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Mario Mafai e Antonietta Raphaël: l’altra forma di amore. Al Casino dei Principi - Musei di Villa Torlonia una mostra che riscopre due anime della Scuola Romana

Dal 23 maggio al 2 novembre 2025, il Casino dei Principi dei Musei di Villa Torlonia accoglie Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore, una grande retrospettiva che segna il cinquantesimo anniversario dalla scomparsa di Antonietta Raphaël (1975) e il sessantesimo da quella di Mario Mafai (1965). Curata da Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis e promossa da Roma Capitale, l’esposizione si presenta come un viaggio profondo nell’opera e nella vita di due protagonisti essenziali della vicenda artistica italiana del Novecento, spesso narrati insieme, ma la cui individualità creativa merita oggi una lettura aggiornata e distinta.


Con oltre 100 opere – tra dipinti, sculture, disegni e un ricco corpus di documenti originali provenienti dal Centro Studi Mafai Raphaël, dal Gabinetto Vieusseux e dall’Archivio della Scuola Romana – la mostra intreccia la parabola artistica con quella personale, rivelando come l’intenso sodalizio tra Mafai e Raphaël sia stato sì “un’altra forma di amore”, ma anche un dialogo artistico fatto di divergenze, di rispecchiamenti e di silenzi.

Già negli anni Trenta Mario Mafai (1902-1965) si impone come uno degli interpreti più sensibili della pittura italiana, tanto da essere considerato da Roberto Longhi tra i fondatori della cosiddetta Scuola di via Cavour, nucleo originario della Scuola Romana. Le sue celebri “demolizioni”, come quella di Demolizione in via Giulia (1930, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), sono ormai lette dalla critica come metafore della fragilità della civiltà moderna e della precarietà esistenziale, anticipando per molti versi il senso di catastrofe che la guerra porterà.

Mafai, di origine ebraica e cresciuto in un ambiente borghese romano, risente profondamente degli sconvolgimenti del suo tempo, ma la sua pittura mantiene sempre una tonalità lirica e intima. Le nature morte, i paesaggi urbani sospesi e le figure dai contorni sfumati sembrano incarnare quella che Maurizio Calvesi definì “la malinconia cromatica della Roma anni Trenta”.

Se Mafai viene presto riconosciuto come un maestro, il percorso di Antonietta Raphaël (1895-1975) è stato lungo e accidentato. Nata a Kaunas, in Lituania, e trasferitasi a Londra prima e a Roma poi, Antonietta porta nella Scuola Romana un respiro internazionale e un’attenzione alla scultura come linguaggio dirompente e materico. La sua opera, come sottolinea Lara-Vinca Masini nel suo Arte Contemporanea (Giunti, 1989), si colloca in un territorio ibrido tra il primitivismo di Modigliani e la forza plastica di Zadkine.

Raphaël, costretta a fuggire da Roma a causa delle leggi razziali fasciste (1938), vive un esilio interno che segna profondamente la sua produzione: basti pensare alla scultura La Portatrice d’acqua (1940, Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma), che diventa simbolo di resilienza e identità femminile. Solo negli anni Cinquanta, con esposizioni come quella alla Biennale di Venezia del 1952, la critica comincia a riconoscere pienamente il valore del suo lavoro.

L’esposizione al Casino dei Principi si distingue per l’approccio documentario e filologico. La curatela di Rivosecchi e De Dominicis mette in luce, attraverso lettere e fotografie inedite, la trama complessa di un rapporto che sfida le narrazioni canoniche di coppia nell’arte. In questo senso, la mostra riprende il lavoro avviato dal Centro Studi Mafai Raphaël, che negli ultimi anni ha pubblicato nuovi inventari critici delle opere.

Tra i prestiti più significativi figurano opere provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dal Museo del Novecento di Milano e dalla Fondazione Magnani Rocca di Parma. Non mancano poi le testimonianze della rete di artisti e intellettuali che gravitavano attorno alla coppia, come Scipione, Corrado Cagli e Giuseppe Ungaretti, sottolineando il ruolo cruciale di Mafai e Raphaël nella costruzione di un linguaggio artistico romano moderno e poetico, ma mai retorico.

La mostra Un’altra forma di amore arriva in un momento in cui la storia della Scuola Romana è oggetto di nuove indagini critiche, volte a superare le semplificazioni e a restituire spazio ad artisti come Raphaël, la cui marginalizzazione è stata anche il frutto di pregiudizi di genere e culturali. Proprio la recente attenzione alle figure femminili dell’avanguardia italiana, come dimostra la grande retrospettiva Donne nell’arte italiana 1900-1950 (Palazzo Reale, Milano, 2023), rende questa esposizione romana un tassello fondamentale per aggiornare il racconto dell’arte del Novecento.

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