Musica est omnium disciplinae caput: metrica e invenzione del paesaggio sonoro nell’Arcadia di Sannazaro
"At mihi paganae dictant silvestria Musae / carmina, quae tenui gutture cantat Amor." (Virgilio, Bucoliche VIII, 70–71)
Nel clima intellettuale dell’Umanesimo partenopeo, Jacopo Sannazaro elabora con l’Arcadia (pubblicata postuma nel 1504, ma composta a partire dagli anni Ottanta del Quattrocento) un’opera fondativa, non solo per il rinnovamento del genere pastorale, ma per la relazione inedita che istituisce tra parola poetica, suono e ritmo.
Una “invenzione” del paesaggio sonoro, chiaro rimando alla poiesis che va proprio a sottolineare l’atto creativo e letterario del poeta e umanista italiano. Le voci dei pastori, in questo paesaggio idealizzato, non si limitano a svolgere una funzione retorica: si configurano come presenze sonore che incarnano un mondo in cui la poesia si modula come un linguaggio musicale, e la musica – attraverso il metro e la cadenza del verso – diventa forma narrativa e veicolo d’emozione.
L’Arcadia non è un semplice compendio di componimenti pastorali: è una struttura prosimetrica dove la narrazione in prosa incornicia quattordici ecloghe in versi, in cui si alternano monologhi, dialoghi, canti e gare poetiche. Il risultato è un’opera “a più voci”, che costruisce la propria identità attraverso la stratificazione metrica e musicale.
Se, come scrive Roland Barthes, la letteratura è un luogo in cui "il linguaggio gode", l’Arcadia di Sannazaro è un paesaggio di piacere linguistico e musicale che rappresenta di fatto un momento emblematico per comprendere come la poesia bucolica rinascimentale adotti strutture metriche e retoriche che sono intimamente legate alla tradizione del canto. Il suo mondo pastorale non è realistico, ma è un “paese della mente”, una costruzione letteraria che affonda le sue radici nella classicità virgiliana per poi espandersi in nuove forme espressive.
Nella seconda ecloga, ad esempio, il lamento di Ergasto si articola in un dialogo lirico tra prosa e versi, dove il canto diventa vero motore espressivo: non accompagna il dolore, lo plasma. Le strofe, con il loro andamento misurato, si inseriscono come arie in una partitura narrativa, e la funzione musicale emerge come strumento di coesione. La tensione tra parola e musica attraversa l’intera ecloga, e si riflette nella scelta dei metri: endecasillabi sciolti, rime baciate, ritornelli — elementi che tradiscono una profonda consapevolezza retorico-musicale. La musica non è semplice ambientazione: è materia costitutiva della narrazione, principio generativo del testo, come ben esemplificano i richiami intertestuali a Virgilio, a Teocrito e, più prossimamente, a Boccaccio e Poliziano.
Sannazaro attinge consapevolmente a modelli classici: l’Ecloga III di Virgilio, priva della voce narrante del poeta, trova un parallelo nell’autonomia drammatica dei personaggi sannazariani. Allo stesso modo, gli Idilli teocritei (come il VI e l’VIII), con i loro “duelli canori” amichevoli, ispirano la struttura a botta e risposta tra Montano e Uranio. Tuttavia, Sannazaro innova introducendo elementi vernacolari: strofe simili a canzoni popolari si mescolano a terzine sdrucciole, creando un ritmo ibrido che anticipa le sperimentazioni del madrigale cinquecentesco.
La quinta ecloga, invece, propone una vera e propria canzone a strofe, qui il canto amoroso si innesta su una struttura metrica regolare (endecasillabi e settenari), simile a quella di forme musicali coeve come la frottola. Il gesto musicale è qui mimato anche nella narrazione: Ergasto suona la cornamusa, e il passaggio dal suono strumentale alla voce poetica segna la transizione dall’idillio alla sofferenza.
Altre ecloghe, come la sesta e la nona, insistono su tonalità elegiache: lamenti di perdita e memoria si dispiegano secondo moduli lirici che evocano forme cantate. Le non‑egloghe (come la VII) alzano il tono stilistico fino alla canzone petrarchesca, mostrando la volontà di Sannazaro di trascendere la bucolica semplice per innestare al suo interno forme poetico-musicali più complesse e nobili.
L’elemento musicale nell’Arcadia non nasce ex novo: affonda in una tradizione che da Teocrito a Virgilio ha già fatto del suono pastorale una componente essenziale. Tuttavia, Sannazaro rilegge questi modelli in chiave moderna, fondendo suggestione classica e tensione lirica petrarchesca. L’intonazione, in quest’ottica, è insieme gesto narrativo e tecnica di modellazione del paesaggio interiore.
Nel mondo arcadico, infatti, la voce intonata è forma della memoria. I pastori modulano versi per ricordare, per dare forma al dolore, per costruire una soggettività condivisa. Il paesaggio sonoro dell’opera è anche una mappa della psiche: ogni eco, ogni dialogo ritmico, ogni contrasto poetico genera una coralità interiore, una comunità ideale che trascende il mondo reale.
Da questa prospettiva, l’analisi metrica dell’ecloga non è esercizio tecnico, ma chiave interpretativa di un’opera che fa della musicalità diffusa la propria sostanza: musica est omnium disciplinae caput, direbbe Boezio. È questa centralità del suono che rende l’Arcadia non solo fondativa della letteratura pastorale moderna, ma preziosa testimonianza dell’intreccio tra parola e suono nel Rinascimento.
Il successo dell’opera fu immediato e influenzò non solo la letteratura ma anche la musica coeva. Come documenta il Warburg Institute, già nella fase manoscritta si moltiplicarono le imitazioni, mentre autori come Pietro Bembo assorbirono i modelli sannazariani nelle loro Rime. L’interazione fra i due è significativa: Bembo inviò a Sannazaro le bozze delle sue opere, ricevendone in cambio sonetti che ne influenzarono la revisione del 1535.
In campo musicale, i madrigalisti attinsero direttamente ai testi dell’Arcadia per comporre brani polifonici basati sul dialogo tra voci, come testimoniano le opere di Philippe Verdelot e Costanzo Festa. La figura di Pan, ricorrente nell’opera, divenne motivo sonoro e iconografico nelle corti italiane, simbolo di un’armonia naturale che l’arte umana cercava di riflettere.
L’eco di questa Arcadia sonora risuonerà in tutta la letteratura pastorale europea. Da Philip Sidney a Lope de Vega, l’idea di un prosimetro pastorale, in cui la poesia si fa canto e il canto diventa architettura narrativa, troverà ampia fortuna. In Italia, autori come Bembo recepiranno l’intuizione metrica e affettiva di Sannazaro, sviluppandola nella lirica volgare e nel dialogo tra poesia e musica.
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