Il dipinto che non c'era, Motivo medioevale: tra nostalgia e critica sociale, un’opera cardine per comprendere la complessità culturale dell’Italia fin de siècle
"Motivo medioevale" rappresenta un punto di svolta nell’opera di Luigi Conconi, sintetizzando Scapigliatura e Simbolismo in una critica allegorica della modernità. Attraverso un medioevo trasfigurato, l’artista milanese condanna non solo il progresso industriale, ma anche la perdita di spiritualità, tema caro ai simbolisti europei. Motivo medioevale è "un grido silenzioso contro l’oblio dell’anima", che colloca Conconi tra i precursori del decadentismo italiano.
"Motivo medioevale" è un dipinto realizzato nel 1888 da Luigi Conconi, artista milanese nato nel 1852 e scomparso nel 1917. L'opera, un olio su tela delle dimensioni di 76,3×144,5 cm, è attualmente esposta presso la Pinacoteca Divisionismo di Tortona. Figura poliedrica della Scapigliatura lombarda, Conconi incarna la transizione tra l’antiaccademismo ribelle del movimento e le suggestioni simboliste emergenti negli anni Ottanta dell’Ottocento.
Il dipinto riflette questa dualità: da un lato, l’eredità scapigliata, caratterizzata da un’estetica della dissoluzione formale e dall’interesse per temi macabri o decadenti; dall’altro, l’adesione al Simbolismo, con la sua predilezione per allegorie e atmosfere oniriche. Come nota Paola Mola nel saggio Luigi Conconi e l’inquietudine del simbolo (2005), l’artista reinterpreta il Medioevo non come mera rievocazione storica, ma come metafora di un presente disilluso, in cui l’Italia post-unificazione affronta contraddizioni sociali e culturali.
L'opera risale a un periodo intermedio dell'attività dell'artista, una fase matura in cui Conconi, assimilato ed elaborato in chiave personale il modello di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, tralascia il vero in favore di contenuti di genere letterario densi di lirismo, d'atmosfera visionaria e nostalgica, contraddistinti da un uso spregiudicato del colore e del segno. Questa fase non è distante dalle coeve sperimentazioni di Gaetano Previati, con il quale fino al 1885 divide l'atelier milanese di Corso Venezia, procedendo in significativa comunanza d'intenti.
La scena è ambientata in un contesto medievale, dove figure umane, caratterizzate da pose languide e movimenti lenti, emergono da un passato remoto e idilliaco. Questa rappresentazione non mira a riprodurre una realtà concreta, ma piuttosto l'inconsistenza di un'apparizione della mente, lasciando spazio a molte suggestioni, proprio per l’atmosfera sospesa e visionaria che l’artista costruisce con le sue figure sfumate e immerse in un tempo remoto e idealizzato.
L’oratrice, posta al centro della composizione, sembra essere il fulcro dell’attenzione di tutti i presenti. Il suo gesto e l’intensità espressiva suggeriscono che stia declamando qualcosa di profondamente coinvolgente: potrebbe trattarsi forse di una lauda spirituale, oppure di una lirica cortese, come quelle dei trovatori e dei trovieri. Ma potrebbe essere una chanson de geste o un passo della Divina Commedia, considerata l’atmosfera simbolista dell’opera di Conconi, che ben si accorda con l’evocazione di un passato nobile e mitizzato. L’ambiente raccolto e il coinvolgimento degli ascoltatori evocano una scena di intrattenimento colto e raffinato, tipico delle corti medievali o dei cenacoli letterari. L’intera scena sembra avvolta in una nebbia di memoria, dove il suono della voce femminile è l’elemento che tiene uniti i personaggi, sospesi in un tempo indefinito.
Conconi adotta un linguaggio pittorico tipicamente scapigliato, caratterizzato da un chiaroscuro drammatico e da una materia pittorica sfaldata, che anticipa il divisionismo. Le tonalità terrose e gli azzurri cupi creano un’atmosfera sospesa, mentre le architetture medievali, rese con linee spezzate, accentuano il senso di instabilità. La luce, proveniente da una fonte indeterminata, non illumina ma confonde, avvolgendo la scena in un alone di mistero. Come osservato da Rossana Bossaglia in La pittura dell’Ottocento italiano (1997), questa "dissoluzione della forma" è un tratto distintivo della Scapigliatura, ma qui si carica di nuovi significati simbolisti, trasformando il reale in visione interiore.
Il titolo potrebbe evocare un immaginario gotico, ma Conconi lo trasfigura in una visione allegorica. Il dipinto, secondo lo storico dell’arte Federico Zeri (1980), potrebbe ritrarre una scena di pellegrinaggio o una processione religiosa, con figure evanescenti avvolte in lunghe vesti che si muovono in un paesaggio desolato, dominato da architetture ruderali. La scelta del Medioevo non è nostalgica, bensì critica: come sottolinea Mola, Conconi usa il passato per riflettere sul caos della modernità industriale, in linea con la tendenza simbolista a cercare risposte nel mistero e nell’irrazionale. Le figure, prive di volti definiti, simboleggiano l’alienazione dell’individuo in una società in rapida trasformazione.
Le analisi di Giuliano Matteucci Il Simbolismo in Italia (1999), evidenziano come Conconi, influenzato da letterati come Charles Baudelaire, utilizzi il medioevo come "specchio deformante" per critiche socio-politiche. Un confronto con opere coeve, come Le cattive madri di Segantini (1894), rivela una comune inquietudine verso la condizione umana, sebbene Conconi privilegi un approccio più introspettivo. La critica coeva, come riportato dalla Gazzetta dell’Arte nel 1889, lodò il dipinto per la sua "forza visionaria", ma ne stigmatizzò l’oscurità, segno del conflitto tra tradizione accademica e avanguardie.
Il dipinto fu esposto per la prima volta nel 1888 a Milano, con il numero 145 del catalogo ufficiale dell'Esposizione dell'Accademia di Belle Arti di Brera. "Motivo medioevale" è stato venduto all'asta nel 2011 da Sotheby's a Milano, raggiungendo un prezzo di 27.150 euro, superando significativamente la stima iniziale di 15.000 euro.
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