Risonanze del sacro: Palestrina, Striggio, Benevolo e Corteccia, tra polifonie solenni e fasti musicali nella Roma del Giubileo
Roma Barocca in Musica, in collaborazione con il Roma Festival Barocco, presenta un concerto straordinario nella storica cornice della Basilica di San Giovanni in Laterano. Concepito come un itinerario attraverso le forme e le pratiche musicali liturgiche dal Medioevo al primo Barocco, il programma mette in dialogo il monodismo del canto gregoriano con la spazialità sonora della policoralità rinascimentale e barocca, esplorando il modo in cui l’architettura liturgica ha influenzato la scrittura e l’esecuzione della musica sacra.
Alle 19:30 la liturgia si apre con tre brani di Palestrina, che condensano in pochi minuti l’essenza della musica reservata. Il mottetto Beata est Virgo Maria, esempio emblematico di scrittura rigorosamente imitativa, esalta la purezza mariana attraverso una linea melodica limpida e movimenti congiunti, lontani da ogni virtuosismo. Peccavimus, probabilmente una delle composizioni più intense del compositore prenestino, affronta il tema della penitenza con un impianto armonico austero e una retorica sobria e funebre, sottolineando la dimensione della supplica collettiva. La preghiera Pater Noster si sviluppa secondo la tecnica dello stile severo, in cui l’equilibrio tra parola e musica si conforma a un ideale di chiarezza e spiritualità essenziale.
Alle 20:30 il concerto prosegue con Beata viscera — canto attribuito a Pérotin o comunque riconducibile all’ambito parigino e cistercense del XIII secolo — che riporta l’ascoltatore al repertorio medievale tropato, in cui testi liturgici vengono ampliati da interpolazioni poetiche e musicali. In questo caso, la devozione mariana si esprime attraverso una scrittura monodica di grande forza espressiva, in cui l’austerità modale si coniuga a una raffinata elaborazione melodica. Il brano, trasmesso in diverse versioni manoscritte, riflette le pratiche compositive della scuola di Notre-Dame, pur lasciando spazio a riletture che ne accentuano il carattere meditativo e la funzione processionale.
Con Orazio Benevolo si entra nel mondo sonoro della policoralità barocca. Formatosi nella tradizione palestriniana e attivo come maestro della Cappella Giulia, Benevolo (1605–1672) incarna la piena maturità della scuola romana in epoca post-tridentina. Il Laetatus sum alterna cori doppi e tripli secondo la prassi dei cori spezzati, strutturando un dialogo articolato tra gruppi vocali e accompagnamento strumentale, con effetti spaziali di grande raffinatezza. Il Miserere, verosimilmente concepito secondo un impianto antifonale, si orienta invece verso una dimensione più raccolta e meditativa. Il Magnificat (Offertorio) si presenta come una solenne antifonia in stile concertato, in cui l’effetto teatrale resta inscritto entro i limiti di una rigorosa funzionalità liturgica.
Francesco Corteccia (1502–1571), figura centrale della vita musicale alla corte medicea, si distingue per la capacità di coniugare la raffinatezza della scrittura rinascimentale con la vivacità della lingua volgare e la solennità delle forme liturgiche festive. Nel mottetto Bonum est confiteri si osserva un uso calibrato dell’omoritmia, alternata a fugati sobri e passaggi imitativi ben equilibrati. Il Gloria Patri assume funzione di dossologia conclusiva, trattata in uno stile solenne e misurato. Tu puer prophetas altissimi, brano previsto per il momento della comunione, adotta un’impostazione antifonale semplice, con toni raccolti e contemplativi, in linea con l’atmosfera liturgica del rito.
Il culmine di questo percorso sonoro è rappresentato dalla Messa a 40 voci di Alessandro Striggio (ca. 1536–1592), capolavoro della policoralità tardo-rinascimentale e testimonianza delle ambizioni formali del manierismo musicale. Composta attorno al 1566 per celebrazioni dinastiche di alto profilo — come l’esecuzione documentata alla corte dell’imperatore Massimiliano II — la Missa sopra Ecco sì beato giorno impiega cinque cori di otto voci ciascuno, articolati secondo un principio di equilibrio e simmetria architettonica.
Il Kyrie e il Gloria aprono la struttura con effetti di spazializzazione controllata, in cui la densità contrappuntistica è bilanciata da chiare gerarchie formali. Il Credo, fulcro dell’intero impianto, sviluppa una trama poderosa che fonde stili arcaici e innovazioni retoriche. I movimenti conclusivi (Sanctus, Benedictus, Agnus Dei) sono costruiti su risposte antifoniche e sovrapposizioni progressive, culminando in una dissoluzione armonica che richiama modelli di espressività estatici.
A chiusura, il mottetto Ecce beatam lucem — affine per struttura e stile alla Messa — funge da epilogo simbolico, evocando la luce divina come immagine sonora di unità cosmica e manifestazione celeste. L’influenza dell’opera di Striggio fu tale da ispirare, secondo alcuni studi recenti, la Spem in alium di Thomas Tallis, che ne riprende l’impianto a 40 voci con sensibilità propria del mondo elisabettiano.
Chiude idealmente il cerchio liturgico e stilistico il conductus duecentesco Aeterna Christi munera et martyrum victorias, appartenente al repertorio della scuola di Notre-Dame. Composizione monodica a due voci omoritmiche, tipicamente eseguita in contesti solenni, il brano celebra la vittoria del martirio attraverso un linguaggio musicale arcaico ma di forte impatto evocativo, sottolineando la continuità spirituale e storica della tradizione sacra.
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