sabato 20 agosto 2022

Cambiamento climatico, l'Inghilterra verso la produzione di vino rosso. Uno studio prevede temperature ideali per il Pinot Nero

L'impatto del cambiamento climatico sulla Gran Bretagna favorisce, oltre all'attuale produzione di spumante, anche quella di vino rosso. Uno studio prevede che le temperature saranno presto ideali per produrre vini rossi fermi da Pinot Nero.




Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica di viticoltura OENO One ha scoperto che aree significative dell'Inghilterra meridionale potrebbero presto sperimentare condizioni di crescita ideali per produrre vini rossi da uve Pinot Nero.

Il vitigno è già ampiamente piantato nel Regno Unito per essere utilizzato negli spumanti inglesi, ma fino ad ora, la maturazione delle uve non permetteva la produzione di vino rosso fermo. Sembra però, in base ai nuovi modelli dei ricercatori per il progetto Climate Resilience, che le cose stiano per cambiare.

Il modello suggerisce, infatti, che nei prossimi 20 anni potrebbe esserci un aumento dell'1,4% delle temperature medie durante la stagione di coltivazione dell'uva da vino nell'Inghilterra meridionale. Ciò significherebbe temperature comprese tra 15 e 16 °C per aree già ben coltivate tra cui Kent e Sussex; Cambridgeshire; Hampshire; la Valle del Severn; Grande Londra ed Essex.

"Nuove aree del Regno Unito si presteranno per la produzione di spumante mentre le regioni più calde passeranno ai vini rossi fermi", ha affermato Stephen Dorling, ricercatore capo dello studio e professore di meteorologia presso l'Università dell'East Anglia.

"A causa dell'aumento della temperatura, altre regioni del Regno Unito che in precedenza non hanno avuto molte opportunità di produrre vino, potranno farlo. Sta diventando sempre più possibile aspettarsi che la maggior parte degli anni a venire saranno adatti a produrre un buon vino rosso fermo in un'area dell'Inghilterra in forte espansione”.

Dorling ha anche esortato i produttori di vino a guardare oltre la semplice piantagione di Pinot Nero, sottolineando la rapidità con cui il clima sta cambiando. "Piantare un vigneto è un investimento che va dai 25 ai 30 anni, quindi qualunque cosa pianti devi avere fiducia che prospererà", ha commentato Dorling. Insomma in futuro non solo Pinot Nero ma anche altre varietà a bacca rossa.

All'inizio di quest'anno, la superficie vitata dell'East Anglia è quadruplicata dal 2018. WineGB ha attribuito l'aumento del 400% alla ricerca dell'Università dell'East Anglia, che ha identificato circa 33.700 ettari che sarebbero perfetti per la vite.

martedì 16 agosto 2022

C’è un filo rosso che lega i terroir da cui nascono i vini più pregiati del mondo. Una nuova scoperta scientifica

C’è un filo rosso che lega i terroir da cui nascono i vini più pregiati del mondo. Si tratta di un particolare minerale di natura argillosa (mixed-layer clays) che rende il suolo particolarmente fertile e predisposto alla coltivazione di vitigni di alta qualità. 




Una nuova scoperta scientifica, svela il trait d'union che lega i terroir da cui nascono i vini più pregiati del mondo, come Borgogna, Bolgheri, Napa Valley, Bordeaux ed alcuni terreni dell’Alto Adige: un particolare minerale di natura argillosa (mixed-layer clays) che rende il suolo particolarmente fertile e predisposto alla coltivazione di vitigni di alta qualità. Un minerale identificato per la prima volta, grazie ad una recente scoperta scientifica che potrà avere importanti ricadute sulla produzione vitivinicola di alto livello.

Come ci spiega il geologo Carlo Ferretti: «Questo minerale è un elemento fondamentale che aiuta lo sviluppo eco-fisiologico della vite e favorisce la qualità delle sue uve. La scoperta consentirà ai produttori di investire strategicamente sui vigneti migliori»

Il lavoro, già presentato in anteprima nel corso di un convegno internazionale tenutosi a luglio a Bordeaux, è frutto delle ricerche di Carlo Ferretti, ricercatore scientifico e geologo  nonché fondatore di GIR (Geo Identity Research), società di ricerca scientifica nata nel 2018 a Bolzano per aiutare le imprese del settore vitivinicolo a conoscere a fondo i propri territori e vigneti, offrendo soluzioni mirate alla produzione e valorizzazione di prodotti di qualità. Lo studio si è inoltre avvalso della collaborazione di Giuseppe Cruciani, professore del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara.

«Il minerale scoperto grazie alla mia ricerca è un elemento fondamentale che aiuta lo sviluppo eco-fisiologico della vite e favorisce la qualità delle sue uve» spiega Carlo Ferretti. «Il fatto che sia presente anche in alcuni vigneti dell’Alto Adige, come in altre zone rinomate del mondo, consentirà ai produttori di investire strategicamente sui vigneti migliori e di produrre ottimo vino. Queste argille inoltre sono molto importanti per la fertilità del terreno, in una componente che arriva al 50% della sostanza organica. Non solo, grazie a questo minerale il suolo è più predisposto a trattenere l’umidità: tutto questo si traduce in una maggiore sostenibilità ecologica della vigna e in una più favorevole predisposizione all’agricoltura biologica».

Il terroir è largamente influenzato dal suolo, per cui la conoscenza precisa delle sue caratteristiche mineralogiche e delle sue funzioni è indispensabile per la gestione della qualità e la produttività del vigneto. La presenza di argille, ad esempio, è molto importante, con alcuni grandi vini prodotti su terreni argillosi. L'analisi scientifica sui dati mineralogici qualitativi e quantitativi ha permesso di capire quali tipi di minerali argillosi sono più importanti e in quali quantità sono significativi sia per l'ecofisiologia di una vite che per la qualità delle sue uve.

Ferretti ha dunque sviluppato un approccio analitico multi-tecnico, testato su 50 campioni di terreno prelevati da vigneti di tutto il mondo, per produrre un database preciso e comparabile di tutti i componenti minerali del suolo. La ricerca ha permesso di distinguere e misurare un tipo specifico di argilla, i cosiddetti “mixed-layer clays” (fasi intermedie cristalline tra argille come illite e smectite), minerali molto piccoli e difficili da rilevare, che in diversi vigneti rappresenta l'elemento più caratteristico del suolo. Questi minerali sono studiati con attenzione in altri campi scientifici (ad esempio nelle perforazioni profonde per la ricerca d’idrocarburi), ma non ancora nei suoli dei vigneti, né mai sono stati comparati nel mondo. La ricerca ha potuto dimostrare che sono un elemento che accomuna alcuni vigneti molto rinomati (ad esempio Bolgheri, Borgogna, Napa Valley, Bordeaux e Alto Adige) e, dal punto di vista pratico, ne ha inoltre misurato l’alta importanza per la fertilità del suolo. 

Un minerale identificato per la prima volta, grazie ad una recente scoperta scientifica che potrà avere importanti ricadute sulla produzione vitivinicola di alto livello. Il lavoro, già presentato in anteprima nel corso di un convegno internazionale tenutosi a luglio a Bordeaux, è frutto delle ricerche di Carlo Ferretti, ricercatore scientifico e geologo.

lunedì 8 agosto 2022

Società, Foodporn-mania: per gli italiani il cibo batte il sesso

Secondo un indagine nella top ten dei “piaceri della vita” per gli italiani il sesso si colloca solo al terzo posto. La maggior parte degli intervistati indica che “assaporare un cibo delizioso” è il gesto che suscita maggior piacere in assoluto, al secondo posto viene “l’esperienza della contemplazione di un bel paesaggio".




Cambio di marcia in Italia forse per antonomasia considerato uno dei Paesi più ‘focosi’ del mondo. Nella top ten dei piaceri della vita il sesso scende solo al terzo posto, dopo il cibo preferito e la contemplazione di un bel paesaggio. E un bicchiere di ottimo vino è meglio dell’estasi dell’arte e dell’adrenalina dello sport. Che la passione per la tavola e la buona cucina fosse diventata una mania per tanti italiani lo si sapeva. Ma che fossero di più quelli che associano il massimo piacere della vita proprio dall’assaporare il loro cibo preferito, o addirittura dalla contemplazione di un bel paesaggio, alle gioie del sesso questo è un po’ una sorpresa.

Invece è proprio quanto emerge dall’indagine realizzata dall’istituto GfK per XLoveCam su un campione di circa 1000 intervistati di età compresa fra i 18 e i 65 anni. Nella top ten dei “piaceri della vita” secondo gli italiani il sesso si colloca solo al terzo posto. Il 64% degli intervistati indica che “assaporare un cibo delizioso” è il gesto che suscita maggior piacere in assoluto, al secondo posto viene “l’esperienza della contemplazione di un bel paesaggio” (61%) e, solo al terzo posto, c’è “fare l’amore” (60%).

Appena fuori dal podio gli italiani indicano come un vero piacere il “dedicare tempo alle persone care” (56%), e forse qui si può pensare a uno degli effetti dei due anni di pandemia. Col 55% segue “ascoltare della buona musica”, e qui si può ben riscontrare l’effetto della musica sul piacere nel grande boom dei concerti dal vivo che si sta registrando proprio questa estate. Ma più o meno con la stessa percentuale, il 51%, c’è anche il piacer edi godersi il silenzio e un momento privato tutto per se (che anche qui ci sia l’effetto della convivenza forzata del 2020/21?).

Il 39% associa il piacere a un profumo, magari che riporta alla memoria un ricordo speciale. Per esattamente un terzo degli italiani (33%) piacere significa immergersi in un libro appassionante, mentre per il 29% si torna al piacere della tavola, in questo caso con la degustazione di un ottimo vino. E proprio l’esperienza inebriante di un calice batte la contemplazione di un’opera d’arte (26%) e l’adrenalina scatenata dal praticare uno sport, e anche da vincere una gara sportiva.

Infatti, secondo la ricerca di GFK per XLoveCam, se è vero che la relazione tra sesso e piacere è naturalmente valida per almeno sette italiani su dieci (68%) e il concetto che si associa più degli altri alla sfera sessuale è innanzitutto, per un intervistato su due, l’intimità (50%), in concetto che si ritrova perfettamente nella top ten dei piaceri della vita.

Fare l’amore è, quindi, più di ogni altra cosa, isolarsi dal mondo, dai social e dalle preoccupazioni della vita assieme alla persona desiderata. Tutto il resto viene molto dopo: il sesso come concetto di gioco o divertimento (12%), come gioia (11%), come libero sfogo della creatività (9%) o addirittura come trasgressione (7%).

Ma quali sono gli elementi sensoriali che facilitano la strada verso il piacere e verso la soddisfazione sessuale? Al primo posto viene la scelta della lingerie e dell’abbigliamento intimo (42%), subito dopo lo spazio dato ai massaggi, alle attività tattili e ai massaggi (37%), importante l’atmosfera (35%) o il ricorso a profumi ed essenze (34%). Il 20% degli intervistati (in pratica una coppia su cinque, ma diventa il 26% per gli under 35) fa riferimento a sex toys e oggetti sensuali e un altro 11% al possibile uso di materiale video come film per adulti o siti internet (anche qui la percentuale sale però al 14% nella fascia d’età 36-50).

Tornando alla grandissima passione per cibo e vino degli italiani, che si riscontra nel grande e intramontabile successo dei cuochi televisivi, dei libri di cucina stravenduti in ogni periodo dell’anno, nella continua ricerca di “food experience”, l’associazione tra piacere e cibo è assolutamente intergenerazionale. Infatti, sia gli under 35 (66%), sia i quarantenni (59%) che gli over 45 (66%) mettono i piaceri della tavola al primo posto, con una leggera predominanza delle donne rispetto agli uomini (67% contro 62%).

In ogni caso la maggior parte degli intervistati associa il piacere più all’intensità (53%) che alla durata (25%), ponendo l’accento sulla qualità del momento più che sulla sua permanenza nel tempo. Una visione ancora una volta leggermente più femminile (58%) che maschile (48%).

Vino e territori, Trentino: viticoltura bio in crescita, focus tecnico alla FEM su difesa e sostenibilità. Ecco il report

Focus tecnico alla FEM su difesa e sostenibilità con una grande partecipazione di viticoltori e operatori del settore. Difesa da peronospora, oidio e focus sul rame e studi di impronta ambientale, gli effetti positivi del sovescio e del curetage. L'incontro realizzato in collaborazione con il Centro Laimburg.




Il Trentino è fra le province italiane con una maggiore incidenza della superficie a vite per uva da vino coltivata con metodo biologico (13,3%). Nel 2021 ha raggiunto i 1368 ettari con un ulteriore incremento di 66 ettari rispetto al 2020 delle superfici certificate biologiche e in conversione.

Difesa e sostenibilità in viticoltura biologica sono i temi approfonditi presso la Fondazione Edmund Mach nell'ambito del tradizionale incontro annuale dove sono state presentate le prove sperimentali in corso a San Michele e realizzato in collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg.

In apertura Claudio Ioriatti, dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico FEM, ha evidenziato che il consumo di vino biologico a livello mondiale è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni e rappresenta ora il 3,5% del consumo totale. Tale evoluzione è stata sorretta da una costante espansione della superficie destinata alla viticoltura biologica che nel 2019 (ultimi dati disponibili) ammontava a 470 mila ettari, di cui circa 400 mila solo in Europa (11,4% della superficie vitata), continente nel quale Italia, Francia e Spagna si contendono il primato con circa 100 mila ettari a testa.

L'incontro, moderato da Daniele Prodorutti, responsabile dell'Unità agricoltura biologica, un gruppo di lavoro che conta 14 persone dedicate alla sperimentazione e consulenza sul biologico, ha visto intervenire tecnologi e tecnici (Roberto Lucin, Raffaella Morelli, Roberto Zanzotti per FEM e Simona Castaldi dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) sui controlli e sulla situazione fitosanitaria nelle aziende biologiche del Trentino, sui dosaggi di rame con i risultati del progetto Intaviebio, sull'impronta ambientale in viticoltura con i sistemi a confronto. Si è parlato anche di gestione sostenibile degli agroecosistemi con il caso studio in un’azienda biologica del Garda.

Difesa da peronospora, oidio e focus sul rame

Per quanto riguarda la difesa è stato fatto il punto sulla situazione fitosanitaria 2022 nelle aziende biologiche trentine. Le infezioni primarie di peronospora, come nel 2021, non sono risultate aggressive nelle zone di fondovalle, mentre si osserva una maggiore gravità degli attacchi di questo patogeno nelle zone tardive e di montagna. La scarsità di precipitazioni e bagnature fogliari osservate in luglio hanno impedito quasi ovunque lo sviluppo di infezioni secondarie di peronospora. L'oidio è comparso precocemente, ma la pressione della malattia è aumentata significativamente sui testimoni non trattati solo nella seconda metà di luglio. La difesa fitosanitaria consigliata alle aziende viticole biologiche, basata su rame e zolfo, ha permesso di mantenere grappoli sani per la quasi totalità delle situazioni, restando al di sotto del limite massimo di rame metallo annuo previsto dal regolamento europeo. La flavescenza dorata si conferma una problematica molto seria, la cui gestione richiede massima attenzione da parte di tutto il comparto. Luglio è stato tra i mesi più asciutti e caldi degli ultimi anni: da segnalare molte situazioni di stress idrico e termico in vigneti di fondovalle e collina, soprattutto in terreni poco profondi e/o con mancanza di irrigazione.

Sono stati, inoltre, presentati i risultati delle prove in campo presso i vigneti della Fondazione Mach finalizzati al controllo della peronospora e dell'oidio. Particolare attenzione è stata dedicata al rame, principio attivo impiegato principalmente nel prevenire le infezioni di peronospora, ed attualmente limitato per legge a 28 kg/ha nell’arco di 7 anni. Per tale motivo il viticoltore biologico è chiamato a razionalizzare gli input, impiegando bassi dosaggi di rame.

Sono stati presentati poi i risultati del progetto INTAVIEBIO, finanziato dal PSR Friuli-Venezia Giulia, che mira a ridurre l’uso del rame in viticoltura biologica. In questo progetto è stata verificata l’efficacia di alcuni sali rameici a diversi dosaggi di applicazione in condizioni controllate di laboratorio.

Sostenibilità: studi di impronta ambientale, effetti positivi del sovescio e del curetage

Un approfondimento sul tema della sostenibilità con la presentazione dei risultati di uno studio di “impronta ambientale” in viticoltura (impronta di carbonio, idrica, di azoto, indici di biodiversità e di qualità del suolo). La collaborazione scientifica tra Fondazione Mach, Università della Campania e Università della Tuscia ha dato l’opportunità di dimostrare come l’uso integrato di tali indici possa aiutare gli agricoltori ad evidenziare la maggiore sostenibilità di buone pratiche, ad esempio la gestione biologica rispetto a quella convenzionale in vigneti sperimentali della Fondazione Mach.

Infine, è stato presentato un progetto per la gestione sostenibile in viticoltura che nasce dalla collaborazione tra FEM e le aziende biologiche Pratello e Mille1 (Padenghe sul Garda, BS). Con un approccio multidisciplinare si è puntato al miglioramento dei cicli produttivi mediante l’utilizzo di pratiche agronomiche sostenibili, il mantenimento della fertilità e della biodiversità dei suoli e il potenziamento della resilienza dei sistemi produttivi ai cambiamenti climatici. Nell’ambito del progetto è stato valutato l’effetto del sovescio sulla nutrizione dei vigneti, che ha mostrato il suo contributo nel miglioramento della fertilità chimica e biologica del suolo coadiuvando la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.

Nei vigneti della FEM, infine, è stata presentata la prova di curetage, operazione meccanica che prevede l’asportazione del legno cariato per mezzo di piccole motoseghe, eseguendo delle incisioni più o meno profonde nei ceppi di vite. Questa tecnica permette di ridurre la manifestazione dei sintomi di mal dell’esca.

martedì 2 agosto 2022

Anche se il tempo passa, all'Ara Pacis la grande mostra su Lucio Dalla

Arriva a Roma presso il Museo dell'Ara Pacis, la grande mostra-evento "Lucio Dalla - Anche se il tempo passa", per documentare l’intero percorso umano e artistico di uno dei più amati artisti italiani e internazionali che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, dello spettacolo e della cultura. Dal 22 settembre al 6 gennaio 2023.




La mostra, frutto di una lunga ricerca di materiali, molti dei quali esposti per la prima volta, è un percorso dal quale, partendo dall’infanzia, evidenzia come il rapporto con la musica di Lucio Dalla è sempre centrale ed è un elemento continuativo che lo seguirà per tutta la vita.

A 10 anni dalla sua scomparsa, la mostra celebra la sua musica, le sue canzoni, il suo genio. Oltre dieci le sezioni in cui è suddivisa l’esposizione: Famiglia-Infanzia-Amicizie-Inizi musicali, Dalla ci racconta, Il clarinetto, Il museo Dalla, Dalla e la sua musica, Dalla e il cinema, Dalla e il teatro, Dalla e la televisione, l’Universo Dalla, Dalla e Roversi, Dalla e Roma: quest'ultima sezione, inedita, è dedicata al rapporto tra il cantante e la capitale, città dove ha vissuto a lungo e che ha amato profondamente.

Insieme ai documenti, tante foto, filmati, abiti di scena e altri aspetti che ci raccontano la sua vita, l’arte e le sue passioni. Per capire meglio il risultato finale di questa importante ricerca/esperienza va sottolineata la sezione Universo Dalla, con decine di foto del Maestro con tanti personaggi della cultura, i più importanti cantanti, i tantissimi collaboratori che lo accompagnarono puntualmente nel suo lavoro e, ancora, un’interessante chicca con un’enciclopedia di oltre 250 nomi di persone di ogni genere sociale, con cui ha avuto rapporti di lavoro e amicizia che lo hanno seguito per tutta la vita con gioia e con il massimo della considerazione.

La mostra, promossa e prodotta da Roma Culture, Sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali, è organizzata e realizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare con il sostegno di Regione Lazio. L'esposizione, a cura di Alessandro Nicosia con la Fondazione Lucio Dalla, è patrocinata da Rai.

lunedì 1 agosto 2022

A Roma un autunno pieno d’arte. Le mostre di Arthemisia

Anticipiamo le prossime mostre subito dopo le vacanze estive a partire da un evento d'eccezione. Il prossimo 8 ottobre apre a Palazzo Bonaparte la mostra più attesa dell’anno dedicata all’artista più famoso e amato del mondo: Van Gogh. Un percorso espositivo ed emozionale che attraverso un prestito del tutto eccezionale di ben 50 opere, tutte provenienti dal Museo Kröller Müller di Otterlo, ne racconta la vicenda umana e artistica. La pittura, i soggetti e i colori sgargianti saranno i protagonisti della prima grande esposizione in Italia dedicata al grande artista Raoul Dufy, ospitata a Palazzo Cipolla dal 14 ottobre.




Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, dall’8 ottobre 2022 Palazzo Bonaparte ospita la grande e più attesa mostra dell’anno dedicata al genio di Van Gogh. Attraverso le sue opere più celebri - tra le quali il suo famosissimo Autoritratto (1887) - sarà raccontata la storia dell’artista più conosciuto al mondo.

Nato in Olanda il 30 marzo 1853, Vincent Van Gogh fu un artista dalla sensibilità estrema e dalla vita tormentata. Celeberrimi sono i suoi attacchi di follia, i lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul in Provenza, l’episodio dell’orecchio mozzato, così come l’epilogo della sua vita, che termina il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio: un colpo di pistola al petto nei campi di Auvers.

Nonostante una vita impregnata di tragedia, Van Gogh dipinge una serie sconvolgente di Capolavori, accompagnandoli da scritti sublimi (le famose “Lettere” al fratello Theo Van Gogh), inventando uno stile unico che lo ha reso il pittore più celebre della storia dell’arte.

La mostra di Roma, attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller Müller di Otterlo - che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh - e tante testimonianze biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale.

Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico e che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove mise fine alla sua tormentata vita.

Dall’appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino.

Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van Gogh.

Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante.

Si rafforza anche il suo interesse per la fisionomia umana, determinante anche nella realizzazione di una numerosa serie di autoritratti, volontà di lasciare una traccia di sé e la convinzione di aver acquisito nell’esperienza tecnica una fecondità ben maggiore rispetto al passato.

È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde dell’arte di Van Gogh. I rapidi colpi di pennello, i tratti di colore steso l’uno accanto all’altro danno notizia della capacità di penetrare attraverso l’immagine un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità.

L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura. Ecco quindi che torna l’immagine de Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con la quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore.

E così Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre lo scoscendimento di un Burrone (1889) sembra inghiottire ogni speranza e la rappresentazione di un Vecchio disperato (1890) diviene immagine di una disperazione fatale.

Raoul Dufy, Il pittore della gioia

Dufy, il pittore della gioia, della luce e del colore contribuì a cambiare il gusto del pubblico della prima metà del ‘900 adattando le sue innovazioni e la sua vivacità a tutte le arti decorative. Con 160 opere provenienti dalle più importanti collezioni pubbliche e private francesi, la mostra percorre l’intera parabola artistica di uno dei più grandi interpreti della storia dell’arte, a cavallo tra impressionismo e fauvismo. Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna: Raoul Dufy (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953).

Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (1937 – 1938) - uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie parisienne de distribution d'électricité” per essere esposto nel Padiglione dell'elettricità al World's World del 1937 -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a trasferirli sulle sue tele, divenne - per antonomasia - il pittore della gioia e della luce.

Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere.

In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare lavoro a Le Havre.

Nell'ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri dell'impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.

Il 1903 fu l'anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936 e poi fu accettato nel 1906 al Salon d'Automne (fino al 1943).

La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.

La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi - come il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre Pompidou, Palais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di Parigi insieme al Musée de la Loire, Musée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles - racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative, contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.

Curata da Sophie Krebs, conservatrice generale del patrimonio del museo parigino, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue opere.

Suddivisa in 14 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.

Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.

Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che, radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d'atmosfera e a quel dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.

Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia dalla modernità che dal classicismo.

Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa alla società dell’intrattenimento con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con brio e vivacità.

Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.

La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris Musées e curata da Sophie Krebs, conservatrice generale dello stesso museo parigino.