martedì 30 giugno 2020

Linguistica, da quant'altro a piuttosto che: usi e abusi della lingua italiana

Dal prolisso "quant'altro" al deprecabile "piuttosto che" passando dall'inutile "assolutamente sì/no", senza dimenticare il vecchio e odioso "un attimino". Ecco alcune parole troppo spesso usate e abusate che inquinano il nostro lessico quotidiano.


Il Maestro Manzi a "Non è mai troppo tardi"




Come un virus, le parole utilizzate male si diffondono contagiando ed alterando la funzione fondamentale del nostro linguaggio. Parole utilizzate impropriamente che generano solo ambiguità e che restano ahimè ancora solidamente ancorate, deviando semanticamente non solo il lessico comune ma anche quello di studiosi, narratori, giornalisti e uomini politici.

Un post stamattina sulla pagina facebook dell'Accademia della Crusca, ha riacceso l'annosa questione mai veramente risolta, sull'utilizzo improprio delle parole. Nello specifico si parlava del "piuttosto che", odioso intercalare che a partire dagli anni '90 partendo dal settentrione è sceso dilagando come fenomeno sociolinguistico in tutto lo stivale. Come scrive l'Accademia, non c'è giorno che dall'audio della televisione non ci arrivino attestazioni del PIUTTOSTO CHE alla moda, spesso ammannito in serie a raffica: «... piuttosto che ... piuttosto che ... piuttosto che ...» [...]. Eppure non c'è bisogno di essere dei linguisti per rendersi conto dell'inammissibilità nell'uso dell'italiano d'un PIUTTOSTO CHE in sostituzione della disgiuntiva O. [...] un PIUTTOSTO CHE abusivamente equiparato a O può creare ambiguità sostanziali nella comunicazione, può insomma compromettere la funzione fondamentale del linguaggio. Tra gli esempi proposti «Andremo a Vienna in treno O in aereo»; in cui le due alternative semplicemente si bilanciano. «Andremo a Vienna in treno PIUTTOSTO CHE in aereo», in cui risalta abbastanza nettamente una preferenza per la prima rispetto alla seconda. Insomma repetita iuvant: “Piuttosto che” NON significa “oppure”! Etimologicamente parlando piuttosto deriva dall'unione degli avverbi "più" e “tosto”, di cui quest'ultimo un tempo significava “più presto”, poi il significato è cambiato in “più volentieri”, indicando di fatto una preferenza. La locuzione “piuttosto che” introduce quindi un confronto: cioè mette a confronto due elementi di una frase, due alternative, di cui una (una soltanto) è quella contemplata.

Ma molte altre sono le parole abusate all'interno del nostro corredo linguistico quotidiano. Ricordo che, anni orsono, nel bellissimo supplemento culturale de Il Sole 24 Ore, uscì fuori una classifica di parole da buttare, nata grazie al coinvolgimento dei lettori invitati ad esprimersi in tal senso. Tra quelle proposte ne fu creata una hit parade, anzi una shit parade, scusate l'anglicismo. Al primo posto emergeva il prolisso "quant'altro", all'epoca la parola più odiata dai lettori; il secondo posto era occupato dall' inutile "assolutamente sì/no" ed il terzo dall'odioso "un attimino". Logicamente nella classica non poteva certo mancare il "piuttosto che", usato nel senso di oppure che oggi credo abbia di fatto scalato il podio.

Come scrisse Diego Marani, autore dell'articolo pubblicato sul Sole, quasi tutte le parole incriminate vengono dalla televisione e dalla stampa, «cioè da chi per mestiere dovrebbe dar prova di una rigorosa competenza linguistica». Tra agli deplorevoli esempi indicati dai lettori, si andava dall'indisponente "mi consenta", puro lessico da Porta a Porta che serve solo per tenere il microfono e che in semiotica equivale a un grugnito, agli stereotipi delle vacanze, come maxicontresodo, serpentone d'auto e partenze intelligenti, passando al bestiario della meteorologia come morsa del gelo che attanaglia il Nord, allarme rosso siccità che preoccupa il Sud, senza dimenticare Italia spaccata in due dal generale inverno o quando la colonnina di mercurio arriva a temperature africane.

Il cattivo gusto abbraccia anche la cronaca nera tra tragedie annunciate e parenti delle vittime stretti nel dolore oppure quando è subito giallo per l' efferato delitto. Non poteva infine mancare, nella galleria degli orrori, il gergo sportivo con le sue terne arbitrali e triadi difensive che troppo spesso gelano le speranze dei padroni di casa.

domenica 28 giugno 2020

Scienza del linguaggio, arriva online Linguisticamente, il sito per chi vuole sapere tutto sulla lingua

Linguisticamente è un progetto a cura di docenti e studenti dei Dipartimenti di Filologia Classica e Italianistica e di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell'Alma Mater, per rendere accessibili a tutti le scienze del linguaggio, raccontandole con competenza e in modo chiaro e accattivante.





E' online il sito di divulgazione scientifica Linguisticamente, frutto di un progetto nato all'interno dei Dipartimenti di Filologia Classica e Italianistica e di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell'Alma Mater, a cura dei prof. Nicola Grandi e Francesca Masini e degli studenti magistrali Nicole Marinaro e Alex Piovan, con l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico le scienze del linguaggio, raccontandole con competenza, chiarezza e un pizzico di ironia.

La linguistica, come disciplina scientifica che studia il linguaggio umano e le lingue, ha un rapporto difficile con la divulgazione: da una parte, viene spesso cannibalizzata da altre discipline più consolidate, o confusa con esse; dall'altra, forse, i linguisti si impegnano ancora troppo poco (almeno in Italia) nel “tradurre se stessi nella lingua di tutti” (Tullio De Mauro).

Lo scopo del lavoro del linguista è capire come funzionano le lingue del mondo e, attraverso esse, il linguaggio umano, cioè quella capacità innata che si intreccia alla nostra capacità di pensiero e che ci permette di sviluppare questi sistemi di comunicazione potentissimi. Uno scopo conoscitivo ed esplicativo, quindi, non prescrittivo, perseguito con metodi scientifici e adeguati ‘strumenti del mestiere’ che cercheremo man mano di illustrare.

La linguistica, inoltre, ha una forte utilità sociale: oltre a renderci più consapevoli del reale funzionamento di quello strumento complesso (e che troppo spesso diamo per scontato) che chiamiamo ‘lingua’, rappresenta una porta d’accesso privilegiata per avvicinarsi alla diversità culturale, per superare pericolosi pregiudizi, per elaborare politiche consapevoli, per migliorare il trattamento delle patologie del linguaggio, e molto altro.

All'interno di Linguisticamente una rubrica dove si parlerà delle aree di interesse della linguistica (Ambiti), di studi, scoperte e progetti in corso (Ricerche), dei prodotti tangibili realizzati dai linguisti (o con la loro collaborazione) e di quelli usati nelle loro ricerche (Strumenti).

Forti del successo del volume "Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue", che nel 2017 ha vinto il Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica (sezione Scienze dell’uomo), Francesca Masini e Nicola Grandi, docenti dell'Alma Mater hanno deciso di creare questo sito per rendere permanente e accessibile a tutti l'attività di divulgazione, rispondendo alle domande più comuni. Il sito ospiterà brevi articoli in lingua italiana a firma di linguisti italiani e stranieri, che usciranno con cadenza settimanale, organizzati in quattro rubriche principali.

www.linguisticamente.org/

sabato 27 giugno 2020

Scoprire il patrimonio culturale di Roma, riparte Patrimonio in Comune alla scoperta dell'arte e dell'archeologia

Riprende dal 1° luglio Patrimonio in Comune, l’attività didattica nei musei civici e in città alla scoperta dell'arte e dell'archeologia.





Riparte il programma di attività per scoprire il patrimonio culturale di Roma. Brevi percorsi nelle sale dei principali musei dedicate ai capolavori e ai palazzi dove sono custoditi; itinerari alla scoperta della città antica, moderna e contemporanea per scoprire insieme le trasformazioni della storia attraverso piccoli segni e testimonianze monumentali: dopo la riapertura dei Musei Civici e delle aree archeologiche, ripartono dal 1° luglio 2020 anche le attività didattiche di “PATRIMONIO IN COMUNE. Conoscere è partecipare”. 

L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Le visite e le attività didattiche, completamente gratuite, si svolgeranno nel rispetto delle misure anti Covid-19. E’ obbligatoria la prenotazione allo 060608 ed è previsto un numero massimo di 10 partecipanti. Per accedere ai Musei e partecipare alle attività sarà inoltre necessario sottoporsi alla misurazione della temperatura, che dovrà essere inferiore ai 37.5°. E' obbligatorio l'uso della mascherina.

Da luglio a settembre, i numerosi appuntamenti di aMICi e Visita con noi! offriranno a tutti la possibilità di svolgere visite e percorsi in città, tornando a godere della bellezza del nostro patrimonio e dei luoghi della cultura.

aMICi comprende una serie di appuntamenti fissi dedicati ai possessori della MIC programmati durante la settimana, nel pomeriggio di mercoledì e giovedì, in cui si potranno ascoltare approfondimenti dei curatori dei musei sulle opere e sulle storie delle collezioni. Visita con noi! è un'iniziativa gratuita prevista tutte le domeniche per scoprire e approfondire la conoscenza e sviluppare la partecipazione e la cura del nostro straordinario patrimonio culturale e ambientale.

PROGRAMMA DALL’1 AL 5 LUGLIO 2020

Mercoledì 1 luglio ore 17.30

MUSEO DELL'ARA PACIS - Lungotevere in Augusta (angolo via Tomacelli)

aMICi

Incontri in Museo. Uno sguardo diverso dal solito sulla collezione e sul monumento

a cura di Lucia Spagnuolo

Incontro a tema per favorire l’approfondimento di uno dei molteplici aspetti della storia dell’Ara Pacis: un racconto delle vicende legate al rinvenimento e alla ricostruzione del monumento.

Max 10 persone. Prenotazione obbligatoria 060608

Giovedì 2 luglio ore 17.00

AREA ARCHEOLOGICA DEI FORI IMPERIALI - Via dei Fori Imperiali

Appuntamento: ingresso piazza Madonna di Loreto, biglietteria presso la Colonna di Traiano

aMICi

Le numerose basi di statue rinvenute nel Foro di Cesare raccontano…’

a cura di Antonella Corsaro

Le numerose basi di statue rinvenute nel Foro di Cesare negli anni Trenta del secolo scorso e negli scavi più recenti nel 2000-2006 documentano un aspetto molto importante legato alla vita del monumento in epoca tardoantica. In questo periodo, il riutilizzo di basi per statue più antiche e la loro “ ricollocazione” nel Foro di Cesare testimoniano la “rinascita” del complesso monumentale e la presenza di un importante programma decorativo e celebrativo in quest’area monumentale a cavallo tra il IV e il V secolo d.C.

max 10 persone. Prenotazione obbligatoria 060608

Domenica 5 luglio

Visita con noi!

ITINERARI nella città alla scoperta dell'arte e dell'archeologia

Roma DiversaMente: Roma: i luoghi dell'incontro e dell'accoglienza*

Appuntamento presso i Musei Capitolini ore 18.00

Un percorso esemplificativo dall’Antichità ad oggi per approfondire la storia di Roma come presenza di alterità e luogo di incontro e accoglienza.

Una passeggiata per entrare in contatto con miti, testimonianze archeologiche e storico artistiche, complessi monumentali e luoghi di assistenza che, nella frammentarietà intrinseca di un tessuto urbano stratificato, parlano di presenze e contaminazioni culturali.

Max 10 persone. Prenotazione obbligatoria 060608

I luoghi prediletti del Grand Tour a Roma. Sulle tracce di celebri artisti e intellettuali stranieri: da Goethe a Liszt, a Keats*

Appuntamento presso il Museo dell’Ara Pacis ore 18.00

Una passeggiata nel centro di Roma che rievoca la mitica epoca del Gran Tour – viaggio di formazione dei giovani nobili europei – passando accanto a storici edifici e importanti monumenti, dove vissero e operarono celebri artisti e letterati stranieri.

Max 10 persone. Prenotazione obbligatoria 060608

*l’Itinerario si svolgerà interamente all’esterno. Non è previsto l’ingresso all’interno del Museo. Il percorso inizierà dopo che i visitatori avranno effettuato il triage. È obbligatorio l’uso della mascherina.


Per maggiori informazioni
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 - 19.00)
www.museiincomuneroma.it - www.sovraintendenzaroma.it

venerdì 26 giugno 2020

Ricerca e salute, i polifenoli riducono gli effetti dannosi delle sigarette elettroniche

Uno studio del Cnr ha messo in evidenza che l'aggiunta di polifenoli al liquido delle e-cig, permette di ridurre fino al 99.6% la concentrazione di molecole tossiche come la formaldeide, prodotte dalla degradazione di glicerolo e glicole propilenico. 






I polifenoli sono una famiglia di molecole idrosolubili presente in modo particolare nel regno vegetale. In natura questi composti svolgono la funzione di difendere le piante dagli agenti aggressivi esterni. La ricerca, che prende spunto da analoghi studi nel campo della chimica degli alimenti, è stata condotta da ricercatori dell’Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo del Cnr, in collaborazione con le Università britanniche di Abertay, St Andrews e Nottingham pubblicata su RSC Advances.

L’utilizzo di sigarette elettroniche (e-cig) costituisce un dibattuto problema di salute pubblica perché, ad oggi, manca una completa valutazione del rischio: nonostante contengano sostanze tossiche e cancerogene in minor quantità e concentrazione rispetto al fumo di tabacco, i dati disponibili nel breve intervallo temporale dalla recente introduzione di questi dispositivi dimostrano come il fumo da e-cig contenga molecole tossiche derivanti dalla degradazione termica degli additivi presenti nei liquidi di alimentazione, il glicole propilenico e il glicerolo, benché in quantità minori rispetto alle sigarette convenzionali.

La possibilità di modificare la composizione di tale liquido per ridurne la tossicità è una via finora poco esplorata. I ricercatori del Laboratorio di proteomica e spettrometria di massa dell’Istituto per il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ispaam), insieme ai colleghi delle Università britanniche di Abertay, St Andrews e Nottingham, hanno utilizzato i polifenoli, molecole organiche naturali costituite da uno o più anelli aromatici (fenoli), per limitare e controllare la formazione di formaldeide, acetaldeide e altri carbonili, sostanze tossiche per le cellule del cavo orale, bronco-alveolare e/o polmonari. Lo studio è stato pubblicato su RSC Advances.

“Negli alimenti, alcuni polifenoli sono in grado di modificare e/o legare queste molecole tossiche, prodotte dall’ossidazione di lipidi, zuccheri e proteine assunti con l’alimentazione, riducendone la concentrazione”, spiega Antonio Dario Troise, ricercatore Cnr-Ispaam. “Insieme al gruppo di ricerca del prof. Alberto Fiore dell’Università di Abertay, abbiamo addizionato a liquidi di composizione simile a quelli delle e-cig, i polifenoli epigallocatechina gallato, idrossitirosolo e acido gallico, misurando poi l’effettiva riduzione di acetaldeide, formaldeide, gliossale e metilgliossale nei fumi prodotti e quantificando la formazione delle sostanze derivate, addotti fra polifenoli e le specie tossiche carboniliche”.

I risultati sono significativi: “Una riduzione delle specie nocive fino al 99.6% è stata verificata negli aerosol delle e-cig addizionate con polifenoli. In alcuni casi è stata osservata una correlazione inversamente lineare tra la concentrazione dei polifenoli usati e le molecole tossiche”, conclude il ricercatore. “Inoltre, gli addotti derivati sono significativamente meno dannosi delle molecole presenti in assenza dei polifenoli, come evidenziato da prove tossicologiche parte di questo studio e condotti su cellule polmonari alveolari e bronchiali. Questi risultati rappresentano quindi una prima validazione della capacità dei polifenoli nel contrastare la formazione di molecole potenzialmente nocive nelle e-cig, ed offrono uno strumento per future applicazioni di nuove formulazioni arricchite in molecole funzionali derivanti da scarti agroalimentari”.

Coronavirus: fenomeno Smart Working, evoluzione flessibile del telelavoro

Nell'ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, si è dato un forte impulso allo smart working, un'evoluzione più agile e flessibile del classico telelavoro.







Prima era Telelavoro, ovvero quando il lavoratore, sia dipendente che autonomo, svolgeva l'attività lavorativa esclusivamente da casa. Si è passati poi all'era del telelavoratore mobile, in cui non esiste un luogo specifico di lavoro, ma tanti luoghi, purché sia munito di strumenti tecnologici idonei, come un PC portatile e un telefono cellulare con connessione dati che gli consentono di avere a disposizione un vero e proprio “ufficio mobile”. Insomma in sostanza stiamo parlando del ben conosciuto smart working, un fenomeno oggi molto attuale a cui è stato dato un forte impulso per contenere e gestire l'emergenza coronavirus.

Se la particolarità del telelavoro tradizionale è quella di vincolare il lavoratore a svolgere le proprie mansioni da casa, lo smart working, a differenza, per definizione, presuppone flessibilità e adattamento delle risorse umane in funzione degli strumenti che si hanno a disposizione. Il termine infatti si viene a definire proprio per l’assonanza con la parola smartphone, in cui è la mobilità l’elemento che contraddistingue questa forma lavorativa da remoto, con la possibilità di svolgere i propri compiti virtualmente in qualsiasi luogo. Un concetto di lavoro che si allarga anche all’interno della stessa azienda con ambienti appositamente pensati per il co-working o nelle cosiddette huddle room, spazi dedicati a brevi riunioni improvvisate.

Di fatto ora lo smart working riflette un nuovo modo di utilizzare il lavoro nella produzione di beni e servizi, e senza voler essere ridondanti, in maniera "intelligente". Il ché significa, innestare la prestazione lavorativa in processi produttivi ridisegnati con l'utilizzazione delle nuove tecnologie, così da ottenere una ottimale combinazione di diverse modalità di lavoro, secondo funzioni gestite sia in presenza, sia a distanza, nell'ambito di sistemi produttivi complessi e fortemente interconnessi.

Una considerazione importante da fare è che, come spiega il Prof. Sebastiano Fadda, neopresidente dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), questo lavoro da remoto non costituisce una sorta di vacanza pagata, come pure l'ipotesi contraria di uno straripamento incontrollato degli orari di lavoro a scapito dei tempi di riposo. Questo può succedere se lo smart working viene semplicemente identificato con il telelavoro; ma bisogna abbandonare questa confusione: lo smart working è un'evoluzione del telelavoro che prevede una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

La definizione di smart working è contenuta nella Legge n. 81/2017, dove si pone l'accento proprio sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto. Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie.

Nel dettaglio, le principali modalità di lavoro agile, così come definite nell'ambito delle misure adottate dal Governo, sono, in via prioritaria, la flessibilità di svolgimento della prestazione lavorativa, in un'ottica di progressivo superamento del telelavoro. L'utilizzo di strumenti idonei per la partecipazione da remoto a riunioni e incontri di lavoro (sistemi di videoconferenza e call conference). L'impiego di soluzioni "cloud" per agevolare l'accesso condiviso a dati, informazioni e documenti anche mediante dispositivi di proprietà del dipendente, a fronte dell'indisponibilità o insufficienza di dotazione informatica dell'amministrazione.

In sostanza prepariamoci per un futuro lavorativo smart anche il dopo Covid-19, perché, come affermato sempre da Fadda in suo intervento su Formiche, se si coglie l’impulso verso lo smart working provocato dalla presente pandemia per procedere a una profonda trasformazione dei processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro basata sulle tecnologie digitali, allora veramente può cambiare in positivo la qualità del lavoro e cambia sicuramente il sistema delle professioni e delle competenze richieste ai lavoratori. Infatti tutti i lavori verranno di fatto impregnati pienamente dalle tecnologie informatiche e a tutti i lavoratori verrà richiesto un elevato livello di capacità cognitive e di padronanza delle tecnologie digitali.

Mercati, dazi: il vino italiano entra nella black list di Trump

Vino, ma anche olio e pasta, l'eccellenza made in Italy entra nella black list di Trump per un valore di 3 mld.







Pubblicata la lista definitiva dei prodotti e dei Paesi europei sotto attacco dei nuovi dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che per l’Italia interessa i 2/3 del valore dell’export agroalimentare e si estende tra l’altro vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffè esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro.

Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare l’avvenuta ufficializzazione sul sito del Dipartimento del Commercio statunitense (USTR) dell’inizio il 26 giugno della procedura pubblica di consultazione per la revisione delle tariffe da applicare e della lista di prodotti europei colpiti da dazi addizionali a seguito della disputa sugli aiuti al settore aereonautico.

Nell’ambito del sostegno Ue ad Airbus gli Usa sono stati autorizzati ad applicare sanzioni all’Unione Europea per un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari dal Wto, che dovrebbe però a breve esprimersi sulla disputa parallela per i finanziamenti Usa a Boeing la quale darebbe a Bruxelles margini per proporre contromisure.

Con la nuova consultazione gli Usa minacciano di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, dopo l’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 delle tariffe aggiuntive del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro specialità italiane come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

L’export del Made in Italy agroalimentare in Usa nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi ma con un aumento del 10% nel primo quadrimestre del 2020 nonostante l’emergenza coronavirus. Il vino con un valore delle esportazioni di oltre 1,5 miliardi di euro, è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 420 milioni ma a rischio è anche la pasta con 349 milioni di valore delle esportazioni. Un settore fino ad ora in crescita nel 2020 nonostante l’emergenza coronavirus con un aumento del 10,3% nel primo quadrimestre dell’anno

Gli Stati Uniti sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il Prosecco, il Pinot grigio, il Lambrusco e il Chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019. Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite.

Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute”.

Ora però Trump in piena campagna elettorale sembra ignorare le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa mettendo a rischio il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.

“Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolinerare l’importanza della difesa di un settore strategico per l’Ue che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla hanno a che vedere con il comparto agricolo.  “L’Unione Europea – ha aggiunto Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi in quasi sei anni ed è ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa. Al danno peraltro si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese – ha concluso il presidente della Coldiretti – si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

Coronavirus, distillazione di crisi: arriva gel antivirus da 150 mln di litri di vino. Permetterà di liberare spazio nelle cantine per la vendemmia in arrivo

Centocinquanta milioni di litri di vino italiano diventeranno gel disinfettante o bioetanolo con il via libera alla distillazione di crisi. Ad annunciarlo Coldiretti nel commentare positivamente la pubblicazione sul sito del Ministero delle Politiche agricole dell’atteso decreto applicativo, che permetterà di liberare spazio nelle cantine per la vendemmia in arrivo. 






La misura, finanziata dall’Unione Europea punta a fronteggiare da un lato la carenza di alcool italiano e dall’altro la profonda crisi del vino dove le vendite sono praticamente dimezzate durante il lockdown. In Italia la distillazione riguarda solo i vini comuni, al contrario della Francia, dove sarà possibile “trasformare” anche quelli a denominazioni di origine come lo champagne.

Una prima risposta alla crisi che vede quasi 4 cantine italiane su 10 (39%) registrare un deciso calo dell’attività con un pericoloso allarme liquidità che mette a rischio il futuro del vino italiano dal quale nascono opportunità di occupazione per 1,3 milioni di persone, dalla vigna al bicchiere secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. A pesare è stata la chiusura forzata della ristorazione avvenuta in Italia e all’estero con una forte frenata delle esportazioni dopo il record di 6,4 miliardi di euro nel 2019, il massimo di sempre, pari al 58% del fatturato totale. Colpita soprattutto – continua la Coldiretti – la vendita di vini di alta qualità che trova un mercato privilegiato di sbocco in alberghi e ristoranti in tutto il mondo.

Da qui l’impegno di Coldiretti a livello nazionale ed europeo con la proposta di un piano salva vigneti che, oltre alla distillazione volontaria di vini generici, prevede anche la vendemmia verde e riduzione delle rese su almeno 100.000 ettari per una riduzione di almeno altri 300 milioni di litri della produzione sui vini di qualità in modo da evitare un eccesso di offerta, considerate le conseguenze della pandemia sui consumi internazionali. Una boccata d’ossigeno per il settore verrebbe anche dal taglio dell’Iva che è ora pari al 22% e da credito di imposta per i crediti inesigibili derivanti dalla crisi Covid – 19. Per far ripartire i consumi la Coldiretti ha inoltre lanciato la campagna #iobevoitaliano. Ma serve anche sostenere con massicci investimenti pubblici e privati la ripresa delle esportazioni con un piano straordinario di comunicazione sul vino che rappresenta da sempre all’estero un elemento di traino per l’intero Made in Italy, alimentare e non.

L’Italia con 46 milioni di ettolitri si classifica davanti la Francia come il principale produttore mondiale con circa il 70% della produzione destinato a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) e il restante 30% per i vini da tavola. Sul territorio nazionale ci sono 567 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su cui può contare l’Italia che vanta lungo tutta la Penisola la possibilità di offrire vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria.

Vino e ricerca, Gestione della chioma: intervalli e soglie ottimali di radiazione solare per favorire la biosintesi dei flavonoidi nell'uva

Uno studio del Dipartimento di Viticoltura ed Enologia, Università della California, Davis, ha valutato come una efficiente gestione della chioma influisce sul profilo flavonoide dell'uva nei climi caldi. La ricerca pubblicata su Frontiers In Plant Science.







La gestione della chioma è un'attività fondamentale in vitivinicoltura che influisce in maniera mirata, a seconda del clima, sulla tipologia di vino che si vuole ottenere. Il termine è relativamente recente e fa riferimento al complesso delle operazioni meccaniche che si effettuano sulla vegetazione del vigneto. Nella corretta cura agronomica della coltura questa tecnica costituisce un punto focale che interessa non solo l’equilibrio vegeto-produttivo della pianta ma anche altre funzioni importanti quali ad esempio le caratteristiche di cattura dell’energia solare.

Con il presente studio il team di ricerca guidato dal Prof. Nazareth Torres del Dipartimento di Viticoltura ed Enologia, Università della California, Davis, ha identificato gli intervalli e soglie ottimali di esposizione alle radiazioni solari dell'uva per la sovraregolazione della biosintesi flavonoide attraverso pratiche di gestione della chioma come la rimozione fogliare, il diradamento dei germogli e una combinazione di questi su varietà Cabernet Sauvignon e Petit Verdot.

La composizione della bacca dipende da un complesso equilibrio tra composti derivati ​​dal metabolismo primario e secondario. Tra i metaboliti secondari, i flavonoidi (cioè antociani e flavonoli) svolgono un ruolo importante nella qualità e nelle proprietà antiossidanti dell'uva e sono molto sensibili a fattori ambientali come il grado di esposizione solare. I Flavonoidi sono i principali antiossidanti sintetizzati dalle piante ed appartengono all'ampia classe dei Polifenoli, composti di primaria importanza per il produttore, in quanto è la qualità dell'uva a determinare i potenziali aromatici e fenolici che le tecniche di vinificazione devono poter esprimere al meglio in base al vino che vuole produrre.

L'effetto dell’esposizione dei grappoli alla luce solare, favorisce la concentrazione negli acini di composti, le metossipirazine, strettamente legati agli aromi chiave e la tipicità propri di un determinato vitigno.Tra queste, nello specifico, la 3-isobutil-2-metossipirazina (IBMP) è considerata la più rilevante nello sviluppo di descrittori quali l'aroma erbaceo del Cabernet Sauvignon.

In tal senso il team di ricerca ha eseguito tre esperimenti condotti su un vigneto sperimentale situato a Oakville in California.  I primi due sono serviti a valutare i cambiamenti nel contenuto di flavonoidi dell'uva attraverso quattro gradi di esposizione solare. Il terzo invece focalizzato su diversi trattamenti relativi alla gestione della chioma, tra cui la rimozione fogliare, il diradamento dei germogli ed una combinazione di questi. Una parte di vigneto non è stata trattata per il controllo. Durante la maturazione della bacca, sono stati monitorati i profili di flavonoidi, contenuto di 3-isobutil 2-metossipirazina e Kaempferolo, un flavonolo naturale con proprietà antiossidanti.

In linea generale si è notato che il solo aumento della porosità della chioma non favorisce la biosintesi dei flavonoidi. Un solo aumento dell'esposizione alle radiazioni solari determina una diminuzione di antociani. I soli trattamenti di diradamento fogliare (rimozione di 5-6 foglie basali), diradamento dei germogli (24 germogli per vite) e loro combinazione, hanno accelerato la maturità dei frutti ma non è stato osservato un chiaro miglioramento dei composti flavonoidi. I risultati hanno portato quindi all'identificazione di un protocollo ottimale costituito dalla gestione delle diverse pratiche da adottare su vigneti allevati in climi caldi relativamente alle varietà Cabernet Sauvignon e Petit Verdot.

Volevo far notare che la ricerca sul tema "gestione della chioma" in California è molto attiva. Bisogna ricordare che il primo convegno scientifico su questa pratica fu organizzato nel 1986 da il Dr. Mark Kliewer. In quel periodo la viticoltura era in pratica una monocoltura che utilizzava un unico tipo di forma dall’allevamento, densità d’impianto e orientamento dei filari. Il convegno mise in luce che la principale preoccupazione era la gestione dell’eccesso di vigore ed i problemi microclimatici, produttivi e di qualità finale delle uve ad esso correlati. Tra le nuove pratiche di gestione del vigneto fu messa in evidenza l’importanza di un corretto impiego della risorsa idrica, come anche, appunto, le pratiche di gestione della chioma riguardanti in particolare l’equilibrio vegeto-produttivo, che all'epoca non erano ancora comprese appieno.

Le ricerche presentate al convegno fornirono nuove e stimolanti conoscenze sulla regolazione fisiologica esercitata da radiazione e temperatura sullo sviluppo e la composizione della bacca e indicarono come il portainnesto e pratiche colturali come irrigazione, applicazione di fito-regolatori di crescita e defogliazione potessero influire molto pesantemente sullo sviluppo della chioma e sul microclima della fascia produttiva. Insomma l’incontro fu un evento rivoluzionario che stimolò una decade di ricerca accademica e una rapida innovazione industriale nei sistemi di gestione della chioma e permise una rapida incorporazione di nuovi concetti riguardanti i sistemi d’allevamento e la progettazione dei vigneti. In un certo senso il simposio tenuto negli anni '80 rappresenta la nascita della viticoltura moderna in California.


Optimal Ranges and Thresholds of Grape Berry Solar Radiation for Flavonoid Biosynthesis in Warm Climates

giovedì 25 giugno 2020

Vino e coronavirus, +20% bollicine stappate dopo il lockdown

Aumentano del 20% le bollicine stappate dopo il lockdown, con un balzo negli acquisti per festeggiare la ritrovata libertà con brindisi nelle case tra parenti e amici. 





Secondo un'analisi della Coldiretti sulla base dei dati Ismea della settimana tra l’11 ed il 17 maggio c'è stato un forte aumento del consumo di bollicine rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il boom degli acquisti di spumante è la punta dell’iceberg della voglia degli italiani di tornare gradualmente alla normalità recuperando i piaceri della tavola ma restando però – sottolinea la Coldiretti – al sicuro tra le mura domestiche.

Il risultato è un aumento degli acquisti casalinghi di prodotti alimentari che su base annua è stimato pari al 6%. Una crescita che non compensa però il crollo del 66% a maggio, secondo Confcommercio, del fatturato in alberghi, bar e ristoranti, che ha avuto un pesante effetto valanga anche sulla vendita di molte specialità Made in Italy, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione con oltre la metà del fatturato. Non a caso sei aziende agroalimentari su 10 (57%), secondo l’Indagine Coldiretti/Ixe’, hanno registrato una diminuzione dell’attività con un impatto che varia da settore a settore.

“Il taglio dell’Iva sul vino e sui principali prodotti alimentari sarebbe importante per spingere i consumi con effetti positivi sui redditi delle famiglie più bisognose e sulla produzione Made in Italy” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che si tratta “di una misura importante per aiutare il numero crescente di cittadini che si trovano in difficoltà anche per l’acquisto di beni essenziali ma anche per risollevare settori particolarmente colpiti dall’emergenza Covid”. La spesa alimentare è la principale voce del budget delle famiglie dopo l’abitazione con un importo complessivo di 244 miliardi ed è quindi un elemento importante per la ripresa dell’economia.

Agricoltura e biodiversità, storico accordo sulla genetica “green”. La ricerca italiana protagonista dopo l’emergenza coronavirus

Nasce il primo storico accordo tra agricoltori e scienziati per una nuova genetica “green” capace di sostenere l’agricoltura nazionale, difendere il patrimonio di biodiversità agraria presente in Italia dai cambiamenti climatici e far tornare la ricerca italiana protagonista in questa fase 3 dopo l’emergenza coronavirus.





L’intesa è stata firmata a Palazzo Rospigliosi, a Roma, dal presidente della Coldiretti Ettore Prandini e dal presidente della SIGA (Società Italiana di Genetica Agraria) Mario Enrico Pè. Un accordo che punta a tutelare la biodiversità dell'agricoltura italiana e, al contempo, migliorare l’efficienza del nostro modello produttivo attraverso, ad esempio, varietà più resistenti, con meno bisogno di agrofarmaci e risvolti positivi in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale per far diventare l’Italia capofila in Europa nelle strategie del New Green Deal, in un impegno di ricerca partecipata anche da ambientalisti e consumatori.

L’Italia vanta oggi il primato europeo nella biodiversità agraria grazie ad esempio alle 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi e alle 533 varietà di olive contro le 70 spagnole ma anche al primato di 299 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con 72mila operatori. Un risultato che è anche il frutto di una forte tradizione più che centenaria nel settore della genetica agraria e del miglioramento genetico ma che oggi viene messo a rischio dagli effetti dei cambiamenti climatici che hanno causato danni per 14 miliardi all’agricoltura italiana nell’ultimo decennio ma anche dall’invasione di insetti e organismi alieni portati nelle campagne dalla globalizzazione degli scambi. Serve dunque un importante cambio di passo verso una maggiore integrazione tra tradizione e innovazione scientifica e tecnologica per preservare la competitività delle imprese agricole italiane.

Proprio per coniugare le caratteristiche di produttività, di resistenza a patogeni e parassiti, di efficiente impiego delle risorse, con quelle di elevata qualità per il consumo e per la trasformazione la ricerca agraria ha oggi a disposizione nuove tecnologie di miglioramento genetico che permettono di riprodurre in maniera precisa e mirata i risultati dei meccanismi alla base dell’evoluzione biologica naturale, raggruppate sotto la denominazione Tea (Tecnologie di Evoluzione Assistita). Tecniche che non implicano l'inserimento di Dna estraneo alla pianta. Per poter cogliere compiutamente queste nuove opportunità è necessario arrivare a una regolamentazione dei prodotti agricoli ottenuti da tali metodologie che oggi – spiegano Coldiretti e Siga – non trovano una adeguata collocazione a livello normativo comunitario.

“Una grande sfida per far tornare gli agricoltori protagonisti della ricerca senza che i risultati finiscano nelle mani di poche multinazionali proprietarie dei brevetti” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità di “difendere e valorizzare il patrimonio di biodiversità agraria nazionale e la distintività delle nostre campagne, garantendo nuove possibilità di crescita e sviluppo all’agroalimentare nazionale”.

“In questo scenario il ruolo della ricerca pubblica è insostituibile” dice il presidente della Siga Mario Enrico Pè e “i genetisti agrari italiani sono ben attrezzati per contribuire efficacemente e in modo creativo alla realizzazione di un’agricoltura sostenibile e innovativa, nel solco della tradizione e dell’eccellenza del Made in Italy, svolgendo il duplice ruolo di innovatori e custodi della ricca agrobiodiversità italiana. Per questo è necessario un piano mirato di investimenti in ricerca in quanto solo la ricerca pubblica nazionale è in grado di sviluppare soluzioni su misura della nostra agricoltura e di renderle disponibili a tutti i produttori”

Vino e territori, nasce protocollo integrato per promuovere lo sviluppo sostenibile della vitivinicoltura siciliana

Il Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e Assovini Sicilia costituiscono la Fondazione SOStain Sicilia per promuovere lo sviluppo sostenibile della vitivinicoltura siciliana. La Sicilia diventa la prima regione italiana a sviluppare, in modo unitario e condiviso, un protocollo integrato di sostenibilità che nasce dal basso, dalle esigenze dei produttori per i produttori.







Il Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e Assovini Sicilia creano le basi per un ulteriore salto in avanti della vitivinicoltura siciliana: una Fondazione per promuovere la sostenibilità indirizzando le cantine verso la misurazione costante e la riduzione dell’impatto delle pratiche agricole sul territorio. L’obiettivo è quello di condividere best practices finalizzate al rispetto dell’ecosistema e all’assoluta trasparenza nei confronti del consumatore.

Un altro grande passo avanti per la Sicilia del vino green: si è costituita la Fondazione SOStain Sicilia per promuovere un sistema sempre più virtuoso di praticare la vitivinicoltura, basato sui principi della sostenibilità ambientale, economica e sociale.

La Sicilia diventa la prima regione italiana a sviluppare, in modo unitario e condiviso, un protocollo integrato di sostenibilità che nasce dal basso, dalle esigenze dei produttori per i produttori. Numerosi sono gli aspetti regolati dal Disciplinare del programma SOStain, messo a punto da un Comitato Scientifico indipendente, a cui le cantine devono attenersi per ottenere un marchio di sostenibilità da apporre in bottiglia.

Le pratiche che verranno prese in esame vanno dalla misurazione dei consumi di acqua e dell’impronta carbonica, al controllo del peso della bottiglia, dalla salvaguardia della biodiversità floro-faunistica alla valorizzazione del capitale territoriale, dal risparmio energetico alla salute degli agricoltori e dei consumatori.

La Fondazione SOStain Sicilia è pronta ad accogliere tutte le aziende vitivinicole del territorio siciliano, siano esse produttrici di vino biologico, biodinamico, naturale, convenzionale e altro ancora. Ciò che accomuna gli attori della Fondazione è la volontà di arricchire e valorizzare tutto ciò che vive intorno al sistema produttivo: le persone impiegate, la terra, il paesaggio, la flora e la fauna e, infine, il consumatore del vino.

L’obiettivo ultimo è quello di perseguire uno sviluppo rispettoso dell’ambiente, socialmente equo ed economicamente efficace e di fare coincidere SOStain con un marchio che possa testimoniare questo impegno e che sostenga la promozione, in Italia e nel mondo, della Sicilia come modello green.

Il consiglio direttivo della Fondazione è composto da 5 produttori che ben rappresentano il variegato mondo del vino siciliano: le cooperative saranno rappresentate da Giuseppe Bursi, le grandi aziende da Letizia Russo, le piccole aziende con orientamento verso un’agricoltura naturale e biodinamica da Arianna Occhipinti, e le aziende di famiglia da Tasca d’Almerita e Planeta. Presidente del Consiglio direttivo, nominato all’unanimità dai due consigli di amministrazione, è Alberto Tasca d’Almerita, appassionato al tema e da molti anni impegnato nello sviluppo di un modello di gestione sostenibile per il settore vitivinicolo siciliano.

La fondazione si metterà in ascolto delle esigenze delle aziende coinvolte e metterà a disposizione un Comitato Scientifico indipendente composto da 5 esperti sul tema con il compito di sostenere le aziende rispondendo ai fabbisogni in materia di ricerca e innovazione, orientando quindi le ricerche in modo da soddisfare le richieste del territorio.

Fabbisogni che verranno rilevati da un comitato operativo di tecnici rappresentativo del comparto vitivinicolo siciliano. Un tavolo di confronto costante tra vignaioli e comunità scientifica, la cui interazione ha l’obiettivo di offrire strumenti sempre più chiari e trasparenti per la buona conduzione di un un’azienda agricola.

Tantissimi sono gli ambiti e le informazioni che possono essere condivise tra le aziende, senza compromettere o mutare la propria identità, una condivisione allargata che non è altro che un moltiplicatore di conoscenza.

“Sono assolutamente entusiasta per la nascita della Fondazione SOStain Sicilia.” – racconta Alberto Tasca, Presidente della Fondazione nonché membro del Cda del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e di Assovini Sicilia – “Il futuro non può più prescindere da una gestione sostenibile dei territori e per questo servono regole chiare ed una ricerca strutturata per l’implementazione delle soluzioni migliori.” – continua Alberto Tasca – “La Fondazione SOStain Sicilia ha come missione il coordinamento della ricerca ed il continuo sviluppo del protocollo SOStain per la gestione sostenibile delle aziende vitivinicole siciliane tese ad un miglioramento continuo. Con questo approccio ci occuperemo non solo di agricoltura ma di gestione aziendale a tutto tondo. Un modello applicabile non solo al settore vino ma a tutte le organizzazioni pubbliche e private. Ciò infatti che sta avvenendo in Sicilia, ormai da diversi anni, la si può definire una vera e propria rivoluzione culturale: abbiamo imparato a lavorare facendo sistema, a confrontarci su temi diversi utilizzando il contradditorio non più come presa di posizione ma come crescita reciproca.” – conclude il Presidente della Fondazione – “Abbiamo imparato a sostituire “l’io” con il “noi” lavorando sul bene comune come moltiplicatore del benessere collettivo, pur mantenendo identità molto diverse tra loro. Sono personalmente convinto che questo modo di lavorare e questo approccio alle tematiche sia il giusto modo per disegnare il “nuovo” futuro.”

Alle parole di Alberto Tasca fa eco il Presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia Antonio Rallo: “Sono molto soddisfatto del risultato ottenuto perché la sostenibilità è uno dei punti di forza naturalmente insito nel vino siciliano. La Sicilia ha il vigneto biologico più grande d’Italia, più del 75% della superficie vitata viene coltivata secondo le pratiche di lotta integrata, un’enorme ricchezza varietale, un clima naturalmente vocato alla sostenibilità della produzione. La Fondazione SOStain Sicilia è stata creata proprio con lo scopo di valorizzare questo patrimonio naturale, incentivando e indirizzando le cantine a intraprendere dinamiche produttive basate sulla misurazione e sulla riduzione degli impatti. È certamente un percorso impegnativo ma ormai importantissimo per il futuro del nostro territorio ed ispirazione per le prossime generazioni”.

Anche Alessio Planeta, presidente di Assovini Sicilia, l’associazione che riunisce 91 aziende vitivinicole siciliane di piccole, medie o grandi dimensioni, accomunate dal controllo totale della filiera vitivinicola, la produzione di vino imbottigliato di qualità e dalla visione internazionale del mercato, si unisce alle parole del Presidente del Consorzio ed esprime la sua piena soddisfazione: “Assovini è orgogliosa ed entusiasta per la nascita della Fondazione SOStain Sicilia, che sarà ospitata presso la nuova sede dell’associazione. Siamo certi che lo strumento della Fondazione sia quello più adatto a sviluppare una solida progettualità collettiva e di lungo periodo, indipendente dagli orientamenti strategici dei singoli: non poteva esserci modo migliore e più significativo per concludere il mandato di questo Consiglio di Amministrazione. Il futuro del vino siciliano non può che puntare alla sostenibilità quanto alla crescita: noi desideriamo che sia autentico modello per la Sicilia intera”.

La presentazione ufficiale della Fondazione SOStain avverrà tramite una conferenza stampa ospitata dalla piattaforma Zoom e sarà organizzata nel corso delle prossime settimane. Seguiranno ulteriori dettagli.

Vino biologico, sbloccato il Decreto sui limiti di fosfonato. Da approvazione maggiore tutela per i produttori

Sboccato il Decreto che amplia i limiti di ammissibilità di fosfonato nel vino e nei prodotti bio. L'approvazione tutelerà non solo i produttori biologici da contaminazioni involontarie da mezzi tecnici, ma anche i consumatori, che potranno acquisire una maggiore fiducia verso gli operatori del settore. Il commento del CREA che ha fornito il supporto tecnico scientifico.






Come riportato in un mio precedente articolo, i consumatori che scelgono il bio, si aspettano un prodotto sicuro e privo di residui. In tal senso, sta crescendo sempre di più l’attenzione sul tema fosfiti (sali dell’acido fosforico), residui talvolta inaspettatamente presenti nel vino ma anche nell'ortofrutta biologici, pur essendo in realtà, ammessi solo in agricoltura convenzionale. Il provvedimento in atto, che di fatto amplia i limiti di ammissibilità di fosfonato nel vino e nei prodotti bio, è il risultato di numerosi approfondimenti scientifici, dal 2016 ad oggi, grazie ai progetti Mipaaf “Strumenti per l’emergenza fosfiti nei prodotti ortofrutticoli biologici” (BIOFOSF) e “Strumenti per l’emergenza fosfiti nei prodotti vitivinicoli biologici” (BIOFOSF-WINE), coordinati da Alessandra Trinchera, ricercatrice del CREA Agricoltura e Ambiente.

Attraverso il confronto tra gestione integrata e gestione biologica è stato verificato che il fosfonato non viene mai prodotto spontaneamente dalla pianta, ma deriva esclusivamente da apporti esterni, spesso involontari, a causa dell’uso di mezzi tecnici (fertilizzanti e prodotti a base di rame) ammessi in biologico, ma contaminati da fosfonato. Uno studio sistemico sugli alberi da frutto, ha dimostrato che gli organi legnosi sono in grado di “stoccare” il fosfonato, inducendo così una contaminazione a lungo termine negli anni successivi. Per il vino, è stato evidenziato come alcuni coadiuvanti enologici possano talora contenere fosfiti, in grado di indurre alla successiva contaminazione del vino biologico, nonché alla formazione di acido etil-fosfonico (<0,05 mg/kg) durante il processo di vinificazione.

“Alla luce delle indicazioni fornite dal CREA e con un attento confronto tecnico poniamo fine ad una controversa situazione su cui si ingeneravano numerosi falsi positivi e che rischiava, di fatto, di penalizzare le nostre imprese biologiche, rendendo vani i loro sforzi”. Così commenta Giuseppe L’Abbate, Sottosegretario alle Politiche Agricole, in una nota diffusa oggi dal Mipaaf, l’approvazione da parte della conferenza Stato Regioni del testo del Decreto Ministeriale, che fissa il limite massimo di residui di acido fosfonico (sali dell’acido fosforoso) non ammessi in agricoltura biologica. Il nuovo testo, redatto ad integrazione del decreto vigente (DM 309/2011, che stabilisce il limite inferiore pari a 0,01 mg/kg al di sopra del quale un prodotto non può essere certificato come biologico), sta per essere ufficialmente emendato e prevede una deroga per i residui di acido fosfonico a 0,5 mg/kg nei prodotti orticoli e 0,1 mg/kg nei frutticoli, e di acido etilfosfonico fino a 0,05 mg/kg nel vino fino al 31 dicembre 2022.

In tal senso, il CREA, con i risultati fin qui ottenuti, ha fornito la base tecnico-scientifica per la revisione del DM n.309, che di fatto amplia i limiti di ammissibilità di fosfonato nei prodotti bio, tutelando non solo i produttori biologici da contaminazioni involontarie da mezzi tecnici, ma anche i consumatori, che potranno acquisire una maggiore fiducia verso gli operatori del settore.

martedì 23 giugno 2020

Ricerca, nelle radici delle leguminose un aiuto all'agricoltura sostenibile

Uno studio dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Napoli, propone un nuovo modello per il funzionamento del nodulo azoto-fissatore, l’organo radicale che nelle colture leguminose permette la conversione dell’azoto atmosferico in nutrienti utilizzabili dalle piante, rendendo i terreni agricoli più fertili. La ricerca pubblicata su New Phytologist.

Tecnica del sovescio in viticoltura




Pubblicato dalla rivista New Phytologist, uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ibbr) coordinato da Maurizio Chiurazzi ha consentito di identificare un nuovo meccanismo di controllo per il corretto funzionamento del nodulo azoto-fissatore nelle piante leguminose.

Il nodulo azoto-fissatore si forma grazie all’interazione tra le colture leguminose e il rizobio, un batterio che vive nei terreni e che può stabilire una simbiosi con le leguminose. Insediandosi nei noduli radicali della pianta, il rizobio permette la formazione di questo nuovo organo in grado di ridurre l’azoto atmosferico in nutrienti per la pianta.

Il meccanismo diventa cruciale in condizioni di stress legate a un eccesso d’acqua (flooding), che determinano una scarsità di ossigeno, insufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico richiesto per l’attività di fissazione dell’azoto atmosferico nei noduli delle colture leguminose. La ricerca illustra in particolare il ruolo fondamentale svolto da uno specifico trasportatore che posiziona il nitrato all’interno del nodulo.

“Le colture di piante leguminose rappresentano uno strumento fondamentale per un approccio sostenibile in agricoltura, grazie alla loro capacità di arricchire in azoto i suoli in cui sono coltivati”, afferma Chiurazzi. “Al contrario, l’eccessiva fertilizzazione del terreno attraverso la concimazione inquina l’ambiente poiché soltanto una parte dell’azoto contenuto nei concimi viene assimilato dalle piante, mentre il resto rimane nel suolo e i microorganismi presenti nel terreno lo trasformano in prodotti che sono fonte di gravi contaminazioni di falde acquifere e atmosfera. L’approccio di fertilizzazione biologica dei suoli legato all’uso di coltivazioni di leguminose è però ancora largamente sottoutilizzato in agricoltura”.

Su questa peculiarità delle piante leguminose si basa ad esempio il sovescio, l’antichissima pratica agricola utilizzata dai romani già nel primo secolo a.C., che sfrutta la coltivazione di queste piante per l’arricchimento di azoto nel terreno grazie alle loro radici. La potenzialità di questa azione come fertilizzante biologico ha assunto un’importanza ancora maggiore nel periodo successivo alla “green revolution”, quando le coltivazioni intensive in agricoltura sono state associate ad un uso massivo e non controllato dei fertilizzanti azotati, al fine di ottenere un aumento delle rese.

“Al momento le colture di leguminose, come nel caso della soia, sono per lo più convogliate verso la produzione di mangimi per gli allevamenti animali, ma questi rappresentano a loro volta un’importantissima fonte di contaminazione ambientale”, conclude il ricercatore. “La fertilizzazione biologica andrebbe dunque associata ad una strategia globale mirata a incentivare la biodiversità delle colture di leguminose e il loro utilizzo nella dieta umana”.

Coronavirus e società, il gioco d'azzardo al tempo del COVID-19

Uno studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa rileva il cambiamento dei comportamenti di gioco nel periodo di lockdown. 






Durante il lockdown è stata registrata una generale diminuzione del gioco fisico, con più del 35% dei giocatori che ha ridotto le puntate e quasi il 23% che ha smesso, mentre un intervistato su tre dichiara di aver aumentato le giocate online. Tra gli habitué del gioco fisico il 12% ha continuato anche durante l’isolamento e circa il 10% ha puntato sul web.

Le stime epidemiologiche sul gioco d’azzardo in Italia indicano che gioca per soldi metà della popolazione adulta, mentre le quote di gioco problematico hanno visto un aumento negli ultimi anni nella popolazione 15-74 anni e in particolare tra i giovani adulti. Ma cosa è cambiato durante il lockdown, con la chiusura dei luoghi fisici di gioco e la sospensione di estrazioni e scommesse? L’Agenzia dei Monopoli evidenzia una forte contrazione della raccolta derivante dal comparto, come in tutti i periodi di crisi economica quali il 2008, d'altronde è lecito ipotizzare che la perdita di lavoro e di riferimenti spinga parte della cittadinanza a cercare fortuna proprio nell'azzardo.

L’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc), sollecitato dall’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), da alcune Regioni e da altri soggetti istituzionali coinvolti nel monitoraggio e nella prevenzione dei rischi correlati al gioco d’azzardo ha sviluppato, sotto la guida di Sabrina Molinaro, uno strumento ad hoc per la rilevazione del fenomeno in questo particolare periodo: il questionario online GAPS #iorestoacasa.

“Abbiamo sviluppato uno strumento agile per investigare gli aspetti relativi al gioco su tutto il territorio nazionale”, spiega Molinaro. “A preoccupare sono soprattutto le possibili implicazioni derivanti dalla chiusura di agenzie di scommesse, sale gioco e bingo e dallo spegnimento delle slot machine: la chiusura del comparto fisico dei giochi, ormai terminata, ha reso necessario monitorare le variazioni dei comportamenti, per valutare se le limitazioni abbiano favorito la migrazione verso l’azzardo online o favorito trasgressioni alle regole di isolamento”.

Dalle prime risposte al questionario online, che ha raggiunto 3.971 persone in 6 settimane tra aprile e maggio 2020, emerge che il 3,6% dei rispondenti riferisce di aver giocato on-site durante l’emergenza coronavirus, principalmente presso i tabaccai, e il 3,7% riporta di aver giocato d’azzardo online. Tra chi negli ultimi 12 mesi ha giocato presso luoghi fisici, oltre un quarto dei rispondenti, durante l’isolamento il 12% ha giocato on-site e il 10,3% lo ha fatto online. I risultati del test indicano che lo studio ha raggiunto una popolazione particolarmente sensibile al tema: il 13,3% dei giocatori nell’ultimo anno e il 27,6% di chi ha giocato in periodo Covid-19, mostrano un profilo severo di problematicità, mentre sulla popolazione generale gli studi Cnr-Ifc indicano una quota di problematici intorno al 3%.

Ma come si sono modificati i comportamenti di gioco durante il lockdown? Come atteso, lo studio rileva una generale diminuzione del gioco fisico per il 35,4% e una interruzione totale per il 22,8%. Il 26,6% riferisce di non aver cambiato abitudini e il 13,9% ha addirittura aumentato le occasioni di gioco fisico. Tra i giocatori che hanno giocato on-site nel periodo, la grande maggioranza riferisce di aver giocato al gratta e vinci (72,5%), seguono Superenalotto e Lotto. La maggioranza è uscita di casa da una a tre volte al mese per giocare, circa il 40% lo ha fatto una o più volte a settimana e l’8,5% quotidianamente, anche più volte. Se la maggior parte dei giocatori on-site ha speso non oltre i 10 euro durante l’intero periodo, il 26% ha speso tra gli 11 e i 200 euro, il 2,6% tra i 200 e i 500 euro e il 3,9% si è spinto oltre i di spesa. Indipendentemente dai soldi spesi, il 55,3% dei giocatori on-site ammette la perdita.

Per quanto riguarda il gioco online, il 33,8% riporta di aver aumentato le occasioni di gioco, il 28,8% di non aver modificato le proprie abitudini e l’11,3% di aver iniziato in questa modalità proprio durante l’isolamento. Questi giocatori hanno preferito poker texano, slot machine virtuali e scommesse sportive online. Nei giocatori online la frequenza di gioco è maggiore: il 30,5% ha giocato una o più volte al giorno, altrettanti più volte a settimana, il 39% da una a quattro volte nel mese. La spesa online nel periodo in questione si rivela più consistente, con il 14,6% che riferisce di aver speso oltre 500 euro e l’11% tra i 200 e i 500 euro. Il 56,8% ammette di essere in perdita.

Tra chi ha riportato di aver giocato on-site durante la fase 1 dell’emergenza, il 62,6% è di genere maschile, la classe di età più rappresentata è quella dei 45-54enni e il 32,9% ha visto cambiare la propria posizione lavorativa; tra i rispondenti che hanno riferito il gioco online il 78,6% è maschio, la classe di età più rappresentata sono i 25-34enni e la percentuale di chi ha visto cambiare la propria posizione lavorativa sale al 52%.

“Sebbene queste siano le prime analisi, sembra evidente che gli habitué del gioco in luoghi fisici sono passati solo in minima parte al gioco online e che le due popolazioni di giocatori on-site e online restino ben distinte”, conclude Sabrina Molinaro. La rilevazione proseguirà nella terza settimana di giugno, così da dare maggiore consistenza alle evidenze preliminari.

Il questionario sarà accessibile al link epid-prod.ifc.cnr.it/gaps/index.php/667576

Coronavirus ed ecosistema: effetto del lockdown sulla fauna selvatica

Una ricerca della FEM allo scopo di indagare l'effetto del lockdown sulla fauna selvatica e gli ecosistemi. Lo studio pubblicato su Nature Ecology and Evolution. 





Un lavoro congiunto quello che vede protagonista la Dr Francesca Cagnacci del Gruppo di Ecologia Applicata della Fondazione Edmund Mach, che ha ideato e promosso l’iniziativa a livello globale, insieme a colleghi dell’Università di St Andrews e del Max-Planck ‘Animal Behaviour’ di Radolfzell.

I risultati della ricerca saranno fondamentali per comprendere gli effetti delle attività umane moderne sulla fauna, indicando così strategie per migliorare lo stato di salute dell’ambiente e dell’umanità stessa (one-health). Gli autori suggeriscono l’utilizzo di dati raccolti da unità sensoristiche apposte agli animali (bio-loggers), un approccio di ricerca che vede la FEM tra i leader a livello mondiale, coordinando il network di ricerca Euromammals e sviluppando tecnologie bio-logging innovative.

Il lockdown ha evidenziato l’impatto dell’uomo sulle specie animali a livello mondiale. Un team internazionale di scienziati sta studiando come gli animali abbiano risposto alla variazione dell’attività umana seguita alla pandemia da COVID-19. Tra questi, la ricerca italiana riveste un ruolo preminente con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.

In un articolo pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista Nature Ecology & Evolution, gli scienziati spiegano come questa ricerca, condotta in un tragico momento per l’umanità, indicherà strategie innovative perché uomini e animali selvatici possano condividere un pianeta sovraffollato, con benefici per entrambi.

Molti Paesi hanno adottato, con diverse modalità, delle misure di lockdown per limitare la diffusione di COVID-19, originando tra l’altro una riduzione della mobilità umana, che gli scienziati hanno ribattezzato “ANTRO-pausa”. Questa condizione di ‘rallentamento’ delle attività antropiche permette di indagare, come mai prima, le interazioni tra uomo e fauna.

Sui social media sono stati riportati negli ultimi mesi moltissimi incontri e osservazioni inusuali di animali selvatici, soprattutto nelle aree urbane. Non solo sono sembrati aumentare gli avvistamenti, ma visitatori eccezionali si sono avventurati nelle nostre città, dai puma in centro città a Santiago del Cile, ai delfini nei pressi dei pontili deserti a Trieste. Questo sembra indicare che la natura abbia ‘reagito’ al lockdown.

Per alcuni animali la riduzione delle attività umane potrebbe invece aver creato delle condizioni paradossalmente svantaggiose. Per esempio, specie già adattate agli ambienti antropici, come i gabbiani, i ratti o le scimmie, potrebbero aver sofferto la mancata disponibilità di scarti di cibo umano. Viceversa, in aree remote, la ridotta presenza di visitatori potrebbe aver acuito il rischio di bracconaggio delle specie minacciate, quali rinoceronti o rapaci.

Gli autori dell’articolo scientifico sottolineano con decisione come la priorità internazionale debba essere la risoluzione dell’enorme crisi umanitaria e sociale causata da COVID-19. Riconoscono tuttavia che si debba anche documentare, per la prima volta su scala autenticamente globale, l’effetto dell’uomo contemporaneo sui sistemi naturali.

Per affrontare questa sfida, i ricercatori hanno fondato l’iniziativa “COVID-19 Bio-Logging”. Questo consorzio internazionale studierà il movimento, i comportamenti e i livelli di stress degli animali prima, durante e dopo il lockdown, utilizzando unità elettroniche dotate di sensori (i “bio-loggers”) che vengono apposte a un campione di individui delle specie studiate.

Il Professor Christian Rutz (Università di St Andrews, Gran Bretagna), primo autore dell’articolo e Presidente della Società Internazionale di Bio-Logging, spiega: “I ricercatori appongono unità tecnologiche di monitoraggio su una grande diversità di animali in ogni ambiente, terrestre e marino. Questi “bio-loggers” rappresentano una miniera di informazioni sul movimento e comportamento animale, che ora possiamo utilizzare per accrescere grandemente la nostra conoscenza sull’interazione tra uomo e fauna selvatica, con grande beneficio per l’umanità stessa”.
Il team di scienziati integrerà i dati raccolti da una grande varietà di specie, tra cui pesci, uccelli e mammiferi, per ricostruire l’effetto del lockdown a livello globale.

La Dr Francesca Cagnacci, ricercatrice alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige in Trentino e coordinatrice scientifica del network di ricerca Euromammals, riporta: “La comunità internazionale di ricerca ha risposto con grande entusiasmo alla nostra richiesta di collaborazione, mettendo a disposizione i dati di più di 200 progetti”.

Cosa dunque sperano di scoprire gli scienziati? Il Dr Matthias-Claudio Loretto, post-doc Marie Skłodowska-Curie all’Istituto Max Planck ‘Animal Behavior’ a Radolfzell (Germania), spiega che sarà possibile verificare questioni precedentemente irrisolte, ma fondamentali: “Saremo in grado di capire se gli animali condizionino i propri movimenti alle infratrutture, o alla presenza effettiva degli uomini”.

Questi studi permetteranno a loro volta di pianificare approcci innovativi per migliorare la coesistenza tra uomini e fauna selvatica, come riferisce il Professor Martin Wikelski, Direttore dell’Istituto Max Planck “Animal Behavior” a Radolfzell: “Nessuno ovviamente vuole implicare che gli uomini debbano stare in permanente lockdown, ma potremmo rivelare che cambiamenti relativamente piccoli del nostro stile di vita e del sistema di trasporti possono avere benefici significativi sia per gli ecosistemi che per l’umanità nel suo complesso”.

Il coordinamento a livello mondiale della ricerca scientifica sulla fauna selvatica durante questo periodo di crisi fornirà dunque opportunità inaspettate per dare avvio a una rinnovata coesistenza tra uomini e altri animali, con benefici per tutte le specie e la salute globale (One-Health).
Riscopriremo che la nostra salute dipende dall’ambiente, ma che l’equilibrio dell’ambiente dipende da noi

Vino e mercato, Veronafiere lancia evento innovativo e smart che unisce business, contenuti, incontri, formazione e idee

Ripartenza del mercato: Veronafiere lancia Wine2wine Exhibition, evento innovativo e smart per aggregare business, contenuti, incontri, formazione e idee.






Wine2wine Exhibition è il nuovo format dell’ecosistema Vinitaly, in programma a Veronafiere dal 22 al 24 novembre 2020, in contemporanea a wine2wine Business Forum. Tre giornate al servizio delle aziende, rivolte ad un pubblico b2b e b2c e con l’obiettivo sostenere il rilancio del mercato e del sistema-Italia, dopo la fase di lockdown e in vista della ripartenza della Fase 3.

L’iniziativa è stata presentata in streaming da Maurizio Danese, presidente di Veronafiere, e Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere.  All’incontro online, moderato da Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, sono intervenuti Carlo Maria Ferro, presidente di ICE-Agenzia, e Federico Sboarina, sindaco di Verona, preceduti dai contributi di Luigi Di Maio, ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto. Oltre mille gli utenti registrati che si sono collegati, tra aziende e giornalisti.

Wine2wine Exhibition rappresenta un progetto inedito per far fronte a un tempo straordinario e con cui Veronafiere vuole dare una risposta positiva alle esigenze dei produttori, prima fra tutte, la necessità di riprendere il dialogo con la community del vino nazionale e internazionale: distributori, buyer, ristoratori, stampa specializzata, opinion leader e anche consumatori.

Si caratterizza come il primo grande evento unitario in autunno rivolto al comparto vitivinicolo che chiama a raccolta istituzioni pubbliche, regioni e consorzi, in collaborazione con ministero delle Politiche agricole, ministero degli Affari esteri e ICE-Agenzia, impegnata insieme a Veronafiere nell’attività di incoming dei buyer stranieri.

Wine2wine Exhibition è stata sviluppata secondo i protocolli di sicurezza #safebusiness, concordati dai maggiori operatori fieristici italiani e dalle autorità sanitarie. In campo anche gli ultimi strumenti digitali per permettere all’intera comunità internazionale di buyer di partecipare online a incontri b2b virtuali, masterclass e degustazioni guidate.

L’evento prevede, per domenica 22 novembre, l’ingresso ai wine lover e la possibilità di vendita diretta al consumatore, mentre le altre due giornate sono riservate agli operatori del settore.

Sono tre i padiglioni di Veronafiere coinvolti: il 9, il 10 e il 12, con l’accesso dalla nuova porta Re Teodorico, su viale dell’Industria. La logica espositiva è quella del “walk around tasting”, con un percorso per aree tematiche e geografiche con cui raccontare le denominazioni e le tipologie del vino italiano. A queste si aggiungono aree espositive caratteristiche che raccolgono spirits, vini rosati, special wine e vini internazionali.

Punto di forza di wine2wine Exhibition è anche essere un appuntamento cucito a misura delle necessità contingenti delle imprese vitivinicole, con tariffe di partecipazione personalizzate, massimo ritorno economico dell’investimento e minimo impegno organizzativo e logistico per le aziende espositrici “reduci” dalle fatiche dalla vendemmia, grazie a stand e servizi chiavi-in-mano.

In fiera, la rassegna si integra alla perfezione con i momenti di formazione e networking di wine2wine Business Forum (23-24 novembre) e con la presentazione dei 100 migliori vini italiani di OperaWine, selezionati da Wine Spectator (21 novembre). Inoltre, si esplorano nuove opportunità e sinergie nell’agroalimentare con la contemporaneità di B/Open, la manifestazione b2b di Veronafiere sul food biologico certificato e sul natural self-care che debutta il 23 e 24 novembre nel padiglione 11. 

COMMENTI DEI RELATORI E CONTRIBUTI ISTITUZIONALI

Maurizio Danese, presidente di Veronafiere: «Il sistema fieristico costituisce uno degli asset strategici per far ripartire il Paese. Le fiere in generale, e Veronafiere in particolare, sono infatti uno strumento di politica industriale fondamentale nella promozione dell’export per il 75% delle piccole medie imprese europee, con un ritorno di 1 a 10 sugli investimenti per chi vi partecipa. In questo scenario, wine2wine Exhibition coniuga gli indirizzi definiti dal Patto per l’export con le esigenze di nuove iniziative che sappiano valorizzare al massimo le potenzialità della presenza fisica con quelle degli strumenti digitali. Un nuovo modello per un rilancio dell’attività fieristica e tramite di essa dell’economia italiana, delle imprese e dei nostri prodotti del made in Italy».

Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere: «Wine2wine Exhibition sarà la prima manifestazione b2b ma anche b2c per la filiera in Italia. Un evento di bandiera, quindi, per rimettere il vino italiano al centro dell’immagine e dei mercati mondiali. Un format agile, innovativo e ‘nativo digitale’, in un ambiente che integra fisicità e virtualità, con l’obiettivo di riaccendere i motori dei mercati – sia nazionale che esteri – e della domanda internazionale. Sarà il naturale compimento di un percorso di avvicinamento che prevede una forte promozione in outgoing. Veronafiere, infatti, ha già attivato una importante campagna caratterizzata da contenuti e relazioni, oltre che un calendario di webinar professionali che consentiranno alle aziende italiane di dialogare con i più importanti operatori e buyer dei diversi mercati, molti dei quali saranno poi presenti a Verona».

Federico Sboarina, sindaco di Verona: «Il sistema Verona non si è mai fermato. In questi mesi difficili, ha continuato a lavorare per la città e ora è pronto a rimettere in moto tutte le sue eccellenze, dalla cultura al business. Un fermento e una creatività che ci hanno portato a rinnovare tutti i nostri grandi eventi. Tra cui wine2wine Exhibition, che quest’anno sarà una manifestazione unica e innovativa, pensata proprio per l’eccezionalità del momento che stiamo vivendo. Un appuntamento strategico per sostenere uno dei comparti principali dell’economia locale. Ripensare i modelli di business in chiave innovativa e tecnologica è la parola d’ordine che Verona ha perseguito, e ringrazio Veronafiere per essere stata all’altezza delle aspettative».

Carlo Maria Ferro, presidente di ICE-Agenzia: «Oggi celebriamo la ripartenza del sistema fieristico con questo evento bandiera. Come ICE vogliamo combinare reazione e visione per aiutare le imprese a cogliere questo momento di crisi come un'opportunità di riposizionamento. Wine2wine Exhibition è il primo evento che "mette a terra" due nostre intuizioni per favorire la ripresa: elevare la "mini-fiera" ad evento internazionale, con il nostro contributo di 300 operatori esteri e combinarla con tecnologie digitali in eventi ibridi. È parte del nostro progetto "Fiera Smart 365". Senza togliere centralità all'evento fisico, la manifestazione, grazie al digitale e a un continuo network di relazioni e scambi qualificati, può vivere 365 giorni all'anno.  Il vino è tra i nostri prodotti quello che più di altri caratterizza l’eccellenza cultura-territorio-prodotto del made in Italy, per questo con Veronafiere abbiamo messo tutte le risorse a sistema per promuovere il vino italiano in tutto il mondo».

Luigi Di Maio, ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale: «Wine2wine Exhibition è un evento unico in una situazione straordinaria, perché propone un modello di fiera integrata fisica e digitale che come ministero degli Esteri sosteniamo e che rappresenta la naturale risposta alle sfide che l’emergenza sanitaria ci ha posto. Wine2wine è l’espressione tangibile della resilienza, della vitalità e della creatività di un settore che è una delle principali eccellenze del Paese, che mette a fattore comune il prodotto con il suo territorio e la sua cultura. Il rilancio del made in Italy e del sistema fieristico italiano sono tra le priorità del Patto per l’export che abbiamo sottoscritto l’8 giugno insieme a ministeri, enti pubblici e associazioni di categoria del mondo imprenditoriale. Il nostro Paese deve e vuole ripartire e noi siamo qui insieme per sostenere questo rilancio».

Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole, alimentari e forestali: «Rilancio è la parola chiave che ci accompagnerà da qui ai prossimi mesi. Sono convinta che wine2wine Exhibition potrà essere uno dei primi appuntamenti dove ritrovare l’importanza del confronto personale, dello scambio di esperienze e di idee tra i professionisti del vino e della crescita che una fiera rappresenta. Abbiamo attraversato un periodo difficile e il vino è stata una delle filiere che più hanno sofferto in questa fase. È giusto quindi dedicare attenzione e azioni concrete a questo comparto strategico. Il vino è l’Italia. Ne siamo ben consapevoli. E faremo di tutto perché il vino, come l’Italia, possa tornare a correre. Il contributo dell’appuntamento di Verona, a novembre, sarà quindi decisivo per proseguire in questo percorso di rilancio».

Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto: «Questa iniziativa fieristica che si svolgerà novembre si inserisce bene nelle azioni di promozione del nostro settore vitivinicolo, un settore strategico per la nostra economia che si collega anche a tutta la partita del turismo. Conoscere un vino significa scoprire anche il luogo in cui è stato prodotto, con la sua storia, cultura e tradizioni. Ben vengano, dunque, sinergie come quella creata da Veronafiere e ICE-Agenzia per rilanciare attraverso questo evento il comparto, aprendo alle nuove tecnologie digitali per continuare a fare rete e parlare del vino made in Italy nel mondo. L’uso di strumenti innovativi di marketing può, infatti, favorire l’incontro della domanda e dell’offerta».

lunedì 22 giugno 2020

Ricerca e salute, rimodellare il microbioma: sviluppate molecole che riducono i batteri intestinali "cattivi"

Una ricerca americana ha sviluppato molecole che riducono i batteri intestinali "cattivi". Sarebbero in grado di rimodellare il microbioma riducendo colesterolo e aterosclerosi. Lo studio pubblicato su Nature Biotechnology.






Scienziati dello Scripps Research Institute, centro di ricerca nel campo delle scienze biomediche con sede a La Jolla (California), hanno sviluppato molecole in grado di rimodellare la popolazione batterica dell’intestino in uno stato più sano e hanno dimostrato, attraverso esperimenti sui topi, che ciò riduce i livelli di colesterolo e inibisce fortemente la condizione dell’arteria ispessita, nota come aterosclerosi, una condizione che porta a infarti e ictus.

Il microbioma intestinale, che comprende centinaia di specie batteriche, si è evoluto molto tempo fa come parte di una simbiosi fondamentale: i batteri hanno un posto dove vivere e nutrirsi bene e in cambio aiutano i loro ospiti animali anche a digerire il cibo.

Negli ultimi due decenni, questi batteri simbiotici sono diventati al centro di intensi studi in tutto il mondo, poiché gli scienziati hanno scoperto che i microbi - in parte grazie alla loro produzione di molecole chiamate metaboliti - non solo aiutano a digerire il cibo, ma svolgono un ruolo anche su metabolismo, sistema immunitario e altre funzioni importanti. Sappiamo infatti con certezza che alcuni ceppi batterici indigeni del nostro microbiota intestinale, fungono da ostacolo alla colonizzazione del nostro intestino, da parte di nuovi microbi, tra cui quelli patogeni.

In tal senso attraverso il presente studio, i ricercatori californiani, hanno creato un insieme di molecole chiamate peptidi ciclici antimicrobici, naturalmente utilizzati dalle nostre cellule per regolare le popolazioni di microbi intestinali e che hanno la capacità di rallentare la crescita di specie meno desiderabili.

I test sono stati eseguiti nei topi ai quali è stato promosso, attraverso una dieta ricca di grassi, lo sviluppo di colesterolo alto e aterosclerosi. I ricercatori hanno poi campionato il contenuto intestinale degli animali e applicato un peptide ciclico diverso a ciascun campione. Il giorno dopo, hanno sequenziato il DNA batterico nei campioni per determinare quali peptidi avevano spostato il batterio intestinale nella direzione desiderata.

Gli scienziati hanno identificato due peptidi che avevano significativamente rallentato la crescita di batteri intestinali indesiderati, spostando l'equilibrio delle specie simile a quella presente in topi alimentati con una dieta più sana. I peptidi hanno ridotto di circa il 36 percento i livelli ematici di colesterolo negli animali dopo due settimane di trattamento. Anche le placche aterosclerotiche nelle arterie dei topi trattati, dopo 10 settimane, erano ridotte di circa il 40 percento rispetto a quelle dei topi non trattati.

Prima degli esperimenti, il team aveva già una piccola collezione di peptidi ciclici che erano stati realizzati usando tecniche chimiche. Per lo studio, hanno istituito un sistema di screening per determinare se qualcuno di quei peptidi poteva rimodellare in modo benefico il microbioma intestinale dei mammiferi sopprimendo le specie batteriche intestinali indesiderabili.

I peptidi ciclici utilizzati nello studio sembrano interagire con le membrane esterne di alcune cellule batteriche in modo da rallentare o arrestare la crescita delle cellule. Il team di ricerca ha studiato questi peptidi per anni selezionandoli tra quelli che mostrano tossicità per le cellule. Le molecole transitano attraverso l'intestino senza entrare nel flusso sanguigno.

I ricercatori stanno ora testando i peptidi anche per il diabete, un'altra condizione comune che è stata collegata a un microbioma malsano.

Ricerca, scoperte le basi genetiche dell'ermafroditismo della vite: il tratto che ne ha permesso l'addomesticamento

Uno studio dell'Università della California - Davis ha definito le basi genetiche della determinazione del sesso nelle viti. Nella nuova ricerca i biologi propongono un nuovo modello di evoluzione sessuale della vite. 





   
Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications, a cura dei ricercatori di viticoltura ed enologia Dario Cantu e Mélanie Massonnet, dell'Università della California - Davis, propone un nuovo modello di evoluzione sessuale prima e durante l'addomesticamento della vite circa 8.000 anni fa. Il loro lavoro potrebbe avere ampia applicazione nell'allevamento della vite e di altre specie vegetali.

Tutte le specie selvatiche di uva (genere Vitis) sono dioiche, il che significa che i fiori maschili e femminili si trovano su piante separate. Gli individui maschi portano fiori con pistilli ridotti e le viti femminili hanno fiori con antere riflesse e stami che producono granuli di polline sterili. Solo una specie di Vitis, la vite coltivata Vitis vinifera ssp. vinifera, è tornata all'ermafroditismo, portando all'avvento delle viti che portano fiori perfetti con pistilli e stami funzionali.

Per svelare i meccanismi molecolari associati alla determinazione del sesso, i ricercatori hanno costruito i genomi di due uve selvatiche femminili e tre maschili, con cinque accessioni domestiche ermafrodite, tra cui il genoma su scala cromosomica di Cabernet Sauvignon (la cultivar di uva da vino più diffusa al mondo). Hanno confrontato la struttura del locus di determinazione del sesso, la sua sequenza e i geni tra individui maschi, femmine ed ermafroditi.

Come spiegato da Contu, la quantità, senza precedenti, di dati generati nello studio, supporta un modello per la determinazione del sesso in cui mutazioni recessive di sterilità maschile e femminile dominante in individui ancestrali ermafroditi, hanno dato origine a specie selvatiche esistenti dioiche e, un raro evento di ricombinazione durante l'addomesticamento che ha portato all'ermafroditismo in coltivazioni viti.

Da queste scoperte, si può affermare che gli individui femminili derivino da una soppressione recessiva in un gene necessario per la germinazione del polline, mentre le viti maschili emergono da una mutazione dominante in un secondo gene, con conseguente sterilità femminile.

I risultati e i metodi applicati nel presente studio, sono particolarmente preziosi per la riproduzione di  varietà di vite e per migliorare la comprensione della determinazione del sesso nell'uva e in altre specie vegetali.

Il team del laboratorio Cantu ha lavorato in collaborazione con il professor Brandon Gaut della UC Irvine e il suo team. Il progetto è stato finanziato dalla National Science Foundation, la E. & J. Azienda vinicola Gallo, J. Lohr Vineyards and Wines, Agenzia cilena per lo sviluppo economico, Viña San Pedro, Viña Concha y Toro e Louis P. Martini Endowment in Viticulture.

sabato 20 giugno 2020

Festa della Musica di Roma

Torna la Festa della Musica di Roma. Si potrà registrare la propria performance oppure realizzarla direttamente live sui social il 21 giugno, diffondendola con l’hashtag #FDMRoma2020. Per partecipare info e adesioni su www.festadellamusicaroma.it.  Il 21 giugno la nuova edizione è dedicata al Maestro Bosso.






A Roma il 21 giugno si torna a festeggiare la Festa della Musica. Quest’anno, per la 35esima edizione, Roma  Capitale dedicherà la festa al Maestro Ezio Bosso, recentemente scomparso. Ezio Bosso era cittadino onorario di Roma dal 20 giugno 2019 e idealmente, tutta la città saluterà – con performance libere e di qualsiasi genere musicale – il Maestro che ci ha raccontato e dimostrato l’amore per la musica.

Musicisti, appassionati, professionisti e soprattutto amatori, sono invitati infatti a festeggiare l’arrivo dell’estate suonando e cantando nelle proprie case, dalle finestre o dai balconi in un rituale di celebrazione spontanea e di condivisione che prende le mosse dai flash mob ai quali tutta Italia ha partecipato durante la fase di lockdown. La nuova edizione della Festa vuole così sposare i princìpi della prima festa lanciata in Francia nel 1982, di gioia e condivisione, libertà e amore per la musica unendoli necessariamente al momento storico che stiamo vivendo.

La Festa 2020 è stata pensata con un’attenzione rigorosa al rispetto del distanziamento fisico e del divieto di assembramento, secondo le disposizioni sanitarie previste per contenere l’epidemia da COVID-19. Roma Capitale si fa promotrice di una edizione completamente nuova che ha come obiettivo quello di concedere spazio all’intraprendenza, al coraggio e alla vena artistica dei suoi cittadini, veri protagonisti di una edizione condizionata dall’emergenza pandemica.

Per partecipare sarà sufficiente iscriversi sul sito www.festadellamusicaroma.it e registrare la propria performance – musicale e/o canora – oppure realizzarla direttamente live sui social il 21 giugno, diffondendola in entrambi i casi con l’hashtag #FDMRoma2020. Le partecipazioni saranno libere e spontanee, senza alcun limite alla proposta musicale che potrà spaziare dal genere classico al reggae, dall’elettronica al pop. Unica raccomandazione: le esibizioni musicali dovranno avvenire nel rispetto delle eventuali regole condominiali e di buon vicinato.

La Festa della Musica di Roma 2020 è promossa da  Roma Capitale, Assessorato Crescita culturale, Dipartimento Attività Culturali, realizzata in collaborazione con SIAE  e aderisce alla Festa della Musica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo,  Associazione italiana per la Promozione della Festa della Musica (coordinamento nazionale).

Per informazioni www.festadellamusicaroma.it

Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi

Ai Musei Capitolini - Palazzo Caffarelli “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”. In mostra il famoso Ragazzo morso da un ramarro e oltre quaranta dipinti degli artisti influenzati dalla sua rivoluzione figurativa.






E' partita il 16 giugno, nelle sale espositive di Palazzo Caffarelli la mostra curata da Maria Cristina Bandera “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi”. La pittura di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e della sua cerchia rappresenta infatti la centralità delle ricerche di Roberto Longhi, una delle personalità più affascinanti della storia dell’arte del XX secolo, di cui ricorre nel 2020 il cinquantenario della scomparsa.

Inizialmente programmata a partire dal 12 marzo 2020 e sospesa per le misure di contenimento del Covid-19, la mostra apre al pubblico nel rispetto delle linee guida formulate dal Comitato Tecnico Scientifico per contenere la diffusione del Covid-19 consentendo, al contempo, lo svolgimento di una normale visita museale, come indicato nella scheda informativa della mostra. L’ingresso prevede la prenotazione obbligatoria con il preacquisto del biglietto sul sito www.museiincomuneroma.it ed è gratuito per i possessori della MIC card, previa prenotazione obbligatoria e gratuita allo 060608.

L’esposizione, allestita fino al 13 settembre 2020, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi. E’ curata da Maria Cristina Bandera, Direttore scientifico della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, organizzata da Civita Mostre e Musei e Zètema Progetto Cultura, mentre il catalogo è di Marsilio Editori.

Lo storico dell’arte Roberto Longhi si dedicò allo studio del Caravaggio, all’epoca uno dei pittori “meno conosciuti dell’arte italiana”, già a partire dalla tesi di laurea, discussa con Pietro Toesca, all’Università di Torino nel 1911. Una scelta pionieristica, che tuttavia dimostra come il giovane Longhi seppe da subito riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi, così da intenderlo come il primo pittore dell’età moderna. 

In mostra sarà esposto uno dei capolavori di Caravaggio, acquistato da Roberto Longhi alla fine degli anni Venti: il Ragazzo morso da un ramarro. L’opera, che risale all’inizio del soggiorno romano di Caravaggio e databile intorno al 1596-1597, colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto dovuto al dolore fisico e alla sorpresa, che si esprimono nella contrazione dei muscoli facciali del ragazzo e nella contorsione della sua spalla. Ma anche per la “diligenza” con cui il pittore ha reso il brano della natura morta con la caraffa trasparente e i fiori, come sottolineò Giovanni Baglione già nel 1642.
Nella sala introduttiva, dedicata alla figura di Roberto Longhi e alla Fondazione da lui istituita, è esposto un disegno a carboncino della sola figura del ragazzo, tratto dallo stesso Roberto Longhi, che vi appose la propria firma e la data 1930. Si tratta di un d’après, dal foglio a grandezza quasi naturale, che non solo dimostra l’abilità di disegnatore dello storico dell’arte, ma che soprattutto ne attesta la perfetta comprensione dell’organizzazione luminosa del dipinto che aveva davanti agli occhi.
In seguito, al Caravaggio e ai cosiddetti “caravaggeschi” lo storico dell’arte dedicò un’intera vita di studi, dal primo saggio del 1913 alla monografia Caravaggio del 1952, anticipata l’anno precedente dalla Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi, allestita a Milano in Palazzo Reale, che riscosse un immediato successo di pubblico, contribuendo alla successiva e immensa fortuna dell’artista.

Longhi è stato non solo il più importante storico dell’arte italiano del suo secolo, ma anche un grande collezionista. Nella sua dimora fiorentina, la villa Il Tasso, oggi sede della Fondazione che gli è intitolata, ha raccolto un numero notevole di opere dei maestri di tutte
le epoche, per lui occasione di ricerca e di studio. Tra queste, il nucleo più rilevante e significativo è senza dubbio quello che comprende le opere del Caravaggio e dei suoi seguaci.

La mostra si apre con queste suggestive parole, scritte da Roberto Longhi nel 1951: “Dopo il Caravaggio, i “caravaggeschi”. Quasi tutti a Roma, anch’essi, e da Roma presto diramatisi in tutta Europa. La “cerchia” si potrà dire, meglio che la scuola; dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi, non definì una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari.”

Quattro tavolette di Lorenzo Lotto e due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti aprono il percorso espositivo con l’intento di rappresentare il clima artistico del manierismo lombardo e veneto in cui si è formato Caravaggio. Oltre al Ragazzo morso da un ramarro è in mostra Il Ragazzo che monda un frutto, una copia antica da Caravaggio, che Longhi riteneva una “reliquia”, tanto da esporla all’epocale rassegna di Palazzo Reale a Milano nel 1951.

A seguire sono esposti oltre quaranta dipinti degli artisti che per tutto il secolo XVII sono stati influenzati dalla sua rivoluzione figurativa. Tra questi è possibile ammirare tre tele di Carlo Saraceni; l’Allegoria della Vanità, una delle opere più significative di Angelo Caroselli; l’Angelo annunciante di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo; la Maria Maddalena penitente di Domenico Fetti; la splendida Incoronazione di spine di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone.

Tra i grandi capolavori del primo caravaggismo spiccano inoltre cinque tele raffiguranti Apostoli del giovane Jusepe de Ribera e la Deposizione di Cristo di Battistello Caracciolo, tra i primi seguaci napoletani del Caravaggio. La Negazione di Pietro è poi il grande capolavoro di Valentin de Boulogne, recentemente esposto al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo del Louvre di Parigi, la cui ambientazione è un preciso riferimento alla famosa Vocazione di San Matteo di Caravaggio, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Con opere di rilievo sono presenti anche artisti fiamminghi e olandesi come Gerrit van Honthorst, Dirck van Baburen e soprattutto Matthias Stom.

Notevoli anche le opere di due pittori di incerta identità, noti come Maestro dell’Emmaus di Pau e Maestro dell’Annuncio ai pastori, oltre a due piccoli ma significativi paesaggi di Viviano Codazzi e Filippo Napoletano.

Tra gli altri grandi artisti si segnalano i genovesi Bernardo Strozzi, Giovanni Andrea De Ferrari e Gioacchino Assereto. E ancora: Andrea Vaccaro, Giovanni Antonio Molineri, Giuseppe Caletti, Carlo Ceresa, Pietro Vecchia, Francesco Cairo e Monsù Bernardo.

A una stagione più avanzata sono riferibili due capolavori di Mattia Preti – l’artista che più di ogni altro contribuì a mantenere fino alla fine del Seicento la vitalità della tradizione caravaggesca – e due bellissime tele di Giacinto Brandi con le quali si conclude il percorso espositivo.

La mostra è accompagnata da un catalogo realizzato da Marsilio Editori che presenta le opere del Caravaggio e dei suoi seguaci nella Collezione Longhi, corredate da una scheda e da una breve biografia degli artisti.


Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi 
Musei Capitolini - Palazzo Caffarelli
Piazza del Campidoglio, 1 - 00186 Roma
16 giugno 2020 – 13 settembre 2020
www.museicapitolini.org; www.museiincomune.it