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Svelare un capolavoro. Il restauro de La Malaria di Maria Martinetti. Palazzo Papale di Castel Gandolfo

Un capolavoro pittorico di fine’800 che fino al 17 novembre 2024 potrà essere ammirato anche dal grande pubblico presso il Polo Museale di Castel Gandolfo.  



I Musei Vaticani ritrovano nei loro ricchi depositi un capolavoro pittorico di fine’800 che ancora per pochi giorni potrà essere ammirato anche dal grande pubblico presso il Polo Museale di Castel Gandolfo, all’indomani di un attento restauro che lo ha riportato alla sua originaria bellezza.

Ad inaugurare la nuova stagione espositiva del Palazzo Papale sarà l’atteso “svelamento” del dipinto La Malaria (1887), un olio su tela di grandi dimensioni (140,5 x 221,5), opera giovanile della pittrice romana Maria Martinetti Stiavelli (1864-1937) artista specializzata in soggetti orientali, scene di genere e temi storici. Figura oggi quasi sconosciuta, Maria Martinetti frequentò a Roma alcuni dei più interessanti cenacoli artistici internazionali, e conobbe in vita un discreto successo anche come ritrattista e autrice di soggetti orientali che le consentirono di trasferirsi per alcuni anni negli Stati Uniti.

Il dipinto La Malaria viene scelto dall’artista per la sua partecipazione alla Esposizione Universale di Parigi del 1889 – celebrata con la costruzione della Tour Eiffel – ottenendo il prestigioso riconoscimento della medaglia d’argento. Maria Martinetti presenta il dipinto una seconda volta, nel 1893, all’Esposizione Universale di Chicago, insieme ad un acquerello dal titolo Beggar (Mendicante).

Tela di importanti dimensioni, La Malaria è opera matura nello stile, sicura nella composizione e particolarmente originale nei molteplici livelli di significato che l’artista affida, consapevolmente o meno, al soggetto e che l’accurato intervento di restauro ha riportato alla luce.

Promosso congiuntamente dalla Direzione dei Musei e dei Beni Culturali e dalla Direzione delle Ville Pontificie, il progetto espositivo è curato da Micol Forti, Responsabile del Reparto Arte Ottocento e Contemporanea dei Musei Vaticani, mentre l’intero intervento conservativo è stato sostenuto dalla generosità dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums - Capitolo del Canada.

Il dipinto sarà accompagnato da un suggestivo contributo video e da pannelli didattici che illustreranno sia la vita di Maria Martinetti che le analisi scientifiche condotte dal Gabinetto di Ricerche Scientifiche applicate ai Beni Culturali, insieme con i sorprendenti risultati del magnifico restauro condotto da Rossana Giardina sotto la direzione di Francesca Persegati, Responsabile del Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali lignei.

Faranno da corona alla mostra due abiti ciociari originali degli stessi anni, provenienti dalle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari del Museo delle Civiltà all’Eur (Roma).

L’accesso all’esposizione è gratuito ed è incluso nel biglietto d’ingresso al Palazzo Papale di Castel Gandolfo, visitabile (con guida o autonomamente) insieme al Giardino del Moro e al Giardino Segreto.

Ad un primo sguardo La Malaria, opera eseguita dalla pittrice romana Maria Martinetti nel 1887, all’età di 23 anni, può sembrare una tipica “scena di genere”. Protagonisti del dipinto sono una donna, che indossa un abito ciociaro da lavoro e ha in mano un gomitolo e il filo, raccolto intorno a un arcolaio, e un ragazzo, disteso su un misero materasso, parzialmente avvolto da una coperta logora, con la testa leggermente alzata sostenuta dalla mano sinistra.

L’ambiente è povero: una conca di rame poggiata sul pavimento a mattonelle di cotto, rotte e dissestate; il muro a secco, fatto di pietre; una semplice cucina a legna, sul fondo, illumina debolmente la stanza e lascia intravedere, sotto al rudimentale tavolaccio su cui si trova il materasso, la giubba e gli scarponi del ragazzo.

Nonostante gli elementi tipici, ricorrenti in numerose opere che descrivono scene di vita contadina, la tela non presenta i caratteri folkloristici particolarmente apprezzati dal turismo internazionale alla fine dell’800.

Tela di importanti dimensioni, La Malaria è opera matura nello stile, sicura nella composizione e particolarmente originale nei molteplici livelli di significato che l’artista affida, consapevolmente o meno, al soggetto.

Ad una osservazione più attenta, infatti, notiamo diversi particolari che ci consentono di entrare nelle maglie del dipinto: la figura femminile indossa una collana con due fili di corallo e orecchini d’oro, simboli del suo status di donna sposata; il ragazzo, appena adolescente, ha il volto segnato dalla malattia, gli occhi cerchiati, violacei, il pallore diffuso su tutto il corpo, e al petto indossa lo “scapolare” per affidare la sua anima alla Madonna.

Tutto è sospeso, in attesa. La donna ha interrotto di fare il gomitolo, le mani abbandonate in grembo, osserva il ragazzo; il suo volto è stanco per la lunga veglia. Lo sguardo intenso del giovane fissa il vuoto, forse consapevole che presto la malattia prenderà la sua giovane vita.

ICONOGRAFIA

Maria Martinetti sceglie un tema piuttosto diffuso nella produzione pittorica dell’epoca. Sono infatti numerose le opere ispirate agli effetti che la malaria produceva sulle popolazioni dell’agro pontino.

Una piaga debellata solo nella prima meta del Novecento grazie alla bonifica delle aree paludose.

La pittrice tuttavia non segue l’esempio iconografico di grandi artisti che avevano ambientato il soggetto prevalentemente su un corso d’acqua, elemento simbolico della malattia, del transito tra la vita e la morte, del compianto e del dolore.

Maria individua le sue fonti nella pittura realista, italiana e internazionale, e conferisce a questi due popolani della campagna romana una composta dignità, una severa eleganza e una nobiltà morale. 

L’essenzialità della composizione, concentrata esclusivamente sulle due figure illuminate da una potente luce “di scena”, che lascia in secondo piano gli elementi accessori, amplifica la dimensione “epica” e ci introduce in una moderna riflessione sulla fragilità del destino dell’uomo: la giovane donna, probabilmente appartenente al nucleo familiare, non è solo una popolana che assiste amorevolmente il giovane malato e veglia il focolare domestico, ma può essere interpretata come la personificazione di una Moira, ovvero di colei che, nella mitologia greca, simboleggiava la forza e l’ineluttabilità del destino.

Il momento di pausa in cui è raffigurata la donna sottolinea la drammaticità del momento: la vita del ragazzo è tutta da dipanare, una parte consistente della matassa è ancora intorno all’arcolaio e il filo corre parallelo al letto dove il giovane è disteso. Eppure non possiamo opporci ad un destino già segnato. Presto le sue mani riprenderanno il lavoro e il filo terminerà la sua corsa.

STILE

La mancanza di un catalogo che renda conto della produzione artistica di Maria Martinetti e l’assenza di altri dipinti ad olio finora rintracciati, rendono ancor più sorprendete la qualità stilistica di questo dipinto.

L’accurato intervento conservativo del Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali lignei dei Musei Vaticani, supportato dalle analisi del Gabinetto di Ricerche Scientifiche applicate ai Beni Culturali, ha restituito la superficie pittorica ad una leggibilità altamente compromessa da pesanti ridipinture che avevano alterato i rapporti cromatici e luministici, eliminato diversi dettagli e soprattutto offuscato la tecnica esecutiva. 

Maria Martinetti dimostra in questa tela una sapiente saldezza nel disegno e soprattutto uno straordinario controllo nella stesura del colore, attraverso elaborate sovrapposizioni cromatiche e un movimento libero e rapido del pennello.

Assolutamente magistrali le diverse tipologie di bianchi sovrapposti, il materasso, il cuscino, il lenzuolo, la camiciola e l’incarnato del ragazzo; la lavorazione del blu cobalto del grembiule, con le fasce floreali appena accennate da lampi rosa e azzurri; i dettagli dell’abito della donna, dalle “sopra maniche” alla fascia in vita, con brillanti toni arancio, dal corpetto in pelle alle “cioce”, tradizionali calzari laziali; fino al raffinato punto di luce verde acido che, dalla fiammella della cucina in fondo alla stanza, si riflette sull’orecchino della donna, per raggiungere la superficie della brocca di rame, sul lato opposto del dipinto.

STORIA 

Dopo le due occasioni espositive di Parigi, nel 1889, e di Chicago, nel 1893, la tela rimane nello studio dell’artista fino alla sua morte, avvenuta nel 1937, e nel 1938 viene venduta all’asta con il resto dei beni della famiglia.

Nel 1953 il dipinto entra in Vaticano come dono a papa Pio XII, per poi essere trasferito alle Collezioni dei Musei Vaticani, sebbene destinato all’arredo presso l’allora Pontificia Commissione per la Cinematografia, l’attuale Dicastero per la Comunicazione. Nel 1993 rientra nei depositi dei Musei Vaticani. Nel 2024 si è concluso il restauro realizzato grazie al sostegno dei Patrons of the Arts in the Vatican Musenms, Capitolo del Canada. 

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