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Vino e ricerca, Bioprotezione: nuovi studi aprono la strada per la produzione di vini senza solfiti

Due nuovi studi hanno dimostrato l'efficacia della tecnica di bioprotezione su varietà di vite a bacca rossa. La tecnica promuove anche una corretta fermentazione malolattica.


Due studi sulla bioprotezione presentati all'ultimo congresso di Oeno-Ivas svoltosi alla fine di giugno a Bordeaux, hanno dimostrato l'efficacia di questa collaudata tecnica in continua crescita. 


Sono molti i fattori che, in questi ultimi anni, hanno spinto la ricerca a trovare un alternativa valida all'utilizzo della SO2 nel processo di vinificazione. Bisogna tener conto che il diossido di zolfo è un ausiliario tecnologico essenziale in enologia poiché molti sono i suoi benefici, sia sotto il profilo del controllo microbiologico, sia nella prevenzione dei fenomeni di ossidazione. Tuttavia, il composto è oggetto di critiche in primo luogo per la sua tossicità per l’organismo umano che rappresenta un pericolo sia per il consumatore sia per l’operatore in cantina. E' inoltre un possibile precursore di aromi solforati, detti “di riduzione” prodotti durante la fermentazione alcolica. Andando avanti l’anidride solforosa può provocare, attraverso il lievito, la formazione di acetaldeide, altra molecola potenzialmente indesiderabile. Oltre a questi fattori ci sono inevitabilmente gli effetti del cambiamento climatico, che determina un aumento del pH del vino con la conseguente diminuzione dell’effetto biocida della SO2 e non ultime le esigenze di mercato che portano ad un minore uso di questo composto chimico. Negli ultimi anni, infatti, la richiesta da parte del consumatore di prodotti sempre più naturali, senza aggiunta di conservanti e non sottoposti a trattamenti tecnologici invasivi, è sempre più forte ed in tal senso la bioprotezione ha di fatto un approccio di tipo biologico in quanto prevede l'utilizzo di lieviti naturalmente presenti nei mosti d’uva.

Lo studio di queste popolazioni microbiche ha portato all’isolamento di lieviti non-Saccharomyces con caratteristiche ed attività enzimatiche interessanti per lo sviluppo della qualità e per il controllo di microbiota patogeni o alteranti nei vini. Una biodiversità con un grande potenziale, ancora oggi poco sfruttato che, in abbinamento al Saccharomyces cerevisiae, apre un mondo di nuove possibilità per gli enologi.

E' cosa nota che i microorganismi responsabili delle deviazioni acetiche o degli avvii incontrollati della fermentazione possono moltiplicarsi in modo esponenziale. I rischi aumentano dal momento in cui si estende la durata delle operazioni prefermentative, in caso di trasporto delle uve o di mosto per tempi prolungati, in caso di macerazioni prefermentative a freddo, di macerazione pellicolare, di permanenza sulle fecce, di conservazione di mosto a freddo o ancora di appassimento in fruttaio, soprattutto in caso di temperature troppo elevate (> 8°C) o qualora si desideri ridurre l’utilizzo di SO2. Non ultimi i cambiamenti climatici e l’evoluzione delle pratiche colturali che conducono verso livelli di maturità che accentuano ulteriormente lo sviluppo di microorganismi indesiderati.

La bioprotezione è utilizzata da circa dieci anni,  ma questo è il primo studio scientifico che ne dimostra l'efficacia e nello specifico per la produzione di vini rossi. Al congresso di Oeno-Ivas il dott. Scott Simonin ricercatore presso il Jules Guyot Institute in Borgogna, ha parlato del suo primo studio dove ha testato il lievito “non convenzionale” Metschnikowia Pulcherrima ceppo MCR24 in bioprotezione su uve Pinot Nero. Le prove sono state effettuate su tre campioni mosto da 10 hL ognuno con tre modalità distinte: bioprotetto (100 mg / L), solfitato (30 mg / L) e senza aggiunta di SO2 per due giorni di macerazione a 12°C . Il principio era proprio quello di impiantare microrganismi molto precoci (lieviti e / o batteri) selezionati su uva o mosto per controllare lo sviluppo della flora autoctona, popolazioni indesiderate all'origine di deviazioni organolettiche. I risultati sono stati incoraggianti in quanto la modalità bioprotetta M. pulcherrima al 100%, ha avuto la stessa efficacia di quella solfitata per controllare le popolazioni di lieviti presenti nel mosto. All'analisi, tuttavia, erano presenti più antociani nella modalità con SO2, ma nessuna differenza nei livelli di tannino. Dopo l'invecchiamento in serbatoi di acciaio inossidabile per sei settimane e dopo lo svolgimento della malolattica, i vini sono stati imbottigliati con 30 mg / L di SO2 per poi essere degustati due mesi dopo. All'assaggio, le caratteristiche qualitative dei tannini sono risultate più evidenti nella modalità bioprotetta. Oltre questo nessun altra differenza significativa è emersa dalla degustazione dei tre vini.

Il secondo studio presentato da ricercatori spagnoli, ha riguardato l'influenza positiva della bioprotezione sulla fermentazione malolattica. Il dott. Aitor Balmaseda, ricercatore presso l'Università di Tarragona ha messo in evidenza che la bioprotezione in fase fermentativa ha fatto aumentare il consumo di acido malico. Lo studio è stato effettuato in laboratorio, su due mosti, uno da 10 litri di uve della varietà Macabeu e uno da 6 kg di Cabernet Sauvignon. Il test ha previsto l'uso di tre ceppi di lievito non saccharomyces: Torulaspora delbrueckii, Metschnikowia pulcherrima e Lanchancea thermotolerans, separatamente. La fermentazione malolattica si è svolta correttamente con una durata media di 30 / 40 giorni. L'uso di questi lieviti ha favorito la concentrazione di mediatori favorevoli come acido citrico, acido piruvico o altri composti derivati ​​dall'autolisi del lievito come peptidi, glucani o mannoproteine, facendo emergere che il loro utilizzo nella vinificazione presenta un nuovo scenario in tutti i casi dove è previsto lo svolgimento della malolattica. Alla degustazione, il vino bioprotetto nello specifico con Torulaspora si è contraddistinto dagli altri con aromi più netti.

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