mercoledì 31 luglio 2019

Cinema e città, passeggiata a Testaccio ripercorrendo le scene del film Domenica d'agosto

"Domenica d'agosto" di Luciano Emmer (1950) è stato inserito tra i 100 film italiani da salvare. E' considerato il capofila del genere "neorealismo rosa". Moltissime scene sono girate nei lotti popolari di Testaccio, fino alla stazione di Piramide per il trenino verso Ostia.





Organizzata da Ottavo Colle, associazione romana con l'intento di osservare le trasformazioni e le dinamiche della città di Roma e delle sue identità urbane in movimento, è una rete di ricercatori sociali, artisti, musicisti, poeti che insieme sta raccontando una capitale che cambia con tutti i suoi linguaggi.

Tra le proposte dell'associazione ci sono il Monte dei Cocci, considerato l’Ottavo Colle di Roma, Corviale, la Beat Generation al cimitero acattolico, Archeologia industriale tra Testaccio, Ostiense e Marconi, il Parco degli Acquedotti ricordando l’esperienza con i baraccati della “Scuola 725” di Don Sardelli; sulle tracce di Pasolini leggendo Accattone al Quadraro, Passeggiata a bordo del Tram 19, le 12 borgate ufficiali di Roma (Trullo, San Basilio, Pietralata, Acilia, Tormarancia, Tiburtino III, Tufello, Gordiani, Prenestino, Quarticciolo, Primavalle), Garbatella il borgo marinaro, passeggiata a Ostia leggendo “Amore Tossico” di Caligari, ecc.

Il prossimo appuntamento sarà un incontro tra i luoghi dove si dipana Domenica d’agosto, meraviglioso film di Luciano Emmer in cui si intrecciano cinque storie di personaggi che in una torrida domenica estiva lasciano Roma per cercare refrigerio a Ostia: una ragazza e la sua famiglia, un vigile e la sua fidanzata, un ragazzo con gli amici, un giovane e la sua ex, un vedovo e la giovane figlia. La passeggiata ripercorrerà le scene del film intrecciandole all'analisi dello sviluppo socio urbanistico di quello che fu indicato come il primo quartiere operaio di Roma Capitale, Testaccio.

Appuntamento domenica 4 agosto ore 11,00 a Piazza Testaccio
www.ottavocolle.com

Vino e territori, nel Triveneto stop a nuove superfici vitate a Pinot Grigio: si punta a maggior tutela e qualità

Il Consorzio Doc delle Venezie ha introdotto una sospensione triennale di nuovi vigneti di Pinot Grigio con l'obiettivo di conseguire qualità ancora superiore e una crescita equilibrata del mercato.


Il Consorzio ha dichiarato che sospenderà la creazione di nuovi vigneti nell'area che si estende in tutta la Provincia di Trento, Friuli Venezia Giulia e Veneto, con effetto dal 1° agosto 2019.




La mossa fa parte di un progetto avviato dal Consorzio nel 2017 con l'obiettivo di migliorare e garantire la qualità di tutto il Pinot Grigio del Triveneto, monitorando costantemente le figure e le tendenze della denominazione e adattandosi a tutti i possibili sviluppi del mercato.

Ormai vicina alla sua terza vendemmia con un potenziale produttivo di circa 1,6 milioni di ettolitri.  L’area della DOC delle Venezie oggi conta una superficie vitata di 26 mila ettari, destinata ad arrivare a 30 mila ettari considerando i vigneti già impiantati e prossimi ad entrare in produzione e, pertanto, esclusi dal blocco.

“La richiesta di sospendere per il prossimo triennio nuove rivendiche di impianti a Pinot grigio delle Venezie– ha dichiarato Albino Armani, presidente del Consorzio – nasce dall'esigenza di governare una crescita della denominazione che ha registrato tra i più alti tassi di sviluppo viticolo del nostro paese negli ultimi anni. Insieme alla filiera abbiamo voluto attivare un processo virtuoso che, affiancando le iniziative di informazione e promozione a sostegno della valorizzazione della denominazione, ha lo scopo di gestire la crescita dell’offerta in relazione all'evolversi della domanda mondiale di Pinot grigio che trova la sua zona di vocazione nel Triveneto. Misura di governo utile per gestire la contingenza, lo voglio sottolineare, – chiarisce Albino Armani - rimane per noi un elemento tattico, perché il nostro impegno strategico è orientato su altre direzioni tese a costruire dinamiche strutturali di valore del prodotto”.

“E’ stato necessario attivare questa misura per favorire l'equilibrio di mercato del Pinot grigio - ha commentato il vicepresidente del Consorzio e Presidente de La Marca, Valerio Cescon - visto che negli ultimi 5 anni, le superfici del vitigno sono aumentate del 60% e, al 31 luglio 2018 nell’intero areale della DOC delle Venezie, risultano in coltivazione: in Trentino, 2.800 ettari, in Friuli Venezia Giulia, 7.816 ettari e, in Veneto 15.194 ettari, per ben 25.810 ettari totali. Una concentrazione di questo particolare vitigno unica a livello mondiale e che riveste un’importanza significativa per il nostro territorio: basti pensare che per dimensione totale il Pinot grigio è la prima varietà in Trentino e Friuli e solo seconda in Veneto dopo la Glera”.

“Un patrimonio importante che dobbiamo governare in relazione alle dinamiche di evoluzione della domanda al fine di posizionarlo adeguatamente nel medio lungo termine – ha sottolineato Goffredo Pasolli, vicepresidente del Consorzio e Direttore tecnico dell’azienda vinicola Lechthaler – condividendo le strategie di sviluppo con le altre 20 denominazioni che coesistono nel medesimo territorio e hanno il Pinot grigio nel disciplinare: un’offerta variegata e al tempo stesso complessa che va dal Trentino DOC nell’area più settentrionale fino a interessare il Collio e i Colli orientali ai confini con la Slovenia. Sistema produttivo articolato che per la campagna di commercializzazione 2019 prevede di immettere sul mercato di circa 260 – 270 milioni di bottiglie di Pinot grigio con le varie denominazioni del Triveneto”.

Nel marzo di quest'anno, il Consorzio ha iniziato la "seconda era dello stile italiano Pinot Grigio" con l'installazione del suo primo consiglio eletto, guidato dal rieletto presidente Albino Armani. All'epoca affermava che un obiettivo chiave per il futuro era il completamento del processo di approvazione DOC a livello europeo e il miglioramento degli strumenti di controllo e gestione del potenziale di produzione. Altre priorità includevano lo sviluppo di attività promozionali e la massimizzazione del potenziale della denominazione, ha aggiunto, con la rielezione di Armani che ratificava una traiettoria di crescita focalizzata sulla continuità, per massimizzare il potenziale di un prodotto e di una regione che ha ancora molto da dire ai consumatori di tutto il mondo.

martedì 30 luglio 2019

Vino e ricerca, sequenziato il genoma del primo portinnesto di vite americana

Ricercatori francesi hanno pubblicato il sequenziamento del genoma del primo portainnesto di vite americana. Finora solo il genoma della vite europea ( Vitis vinifera) era stato sequenziato. Il lavoro pubblicato su Scientific Data lo scorso 19 luglio 2019.






Ricercatori dell'Università di Bordeaux Inra e dell'Istituto di scienze della vite e del vino (ISVV) hanno sequenziato il genoma della Riparia Gloire de Montpellier, una delle principali viti americane utilizzate come portinnesto utilizzate a fine XIX secolo per arginare la piaga della Fillossera.

È solo grazie all’innesto della vite europea sulla vite americana, resistente a questa terribile malattia della vite, che la viticoltura ha continuato a esistere e svilupparsi. Il primo paese ad essere colpito fu proprio la Francia e al Congresso viticolo di Beaune nel 1869 venne proposto l'impiego di viti americane per ottenere la resistenza alla Fillossera.

Il primo sequenziamento del genoma nel vigneto è stato effettuato nel 2007 su Vitis vinifera (uva Pinot Nero) da un consorzio franco-italiano coordinato dall'INRA. I ricercatori hanno reso pubblico ora anche quello della Vitis riparia "Gloire de Montpellier" che è il primo genoma di vite non europeo ad essere sequenziato, nonché il più antico portinnesto usato in Francia e, di fatto, padre di molti altri portinnesti attualmente utilizzati in viticoltura.

Il lavoro di sequenziamento è iniziato nel 2016, combinando tre approcci complementari che hanno portato ad una mappatura genetica completa. Ciò costituisce una ricchezza di informazioni aggiuntive molto utili agli studiosi di settore. In tutto sono stati identificati circa 37.000 geni. I ricercatori hanno anche eseguito una prima analisi comparativa con la sequenza dell'uva Pinot Nero. Hanno osservato una corrispondenza molto grande nonostante una divergenza di evoluzione risalente a circa 50 milioni di anni fa. Queste analisi saranno completate per caratterizzare i geni conservati, le loro differenze, i punti di convergenza e per studiare i meccanismi molecolari e genetici che regolano i tratti di interesse in diversi rappresentanti del genere Vitis e la loro diversità.

Infine, i ricercatori hanno messo a disposizione a tutta la comunità scientifica un browser per circolare virtualmente nel genoma e cercare un gene per visualizzarne la posizione e vederne la composizione. Presto sarà accessibile dal sito web dell'unità di ricerca congiunta Ecofisiologia e genomica funzionale della vite: https://www6.bordeaux-aquitaine.inra.fr/egfv

Lo studio apre nuove strade per l'identificazione di geni di interesse agronomico che sono assenti nelle viti europee (resistenza a malattie e parassiti, adattamento all'ambiente), alcuni dei quali specifici per le radici e permette inoltre di prevedere nuove prospettive per il miglioramento e la gestione della vite.

DreamLab: l’app per aiutare la ricerca sul cancro

Arriva anche in Italia l’iniziativa che permette di mettere a disposizione di un progetto di ricerca la potenza di calcolo del proprio smartphone. E' un’app di Fondazione Vodafone e Airc che consente a chiunque di mettere al servizio la capacità di elaborazione del telefono per la ricerca oncologica dell’Ifom.





Aiutare la ricerca sul cancro? Si può fare a occhi chiusi. Non è un modo di dire, ma la nuova brillante idea di Fondazione Vodafone e Airc. Tutto ciò che serve è uno smartphone, un caricabatterie, l’app DreamLab e qualche buona ora di sonno.

Dopo aver scaricato la app e collegato il telefono al caricabatterie, basterà attivare DreamLab per far sì che la potenza di elaborazione dello smartphone sia messa a disposizione della ricerca, in modo da velocizzare i complicatissimi calcoli che sono sempre necessari al giorno d’oggi per gli studi oncologici. Fondazione Vodafone ha già lanciato l’app nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda, e in Italia ha messo l’app al servizio del progetto Genoma in 3D di IFOM, l’Istituto FIRC per l’oncologia molecolare.

Come spiega Francesco Ferrari, a capo del progetto di ricerca e responsabile del laboratorio di genomica computazionale di IFOM, Genoma in 3D punta a caratterizzare in modo accurato la struttura tridimensionale del DNA. “Finora la maggior parte della ricerca molecolare sul cancro si è concentrata sulle mutazioni che riguardano la porzione di DNA codificante per le proteine. Questa porzione, però, rappresenta solo una piccolissima parte del nostro DNA, circa il 2 per cento. Il restante 98 per cento contiene, tra le altre cose, istruzioni che servono a regolare se e quando i geni codificanti devono essere attivati, per fabbricare le rispettive proteine, e in che misura lo devono fare.”

Capire che cosa fanno queste regioni e come loro eventuali mutazioni influiscono sull'insorgenza e la progressione del cancro è uno degli obiettivi principali del gruppo di ricerca guidato da Ferrari. L'équipe si interessa in particolare degli effetti della struttura tridimensionale del DNA sulla funzionalità delle regioni non codificanti. “Il fatto è” precisa Ferrari “che all'interno del nucleo di una cellula i filamenti di DNA sono avvolti attorno a una serie di proteine e insieme a esse sono ripiegati in una specifica architettura in tre dimensioni che non è casuale, e anzi contribuisce a modulare la funzione delle regioni sia regolatorie sia codificanti.”

Per svolgere questo tipo di analisi servono strumenti bioinformatici e statistici molto potenti. È qui che entra in campo DreamLab. Più alto sarà infatti il numero di utilizzatori di smartphone che aderiranno al progetto, maggiore sarà la velocità di calcolo a disposizione dell'analisi dell’enorme quantità di dati sull'architettura 3D del DNA. “I risultati ci aiuteranno a interpretare il significato delle mutazioni nelle regioni non codificanti del genoma in pazienti con tumore” conclude Ferrari, sottolineando che all'inizio il progetto si concentrerà sul tumore del seno, uno dei più diffusi, per poi passare ad altri tipi di neoplasie come quelle del polmone e del pancreas.

Vuoi scaricare DreamLab?

Puoi trovare a questa pagina la versione Android e a questa la versione per iPhone. Comincia subito ad aiutare la ricerca sul cancro!

Vino e ricerca, Congresso OIV: la terza edizione è stata un successo

Un successo annunciato quello del 42º Congresso dell'OIV svoltosi in Svizzera. Tema centrale  della terza edizione: "Preservare e innovare: aspettative ambientali, economiche e sociali", in concomitanza la 17ª Assemblea generale dell'OIV approva 18 nuove risoluzioni. Ecco tutte le sintesi.



Oltre 750 partecipanti tra ricercatori, professionisti del settore, accademici e studenti accorsi da 50 Paesi hanno partecipato al 42º Congresso mondiale della vigna e del vino tenutosi a Ginevra in Svizzera.



Un successo grazie al lavoro del comitato organizzativo e del comitato scientifico svizzeri, presieduti rispettivamente da Simone de Montmollin e François Murisier. Dal 15 al 19 luglio scorsi, Ginevra si è trasformata nella capitale mondiale della vitivinicoltura. Membro dell’OIV dal 1934, la Svizzera aveva già ospitato il Congresso mondiale della vigna e del vino nel 1955 e nel 1977. In concomitanza la 17ª Assemblea generale dell'OIV ha concluso la settimana con l'approvazione di 18 nuove risoluzioni.

Le aspettative ambientali

Tema centrale della terza edizione del Congresso OIV è stato "Preservare e innovare: aspettative ambientali, economiche e sociali" ed i dibattiti si sono concentrati in particolare sul cambiamento climatico - a cui la vite è particolarmente sensibile - sulla valorizzazione dei prodotti (terroir, origine, qualità sanitaria e alimentare dei prodotti della vite, tenore zuccherino, allergeni,...) e ancora sulla protezione della vite, con la questione molto attuale della gestione degli input: un tema questo che è stato oggetto di una conferenza pubblica dal titolo "Approccio razionale all'uso degli input: contributi scientifici e percezione dei consumatori", tenutasi il giorno di apertura del Congresso.

La presidente dell’OIV, Regina Vanderlinde, ha evidenziato l'eccellente qualità delle 348 presentazioni tecniche e scientifiche e tra queste anche alcune presentate da Giappone e Nepal.

Il direttore generale dell'OIV, Pau Roca, che durante la cerimonia di apertura ha presentato il bilancio della situazione vitivinicola mondiale, si è congratulato per l'organizzazione svizzera di questo Congresso, che è il 4º più importante in termini di numero di presentazioni degli ultimi dieci anni. Le comunicazioni per le quali gli autori hanno ricevuto il consenso alla pubblicazione, saranno disponibili sul sito di EDP Sciences, Web of Conferences.

D'accordo con l'impegno per la sostenibilità dell'Organizzazione, questo 42º Congresso è stato il primo congresso dell'OIV "paper free", oltre ad aver visto, per la prima volta, l'uso di un'applicazione con cui è stato possibile consultare tutte le informazioni relative agli eventi e ai lavori scientifici presentati.

Le nuove risoluzioni dell'OIV

La 17ª Assemblea generale dell'OIV ha concluso la settima di lavori scientifici con l'adozione di 18 nuove risoluzioni. I testi completi delle risoluzioni adottate saranno pubblicati prossimamente sul sito dell'OIV.Per quanto  concerne il cambiamento climatico - una delle principali preoccupazioni del settore - è possibile evidenziare la risoluzione OIV-VITI 564B-2019, che definisce la selezione policlonale e un procedimento dell'OIV per il recupero e la conservazione della diversità intravarietale e la selezione policlonale della vite in vitigni con ampia variabilità genetica.

Le aspettative dei consumatori e la riduzione dell'uso di SO2: due questioni parimenti al centro del dibattito, sono state l'oggetto della risoluzione OIV-OENO 594A-2019, con cui si stabilisce un processo innovativo che consente, tra l'altro, di ridurre la carica microbica dei microrganismi indigeni, specialmente lieviti, nonché di ridurre le dosi di SO2 impiegate nella vinificazione.

Queste le sintesi di tutte le risoluzioni adottate. I testi completi  saranno pubblicati prossimamente sul sito dell'OIV.

Decisioni riguardanti la viticoltura e l'ambiente

• Nell'ambito della viticoltura, l'OIV ha adottato la definizione di "selezione policlonale" e un procedimento dell'OIV per il recupero e la conservazione della diversità intravarietale e la selezione policlonale della vite in vitigni con ampia variabilità genetica. Il procedimento si basa sulla genetica quantitativa e sulla statistica (Résolution OIV-VITI 564B-2019).

• Definizione e principi generali relativi alla viticoltura di precisione. Questa risoluzione tiene conto della necessità di individuare e di raccogliere protocolli tecnici e le buone pratiche relative alla viticoltura di precisione attualmente in uso o in fasedi sviluppo. La viticoltura di precisione (VP) privilegia una serie di strumenti informatici per comprendere la variabilità dei propri sistemi di produzione e per quantificare e mappare la variabilità intra-vigneto al fine di poterli gestire in modo mirato in funzione delle necessità reali di ciascuna sezione della parcella (Résolution OIV-VITI 593-2019).

• L’OIV ha adottato una raccomandazione sui criteri minimi per stabilire un protocollo OIV per l'identificazione delle varietà. L'obiettivo della risoluzione è armonizzare a livello internazionale i criteri per l'identificazione delle varietà di vite. Ove richiesto per il riconoscimento ufficiale e per la registrazione di una varietà è necessario avvalersi di questi criteri. Il protocollo dell'OIV può essere utilizzato anche nel caso di riesame di precedenti denominazioni varietali e di possibile revisione o cambio della denominazione. Il protocollo indica le procedure tecniche suggerite per poter identificare qualunque varietà di vite definendo le linee guida minime su caratteri ampelografici e genetici. (Résolution OIV-VITI 609-2019).

Decisioni riguardanti le pratiche enologiche

Varie risoluzioni riguardanti nuove pratiche enologiche andranno a integrare il Codice internazionale delle pratiche enologiche dell'OIV, in particolare:

• L'OIV ha deciso di completare la pratica enologica relativa all'aggiunta di tannino nei mosti (Risoluzione OIV-OENO 612-2019) e nei vini (Risoluzione OIV-OENO 613-2019) con dei nuovi
obiettivi. In particolare, sono stati aggiunti a complemento della stabilizzazione proteica e della chiarificazione, gli obiettivi relativi all'attività antiossidante e all'espressione del colore.

• Trattamento delle uve pigiate mediante ultrasuoni per favorire l'estrazione dei composti delle bucce. L'obiettivo di questa pratica è, in particolare, ottenere un mosto con una maggiore concentrazione di composti fenolici e altri composti dell'uva riducendo il tempo di macerazione rispetto alla tecnica
tradizionale (Résolution OIV-OENO 616-2019).

• L'aggiornamento della pratica enologica concernente gliattiv atori di fermentazione aggiungendo tra gli attivatori di fermentazione la cellulosa alimentare (Risoluzione OIV-OENO 633-2019).

• La pratica enologica relativa alla disacidificazione mediante batteri lattici. L'obiettivo di questa pratica è la riduzione dell'acidità totale e dell'acidità reale tramite l'uso di batteri lattici dei generi Lactobacillus, Leuconostoc, Pediococcus e Oenococcus al fine di elaborare vini equilibrati dal punto di vista delle sensazioni gustative e di degradare totalmente o parzialmente l'acido malico con mezzi biologici (Risoluzione OIV-OENO 611-2019).

• Il processo consiste nella riduzione dei microrganismi indigeni presenti sulle uve e nei mosti mediante l'uso di processi ad alta pressione discontinui, con pressioni superiori a 150 MPa . Gli

obiettivi di questo processo puntano in particolare a i) ridurre la carica microbica dei microrganismi indigeni, specialmente lieviti, ii) ridurre le dosi di SO2 utilizzate nella vinificazione, iii) accelerare la macerazione nella vinificazione in rosso (Risoluzione OIV-OENO 594A-2019).

• L'OIV ha adottato un nuovo limite di applicazione dellac arbossimetilcellulosa nei vini bianchi. a) La dose massima di utilizzo di carbossimetilcellulosa deve essere inferiore a 200 mg/L invece che a 100 mg/L (Risoluzione OIV-OENO 586-2019). Decisioni riguardanti le specificazioni dei prodotti enologici.

Le seguenti monografie andranno a integrare il Codex enologico internazionale

• Una revisione della monografia relativa alle soluzioni colloidali di diossido di silicio concernente la formulazione in dispersione acquosa o sotto forma di polvere secca. Sono state inoltre aggiornate alcune specificazioni di carattere fisico-chimico (Risoluzione OIV-OENO 617-2019).

• L'aggiornamento della monofrafia sull'idrogenosolfito di potassio, relativamente ai caratteri fisico-chimici (Risoluzione OIV-OENO 646-2019).

• L'aggiornamento della monografia sull'albumina d'uovo relativamente alle specificazioni su sostanza secca e pH (Risoluzione OIV-OENO 650-2019).

Decisioni riguardanti i metodi di analisi

Nel corso di questa seduta sono stati adottati nuovi metodi di analisi destinati a completare il corpus analitico dell'OIV. Nello specifico:

• L'aggiornamento del metodo di determinazione degli ftalati,
includendo i parametri di validazione ottenuti da un test interlaboratorio. A seconda delle prestazioni analitiche ottenute per ciascun singolo analita e in funzione dei loro risultati di riproducibilità, il metodo si deve considerare di tipo II o tipo IV (Risoluzione OIV-OENO 596-2019).

• Metodo di determinazione del poliaspartato di potassio nei vini mediante cromatografia liquida ad alta prestazione accoppiata a rivelatore fluorimetrico. Il metodo è applicabile all’analisi del Poliaspartato di Potassio (KPA) nei vini per concentrazioni superiori a 40 mg/L. La procedura operativa prevede la determinazione mediante derivatizzazione con Ortoftalaldeide (OPA) e successiva analisi cromatografica con rilevazione fluorimetrica del contenuto di acido aspartico nel vino pre- e post- idrolisi acida. Il confronto tra la differenza in contenuto di acido aspartico tra il campione idrolizzato e quello non idrolizzato sarà indice dell’aggiunta di poliaspartato (Risoluzione OIV-OENO 619-2019).

• Determinazione dell'acido acetico nei vini mediante metodo enzimatico automatizzato (Risoluzione OIV-OENO 621-2019). Il presente metodo consente la determinazione dell'acido acetico nei vini mediante analizzatore automatico sequenziale e analisi enzimatica specifica. L'intervallo di misura utilizzato nell'ambito della presente validazione interlaboratorio va da 0,2 a 1,14 g/L di acido acetico. In presenza di ATP, tramite una reazione catalizzata dall'acetato chinasi, l'acido acetico viene trasformato in acetilfosfato.

• Determinazione dell'acido D-gluconico nei vini e nei mosti mediante metodo enzimatico automatizzato (Risoluzione OIVOENO 622-2019). Questo metodo consente di determinare l'acido D-gluconico nei vini e nei mosti mediante un'analisi enzimatica specifica avvalendosi di un analizzatore automatico sequenziale, con concentrazioni dell'analita che vanno da 0,06 g/L a 5,28 g/L . Il principio del metodo consiste nella fosforilazione del D-gluconato presente nel campione durante una reazione enzimatica catalizzata dalla gluconato-chinasi (GK) e quindi nell'ossidazione del D-gluconato-6-fosfato in presenza di NAPD per formare NAPDH la cui concentrazione ottenuta corrisponde alla quantità di D-gluconato-6-fosfato e, pertanto, a quella dell'acido D-gluconico.

Decisioni riguardanti i limiti di contaminanti nei vini

• Infine, l'OIV ha adottato una riduzione del limite di piombo nei vini. Viene fissato un nuovo limite di 0,10 mg/L per il vino elaborato a partire dall'annata 2019. Viene fissato un limite di 0,15 mg/L per i vini liquorosi elaborati a partire dall'annata 2019. Il limite massimo di 0,15 mg/L riguarda i vini e i vini liquorosi elaborati con uve raccolte tra il 2006 e il 2018 (Risoluzione OIVOENO 638-2019).

L’Assemblea dell'OIV ha inoltre assistito al passaggio di testimone tra la Svizzera e il Cile, Paese ospite del prossimo 43º Congresso mondiale della vigna e del vino, che si terrà a Santiago dal 23 al 27 novembre 2020.

lunedì 29 luglio 2019

Pop Icons. Discovering Buñuel, un ritratto del padre del cinema surrealista

Un ritratto del padre del cinema surrealista, Luis Buñuel. È il documentario “Discovering Buñuel”, in onda stasera alle 21.15 su Rai5, che ripercorre la carriera di questo regista dissacrante e controverso. 




Luis Buñuel, il cineasta spagnolo che con il suo linguaggio filmico irriverente e trasgressivo, perennemente volto a dissacrare lo stile di vita borghese, fu sempre inviso ai benpensanti e che ha sempre rivendicato la soggettività e la parzialità del suo sguardo sul mondo, escludendo dalle sue opere cinematografiche ogni pretesa all’universalità.

Spagnolo di nascita, francese di adozione e rivoluzionario per vocazione. Gli studi universitari a Madrid, l’esilio volontario a Parigi, durante il quale la sua passione per il cinema prenderà corpo nei primi esperimenti concreti, l’incontro decisivo con Salvator Dalì e l’adesione al movimento surrealista costituiscono alcune delle tappe fondamentali del suo percorso esistenziale e artistico. 

Il documentario parte dagli esordi nel 1929 con "Un chien andalou", realizzato lavorando a stretto contatto con Salvador Dalí, passa per "L'Age d'Or" concepito come attacco alle istituzioni borghesi, e arriva al suo riconoscimento universale come regista. Buñuel vinse numerosi premi, anche come miglior regista a Cannes, e lavorò con alcune tra le star più importanti del periodo, come Jeanne Moreau e Catherine Deneuve.

Alimentazione e ricerca. Dagli agrumi un innovativo estratto benefico

Agrumi italiani: dalla ricerca del CREA un innovativo estratto benefico ricco di antocianine e polifenoli. Dimostrata l'efficacia sulla nefropatia diabetica. Lo studio pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Cellular Physiology.






La comunità scientifica è ormai concorde nel riconoscere le funzioni antiossidante e antinfiammatoria svolte dalle antocianine e dai polifenoli in generale, molecole bioattive naturali ampiamente presenti nel mondo vegetale, apprezzati per le loro proprietà salutistiche e per il contributo alla prevenzione di numerose patologie.

Il CREA, con il suo centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, ha valutato l’effetto preventivo dell’assunzione di un nuovo estratto proveniente dagli scarti di lavorazione dell'arancia rossa e della scorza di limone, ricco di antocianine e polifenoli, sullo sviluppo e avanzamento delle disfunzioni renali, in particolare la nefropatia diabetica.

La nefropatia diabetica è una malattia cronica che deteriora la funzionalità renale irreversibilmente, fino ad arrivare allo stadio terminale ed è particolarmente frequente in molti casi di diabete mellito (o diabete di tipo II), le cui cause vanno ricercate nell’iperglicemia, nello stress ossidativo e nell’infiammazione renale. Inibire, pertanto, lo stress ossidativo e l'infiammazione potrebbe essere fondamentale per contribuire a ostacolare il progressivo avanzamento della malattia.

Nel dettaglio, lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Cellular Physiology, è consistito nell’inserire nell’alimentazione di animali da esperimento (topi Zucher grassi diabetici) l’estratto di arancia rossa e di limone, per misurarne le ricadute sullo stress ossidativo, sulla funzione renale e su alcuni disturbi metabolici riscontrati nel diabete di tipo II. Le varietà impiegate sono state per l’arancia rossa ‘Tarocco’, ‘Moro’ e ‘Sanguinello’, per il limone il ‘Femminello’, in particolare della sua fioritura estiva, il ‘Verdello’.

Le analisi, effettuate dopo 6, 15 e 30 settimane, hanno evidenziato che tale estratto consente di ripristinare i normali livelli di glucosio nel sangue ed il peso corporeo. Sono stati, inoltre, neutralizzati i radicali liberi a beneficio di una maggiore efficacia del sistema antiossidante. In questo modo è stata attenuata, quindi, la gravità della nefropatia diabetica, bloccandone lo sviluppo, e sono stati limitati i danni renali indotti dal diabete mellito di tipo II. L’estratto è un brevetto CREA N° 102017000057761 “Metodo per la produzione di un estratto da sottoprodotti della lavorazione degli agrumi ed estratto così ottenuto”.

 «Possiamo ipotizzare – afferma Paolo Rapisarda, Direttore del CREA Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura - che l’assunzione di tale estratto, contenente i principi attivi delle arance rosse e del limone, potrebbe contribuire a migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da diabete di tipo II, dimostrando così, ancora una volta, gli importanti effetti benefici dei nostri agrumi»

Vino e territori, la Biancolella di Ponza, tra viticoltura eroica, biodiversità e mercato

La Biancolella è ritenuto il vitigno autoctono più rappresentativo dell'isola di Ponza e tra viticoltura eroica, biodiversità e mercato, si sta avviando ora un percorso di recupero che punta al rilancio della produzione vitivinicola locale. 



Introdotta nel corso dell’800 ad opera di coloni provenienti dall’isola di Ischia, la Biancolella è al momento ritenuto il vitigno autoctono più rappresentativo e con le maggiori potenzialità di crescita. L’isola di Ponza ha un’antica tradizione vitivinicola ed un esempio è dato proprio dall’ampia diffusione di terrazzamenti coltivati a vite. 



Risale a meno di due anni fa l’approvazione da parte del parlamento italiano del testo unico sul vino, il primo provvedimento organico a carattere normativo che contempla formalmente la salvaguardia e la valorizzazione della viticoltura ‘storica’ ed ‘eroica’ nel nostro paese, esaltandone la funzione di presidio contro il dissesto idrogeologico in aree determinate e richiamando il particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale delle coltivazioni.

Trovano così il giusto riconoscimento i valori sociali e culturali collegati alla coltivazione della vite e alla produzione del vino in particolari ambiti e si apre la possibilità di salvaguardare l’identità storica e sociale di una comunità che, attraverso il suo vino, può raccontare se stessa ed il proprio paesaggio. Condizione essenziale per garantire sopravvivenza e sostenibilità ai territori interessati, che solo dal connubio tra tutela paesaggistica e sviluppo turistico qualificato possono sperare di tenere in piedi le loro fragili economie locali. Situazioni queste ultime molto diffuse nel nostro paese, specie nelle aree interne e montane, ma molto spesso anche in quelle impervie costiere e insulari.

Nel Lazio, un caso esemplare è rappresentato dall’isola di Ponza dove un’antica tradizione vitivinicola, testimoniata tra l’altro dall’ampia diffusione di terrazzamenti coltivati a vite, a lungo oscurata per effetto dell’abbandono dell’attività agricola a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è saldata con una forte ‘vocazionalità’ turistica e soprattutto con la lungimiranza e lo spirito imprenditoriale di alcune aziende vitivinicole di primaria importanza regionale e nazionale.

A partire da questi primi investimenti, destinati a riproporre con nuove tecniche la tradizionale coltivazione, è possibile pensare ad un rilancio della produzione vitivinicola locale. Puntando su una varietà di vite da vino a bacca bianca, la Biancolella, introdotta nelle isole ponziane nel corso dell’800 ad opera di coloni provenienti dall’isola di Ischia, al momento ritenuto il vitigno autoctono più rappresentativo e dalle maggiori potenzialità.

In tale prospettiva, risulta di estrema importanza l’attività di censimento e successiva caratterizzazione dei vitigni autoctoni promossa e realizzata da Arsial, su mandato regionale, nel corso degli ultimi quindici anni. Tanto che attualmente, i vitigni autoctoni individuati sull’isola, risultano nella loro totalità iscritti ai registri nazionale e regionale delle varietà di vite idonee alla coltivazione e risale a circa due anni fa l’iscrizione dei medesimi al Registro volontario regionale a tutela delle risorse genetiche autoctone a rischio di erosione.

Recentemente l’Agenzia si è fatta anche promotrice, in sintonia con l’amministrazione comunale di Ponza, di un’opera di sensibilizzazione rivolta alla popolazione agricola locale tesa al recupero e alla riqualificazione dei vecchi vigneti abbandonati. Proponendo anche un percorso che, tenuto conto dei vincoli strutturali e normativi, contribuisca a far ‘emergere’ la superficie vitata esistente finora non dichiarata e di attivare tutti gli strumenti di sostegno a disposizione. Infatti, a fronte di oltre 300 ettari di vite censiti all’impianto (1910) dal catasto terreni delle isole ponziane, appena 6 ettari (4,7 a Ponza e 1,2 a Ventotene) risultano attualmente registrati allo schedario vitivinicolo. Di questi, 3,56 appartengono al vitigno Biancolella e si trovano a Ponza.

In primo luogo quindi occorre provvedere all’iscrizione, su istanza degli interessati e indipendentemente dal profilo giuridico del titolare, delle superfici vitate fino ad oggi non dichiarate – pre-condizione indispensabile per poter etichettare un vino con l’indicazione varietale – con l’obiettivo di raggiungere una massa critica di almeno 25-30 ettari complessivi.

In seconda istanza, favorire l’adesione alla rete di conservazione e sicurezza prevista dalla legge di tutela delle risorse genetiche a rischio di erosione (L.R. 15/2000), tra cui rientra dal 2017 anche la Biancolella, da parte di produttori che detengano superfici vitate inferiori ai 1.000 mq – e come tali esenti dall’obbligo di iscrizione al catasto vitivinicolo – garantendo loro la possibilità di accesso alle misure di sostegno del PSR (misura 10.1.8 “conservazione biodiversità vegetale”) che contempla contributi di 700 €/Ha, ovvero di 70 €/pianta fino a un massimo di 10 piante/Ha.

mercoledì 24 luglio 2019

Mostre. Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte

Ai Musei Capitolini, Sale Espositive di Palazzo Caffarelli la mostra Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte. Fino al 03/11/2019.


I Musei Capitolini rendono omaggio a Luca Signorelli uno dei più grandi protagonisti del Rinascimento italiano, attraverso una selezione di opere di grande prestigio provenienti da collezioni italiane e straniere. 



Nell'avvicinarsi dell’anniversario dei Cinquecento anni dalla morte di Raffaello, i Musei Capitolini rendono omaggio a Luca Signorelli (Cortona, 1450 ca. -1523), attraverso un’attenta selezione di circa 60 opere di grande prestigio provenienti da collezioni italiane e straniere, molte delle quali per la prima volta esposte a Roma, l’esposizione intende mettere in risalto il contesto storico artistico in cui avvenne il primo soggiorno romano dell’artista e offrire nuove letture sul legame diretto e indiretto che si instaurò fra l’artista e Roma.

Viene così celebrato, per la prima volta a Roma, uno dei più grandi protagonisti del Rinascimento italiano, la cui altissima parabola pittorica è stata oscurata solo dall'imponderabile arrivo di due giganti della generazione successiva: Michelangelo (1475-1564) e Raffaello (1483-1520), che al maestro di Cortona si erano però ispirati per raggiungere quell'insuperabile vertice della pittura che gli stessi contemporanei gli attribuirono.

Come scrisse infatti Giorgio Vasari, Luca Signorelli «fu ne’ suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun altro in qualsivoglia tempo sia stato già mai». Il percorso, organizzato in sette sezioni, parte da un’introduzione sull’errore vasariano del vero volto dell’artista, rappresentato nelle due diverse sembianze dai Busti realizzati da Pietro Tenerani (Museo di Roma) e da Pietro Pierantoni (Musei Capitolini, Protomoteca).

I visitatori vengono poi accompagnati nella Roma del pontefice Sisto IV (1471-1484), fra le Antichità Capitoline, e davanti ad alcune opere del Maestro in cui monumenti, antichità cristiane, e statuaria classica osservati a Roma rivivono o vengono rievocati, come il Martirio di san Sebastiano (Pinacoteca Comunale di Città di Castello), il Cristo in croce e Maria Maddalena (Galleria degli Uffizi), il tondo di Monaco e la pala di Arcevia.

Il percorso prosegue all’interno della Cappella Nova di Orvieto, ricostruita attraverso un gioco di riproduzioni retroilluminate, per giungere davanti ad alcuni suoi capolavori sul tema della grazia e dell’amore materno, fra cui la Vergine col Bambino del Metropolitan Museum of Art di New York e la preziosa tavola di proprietà della principessa Pallavicini. Seguono poi le sezioni dedicate al soggiorno di Signorelli a Roma sotto il pontefice Leone X (1513-1521) e ai suoi rapporti con Bramante e Michelangelo.

A conclusione della visita, un capitolo è dedicato alla riscoperta del Maestro tra Otto e Novecento nell’arte, nella letteratura e nel mercato antiquario, con la Flagellazione (Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, Venezia) e la Madonna col Bambino fra quattro santi e angeli (Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo)

Signorelli a Roma

Il nome del Maestro cortonese è legato alla città pontificia da una sola commissione documentata, l’affresco con il Testamento e morte di Mosè eseguito per la Cappella Sistina nel 1482. A Roma, infatti, Signorelli non ottenne quel riconoscimento che gli fu tributato in Umbria, nelle Marche e in patria, neppure quando nel 1513 fu eletto al soglio pontificio Leone X Medici, presso la cui famiglia era stato ‘a servizio’ a Firenze.

Se Roma non fu generosa con lui, fu proprio in seguito alle sue esperienze romane che Signorelli elaborò il linguaggio pittorico originale che contraddistinse sia la sua produzione giovanile sia quella matura, con la «perfetta fusione tra civiltà classica e cristiana». A Roma Signorelli ebbe occasione di conoscere direttamente le origini della cristianità e le sculture antiche: in particolare quelle già presenti sul Campidoglio, come lo Spinario - il celebre bronzo giunto sul colle capitolino nel 1471 con la donazione al popolo romano da parte di Sisto IV.

Dallo studio dell’Antico Signorelli ricavò un particolare repertorio tipologico di nudi maschili e una varietà di pose che rivivono nelle figure che abitano, come ‘comparse’, le sue scene dipinte. Nella sua continua evoluzione, ingredienti come dinamismo, tensione, animazione, classicità e grazia troveranno una perfetta fusione nel suo capolavoro assoluto: gli affreschi sulle pareti della Cappella Nova a Orvieto (1499-1504), una scuola per i grandi Maestri del Rinascimento.

Tra oblio e riscoperte

Seppure considerato ai suoi tempi “in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio”, Luca Signorelli cadrà nell’oblio e solo nel tardo Settecento e soprattutto nel XIX secolo, con l’affacciarsi delle correnti puriste e preraffaellite, gli artisti e la critica lo riscopriranno come uno dei precursori della più alta stagione del Rinascimento. Immagini tratte dagli affreschi della Cappella Nova nel Duomo di Orvieto, detta anche di San Brizio, saranno inserite nella prima monumentale storia dell’arte illustrata da Seroux d’Agincourt e copie dei capolavori di Signorelli saranno più volte incise e riprodotte. Nel 1816 Roma riconoscerà a Signorelli un posto d’onore, collocando il suo busto ritratto nel Pantheon; alla metà dell’Ottocento Signorelli sarà eletto fra coloro che resero grande la patria, con il ritratto eseguito da Pietro Tenerani, finalmente con la sua vera effigie.

Suggestioni signorelliane si riscontreranno anche in molti pittori del Novecento, tra cui Franco Gentilini e Corrado Cagli, mentre nel 1903 sarà edita in Italia la prima importante monografia scientifica (Girolamo Mancini, Vita di Luca Signorelli) e nel 1953 sarà aperta la prima retrospettiva curata da Mario Salmi, accompagnata da infuocate polemiche. Al 2012 risale l’ultima rassegna monografica sull’artista, a Perugia.

Oblio e fortuna caratterizzeranno la figura di Signorelli anche in rapporto al fenomeno del collezionismo dilagante tra Otto e Novecento. Le sue opere, molto ricercate dal mercato antiquario, cominceranno a fluttuare nelle mani dei grandi mercanti d’arte, che non avranno scrupoli a smembrarle e decontestualizzarle, rifornendo di “Signorelli” i nascenti musei degli Stati Nazionali o arredando con opere di Signorelli le case museo dei grandi magnati americani.

A partire dal 1903 la Direzione Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione tentò di arginare questo fenomeno di dispersione, includendo nel “Catalogo delle opere di sommo pregio appartenenti ai privati”, pubblicato in allegato alla prima legge nazionale di tutela (1902), la Madonna con Bambino fra angeli e santi della collezione Tommasi di Cortona e impedendone di fatto la progettata alienazione.

Archeologia, Castelli Romani: scoperto il più antico calendario lunare in un ciottolo di 10.000 anni fa

Un nuovo studio, coordinato dalla Sapienza, scopre il più antico calendario lunare in un ciottolo del Paleolitico superiore proveniente dai Colli Albani. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports.





Il calendario lunare più antico è un ciottolo del Paleolitico superiore rinvenuto nella zona di Velletri, sui Colli Albani. A svelarlo è Flavio Altamura del Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, che ha presentato i risultati di analisi condotte su un’enigmatica pietra decorata più di 10.000 anni fa. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports.

Il reperto è stato rinvenuto nel 2007 sulla cima di Monte Alto, sui Colli Albani, a sud di Roma. Il manufatto è stato definito come strumento “notazionale” e rappresenta uno dei rarissimi reperti paleolitici per i quali gli studiosi hanno ipotizzato questo utilizzo. Ad attirare l’attenzione degli archeologi sono tre serie di brevi incisioni lineari, chiamate “tacche”, lungo tre lati adiacenti del ciottolo. I misteriosi segni comprendono rispettivamente sette, nove/dieci e undici tacche, disposte in maniera regolare e simmetrica, fino a esaurire lo spazio disponibile lungo ciascun lato.

Il complesso sistema di incisioni, il loro numero (27 o 28) e la loro distribuzione spaziale potrebbero indicare un sistema di conteggio basato sul ciclo della luna.

“Le indagini hanno rivelato – spiega Flavio Altamura – che le tacche sono state tracciate nel corso del tempo utilizzando più strumenti litici affilati, come se fossero servite per contare, calcolare o per immagazzinare la memoria di un qualche tipo di informazione”.

Il fatto che le incisioni presentino lo stesso numero dei giorni del mese lunare sinodico o sidereo rappresenta un caso unico tra i presunti oggetti interpretati come calendari lunari, rendendo l’esemplare di Monte Alto il più antico e verosimile esempio di questa categoria di manufatti nel record preistorico mondiale.

La scoperta è stata tanto straordinaria quanto inaspettata. Infatti la pietra è caratterizzata da una storia funzionale complessa: fu utilizzata prima come strumento per scheggiare e modificare manufatti di selce, cioè come percussore, per poi essere impiegata come pestello per polverizzare sostanze coloranti, per esempio l’ocra rossa. Dalle analisi petrografiche, i ricercatori inoltre hanno rilevato la composizione del ciottolo, constatando che questo tipo di materiale (calcare marnoso) proviene da siti geologici che distano decine di chilometri dal luogo di rinvenimento. Il ciottolo fu quindi trasportato a lungo prima di essere perso, abbandonato o deposto sulla cima di Monte Alto, un rilievo montuoso ripido e isolato.

Il reperto è quindi uno dei primi tentativi nella storia dell’uomo di comprendere e misurare lo scorrere del tempo e fornisce nuove acquisizioni sulle capacità cognitive e matematiche dell’uomo preistorico. Il manufatto dei Colli Albani, per quanto primordiale, può essere considerato l’antenato del moderno calendario “da tavolo” e segna in un certo senso l’inizio dell’interesse "scientifico" della nostra specie per la luna.

Nel Paleolitico, l’uomo fece quindi il primo piccolo passo del cammino che lo ha portato, 10.000 anni dopo, alla conquista del nostro satellite.



Riferimenti:
A new notational artifact from the Upper Paleolithic? Technological and traceological analysis of a pebble decorated with notches found on Monte Alto (Velletri, Italy) - Altamura, F. - Journal of Archaeological Science: Reports 2019, 26, 101925.   DOI: https://doi.org/10.1016/j.jasrep.2019.101925

Musica. Paolo Fresu & Daniele Di Bonaventura with Jaques Morelenbaum

L’Estate a Casa del Jazz: appuntamento con Paolo Fresu & Daniele Di Bonaventura with Jaques Morelenbaum. Il 25 luglio 2019 ore 21.00.





Un appuntamento da non perdere per gli amanti del jazz di qualità con Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura, un duo che vive ormai da anni una dimensione davvero particolare: l'incontro di due strumenti così apparentemente dissimili quali la tromba e la “fisarmonica argentina”.

A loro si unisce il violoncellista carioca Jaques Morelenbaum, maestro del suono, della musica evocativa, un “must” della musica brasiliana contemporanea. Un incontro, quello fra il trombettista sardo e il bandoneonista marchigiano, ormai ben rodato attraverso tanti concerti e che viene veicolato con intelligenza attraverso un concerto di grande effetto ricco di poesia, intimismo e di quelle piccole cose capaci di raccontare i colori dell'universo musicale contemporaneo.

Da un’altra parte del cielo vive invece l’incontro con Jaques Morelenbaum, ben noto in Italia specialmente per le tante importanti frequentazioni con l’importante nome di Caetano Veloso. Le sonorità fondamentali sono ovviamente quelle che si appoggiano sull'immenso patrimonio sonoro brasiliano, "filtrato" dalle lenti mediterranee e dalla ricerca del peculiare suono di Fresu.

martedì 23 luglio 2019

Teatro, musica, danze popolari, Fantastiche Visioni: il Festival ad Ariccia

Al via ad Ariccia il Festival Fantastiche Visioni 2019. Labirinti di suoni e di sogni. Musica e danze popolari con Tarant…Ariccia! Suoni del Mediterraneo. Teatro ed esperienza immersiva nel seicentesco giardino/scrigno di Palazzo Chigi di Ariccia con Labirinto d’Amore – Orlando Furioso. Dal 26 luglio al 4 agosto 2019 Parco di Palazzo Chigi – Via dell’Uccelliera, 1. Ariccia (RM).





Per festeggiare i 10 anni di una delle manifestazioni che più ha allietato negli anni il pubblico romano e non solo, dialogando con il territorio attraverso proposte alte e al tempo stesso popolari, ad Ariccia (RM) dal 26 luglio al 4 agosto 2019 torna Fantastiche Visioni, che per l’occasione si rinnova nel segno della valorizzazione del patrimonio culturale.

Risvegliare e tutelare l’identità e il senso di appartenenza comune alle terre del centro e del sud Italia è, infatti, l’obiettivo della decima edizione che, dopo aver proposto negli anni grandi nomi del teatro, oggi concentra l’attenzione su un connubio tra Teatro, Musica e Danza, dove l’espressione “popolare” si riappropria dei suoi contenuti più nobili e delle sue caratteristiche di efficace connettore culturale, con l’intento di riavvicinare il numeroso pubblico ai suoni più antichi della patrimonio musicale nostrano, oltre che al patrimonio poetico e teatrale.

A questo scopo, insieme allo spettacolo immersivo sulle parole di Ludovico Ariosto nel seicentesco giardino/scrigno di Palazzo Chigi di Ariccia, “Labirinto d’Amore – Orlando Furioso nel Parco Chigi di Ariccia”, che a grande richiesta torna in scena dopo i sold out della scorsa estate, Fantastiche Visioni per il 2019 propone per la prima volta un programma di musica e danze popolari con la partecipazione di artisti nazionali ed internazionali, dal titolo: “Tarant…Ariccia! Suoni del Mediterraneo”. Un contenitore di spettacoli musicali dal vivo e di esperienze didattiche relative alle danze popolari, ideato per fare di Ariccia il nuovo approdo di un viaggio in cui artisti della scena italiana – e non solo – faranno conoscere la forza di una tradizione musicale che si rinnova continuamente pur mantenendo intatto il suo fascino.

Un insieme di musiche e di storie e di esperienze artistiche che rappresentano un patrimonio da tramandare e riscoprire per non perdere la memoria musicale – vero elemento identificativo di una comunità e di una nazione – ma pronto a reinventarsi, ad aprirsi al mondo, alle musiche che arrivano dai tanti migranti e artisti che vivono ormai stabilmente in Italia, di dialogare con le altre sponde del Mediterraneo e oltre.

Si parte il 26 luglio con Salentrio, progetto nato dall’incontro musicale tra tre talentuosi protagonisti della scena popolare e world music italiana: Massimilano De Marco e Luca Buccarella e Roberto Chiga, per proseguire il 27 luglio con Alla Piazza, di Terreinazione Ensemble, che per l’occasione vede coinvolti, in un progetto site specific all’interno dei giardini incantevoli di Palazzo Chigi, un insieme di musici e danzatori provenienti da Italia e dal mondo.

Il 28 luglio e poi dall’1 al 4 agosto il parco interno di Palazzo Chigi in Ariccia diventa ancora una volta scenografia perfetta di “Labirinto d’Amore – Orlando Furioso” con la regia di Giacomo Zito: 14 attori per uno spettacolo immersivo negli spazi seicenteschi dei giardini che, con gli scorci suggestivi e le straordinarie strutture architettoniche che lo caratterizzano, si trasforma in scenografia ideale per la rappresentazione di questa divertente versione dell’epopea ariostesca. Una messa in scena totalizzante e itinerante, in cui lo spettatore è invitato a seguire 4 storie d’amore tratte dalla grande penna di Ludovico Ariosto, in uno dei patrimoni storici e artistici del Lazio.
Fantastiche Visioni è un progetto realizzato da Arteidea Eventi e Servizi con il contributo economico del Comune di Ariccia, e con la collaborazione dell’Associazione Culturale Amici di Palazzo Chigi.

PROGRAMMA E CALENDARIO
26 luglio – 4 agosto 2019
Parco di Palazzo Chigi – Via dell’Uccelliera, 1 – Ariccia

Fantastiche Visioni 2019 – X edizione
Tarant…Ariccia! Suoni del Mediterraneo

VENERDÌ 26 luglio 2019
Tarant…Ariccia! Suoni del Mediterraneo
Parco di Palazzo Chigi
ore 17:00 – 19:00

TARANTELLAB: Laboratorio Danze Popolari
laboratorio di approccio alle danze popolari, propedeutico alla serata musical: un’occasione di sperimentazione corporeo alle sonorità e alle danze popolari del Centro Sud Italia.
Sarà un incontro esperienziale di avvicinamento alle danze popolari, attraverso le quali si attraverseranno le varie regioni e le loro sonorità, accordando il corpo ai diversi ritmi in modo fluido e istintivo. L’obiettivo sarà quello di sperimentare la danza con semplicità, vivendola da dentro.
Il laboratorio è tenuto da Samanta Chiavarelli e offerto da A.P.S. Cotula

Info e prenotazioni preno@arteideaeventieservizi.it
tel: 345 8302798 – 345 9615409
partecipazione gratuita.

Parco di Palazzo Chigi
ore 21:30

SALENTRIO – CONCERTO DI MUSICA POPOLARE SALENTINA
Massimiliano De Marco, Luca Buccarella, Roberto Chiga
Pizzica e canti del Salento
A.P.S. Cotula – Terre in Azione
Il progetto nasce dall’ incontro musicale tra tre talentuosi protagonisti della scena popolare e world music italiana: Massimilano De Marco e Luca Buccarella e Roberto Chiga. Da giovanissimi formano il loro gusto musicale grazie all’incontro con alcuni tra i portavoce piu significativi della cultura tradizionale salentina, tra cui: Uccio Aloisi, Luigi Cafaro, Pino Zimba, Cantori di Carpino, Antonio Calzolaro. Successivamente intraprendono una personale ricerca che va dallo studio tecnico dei diversi strumenti, alla musico-terapia e infine alla composizione musicale, che li porta ad integrare canti e suonate appresi tradizionalmente con competenze musicali specifiche. Salentrio è un esplosivo trio di musica popolare salentina che, con la spontaneità e la goliardia tipiche delle feste da ballo , propone un ampio repertorio composto da: pizzica pizzica, stornelli, canti polivocali alla stisa , valzer, mazurke, suonate di barberia, e altre tarantelle tipiche delle varie zone del sud Italia.

Info e prenotazioni preno@arteideaeventieservizi.it
tel: 345 8302798 – 345 9615409
biglietti: € 10 intero, € 8 ridotto (under 18 e residenti).

SABATO 27 luglio 2019
Tarant…Ariccia! Suoni del Mediterraneo
Parco di Palazzo Chigi
ore 17:00 – 19:00

TARANTELLAB : Laboratorio Danze Popolari
laboratorio di approccio alle danze popolari, propedeutico alla serata musicale tenuto da Samanta Chiavarelli e offerto da A.P.S. Cotula

Info e prenotazioni preno@arteideaeventieservizi.it
tel: 345 8302798 – 345 9615409
partecipazione gratuita.

Parco di Palazzo Chigi
ore 21:30

ALLA PIAZZA – CONCERTO DI MUSICA POPOLARE – TerreInAzione ensemble
Giuliano Gabriele voce, organetto
Anna Maria Giorgi voce
Luca Attura Voce, chitarra Battente, tamburello
Lucia Cremonesi viola, lira calabrese
Eduardo Vessella tamburi a cornice, percussioni
Gianfranco De Lisi basso acustico
Carmine Scialla chitarra battente e bouzouki
Francesco di Cristoforo fiati e cornamuse
direzione Giuliano Gabriele
tecnico del Suono Giammo
coreografie di Samanta Chiavarelli
A.P.S. Cotula – Terre in Azione

Un tempo “alla piazza” ci si trovava per ogni cosa; alla piazza c’erano le Osterie, le panchine, i giardini, comunque luoghi di transito, ma anche di incontro.
La piazza è il vero testimone della storia dei nostri luoghi.
L’evento musicale valorizzerà proprio la bellezza dell’incontro tra culture e tradizioni diverse, incontro che vedrà la presenza di un gruppo musicale appositamente costituito per l’occasione, con la partecipazione di artisti di rilievo nazionale ed internazionale e provenienti dalle diverse regioni del centro sud, per presentare brani e danze della propria tradizione popolare.

Info e prenotazioni preno@arteideaeventieservizi.it
tel: 345 8302798 – 345 9615409
biglietti: € 10 intero, € 8 ridotto (under 18 e residenti).

MARFISA E RUGGERO – Alessandra Patella, Dario Di Luccio – foto di Marco Bonomo

LABIRINTO D’AMORE Orlando Furioso nel Parco Chigi in Ariccia
Duelli, magie, incantesimi e gesta eroiche
TERZO ANNO DI REPLICHE!
Uno spettacolo immersivo nel seicentesco giardino/scrigno di Palazzo Chigi di Ariccia, sulle parole di Ludovico Ariosto

DOMENICA 28 luglio 2019
GIOVEDÌ 1 agosto 2019
VENERDÌ 2 agosto 2019
SABATO 3 agosto 2019
DOMENICA 4 agosto 2019

Parco di Palazzo Chigi ore 19.30
LABIRINTO D’AMORE – Orlando Furioso nel Parco Chigi di Ariccia – Edizione 2019
regia Giacomo Zito
Arteidea Eventi e Servizi produzioni

Info e prenotazioni preno@arteideaeventieservizi.it
tel: 345 8302798 – 345 9615409
biglietti: € 10 intero, € 8 ridotto (under 18 e residenti).

Dopo il successo delle due precedenti edizioni torna Labirinto d’Amore: 15 attori per uno spettacolo immersivo negli spazi seicenteschi dei giardini di Palazzo Chigi di Ariccia (RM) che, con gli scorci suggestivi e le straordinarie strutture architettoniche che lo caratterizzano, si trasforma in scenografia ideale per la rappresentazione di questa divertente versione dell’epopea ariostesca. Una messa in scena totalizzante e itinerante, in cui lo spettatore è invitato a seguire 4 storie d’amore tratte dalla grande penna di Ludovico Ariosto, in uno dei patrimoni storici e artistici del Lazio.
Magie, incantesimi e poteri sovrumani: nell’Orlando Furioso tutto è possibile, proprio come in un sogno, e, come in un sogno, tutto ciò che accade rimanda a simboli nascosti nel profondo del nostro inconscio.
Il risultato, grazie alla regia di Giacomo Zito, è un mondo magico, dentro il quale lo spettatore/viaggiatore si addentra e, coinvolto in prima persona, si perde per seguire le avventure dei personaggi.
Il pubblico si muove in questo labirinto godendosi la caleidoscopica coralità di immagini, voci e suoni generati dalla rievocazione da parte dei personaggi delle loro avventure e dei loro travagli amorosi, alcuni dei quali impressi energicamente nell’immaginario collettivo, come la follia di Orlando a causa del’amore di Angelica per il giovane Medoro.
Un’atmosfera di sogno, un remoto e imprevedibile universo dove tutto ciò che accade alimenta l’illusione che il tempo possa essersi fermato.
Una ricostruzione che al tempo stesso è viaggio nell’immaginario e momento unico per godere di uno dei più grandi capitoli della nostra letteratura, in uno spazio unico visitabile così anche in orario serale.

Labirinto d’Amore – Orlando Furioso nel Parco Chigi in Ariccia
con Luigi Pisani, Chiara Di Stefano, Laura Rovetti, Nicola Sorrenti, Mirella Dino, Giordano Bonini, Francesca La Scala, Daniele Ponzo e con Dario Di Luccio, Federico Lunetta, Alessandra Patella, Lorenzo Stamerra, Jacopo Strologo, Elisa Cocco, Riccardo Zito.

lunedì 22 luglio 2019

Formazione. Arriva la prima Scuola Universitaria per Maestri Assaggiatori di Vino

Aprono ufficialmente le iscrizioni al primo percorso accademico dedicato all’assaggio tecnico del vino. SUMAV Scuola Universitaria per Maestri Assaggiatori di Vino, istituita dal Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino in collaborazione con l’ONAV Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino, partirà il prossimo autunno. Le iscrizioni entro il 30 settembre 2019.





Dopo anni di lavoro e confronto di alcune delle personalità più autorevoli del mondo scientifico e della degustazione enologica per mettere a punto uno strumento di formazione di altissimo livello, arriva la Scuola Universitaria per Maestri Assaggiatori di Vino.

Il percorso accademico si prefigge di fornire ad esperti assaggiatori, tecnici del settore enologico, enologi e sommelier, aggiornamenti e approfondimenti in tema di tecniche e metodologie di assaggio dei vini. Si potranno acquisire, quindi, tutti gli strumenti per definire le caratteristiche derivanti da espressione varietale, territorio e tecniche di vinificazione, per valutare il livello qualitativo dei vini ed esprimere giudizi ai fini della valorizzazione e promozione nazionale e internazionale.

“Con grandissimo orgoglio – ha dichiarato Vito Intini, Presidente ONAV – vediamo in questo traguardo, tanto desiderato e frutto di anni di duro lavoro, il completamento non solo del nostro ciclo formativo, ma anche della figura stessa dell’Assaggiatore. Quello del Maestro Assaggiatore di Vino rappresenta il più prestigioso titolo ottenibile in Italia in campo enoico e certifica le massime competenze relative all’assaggio tecnico del vino. Si è potuto realizzare grazie al lavoro e all’impegno del nostro Comitato Scientifico e del suo Presidente, il professor Vincenzo Gerbi, con la collaborazione della Vice Presidente Nazionale ONAV Teresa Bordin e del Consigliere Nazionale Gianluigi Corona, ma anche del supporto di tutto il Consiglio Nazionale e del nostro Direttore Francesco Iacono”.

Il corso è organizzato in moduli per un totale di 60 ore, che si svilupperanno nel periodo novembre 2019 -marzo 2020, presso il Campus di Grugliasco dell’Università degli Studi di Torino: lezioni con accesso a numero chiuso permetteranno a 100 iscritti di ottenere, previo superamento dell’esame finale, il diploma di Maestro Assaggiatore di Vino. Il corso consentirà di acquisire anche il titolo di Maestro Assaggiatore ONAV (3° livello), che potrà essere assegnato soltanto a chi è già Esperto Assaggiatore, qualifica che si ottiene dopo aver frequentato con successo il corso di 2° livello dell’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino.

Tutti i dettagli sul corso, sul programma e sull’iscrizione (il termine è il 30 settembre 2019) sono disponibili nel sito di ONAV www.onav.it e www.onavnews.it

Vino e territori, DOC Spoleto entra nel Consorzio Tutela Vini Montefalco

Cresce il Consorzio Tutela Vini Montefalco: al Montefalco Sagrantino DOCG e al Montefalco DOC si aggiunge la denominazione Spoleto DOC. Antonelli: “Un territorio di grande valore con vini di indiscussa unicità e straordinaria longevità”. Ora si punta all'Erga Omnes.





Sotto un unico cielo, si allarga il territorio tutelato dell'Umbria del vino. La DOC Spoleto si aggiunge alle denominazioni rappresentate e tutelate dal Consorzio Tutela Vini Montefalco. L’assemblea straordinaria dei soci ha approvato all’unanimità il progetto di tutelare e promuovere anche la DOC Spoleto, oltre alla Montefalco DOC e DOCG.

La gestione completa della DOC Spoleto passa al Consorzio Tutela Vini Montefalco. Un traguardo molto importante per entrambe le denominazioni, grazie al quale si potranno sviluppare strategie comuni per la tutela e la promozione dei vini ottenuti da Sagrantino e Trebbiano Spoletino, accomunati da una indiscussa unicità ed una straordinaria longevità, oltre che da un territorio unico al mondo per storia, cultura, paesaggio.

“Grazie a questo importante passaggio completiamo la tutela e l’immagine di un territorio che vanta varietà autoctone di grande valore – afferma Filippo Antonelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco – con un paniere molto eterogeneo e sempre più interessante: ai grandi rossi, Sagrantino in primis, ma anche Montefalco Rosso e Montefalco Rosso Riserva, si aggiungono i vini bianchi, che stanno riscuotendo un successo sempre maggiore: il Montefalco Bianco, che vede sempre più protagonista il Trebbiano Spoletino, il Montefalco Grechetto e ora la Doc Spoleto, che comprende numerose aziende e Comuni, tra cui ovviamente Spoleto, che dà il nome alla denominazione”.

Il Consorzio, dunque, promuove, valorizza e tutela, attraverso i soci, un ventaglio di vini sempre più variegato. Proprio il Trebbiano Spoletino sta ottenendo grande successo, a testimonianza dell’importanza della varietà e di un territorio vocato a grandi bianchi oltre che a grandi rossi. “Quella del Trebbiano Spoletino è una realtà produttiva in grandissima crescita – continua Antonelli - grazie alla qualità altissima dei vini ottenuti; la produzione è largamente inferiore alla domanda e il vino viene molto apprezzato soprattutto sui mercati esteri”.

A questo quadro si aggiunge un altro elemento positivo e significativo: la decisione assunta all’unanimità dell’assemblea straordinaria dei soci del Consorzio Tutela Vini Montefalco, alla presenza di diversi produttori della Doc Spoleto, rappresenta il superamento di passate divergenze tra i territori e vuole essere solo il primo capitolo di collaborazione e di integrazione tra gli straordinari territori di Spoleto e di Montefalco: Spoleto, Trevi, Foligno, Montefalco, Bevagna, Castel Ritaldi, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria.

Ora già si guarda avanti con una prima ambiziosissima sfida: i produttori della DOC Spoleto presenti hanno infatti provveduto all’iscrizione al Consorzio, con l’obiettivo di raggiungere la rappresentatività necessaria ai fini dell’erga omnes, ossia nei confronti di tutti gli utilizzatori della denominazione di competenza, anche non aderenti al Consorzio, anche per il nuovo territorio tutelato.

sabato 20 luglio 2019

Ricerca. All’Aquila i giovani scienziati che progetteranno le città del futuro

Confluiranno all’Aquila da ogni parte del mondo i progettisti delle città del futuro. A loro è rivolta “Smart City looks like…”, una scuola internazionale estiva sul tema delle città intelligenti, che si terrà al Gran Sasso Science Institute (GSSI) dal 22 al 28 luglio. 




Nella settimana di lezioni, 30 giovani ricercatori provenienti da 19 paesi di 4 continenti studieranno come trasformare in realtà l’idea di smart city – una città efficiente, verde, aperta all’innovazione e alla partecipazione, che attrae talenti, crea lavoro e produce benessere.

Oltre che sull’internazionalità, la summer school organizzata da Leonardo Mariani dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e da Ludovico Iovino del GSSI punta anche sull’interdisciplinarità. Ciascun partecipante porterà nella scuola competenze diverse, che vanno dall’informatica all’economia, passando per l’urbanistica e l’architettura. Ad ampliare la varietà di prospettive in campo contribuirà inoltre la presenza di docenti di altissimo rilievo a livello europeo in ambito sia universitario che industriale. Solo per citarne alcuni, Antonio Puliafito, professore di ingegneria informatica all’Università di Messina e direttore del laboratorio nazionale Smart City del CINI; Julian Tait, cofondatore e CEO di Open Data Manchester; Saverio Romeo, esperto della Commissione Europea per il progetto Digital Cities Challenge.

A un anno dal convegno “I-Cities”, organizzato dall’Università dell’Aquila e dal Laboratorio Nazionale CINI “Smart Cities & Communities”, il GSSI torna a ospitare un altro evento di riferimento a livello nazionale sulle smart cities. È la conferma di come L’Aquila e le sue istituzioni scientifiche abbiano assunto un ruolo centrale nell’odierno dibattito internazionale sulle città intelligenti. Fin dalla sua fondazione, il GSSI studia la città da una prospettiva transdisciplinare – all’intersezione tra le proprie aree di ricerca in Informatica e in Scienze Sociali – e offre un corso di dottorato in Studi Urbani e Scienze Regionali.

I due organizzatori di “Smart City looks like…” esprimono una visione comune sugli obiettivi della scuola. “Nel corso della conferenza ‘I-Cities’ 2018 era emersa la necessità di formare studenti e giovani ricercatori di ambiti differenti e indirizzarli verso queste tematiche – spiega Ludovico Iovino. – Per rispondere a tale esigenza, io e Leonardo Mariani abbiamo progettato questa iniziativa, che coniuga la formazione teorica con le esperienze sul campo e i rapporti con il mondo industriale”.  “I partecipanti beneficeranno di una formazione profondamente interdisciplinare, che include temi come smart tourism, cybersecurity, IoT, mobilità intelligente, economia circolare, smart governance e open data – aggiunge Leonardo Mariani. – Inoltre l’elevata eterogeneità dei partecipanti, combinata alle numerose attività di gruppo previste, creerà un contesto stimolante che faciliterà la contaminazione dei saperi e delle idee”.

La città dell’Aquila non farà solo da cornice all’evento, ma diventerà un vero e proprio caso di studio, oggetto delle due esperienze sul campo previste dalla scuola. Il 24 luglio è prevista una visita alla sede della Thales Alenia Space, mentre il giorno seguente, docenti e studenti saranno introdotti da Fabio Graziosi, professore di ingegneria delle telecomunicazioni presso l’Università degli Studi dell’Aquila, al progetto “Incipit” per la realizzazione di un anello in fibra ottica al servizio di uffici, scuole e università. Seguirà un sopralluogo all’interno dello smart tunnel, l’innovativa struttura sotterranea in costruzione nel post-sisma aquilano, nata per proteggere e gestire al meglio servizi urbani e reti di comunicazione.

LA SCHEDA

Chi: Gran Sasso Science Institute, Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Che cosa: “Smart City looks like…”, scuola estiva sul tema delle città intelligenti.
Dove: Gran Sasso Science Institute, Via Michele Iacobucci 2, L’Aquila.
Quando: Da lunedì 22 a domenica 28 luglio.
Programma e sito ufficiale della Summer School: https://cs.gssi.it/summerschool/

venerdì 19 luglio 2019

Società. I centri e i servizi antiviolenza in italia: quanti sono e come funzionano secondo l'indagine Istat- Cnr







Sono complessivamente 338 i centri e i servizi specializzati nel sostegno alle donne vittime di violenza, ai quali si sono rivolte almeno una volta in un anno 54.706 donne; di queste il 59,6% ha poi iniziato un percorso di uscita dalla violenza. È la fotografia scattata da Istat e Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr, sulla base di accordi con il Dipartimento per le Pari Opportunità, per monitorare nel tempo le prestazioni e i servizi offerti alle vittime, con l’obiettivo di migliorare la copertura territoriale e la competenza del personale.

I risultati dell’indagine, che rientra tra le azioni previste dal Piano Strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne, si riferiscono al 2017. Sul totale di 338 centri e servizi antiviolenza monitorati, 253 sono quelli che sono riconosciuti dalle regioni e segnalati al Dipartimento per le pari opportunità come finanziabili in quanto aderiscono all’intesa Stato-Regioni sottoscritta nel 2014, mentre i restanti 85 non vi aderiscono.

La distribuzione regionale

In Italia, dunque, esistono 1,2 centri/servizi per ogni 100mila donne con 14 anni e più. Il dato medio è uniforme tra Nord e Centro, ed è più elevato nel Mezzogiorno dove i centri/servizi antiviolenza risultano 1,5 per 100.000 donne residenti.

Superano la media italiana le Regioni Abruzzo con 2,3 centri/servizi per 100 mila donne, la Provincia autonoma di Bolzano con 2,3, il Molise con 2,1 e la Campania con 2,0. In Sicilia, Basilicata e Lazio il numero dei centri/servizi è invece di poco inferiore a 1 per 100 mila donne. In media sono presenti circa 16 centri/servizi in ogni Regione/Provincia autonoma.

In numeri assoluti, Campania (51) e Lombardia (47) accolgono quasi il 30% dei centri/servizi antiviolenza presenti in Italia.

Le prestazioni e i servizi offerti

I centri antiviolenza si fanno carico delle vittime insieme ai servizi del territorio e alla rete territoriale. I risultati delle rilevazioni sulle prestazioni fornite dalle 338 strutture oggetto dell’indagine hanno fatto emergere:

- un’ottima offerta di alcune prestazioni fondamentali, quali ‘colloquio di accoglienza, orientamento e accompagnamento ad altri servizi presenti sul territorio’, ‘consulenza psicologica’, ‘consulenza legale’, che sono presenti e offerte in più del 90% dei centri/servizi antiviolenza;

- una buona offerta della prestazione ‘accompagnamento all’inserimento lavorativo/autonomia lavorativa’ (83,4%), soprattutto tra i servizi rilevati non aderenti all’intesa Stato-Regioni (96,5%), e della ‘disponibilità di alloggi sicuri come Case rifugio a indirizzo segreto e di primo livello’, quindi della salvaguardia della sicurezza della donna che si rivolge ai centri/servizi specializzati (82%), soprattutto tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (85,7%);

- una discreta diffusione di centri/servizi specializzati che effettuano la valutazione del rischio (77,5%), dato che risulta inferiore per i Centri non aderenti all’intesa tra Stato e Regioni (63,5%);

- una discreta presenza (73,4%) di servizi specializzati che effettuano l’accompagnamento all'autonomia abitativa, prestazione meno diffusa tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (65,6%);

- un’area problematica nell’accoglienza in emergenza (o al pronto intervento) offerta dal 63,6% dei centri/servizi specializzati presenti sul territorio italiano, caratterizzata da una rilevante eterogeneità territoriale, dovuta alla minore presenza di centri/servizi antiviolenza che offrono questo supporto nel Centro Italia rispetto al Nord e al Sud;

-un’area problematica nell’offerta di prestazioni rivolte a minori e a donne migranti in cui i centri/servizi specializzati che forniscono prestazioni rivolte a questo target di destinatari/e si attestano tra il 60% e il 65%. Le attività di supporto ai/alle figli/e minorenni vittime di violenza assistita risultano meno diffuse tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (50%), cosi come quelle di sostegno alla genitorialità (62,5%) e di mediazione linguistica-culturale (49%).

Le vittime e il percorso di uscita dalla violenza


Le donne che nel corso del 2017 hanno contattato almeno una volta un centro/servizio antiviolenza sono state in Italia complessivamente 54.706, in media 172 per ciascun centro/servizio. Nelle Regioni del Centro Italia si osserva un più elevato numero medio di donne che hanno contattato le strutture.

32.632 (59,6%) sono le donne che, sempre nel 2017, hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza, in media 103 per ogni centro/servizio sui 316 che hanno risposto al questionario. Le strutture del Nord hanno accolto, in media, 143 donne, quasi il doppio di quelli al Sud (58).

Le donne che hanno iniziato per la prima volta, nel 2017, il percorso di uscita dalla violenza sono state 23.999, in media 76 a centro/servizio, con un’affluenza più elevata nei centri/servizi localizzati al Nord (107); molto più basso il numero medio (42) delle donne che hanno avuto accesso per la prima volta ai centri/servizi del Sud.

Le donne straniere che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza sono risultate in totale 8.711, 28 in media nazionale per ogni servizio o centro antiviolenza. I centri aderenti ai requisiti dell’intesa Stato-Regioni hanno registrato una media di 31 straniere per centro/servizio antiviolenza, mentre i centri non aderenti all’intesa ne hanno conteggiate 15.

L’accessibilità e il lavoro in rete

Le caratteristiche strutturali e organizzative dei centri/servizi antiviolenza devono esser tali da garantire un efficace supporto e un’adeguata protezione alle donne che subiscono violenza e ai loro figlie/i, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul.

Dall’analisi dei dati per l’anno 2017 risulta:

- una buona diponibilità all’offerta: la maggioranza assoluta dei centri/servizi rimane aperto più di 5 giorni a settimana. Si tratta di 280 centri/servizi, pari all’82,8% del totale, con una maggiore presenza di centri/servizi con aperture oltre i 5 giorni nel Nord e tra i centri aderenti all’intesa Stato-Regioni;

- una non completa copertura della rintracciabilità telefonica: la reperibilità 24 ore su 24 è garantita da 231 centri, pari al 68,3%. I centri/servizi che la offrono sono prevalentemente al Sud (122, in valore assoluto), mentre al Centro e al Nord si ritrovano in misura minore. Esistono tuttavia altri strumenti di reperibilità: molte strutture antiviolenza si sono dotate di un numero verde e della segreteria telefonica;

- la positiva sinergia del sistema di aiuto: la grande maggioranza (88,5%) dei centri/servizi antiviolenza aderisce al numero di pubblica utilità 1522, soprattutto nel Nord e in misura significativamente maggiore tra i centri accreditati dalle Regioni;

- il consolidamento dell’approccio di rete come metodologia di lavoro: il 77,2%, dei centri/servizi fa parte di una Rete Territoriale Sono soprattutto i centri del Nord quelli che perseguono questo approccio, meno diffuso al Sud. Le strutture non riconosciute dalle Regioni risultano significativamente meno integrate nelle reti territoriali antiviolenza;

-l’anonimato e la privacy delle donne che si rivolgono ai Centri sono assicurati dalla presenza di più dell’80% di centri/servizi con operatrici che condividono un codice deontologico su riservatezza, segreto professionale e anonimato, in modo omogeneo tra le ripartizioni.

I finanziamenti


Nel 2017 oltre i tre quarti dei centri/servizi antiviolenza hanno ricevuto un finanziamento pubblico: sono 255 nel complesso, pari al 75,4%. Solo 58 Centri/servizi antiviolenza (17,2%) in tutto hanno ricevuto finanziamenti privati. Una rappresentanza del tutto marginale i 6 centri/servizi antiviolenza (1,8%) che hanno ricevuto nel 2017 finanziamenti per progetti specifici da parte della UE.

Vino e ricerca, il Lazio guarda ai vitigni resistenti

Vitigni resistenti, un’opzione da non sottovalutare per il territorio laziale. Presentati a Velletri i primi risultati di una sperimentazione in corso su queste varietà, condotta nell’ambito di una collaborazione tra Arsial e Crea-Ve.





Maggiore sostenibilità ambientale, tutela della salute degli operatori e dei cittadini in generale, salubrità del prodotto finale, riduzione dei costi di produzione e non ultimo risposta al cambiamento climatico: questi i buoni motivi che il Lazio del vino mette al centro delle sue logiche produttive, tanto che a partire dal 2016 Arsial ha avviato, presso l’Azienda dimostrativa di Velletri, un programma finalizzato alla valutazione della risposta agronomica ed enologica dei ‘vitigni resistenti’ nel contesto pedoclimatico laziale e alla verifica dell’effettiva tolleranza alle crittogame.

I punti chiave per il successo di un vitigno resistente sono quelli di possedere un profilo aromatico e polifenolico (per i rossi) di qualità comparabile o superiore a quello del genitore di vinifera o della varietà di riferimento e comunque in linea con le esigenze del mercato; coniugare tradizione ed innovazione (tradizione data dal parentale di vinifera, l’innovazione dalla introgressione dei geni di resistenza); esprimere buone attitudini agronomiche (produttività, vigore, rusticità ecc.); permettere una tangibile riduzione dei trattamenti fitosanitari e dei relativi costi; consentire la realizzazione di vigneti ad elevata sostenibilità ambientale.

Con questa ottica su una superficie di circa 2.500 mq. sono state messe a dimora le barbatelle di 10 ‘varietà resistenti’ alle principali patologie della vite, 5 a bacca bianca e 5 a bacca nera, certificate e fornite dai Vivai Cooperativi Rauscedo che ne detengono l’esclusiva grazie ad un accordo di collaborazione siglato nel 2006 con l’Università di Udine.

Nel 2018 i primi risultati di campo e gli esiti delle micro-vinificazioni hanno evidenziato buoni parametri analitici sia nei mosti che nei vini ottenuti. In particolare per i rossi, è stato possibile accertare accanto ad una buona struttura, la presenza di un buon contenuto in antociani e in polifenoli.

I rilievi in corso a Velletri sulle diverse tesi sperimentali a confronto, tendono a tenere sotto controllo i parametri connessi all'insorgenza delle malattie crittogamiche per saggiare l’effettiva tolleranza delle varietà in esame, la loro capacità di adattamento alle condizioni pedoclimatiche degli ambienti laziali, ma soprattutto a fornire l’evidenza scientifica per poter supportare l’eventuale autorizzazione alla coltivazione delle varietà suddette nel territorio della regione Lazio.

Infatti le medesime, pur essendo iscritte dal 2015 al registro nazionale delle varietà di vite, devono superare una serie di ulteriori controlli prima di poter ottenere l’idoneità alla coltivazione nella regione Lazio. Inoltre, trattandosi di varietà ottenute da incroci interspecifici tra vitis vinifera e altre specie del genere vite, non possono secondo la normativa vigente concorrere alla produzione di vini a denominazione di origine. Possono, al contrario, confluire nella costituzione delle IGT, a condizione che risultino iscritte nei relativi registri regionali e che la loro presenza sia contemplata dai relativi disciplinari di produzione.

A di là delle difficoltà da superare e dei tempi necessari per mettere a punto delle selezioni realmente tolleranti alle principali malattie nei diversi ambienti pedoclimatici, un ulteriore ostacolo è rappresentato dall’impianto normativo che, come si accennava, non contempla l’impiego di ibridi interspecifici per i vini di qualità.

Va da sé, che la selezione genetica finalizzata all’individuazione di fattori di resistenza alle patologie più frequenti, costituisce un filone di ricerca di grande attualità e dal notevole potenziale, soprattutto se si considera l’impatto sempre più pesante generato sull’ambiente e sulla salute umana dall’uso continuativo di fitofarmaci, in particolare per la coltivazione della vite per la cui difesa si impiegano, nell’Unione Europea, il 65% dei fungicidi totali.

Sostenibilità ambientale, associata naturalmente ad un sensibile miglioramento della sostenibilità economica, che troverebbe grande giovamento nel comparto viticolo grazie ad un risparmio del 70/80% di prodotti fitosanitari impiegati nella coltivazione, così come sembrerebbe possibile facendo ricorso a varietà resistenti.

Vino e cambiamento climatico. Nuovi test incoraggianti sull'utilizzo degli anti-traspiranti per contrastare l’accelerazione dei processi di maturazione delle uve

Un nuovo studio australiano ha testato l’effetto dell’applicazione di un anti-traspirante a base di pinolene, un sistema naturale per contrastare l’accelerazione dei processi di maturazione delle uve con forti anticipi dell’epoca di vendemmia dovuti al global warming.





Probabilmente una tecnica rivoluzionaria quella dell'utilizzo degli anti-traspiranti nella gestione del vigneto ed i test di un nuovo studio australiano sembrano incoraggianti. La tecnica del tutto naturale servirà ad affrontare due sfide fondamentali: contrastare l’accelerazione dei processi di maturazione delle uve e andare incontro alle preferenze dei consumatori sempre più rivolti a vini con moderato contenuto alcolico.

Lo studio condotto da Darren Fahey a capo di un team australiano di ricerca del NSW, il Dipartimento delle Industrie Primarie del settore vitivinicoltura, riflette e conferma le scoperte di altri studi precedenti, tutti con l'obbiettivo di mitigare gli effetti del cambiamento climatico sul processo di maturazione dell'uva attraverso metodi naturali come appunto quello del trattamento con anti-traspiranti, in questo caso il pinolene, polimero naturale ottenuto per distillazione dalla resina di pino.

Come ha spiegato il Dott. Darren Fahey: le condizioni di siccità aumentate e l'accelerazione della maturazione tecnologica delle uve con vendemmie sempre più in anticipo sono diventate una "nuova normalità" in viticoltura. Il nostro interesse era quindi rivolto a prodotti pronti da utilizzare per il viticoltore mantenendo i parametri di qualità dell'uva.

Lo studio ha testato gli effetti dell'anti-traspirante ad un tasso di applicazione dell'1 per cento su 2 cultivar di Vitis vinifera: Shiraz e Pinot Nero. Sette regioni vinicole del New South Wales sono state coinvolte, con differenti condizioni climatiche: fresco / caldo, caldo / secco, caldo / umido e molto caldo e nello specifico durante la stagione 2017-2018 con condizioni dichiarate di siccità dal NSW, che ha di fatto fornito un'eccellente opportunità per provarne l'efficacia. Il prodotto è stato utilizzato in forma concentrata emulsionabile all'acqua, formulato come polimero terpenico a base di pinolene, principio attivo (p.a. di­1­p­menthene).

Una volta irrorato l'anti-traspirante evapora nel giro di poche ore lasciando sulle foglie una sottile pellicola trasparente che limita in maniera parziale gli scambi gassosi per un periodo di circa 30­ / 50 giorni e, una volta degradato, consente alla foglia stessa un recupero di funzionalità pressoché totale (Palliotti et al. , 2008 e 2010) pur consentendo agli stomi, strutture coinvolte nel processo di fotosintesi, di rimanere aperti.

Risultati

Peso dell'acino, del grappolo e la resa sono tutti aumentati nella maggior parte dei vigneti coinvolti nella ricerca. Gli indici per la valutazione del grado di maturità delle uve come pH e acidità titolabile (TA) non sono stati influenzati dall'applicazione dell'anti-traspirante, mentre si sono avuti riduzioni della concentrazione degli zuccheri (° Brix) e antocianine ma senza alcun impatto sui fenolici totali.

Le microvinificazioni hanno prodotto vini con una concentrazione di alcol diminuita sia nel Pinot Nero che nello Shiraz. I pigmenti totali nello Shiraz sono risultati significativamente ridotti in tutti i vigneti trattati. Le concentrazioni di acido acetico sono aumentate con acidità titolabile diminuita nel vino Pinot Noir e pH aumentato in quello Shiraz. Nessuna differenza significativa invece è risultata in termini di zolfo libero, legato o totale e fenolici in entrambi i vini.

In conclusione lo studio ha raggiunto lo scopo di valutare l'uso dell'anti-traspirante a base di pinolene, principio attivo (p.a. di­1­p­menthene). Questi risultati preliminari suggeriscono che questo trattamento potrebbe fornire al viticoltore uno strumento per mitigare l’accelerazione dei processi di maturazione delle uve e facilmente utilizzabile per affrontare vendemmie anticipate con relative modifiche delle caratteristiche delle uve, del mosto e del vino a causa dei cambiamenti climatici.

Il Dott. Darren ha affermato tuttavia che sono necessarie ulteriori ricerche a lungo termine in diverse stagioni per valutare il pieno potenziale e il beneficio dell'uso dell'anti-traspirante. Il rapporto sullo studio rcondotto durante la stagione 2017-18 ed i relativi risultati saranno anche presentati alla conferenza tecnica dell'Australian Wine Industry che si terrà ad Adelaide dal 21 luglio al 25 luglio 2019.

giovedì 18 luglio 2019

Vino e ricerca, difesa del vigneto: due nuovi studi per contrastare il Mal dell'Esca

A difesa del vigneto scende in campo la ricerca del CREA per contrastare il Mal dell'Esca, una fra le malattie del legno della vite più diffusa e grave in molte zone viticole del mondo e in particolare in Europa. Gli studi pubblicati sulle riviste internazionali Environmental microbiology e Soil biology and biochemistry.





Una banca dati unica nel suo genere, il controllo biologico e la bonifica di suoli contaminati. Questa è la strategia che il CREA, con il suo centro di Viticoltura e Enologia, sta mettendo in campo per contrastare il mal dell’esca, una patologia che sta provocando importanti danni qualitativi e quantitativi alla viticoltura e ingenti perdite economiche per i produttori.

Il mal dell’esca della vite è dovuto all’azione spesso combinata o consecutiva di vari funghi, che attaccano il legno della pianta, compromettendo il passaggio dell'acqua e dei nutrienti dalle radici alla parte aerea. Proprio per queste ragioni, i ricercatori del CREA hanno messo a punto un sistema che gli ha permesso di caratterizzare nel dettaglio questa sindrome così complessa.

La ricerca del CREA

È stata realizzata la prima banca dati composta da funghi provenienti da piante sane e da piante malate. Questa collezione micologica è unica nel suo genere al mondo, perché per la prima volta sono stati individuati e caratterizzati anche i virus che infettano i funghi.  Ne è emerso che il fungo, dopo esser stato contagiato dal virus, è meno virulento, e di conseguenza, può, in alcuni casi, essere usato a sua volta come agente di controllo biologico per il mal dell’esca. Tali risultati hanno dato luogo a sperimentazioni successive: alcuni funghi provenienti dalle piante sane sono stati, infatti, testati anch’essi come agenti di biocontrollo per la loro capacità di contrastare quei funghi patogeni che provocano il mal dell’esca. I ricercatori del CREA ne stanno ancora sperimentando e valutando l'efficacia in pianta. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental microbiology ed è consultabile al seguente link: onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/1462-2920.14651.

Le indagini condotte non si sono limitate alla pianta: studiando la microflora del suolo è emerso che laddove siano presenti piante malate, risultano infettati anche i suoli, aumentando quindi la facilità e la rapidità di propagazione della sindrome. Con l’intento di bonificare i suoli contaminati, i ricercatori del CREA stanno recuperando la fauna microbica, attraverso una  colonizzazione mirata con funghi e batteri benefici, quali ad esempio quelli che aumentano l’azoto nel suolo senza concimare oppure quelli che favoriscono l’assorbimento di fosforo e minerali o quelli che combattono i patogeni. Questo studio è stato pubblicato sulla rivista Soil biology and biochemistry ed è consultabile al seguente link: www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0038071719301282?via%3Dihub.

Mal dell’esca: entità e danni

Questa malattia, da sempre associata a viti piuttosto vecchie, è ampiamente diffusa in tutte le aree viticole del mondo e attualmente causa gravi danni anche in impianti giovani, a causa della diversa sensibilità varietale e della variabilità dei sintomi. Una delle varietà più sensibili, per esempio, è il Glera, con cui si produce il prosecco: nei vigneti giovani (sotto i 10 anni) la diffusione di piante malate è tra il 2-4%, ma supera il 10% nei vigneti più vecchi. Per quanto riguarda le perdite economiche, il costo stimato è di 2.000 euro/anno/ettaro, utilizzando come parametri dei valori medi (un vigneto di 25 anni d’età e una percentuale di piante infette del 6%) e tenuto conto che l’incidenza aumenterà con l’aumentare dell’età del vigneto. Senza considerare che, per i vitigni che raggiungono la piena produttività dopo i 25 anni, l’entità del danno aumenta considerevolmente.

«Per contrastare questa patologia – ha dichiarato Walter Chitarra, ricercatore del CREA Viticoltura ed Enologia, fra gli autori dei due studi - è importante intervenire fin da quando il vigneto è giovane: purtroppo al momento tutti gli approcci sono preventivi ed, in particolare, si basano sul biocontrollo utilizzando il fungo benefico Trichoderma. Per quanto riguarda invece il reimpianto su terreni che presentavano alta incidenza di mal dell'esca si suggerisce una bonifica dei suoli favorendo una microflora benefica: questo può essere fatto utilizzando miscele di sovesci particolari, che arricchiscano il suolo attirando funghi e batteri benefici».