Musicoterapia, Palestrina e Gesualdo in corsia: quando la musica del Rinascimento entra in ospedale. Il progetto di ricerca di Francesco Rocco Rossi
Su Radio Aerco, un interessante podcast curato da Alessio Romeo ha visto protagonista il musicologo Francesco Rocco Rossi che ha spiegato la possibilità di impiegare la musica rinascimentale negli ospedali, all’interno di un progetto di ricerca nell’ambito della musicoterapia.
Guarire attraverso la musicoterapia è possibile; la musica come terapia non è un’invenzione moderna. Già nell’antica Grecia, filosofi come Platone e Aristotele teorizzavano gli ethos musicali: scale e ritmi capaci di calmare, eccitare o addirittura curare. Pitagora studiava l’armonia delle sfere, mentre nel Medioevo Boezio e Pietro d’Abano indagavano il legame tra ritmi musicali e battito cardiaco.
Nel Rinascimento, figure come Bartolomeo Ramos de Pareja associavano i modi musicali ai quattro umori del corpo, anticipando intuizioni che oggi la scienza sta verificando.
A parlarne è stato oggi il musicologo Francesco Rocco Rossi, autore di numerosi studi sulla musica rinascimentale, nel poscast di Radio Aerco, della sempre dinamica Associazione Emiliano-Romagnola Cori, che ci ha spiegato la possibilità di impiegare la musica di Palestrina e Gesualdo, negli ospedali. Un racconto della sua esperienza all’interno di un progetto di ricerca nell’ambito della musicoterapia.
E' un viaggio straordinario quello condiviso Da Rossi che unisce la sua passione per la musica rinascimentale a un progetto di ricerca innovativo, nato dalla collaborazione tra il Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra e l’ospedale Luigi Sacco di Milano. Un’esperienza che dimostra come la musica del passato possa avere un impatto concreto sul presente, persino in ambito clinico.
Quando il dottor Riccardo Colombo e il professor Emanuele Catena proposero a Rossi di collaborare a uno studio sulla musicoterapia in terapia intensiva, la scelta del repertorio fu cruciale. Optarono per due estremi opposti del Rinascimento: Giovanni Pierluigi da Palestrina, con la sua polifonia cristallina e armoniosa, e Carlo Gesualdo da Venosa, noto per le dissonanze drammatiche e le modulazioni audaci.
Brani come Sicut Cervus o Super Flumina Babylonis di Palestrina, sono stati presi in considerazione in quanto incarnano l’equilibrio: sono un dialogo perfetto tra voci, dove ogni nota sembra cercare la pace interiore. Gesualdo, invece, sfida l’ascoltatore con opere come Tenebrae Factae Sunt, dove le dissonanze diventano un “pugno nello stomaco”, per usare le stesse parole di Rossi.
L’obiettivo è quello di verificare come strutture musicali così diverse influenzassero parametri fisiologici (battito cardiaco, pressione, attività cerebrale) in pazienti in coma, privi di condizionamenti culturali.
In tre anni di lavoro, è stata creata una playlist di brani sacri del XVI secolo, selezionati per varietà ritmica, armonica e dinamica. Ogni paziente ascolta queste musiche mentre sensori ne registrano le reazioni. Il coma, paradossalmente, è un contesto ideale: senza preferenze personali, ciò che emerge è la risposta “pura” del corpo alla musica.
Lo stesso Rossi si è sottoposto agli elettrodi, ma come ammette sorridendo: «Amo Gesualdo, sono di parte, quindi i miei dati sono inaffidabili!». Per i pazienti, invece, ogni nota diventa uno stimolo misurabile. Ad esempio, un accordo consonante di Palestrina potrebbe ridurre la frequenza cardiaca, mentre una progressione aspra di Gesualdo potrebbe attivare aree cerebrali specifiche.
I risultati definitivi arriveranno dopo l’analisi di 100 casi, ma intanto la squadra di lavoro deve anche riflettere sulle implicazioni. Se confermata, questa ricerca potrebbe infatti definire protocolli musicali personalizzati: brani per ridurre l’ansia pre-operatoria, altri per stimolare la riattivazione cognitiva. Insomma, questi sembrano proprio essere i prodromi della nascita di una futura grammatica della musicoterapia.
In futuro Rossi vorrebbe esplorare anche repertori moderni, ma la musica sacra rinascimentale resta un punto di partenza unico. Come ha osservato Alessio Romeo durante l'intervista, è la prima volta che questo repertorio viene testato in ambito clinico, con un approccio interdisciplinare che unisce semiografia, storia della musica e neuroscienze.
Rossi ci ha fatto notare che questa esperienza è un insegnamento dove la musica non si configura solo come artefatto culturale, ma linguaggio universale del corpo e della mente. Ogni volta che ascoltiamo Sicut Cervus, il pensiero va a quelle note che fluttuano nelle stanze di terapia intensiva, dialogando con pazienti che forse non le “sentono”, ma che sicuramente le “vivono” a livello profondo.
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