologici insiti nello sviluppo delle colture". Il richiamo è urgente: servono "sforzi sistemici e comunicazione trasparente", altrimenti rimarrà soltanto uno slogan, non una visione trasformativa.

Produrre di più con meno deve diventare quindi molto di più di un claim. Va messo al centro un cambiamento di paradigma che non rinunci alla tecnologia, ma la integri con pratiche agroecologiche, digitalizzazione, governance lungimirante, incentivi coerenti, e trasparenza normativa. Solo così potremo davvero puntare a sistemi agroalimentari resilienti, equi e sostenibili. Perché nel campo, come nel piatto, la scelta non è tra più o meno: è tra meglio e peggio.

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