Verso una temperatura ideale di conservazione del vino. Uno studio dell'Australian Wine Research Institute ha messo in luce che anche piccole differenze di temperatura impattano significativamente su qualità e longevità del vino.
Un nuovo studio dell'Australian Wine Research Institute ha messo in luce che anche modeste differenze di temperatura possono avere un impatto misurabile sullo sviluppo di un vino in bottiglia in termini di conservabilità, evoluzione e qualità.
La ricerca getta una nuova luce, sfatando la convinzione comune che solo temperature estreme potessero impattare negativamente su conservabilità, evoluzione e qualità post-imbottigliamento dei vini. Attraverso lo studio iricercatori sono riusciti a dare un ulteriore risposta sulla questione della cosiddetta shelf life di un vino, in quanto nel post-imbottigliamento il vino inizia ad invecchiare attraverso una complessa interazione di diversi processi chimici che rendono difficile quantificare l'impatto della temperatura di conservazione. Faccio presente che la shelf life è definita come il periodo in cui si ha la sicurezza che il prodotto mantenga le caratteristiche sensoriali, chimiche e fisiche desiderate. La shelf life del vino è molto variabile in funzione della condizione iniziale del prodotto, incluso il packaging, e delle condizioni di conservazione e trasporto. I cambiamenti chimici nel vino possono avvenire con diverse velocità e la costante di velocità della reazione chimica è legata in maniera esponenziale appunto alla temperatura del sistema secondo l’equazione di Arrhenius. La velocità relativa di assorbimento di ossigeno e calo dell’SO2 nel vino aumenterà al crescere della temperatura.
Come è evidente, l’invecchiamento del vino in bottiglia è in sostanza il risultato di molte reazioni ed ognuna di esse avviene ad una data certa velocità diversamente influenzata dalle variazioni di temperatura, che modificano la composizione del vino e che, sotto un punto di vista macroscopico, si manifestano attraverso il colore. Queste variazioni di temperatura durante il periodo di conservazione del vino possono ad esempio causare cambiamenti nella pressione dello spazio tra tappo e bottiglia, in quanto la solubilizzazione dell’ossigeno dell'aria in esso contenuta viene modificata. Pressioni elevate infatti sono accompagnate da un aumento di ossigeno disciolto nel vino, favorendo le inattese ossidazioni post-imbottigliamento.
Il presente studio si è focalizzato, attraverso appositi test in laboratorio, sulla presenza di anidride solforosa (SO2). Questo composto viene aggiunto, alle dovute concentrazioni, al mosto o al vino durante i processi di vinificazione per le seguenti proprietà:
antiossidanti: SO2 protegge il vino dall'ossidazione provocata dal contatto con l'aria. In particolare impedisce l’ossidazione delle sostanze coloranti, dei tannini, degli aromi, dell’alcol e del ferro;
antisettiche: SO2 ha un effetto selettivo sui lieviti e distrugge o blocca lo sviluppo dei batteri della fermentazione malolattica e di quelli responsabili di malattie gravi dei vini;
solubilizzanti: SO2 facilita l'estrazione delle sostanze coloranti dalla buccia degli acini.
Inoltre, l’anidride solforosa, aggiunta in piccole dosi, determina un sensibile miglioramento del gusto proteggendo gli aromi, facendo sparire il gusto di svanito e i gusti di marcio o di muffa.
La concentrazione di SO2 nel vino preso in esame è stato il parametro per comprenderne lo sviluppo attraverso test effettuati in laboratorio. Sei casse di Cabernet Sauvignon del 2016 sono state acquistate in un normale negozio di vini. Le bottiglie in questione erano provviste di tappo a vite in quanto le differenze nella composizione dei prodotti correlate al tipo di chiusura applicata iniziano ad essere evidenti solo in condizioni estreme di stoccaggio: tempi molto lunghi o alte temperature di conservazione.
Tre di queste casse sono state conservate in laboratorio a temperatura controllata di 15.1°C, (standard deviation 0.3°C) e le altre tre alla temperatura di 21.5°C, (standard deviation 1.8°C) per un periodo di 12 mesi. Ogni mese tre bottiglie sono state prelevate dai rispettivi laboratori ed analizzate per determinare l'SO2 sia libera che totale attraverso l'utilizzo di analizzatore AWRI (Porter et al. 2017). Faccio presente che nel vino, una parte di anidride solforosa, detta libera, si trova sotto forma di gas o allo stato di combinazioni inorganiche (H2SO3, HSO3- e SO32-) che è poi quella parte in grado di svolgere l'azione antisettica. Parliamo invece di SO2 combinata quando è invece legata a sostanze di natura aldeidica, presenti nel vino. La somma dell'anidride solforosa libera e dell’anidride solforosa combinata costituisce l’anidride solforosa totale.
Allo scadere dei 12 mesi tutte le bottiglie di vino sono state inoltre analizzate per determinarne le differenze organolettiche (pH/TA, titolo alcometrico, glucosio, fruttosio, acido malico e acetico) e eventuali modifiche riguardo al colore ed ai fenoli. I risultati in questo caso non hanno mostrato significative differenze.
Per quanto riguarda invece la presenza di anidride solforosa, dopo 12 mesi la differenza di quella libera tra i due campioni di vino era 5,1 mg / L (inferiore del 22% nei campioni stoccati con temperatura più alta. Per la SO2 totale la differenza era di 9 mg / L (16% inferiore). Questi risultati suggeriscono che, a ragione di una significativa differenza in SO2, il vino conservato a 21,5°C ha con molta probabilità una durata significativamente più breve di quella conservato a 15,1°C.
I risultati dei test hanno messo in luce quindi che anche piccole differenze di temperatura possono avere un impatto misurabile sullo sviluppo di un vino in bottiglia. Va messo in evidenza che il campione di Sauvignon Cabernet utilizzato in questo studio era un vino di prima fascia, ovvero non con lo stesso potenziale di invecchiamento di un premium, ma comunque idoneo per gli obbiettivi della ricerca. In definitiva il presente studio ha dimostrato che differenze di temperatura relativamente modeste nella conservazione di un vino per un periodo prolungato possono essere quantificabili e quindi in grado di essere prese in considerazione per ulteriori lavori.
Referenze
Porter, B.; Barton, M.; Newell, B.; Hoxey, L. and Wilkes, E. (2017) A new validated method for the determination of free and total sulfur dioxide using a discrete analyser. AWRI Tech. Rev. 231:6-11. Somers, T.C. and Evans, M.E. (1977) Spectral evaluation of young red wines: anthocyanin equilibria, total phenolics, free and molecular SO2, “chemical age”. J. Sci. Food Agric. 28:279-287
giovedì 27 febbraio 2020
martedì 25 febbraio 2020
Ricerca, la storia evolutiva dei Sardi attraverso lo studio del DNA antico
Uno studio di un gruppo di ricerca dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb) e di UniSassari ha tracciato la storia evolutiva dei Sardi attraverso lo studio del DNA antico. Lo studio dal titolo “Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia” è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.
Un team di ricercatori guidati da Francesco Cucca, professore di Genetica medica dell’Università di Sassari e affiliato all’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb), Johannes Krause del Max Planck Institute di Jena e John Novembre della Chicago University è riuscito a tracciare la storia evolutiva dei Sardi, popolazione nativa e gruppo etnico da cui deriva il nome della Sardegna, attraverso mirate analisi a livello dell’intero genoma sul DNA estratto da resti ossei preistorici di 70 individui, provenienti da più di 20 siti archeologici su un periodo che parte dal Neolitico Medio e arriva fino al Medioevo.
Come comunicato dal prof. Cucca, i primi individui neolitici sardi mostrano una forte affinità genetica con le popolazioni coeve del Mediterraneo occidentale. Inoltre nell’isola si registra una sostanziale continuità genetica fino al periodo nuragico (II millennio a.C.). Comparando i risultati ottenuti dal DNA antico con quelli di migliaia di sardi contemporanei si osservano, a partire da individui dei siti fenicio-punici (I millennio a.C.), segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale. La maggiore continuità genetica della popolazione sarda rispetto ad altre contemporanee è nota. Per questo i sardi odierni evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di DNA estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti neolitici (tra 10.000 e 7.000 anni fa) e pre-neolitici (oltre 10.000 anni fa) dell’Europa continentale.
Lo studio conferma che queste somiglianze sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l’Ogliastra e la Barbagia. I sardi contemporanei rappresentano quindi una riserva di antiche varianti della sequenza del DNA risalenti a linee di ascendenza proto-europea, attualmente molto rare nell’Europa continentale. Lo studio di queste varianti aumenta considerevolmente la comprensione della funzione dei geni e quindi anche dei malfunzionamenti alla base di malattie genetiche.
Lo studio del DNA antico isolato da campioni acquisiti da siti archeologici, generalmente ossei, è imprescindibile per ricostruire gli eventi demografici del passato e in particolare della preistoria. Il DNA infatti varia da individuo a individuo in seguito a una sorta di errori che avvengono durante la sua replicazione, noti come “mutazioni”, i quali si accumulano di generazione in generazione.
Il confronto tra i punti del genoma in cui le sequenze di DNA differiscono tra individui (varianti genetiche), fornisce informazioni preziose su somiglianze, differenze, origine e relazioni passate. A causa della degradazione post-mortem, il DNA antico è più degradato rispetto a quello contemporaneo e ciò ha precluso per lungo tempo questo tipo di studi, se non in campioni eccezionalmente preservati come quelli rinvenuti nei ghiacciai o nel permafrost.
Negli ultimissimi anni lo studio del DNA antico è però stato rivoluzionato da progressi tecnologici che consentono di sequenziare e analizzare frammenti di esso corti e degradati, soprattutto i campioni provenienti dalla rocca petrosa nell’osso temporale che sono meglio preservati, anche in regioni a clima subtropicale-temperato come la Sardegna.
La ricerca pubblicata su Nature Communications ha quale primo autore Joseph Marcus, ma vi hanno contribuito tra gli altri i ricercatori Cosimo Posth, Luca Lai, Anna Olivieri, Carlo Sidore, Jessica Beckett, Robin Skeates, Maria Giuseppina Gradoli, Patrizia Marongiu, Salvatore Rubino, Vittorio Mazzarello, Daniela Rovina, Alessandra La Fragola, Rita Maria Serra, Pasquale Bandiera, Raffaella Bianucci, Elisa Pompianu, Clizia Murgia, Michele Guirguis, Rosana Pla Orquin.
Un team di ricercatori guidati da Francesco Cucca, professore di Genetica medica dell’Università di Sassari e affiliato all’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb), Johannes Krause del Max Planck Institute di Jena e John Novembre della Chicago University è riuscito a tracciare la storia evolutiva dei Sardi, popolazione nativa e gruppo etnico da cui deriva il nome della Sardegna, attraverso mirate analisi a livello dell’intero genoma sul DNA estratto da resti ossei preistorici di 70 individui, provenienti da più di 20 siti archeologici su un periodo che parte dal Neolitico Medio e arriva fino al Medioevo.
Come comunicato dal prof. Cucca, i primi individui neolitici sardi mostrano una forte affinità genetica con le popolazioni coeve del Mediterraneo occidentale. Inoltre nell’isola si registra una sostanziale continuità genetica fino al periodo nuragico (II millennio a.C.). Comparando i risultati ottenuti dal DNA antico con quelli di migliaia di sardi contemporanei si osservano, a partire da individui dei siti fenicio-punici (I millennio a.C.), segnali di flusso genetico da altre popolazioni, provenienti principalmente dal Mediterraneo orientale e settentrionale. La maggiore continuità genetica della popolazione sarda rispetto ad altre contemporanee è nota. Per questo i sardi odierni evidenziano un più elevato grado di somiglianza genetica con i campioni di DNA estratto da resti preistorici provenienti dallo stesso territorio ma anche da siti neolitici (tra 10.000 e 7.000 anni fa) e pre-neolitici (oltre 10.000 anni fa) dell’Europa continentale.
Lo studio conferma che queste somiglianze sono più marcate nelle aree storicamente più isolate quali l’Ogliastra e la Barbagia. I sardi contemporanei rappresentano quindi una riserva di antiche varianti della sequenza del DNA risalenti a linee di ascendenza proto-europea, attualmente molto rare nell’Europa continentale. Lo studio di queste varianti aumenta considerevolmente la comprensione della funzione dei geni e quindi anche dei malfunzionamenti alla base di malattie genetiche.
Lo studio del DNA antico isolato da campioni acquisiti da siti archeologici, generalmente ossei, è imprescindibile per ricostruire gli eventi demografici del passato e in particolare della preistoria. Il DNA infatti varia da individuo a individuo in seguito a una sorta di errori che avvengono durante la sua replicazione, noti come “mutazioni”, i quali si accumulano di generazione in generazione.
Il confronto tra i punti del genoma in cui le sequenze di DNA differiscono tra individui (varianti genetiche), fornisce informazioni preziose su somiglianze, differenze, origine e relazioni passate. A causa della degradazione post-mortem, il DNA antico è più degradato rispetto a quello contemporaneo e ciò ha precluso per lungo tempo questo tipo di studi, se non in campioni eccezionalmente preservati come quelli rinvenuti nei ghiacciai o nel permafrost.
Negli ultimissimi anni lo studio del DNA antico è però stato rivoluzionato da progressi tecnologici che consentono di sequenziare e analizzare frammenti di esso corti e degradati, soprattutto i campioni provenienti dalla rocca petrosa nell’osso temporale che sono meglio preservati, anche in regioni a clima subtropicale-temperato come la Sardegna.
La ricerca pubblicata su Nature Communications ha quale primo autore Joseph Marcus, ma vi hanno contribuito tra gli altri i ricercatori Cosimo Posth, Luca Lai, Anna Olivieri, Carlo Sidore, Jessica Beckett, Robin Skeates, Maria Giuseppina Gradoli, Patrizia Marongiu, Salvatore Rubino, Vittorio Mazzarello, Daniela Rovina, Alessandra La Fragola, Rita Maria Serra, Pasquale Bandiera, Raffaella Bianucci, Elisa Pompianu, Clizia Murgia, Michele Guirguis, Rosana Pla Orquin.
lunedì 24 febbraio 2020
Enoturismo: verso un itinerario franco-italiano di vigneti alpini
Allo studio un percorso transfrontaliero di vigneti alpini di Savoia, Valle d'Aosta e Piemonte. Il progetto si concluderà nel corso del 2020.
Allo studio un percorso transfrontaliero di vigneti alpini di Savoia, Valle d'Aosta e Piemonte, grazie al progetto "Alcotra" avviato nel 2016 tra Francia e Italia. L'obiettivo è la conservazione dei paesaggi vitivinicoli e lo sviluppo dell'enoturismo.
Il progetto prende piede dalla considerazione che, ben prima del tracciamento dei confini amministrativi tra le nazioni e le regioni segnassero la storia dei singoli territori, le montagne torinesi, valdostane e savoiarde erano profondamente collegate. Sui due lati delle Alpi si coltivava la vite, spesso aggrappata a pendii scoscesi; i vitigni selezionati e adattati a queste condizioni ambientali venivano scambiati, seguendo il flusso di mercanti e viaggiatori.
La comune storia dei viticoltori, il singolare e prezioso paesaggio delle vigne addossate ai versanti sono di fatto i punti di partenza per esplorare con un nuovo sguardo le tre regioni, che già si offrono al visitatore per molte attrattive culturali, naturalistiche e sportive.
L'itinerario integrerà l'offerta turistica legata alla gastronomia, alla degustazione, alla geografia, alla storia e alla cultura. Verrà inoltre sviluppata un'applicazione digitale del percorso virtuale per renderlo noto ai visitatori.
l progetto opera in tre ambiti strategici: valori comuni e formazione degli operatori, riabilitazione del paesaggio, promozione turistica.
I punti salienti della sono: conoscere il mercato turistico e le strategie di marketing più opportune; riconoscere le eccellenze paesaggistiche da conservare o recuperare, in particolare i vigneti terrazzati e su pendio; identificare le connessioni socio-antropologiche, storiche, economiche che fondano l’immagine della viticoltura locale per promuovere la diffusione dei valori comuni e condivisi dagli abitanti e dagli operatori economici dei territori viticoli.
Sono previste inoltre attività informative, formative e di sensibilizzazione rivolte a protagonisti del settore viticolo e turistico, istituzioni, studenti, organismi di ricerca e università per arricchire la consapevolezza degli operatori della ricchezza del patrimonio fisico e culturale.
Allo studio un percorso transfrontaliero di vigneti alpini di Savoia, Valle d'Aosta e Piemonte, grazie al progetto "Alcotra" avviato nel 2016 tra Francia e Italia. L'obiettivo è la conservazione dei paesaggi vitivinicoli e lo sviluppo dell'enoturismo.
Il progetto prende piede dalla considerazione che, ben prima del tracciamento dei confini amministrativi tra le nazioni e le regioni segnassero la storia dei singoli territori, le montagne torinesi, valdostane e savoiarde erano profondamente collegate. Sui due lati delle Alpi si coltivava la vite, spesso aggrappata a pendii scoscesi; i vitigni selezionati e adattati a queste condizioni ambientali venivano scambiati, seguendo il flusso di mercanti e viaggiatori.
La comune storia dei viticoltori, il singolare e prezioso paesaggio delle vigne addossate ai versanti sono di fatto i punti di partenza per esplorare con un nuovo sguardo le tre regioni, che già si offrono al visitatore per molte attrattive culturali, naturalistiche e sportive.
L'itinerario integrerà l'offerta turistica legata alla gastronomia, alla degustazione, alla geografia, alla storia e alla cultura. Verrà inoltre sviluppata un'applicazione digitale del percorso virtuale per renderlo noto ai visitatori.
l progetto opera in tre ambiti strategici: valori comuni e formazione degli operatori, riabilitazione del paesaggio, promozione turistica.
I punti salienti della sono: conoscere il mercato turistico e le strategie di marketing più opportune; riconoscere le eccellenze paesaggistiche da conservare o recuperare, in particolare i vigneti terrazzati e su pendio; identificare le connessioni socio-antropologiche, storiche, economiche che fondano l’immagine della viticoltura locale per promuovere la diffusione dei valori comuni e condivisi dagli abitanti e dagli operatori economici dei territori viticoli.
Sono previste inoltre attività informative, formative e di sensibilizzazione rivolte a protagonisti del settore viticolo e turistico, istituzioni, studenti, organismi di ricerca e università per arricchire la consapevolezza degli operatori della ricchezza del patrimonio fisico e culturale.
venerdì 21 febbraio 2020
Ricerca, primo trapianto di cromosoma in cellule staminali per correggere difetti genetici
Ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del CNR e dell’IRCCS Humanitas hanno messo a punto un nuovo approccio per correggere in cellule staminali umane il difetto di una rara malattia genetica, la sindrome di Lesch-Nyhan, causa di problemi neurologici e comportamentali. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista internazionale "Molecular Therapy: Methods & Clinical Development.
Ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb) e dell’IRCCS Humanitas hanno ottenuto per la prima volta cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) in cui un cromosoma X affetto da una malattia genetica è stato sostituito con un altro sano.
Molte malattie genetiche sono correggibili con tecniche più semplici del trapianto cromosomico, come ad esempio la CRISPR/Cas9, che permette di intervenire sulle porzioni del genoma malato 'tagliandole' con una forbice molecolare o di sostituirle con sequenze sane.
Al contrario, le malattie cosiddette genomiche (dovute cioè ad alterazioni di grandi porzioni del DNA), come la maggior parte dei casi di Distrofia di Duchenne, possono essere corrette, almeno per ora, solo sostituendo l’intero cromosoma.
I cromosomi, che sono i portatori del DNA dell’individuo, componenti della cellula grandi circa un millesimo di millimetro, possono essere trasferiti da una cellula sana a quella malata solo mediante l’uso di microcellule. Tuttavia, il trapianto cromosomico, in cui un cromosoma difettoso viene sostituito in maniera perfetta con un suo simile sano non era mai stato effettuato.
La metodica prevede l’introduzione dall’esterno di un altro cromosoma X, e successivamente la selezione di quelle cellule in cui il nuovo cromosoma si è sostituito a quello originario. La cellula così ottenuta ha un genoma normale, mantiene tutte le sue proprietà iniziali e può essere utilizzata a scopi terapeutici.
Trattandosi di un approccio ancora inesplorato, i ricercatori guidati da Marianna Paulis e Paolo Vezzoni (Cnr-Irgb), con la collaborazione di Stefano Duga, professore di Biologia Molecolare di Humanitas University, hanno esaminato la possibilità di trapiantare un cromosoma X, che nell’uomo è portatore di numerose malattie.
“Si tratta di un nuovo possibile metodo per curare alcune malattie genomiche attualmente incurabili, perché la lesione è troppo grossa per essere riparata mediante le tecniche attuali, incluso il gene editing basato sulla tecnologia CRISPR”, spiega Paulis.
“Bisogna tuttavia dire chiaramente che ci vorranno parecchi anni perché questo approccio possa essere applicato al letto del malato”, precisa Vezzoni, che aggiunge: “Questa tecnica permette anche di trasformare una cellula staminale maschile in una femminile, un risultato che non è mai stato ottenuto in precedenza”.
“Il lavoro rappresenta un importante avanzamento scientifico dimostrando che le cellule, dopo il trapianto del cromosoma X, non presentano altre modificazioni inattese nelle sequenze codificanti del genoma, un aspetto molto importante per valutare la sicurezza della procedura in vista di possibili applicazioni terapeutiche”, conclude Duga.
I risultati della ricerca, finanziata anche dalla Fondazione Nicola del Roscio, sono pubblicati sulla rivista internazionale Molecular Therapy: Methods & Clinical Development.
Molte malattie genetiche sono correggibili con tecniche più semplici del trapianto cromosomico, come ad esempio la CRISPR/Cas9, che permette di intervenire sulle porzioni del genoma malato 'tagliandole' con una forbice molecolare o di sostituirle con sequenze sane.
Al contrario, le malattie cosiddette genomiche (dovute cioè ad alterazioni di grandi porzioni del DNA), come la maggior parte dei casi di Distrofia di Duchenne, possono essere corrette, almeno per ora, solo sostituendo l’intero cromosoma.
I cromosomi, che sono i portatori del DNA dell’individuo, componenti della cellula grandi circa un millesimo di millimetro, possono essere trasferiti da una cellula sana a quella malata solo mediante l’uso di microcellule. Tuttavia, il trapianto cromosomico, in cui un cromosoma difettoso viene sostituito in maniera perfetta con un suo simile sano non era mai stato effettuato.
La metodica prevede l’introduzione dall’esterno di un altro cromosoma X, e successivamente la selezione di quelle cellule in cui il nuovo cromosoma si è sostituito a quello originario. La cellula così ottenuta ha un genoma normale, mantiene tutte le sue proprietà iniziali e può essere utilizzata a scopi terapeutici.
Trattandosi di un approccio ancora inesplorato, i ricercatori guidati da Marianna Paulis e Paolo Vezzoni (Cnr-Irgb), con la collaborazione di Stefano Duga, professore di Biologia Molecolare di Humanitas University, hanno esaminato la possibilità di trapiantare un cromosoma X, che nell’uomo è portatore di numerose malattie.
“Si tratta di un nuovo possibile metodo per curare alcune malattie genomiche attualmente incurabili, perché la lesione è troppo grossa per essere riparata mediante le tecniche attuali, incluso il gene editing basato sulla tecnologia CRISPR”, spiega Paulis.
“Bisogna tuttavia dire chiaramente che ci vorranno parecchi anni perché questo approccio possa essere applicato al letto del malato”, precisa Vezzoni, che aggiunge: “Questa tecnica permette anche di trasformare una cellula staminale maschile in una femminile, un risultato che non è mai stato ottenuto in precedenza”.
“Il lavoro rappresenta un importante avanzamento scientifico dimostrando che le cellule, dopo il trapianto del cromosoma X, non presentano altre modificazioni inattese nelle sequenze codificanti del genoma, un aspetto molto importante per valutare la sicurezza della procedura in vista di possibili applicazioni terapeutiche”, conclude Duga.
I risultati della ricerca, finanziata anche dalla Fondazione Nicola del Roscio, sono pubblicati sulla rivista internazionale Molecular Therapy: Methods & Clinical Development.
Fotografia, le icone di Elliot Erwitt in mostra a Roma
Si inaugura oggi al WeGil, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, ELLIOTT ERWITT ICONS, la retrospettiva che celebra uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea. La mostra a cura di Biba Giacchetti si svolgerà dal 22 febbraio al 17 maggio 2020.
La retrospettiva, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da LAZIOcrea in collaborazione con SudEst57, raccoglie settanta degli scatti più celebri di Erwitt: uno spaccato della storia e del costume del Novecento visti attraverso lo sguardo tipicamente ironico del fotografo, specchio della sua vena surreale e romantica.
Dall’incontro tra Nixon e Kruscev, all’immagine di Jackie Kennedy durante il funerale del marito, dal celebre incontro di pugilato tra Muhammad Alì e Joe Frazier, al fidanzamento di Grace Kelly con il principe Ranieri di Monaco, l’obiettivo di Erwitt ha catturato alcuni degli istanti fondamentali della storia del secolo scorso che, grazie alle sue fotografie, sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo.
Tra le foto in mostra, non mancheranno i celebri ritratti di Che Guevara, Marlene Dietrich e la famosa serie dedicata a Marilyn Monroe. Il pubblico potrà ammirare alcuni degli scatti più iconici e amati di Erwitt come il “California Kiss” in cui emerge la vena più romantica del maestro. Non mancheranno le foto più intime e familiari come quella della sua primogenita neonata, ritratta sul letto sotto lo sguardo dalla madre. Nel percorso verranno esposti anche gli scatti da cui emerge la vena ironica di Erwitt come quelli ai suoi cani o le immagini scattate al matrimonio di Bratsk.
Della stessa vena giocosa è testimonianza la collezione di autoritratti del fotografo: immagini che raccontano tanto dell’artista compresa la capacità innata di prendersi gioco non solo della realtà esterna ma anche di sé stesso. A corredo, una sezione documentale del lavoro di Erwitt con i giornali e le pubblicazioni originali su cui comparvero per la prima volta le immagini dell’artista.
Completa l’esposizione il catalogo della mostra a cura di SudEst57 in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti attraverso cui scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.
Info: www.wegil.it
La retrospettiva, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da LAZIOcrea in collaborazione con SudEst57, raccoglie settanta degli scatti più celebri di Erwitt: uno spaccato della storia e del costume del Novecento visti attraverso lo sguardo tipicamente ironico del fotografo, specchio della sua vena surreale e romantica.
Dall’incontro tra Nixon e Kruscev, all’immagine di Jackie Kennedy durante il funerale del marito, dal celebre incontro di pugilato tra Muhammad Alì e Joe Frazier, al fidanzamento di Grace Kelly con il principe Ranieri di Monaco, l’obiettivo di Erwitt ha catturato alcuni degli istanti fondamentali della storia del secolo scorso che, grazie alle sue fotografie, sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo.
Tra le foto in mostra, non mancheranno i celebri ritratti di Che Guevara, Marlene Dietrich e la famosa serie dedicata a Marilyn Monroe. Il pubblico potrà ammirare alcuni degli scatti più iconici e amati di Erwitt come il “California Kiss” in cui emerge la vena più romantica del maestro. Non mancheranno le foto più intime e familiari come quella della sua primogenita neonata, ritratta sul letto sotto lo sguardo dalla madre. Nel percorso verranno esposti anche gli scatti da cui emerge la vena ironica di Erwitt come quelli ai suoi cani o le immagini scattate al matrimonio di Bratsk.
Della stessa vena giocosa è testimonianza la collezione di autoritratti del fotografo: immagini che raccontano tanto dell’artista compresa la capacità innata di prendersi gioco non solo della realtà esterna ma anche di sé stesso. A corredo, una sezione documentale del lavoro di Erwitt con i giornali e le pubblicazioni originali su cui comparvero per la prima volta le immagini dell’artista.
Completa l’esposizione il catalogo della mostra a cura di SudEst57 in cui ogni fotografia è accompagnata da un dialogo tra Elliott Erwitt e Biba Giacchetti attraverso cui scoprire i segreti, le avventure e il senso di ognuna di esse.
Info: www.wegil.it
giovedì 20 febbraio 2020
Oratorio Virtuale, al Teatro India la versione elettroacustica del San Giovanni Battista di Stradella
Al Teatro India di scena Oratorio virtuale, un rework A/V elettroacustico dell'oratorio San Giovanni Battista, opera musicale sacra composta nel 1675 da Alessandro Stradella.
Due musicisti, un tavolo console e un video 3D proiettato alle loro spalle. Un assetto scenografico molto semplice. Musica elettronica. Voce lirica. Un algoritmo, che traduce le informazioni sonore in output visivo: una correlazione diretta tra ciò che si vede e ciò che si sente.
Oratorio virtuale a cura di Fabio Condemi, con Alberto Barberis alla parte elettronica, visuals, Elena Rivoltini, arrangiamento vocale, voci e Rajan Craveri per gli algoritmi 3D è una performance live: ogni elemento sonoro viene creato al momento e fatto interagire con il contesto visivo, testuale, mimico. Lo spettatore vive un’esperienza immersiva sinestetica, che fonde suono e visione.
Elena canta le arie dal vivo, in stile lirico barocco. La sua voce, processata in tempo reale da Alberto, viene così integrata in un ricco universo sonoro elettroacustico e noise, che ne è al contempo un’espansione e una negazione. Alle parti cantante si alternano parti recitate al microfono, una rivisitazione moderna del recitativo, tratte dal libretto originale dell’oratorio.
La vicenda narrata è quella del profeta San Giovanni Battista, decapitato per volere di Salomé. Nella scena finale, la principessa regge la testa sanguinante del profeta su un piatto e ripete tramortita la sua stessa condanna: «La sua testa su un vassoio d'argento: questo è quello che desidero. Voglio ch’ei mora».
L’oratorio San Giovanni Battista e uno dei lavori più celebri di Stradella che compose per la Quaresima dell’anno giubilare 1675 e poi eseguito nella chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini, in una rassegna che prevedeva quattordici oratori di autori diversi. Le origini dell'oratorio vanno ricercate nell'ambiente romano tardo cinquecentesco, nell'evoluzione della lauda drammatica e del mottetto, e nell'affermazione, agli inizi del Seicento, del nuovo stile monodico. E' una composizione per voci soliste, coro e orchestra, per lo più di argomento religioso o spirituale, originariamente eseguita senza far ricorso alle scene, ai costumi, a un qualsiasi elemento di rappresentazione teatrale.
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman, 1, 00146 Roma
Telefono: 06 6840 00311
Due musicisti, un tavolo console e un video 3D proiettato alle loro spalle. Un assetto scenografico molto semplice. Musica elettronica. Voce lirica. Un algoritmo, che traduce le informazioni sonore in output visivo: una correlazione diretta tra ciò che si vede e ciò che si sente.
Oratorio virtuale a cura di Fabio Condemi, con Alberto Barberis alla parte elettronica, visuals, Elena Rivoltini, arrangiamento vocale, voci e Rajan Craveri per gli algoritmi 3D è una performance live: ogni elemento sonoro viene creato al momento e fatto interagire con il contesto visivo, testuale, mimico. Lo spettatore vive un’esperienza immersiva sinestetica, che fonde suono e visione.
Elena canta le arie dal vivo, in stile lirico barocco. La sua voce, processata in tempo reale da Alberto, viene così integrata in un ricco universo sonoro elettroacustico e noise, che ne è al contempo un’espansione e una negazione. Alle parti cantante si alternano parti recitate al microfono, una rivisitazione moderna del recitativo, tratte dal libretto originale dell’oratorio.
La vicenda narrata è quella del profeta San Giovanni Battista, decapitato per volere di Salomé. Nella scena finale, la principessa regge la testa sanguinante del profeta su un piatto e ripete tramortita la sua stessa condanna: «La sua testa su un vassoio d'argento: questo è quello che desidero. Voglio ch’ei mora».
L’oratorio San Giovanni Battista e uno dei lavori più celebri di Stradella che compose per la Quaresima dell’anno giubilare 1675 e poi eseguito nella chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini, in una rassegna che prevedeva quattordici oratori di autori diversi. Le origini dell'oratorio vanno ricercate nell'ambiente romano tardo cinquecentesco, nell'evoluzione della lauda drammatica e del mottetto, e nell'affermazione, agli inizi del Seicento, del nuovo stile monodico. E' una composizione per voci soliste, coro e orchestra, per lo più di argomento religioso o spirituale, originariamente eseguita senza far ricorso alle scene, ai costumi, a un qualsiasi elemento di rappresentazione teatrale.
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman, 1, 00146 Roma
Telefono: 06 6840 00311
mercoledì 19 febbraio 2020
Valadier. Splendore nella Roma del Settecento
Prorogata fino al 21 febbraio prossimo alla Galleria Borghese la grande mostra monografica dedicata a Luigi Valadier, il più celebrato ebanista, fonditore e orafo italiano della sua epoca.
Ultimi giorni per visitare la mostra dedicata a Luigi Valadier, il più celebrato ebanista, fonditore e orafo italiano della sua epoca è stato uno dei protagonisti del clima culturale sviluppatosi a Roma alla metà del Settecento.
La straordinaria sintesi di versatile creatività e insuperata perizia tecnica, unitamente alla capacità di Valadier di interpretare il nuovo sentimento dell’antico, diedero vita a un rinnovamento del gusto che si affermò a Roma come modello internazionale, facendo della sua celebre bottega di via del Babuino uno dei luoghi più visitati da reali, diplomatici, collezionisti, antiquari e grand tourists.
Nel 1759 Luigi Valadier rilevò la bottega del padre Andrea, argentiere francese stabilitosi a Roma nel secondo decennio del secolo. Risalgono a quell’anno i primi lavori eseguiti per i Borghese: il rifacimento della cappella di famiglia di Santa Maria Maggiore e di quella del SS. Sacramento in Laterano. Fu questo l’avvio di una intensa collaborazione che accompagnò l’artista per oltre un venticinquennio, fino alla sua morte, avvenuta nel 1785.
Ma ciò che la mostra vuole esaltare è la possibilità davvero unica di ammirare le opere del grande artefice all’interno di un contesto decorativo, quale quello della Villa Borghese, capace di restituire, di per sé, quella particolare compresenza di pittori, scultori e artigiani che l’architetto Antonio Asprucci aveva diretto nel rinnovamento del Palazzo di città e della Villa voluto dal principe Marcantonio IV Borghese; artisti che, nei medesimi anni, non solo avevano condiviso molte delle principali imprese artistiche romane ma i cui rapporti diretti con Luigi Valadier sono ampiamente documentati: è il caso, solo per fare un esempio, dell’intagliatore di marmi Lorenzo Cardelli, già nella bottega di Piranesi, che con il grande orafo collaborerà tanto nell’esecuzione del camino della Sala XVI, decorato con applicazioni in bronzo di Valadier, quanto nella realizzazione di manufatti destinati alla committenza anglosassone.
La Villa, che custodisce alcuni dei capolavori, come l’Erma di Bacco e la coppia di Tavoli dodecagonali, sintetizza così il gusto dominante a Roma intorno alla metà del secolo, dove i raffinati apparati decorativi risplendono di un declinante rococò che coesiste con le nuove tendenze stilistiche ispirate all’antico. Di questo particolare contesto culturale, nel senso più ampio, Valadier è protagonista assoluto.
Se la committenza Borghese costituì il filo conduttore dell’attività di Valadier, il rango e il numero dei committenti rivelano lo straordinario successo della sua carriera di orafo e argentiere, esaltando la vastità di campo, l’originalità e l’impronta internazionale della sua produzione, che la mostra intende rappresentare con importanti testimonianze. I prestiti spaziano dalle grandi lampade d’argento per il santuario di Santiago di Compostela, al San Giovanni Battista del Battistero Lateranense, per la prima volta visibili fuori della loro collocazione originale; dal servizio per pontificale della cattedrale di Muro Lucano alle sculture della cattedrale di Monreale; e, ancora, saranno esposte le riproduzioni in bronzo di celebri statue antiche per re Gustavo III di Svezia, Madame du Barry e il conte d’Orsay; il mirabile sostegno del cammeo di Augusto, realizzato su commissione di Pio VI per il Museo Sacro e Profano in Vaticano, oltre alle straordinarie invenzioni dei superbi desert, come quello commissionato dal Balì di Breteuil e poi venduto a Caterina II di Russia, oggi a San Pietroburgo, e la ricostruzione del tempio di Iside a Pompei per Maria Carolina d’Austria.
Una importante sezione sarà dedicata ai disegni, strumento fondamentale per comprendere l’evolversi del procedimento creativo di Valadier e la sua traduzione attraverso l’attività della grande e articolata bottega. Il prezioso volume della Pinacoteca Comunale di Faenza, per la prima volta interamente catalogato in occasione della mostra, ne offre una rassegna variegata, che sarà apprezzabile anche attraverso riproduzioni digitali. I disegni offrono inoltre la testimonianza di opere oggi disperse, come il sontuoso servizio in argento dorato realizzato per i Borghese, i cui pochi oggetti giunti fino a noi saranno riuniti in questa occasione.
In mostra saranno presenti alcuni totem multimediali dedicati ai Luoghi di Luigi Valadier a Roma: siti, chiese, palazzi e ambienti che conservano le sue opere o comunque significativi, come la casa-studio in via del Babuino. Un invito a trasferire questo percorso virtuale nella realtà, per comprendere meglio quel Valadier “romano”, decoratore nella più splendida e “moderna” Villa di delizie della città eterna, ma espressione di quel gusto internazionale che da Roma partiva per diffondere un gusto ricercato e imitato in tutta Europa.
Ultimi giorni per visitare la mostra dedicata a Luigi Valadier, il più celebrato ebanista, fonditore e orafo italiano della sua epoca è stato uno dei protagonisti del clima culturale sviluppatosi a Roma alla metà del Settecento.
La straordinaria sintesi di versatile creatività e insuperata perizia tecnica, unitamente alla capacità di Valadier di interpretare il nuovo sentimento dell’antico, diedero vita a un rinnovamento del gusto che si affermò a Roma come modello internazionale, facendo della sua celebre bottega di via del Babuino uno dei luoghi più visitati da reali, diplomatici, collezionisti, antiquari e grand tourists.
Nel 1759 Luigi Valadier rilevò la bottega del padre Andrea, argentiere francese stabilitosi a Roma nel secondo decennio del secolo. Risalgono a quell’anno i primi lavori eseguiti per i Borghese: il rifacimento della cappella di famiglia di Santa Maria Maggiore e di quella del SS. Sacramento in Laterano. Fu questo l’avvio di una intensa collaborazione che accompagnò l’artista per oltre un venticinquennio, fino alla sua morte, avvenuta nel 1785.
Ma ciò che la mostra vuole esaltare è la possibilità davvero unica di ammirare le opere del grande artefice all’interno di un contesto decorativo, quale quello della Villa Borghese, capace di restituire, di per sé, quella particolare compresenza di pittori, scultori e artigiani che l’architetto Antonio Asprucci aveva diretto nel rinnovamento del Palazzo di città e della Villa voluto dal principe Marcantonio IV Borghese; artisti che, nei medesimi anni, non solo avevano condiviso molte delle principali imprese artistiche romane ma i cui rapporti diretti con Luigi Valadier sono ampiamente documentati: è il caso, solo per fare un esempio, dell’intagliatore di marmi Lorenzo Cardelli, già nella bottega di Piranesi, che con il grande orafo collaborerà tanto nell’esecuzione del camino della Sala XVI, decorato con applicazioni in bronzo di Valadier, quanto nella realizzazione di manufatti destinati alla committenza anglosassone.
La Villa, che custodisce alcuni dei capolavori, come l’Erma di Bacco e la coppia di Tavoli dodecagonali, sintetizza così il gusto dominante a Roma intorno alla metà del secolo, dove i raffinati apparati decorativi risplendono di un declinante rococò che coesiste con le nuove tendenze stilistiche ispirate all’antico. Di questo particolare contesto culturale, nel senso più ampio, Valadier è protagonista assoluto.
Se la committenza Borghese costituì il filo conduttore dell’attività di Valadier, il rango e il numero dei committenti rivelano lo straordinario successo della sua carriera di orafo e argentiere, esaltando la vastità di campo, l’originalità e l’impronta internazionale della sua produzione, che la mostra intende rappresentare con importanti testimonianze. I prestiti spaziano dalle grandi lampade d’argento per il santuario di Santiago di Compostela, al San Giovanni Battista del Battistero Lateranense, per la prima volta visibili fuori della loro collocazione originale; dal servizio per pontificale della cattedrale di Muro Lucano alle sculture della cattedrale di Monreale; e, ancora, saranno esposte le riproduzioni in bronzo di celebri statue antiche per re Gustavo III di Svezia, Madame du Barry e il conte d’Orsay; il mirabile sostegno del cammeo di Augusto, realizzato su commissione di Pio VI per il Museo Sacro e Profano in Vaticano, oltre alle straordinarie invenzioni dei superbi desert, come quello commissionato dal Balì di Breteuil e poi venduto a Caterina II di Russia, oggi a San Pietroburgo, e la ricostruzione del tempio di Iside a Pompei per Maria Carolina d’Austria.
Una importante sezione sarà dedicata ai disegni, strumento fondamentale per comprendere l’evolversi del procedimento creativo di Valadier e la sua traduzione attraverso l’attività della grande e articolata bottega. Il prezioso volume della Pinacoteca Comunale di Faenza, per la prima volta interamente catalogato in occasione della mostra, ne offre una rassegna variegata, che sarà apprezzabile anche attraverso riproduzioni digitali. I disegni offrono inoltre la testimonianza di opere oggi disperse, come il sontuoso servizio in argento dorato realizzato per i Borghese, i cui pochi oggetti giunti fino a noi saranno riuniti in questa occasione.
In mostra saranno presenti alcuni totem multimediali dedicati ai Luoghi di Luigi Valadier a Roma: siti, chiese, palazzi e ambienti che conservano le sue opere o comunque significativi, come la casa-studio in via del Babuino. Un invito a trasferire questo percorso virtuale nella realtà, per comprendere meglio quel Valadier “romano”, decoratore nella più splendida e “moderna” Villa di delizie della città eterna, ma espressione di quel gusto internazionale che da Roma partiva per diffondere un gusto ricercato e imitato in tutta Europa.
martedì 18 febbraio 2020
Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo. La mostra che inaugura Parma, capitale della cultura 2020
A Parma, in corso la mostra che inaugura la città capitale della cultura 2020. Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo, una riflessione su come i media abbiano modificato la nostra percezione del tempo e dello spazio, il nostro vedere, sentire ed interagire con ciò che ci circonda.
Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo è una mostra sul Tempo e su tutti i modi in cui è possibile manipolarlo. Dall'accelerazione al ralenti, dal fermo-immagine al time-lapse e alle infinite varianti offerte dal montaggio, le tecniche cinematografiche di manipolazione temporale allargano e rimodulano l’orizzonte della nostra percezione permettendo di vedere e sperimentare altri tempi che confinano con le regioni del sogno e del desiderio.
Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo è una mostra sul Tempo e su tutti i modi in cui è possibile manipolarlo. Dall'accelerazione al ralenti, dal fermo-immagine al time-lapse e alle infinite varianti offerte dal montaggio, le tecniche cinematografiche di manipolazione temporale allargano e rimodulano l’orizzonte della nostra percezione permettendo di vedere e sperimentare altri tempi che confinano con le regioni del sogno e del desiderio.
Protagonista il cinema che fin dai suoi albori ci ha mostrato come la nostra percezione del tempo sia facilmente alterabile. Time Machine. Vedere e sperimentare il tempo inaugura l’anno di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020 in piena sintonia con il messaggio chiave dell'evento: "La cultura batte il tempo".
Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo
Parma, Palazzo Governatore
fino al 3 maggio 2020
martedì e mercoledì dalle 15.00 alle 19.00; da giovedì a domenica e festivi dalle 10.00 alle 19.00.
Intero € 8,00; ridotto € 5,00 (under 14, over 65, studenti universitari, gruppi minimo 10 persone, abbonati cinema Edison); ridotto € 4,00 per le scuole; gratuito per under 5 e aventi diritto legge 104/92
Storicamente, una delle principali funzioni del cinema è quella di provare ad animare l'immobile o comunque quello che apparentemente è inerte ad occhio nudo. Per questo i curatori della mostra, Antonio Somaini con Marie Rebecchi ed Eline Grignard, si sono concentrati su due tecniche tra le più significative: la fotografia ultrarapida e il time lapse, sistemi che offrono la possibilità di registrare fenomeni che non possono essere osservati direttamente nella realtà o perché si verificano in tempi troppo rapidi o al contrario estremamente lenti, oppure perché avvengono su scala microscopica e l'occhio umano non riesce a registrarli.
La mostra copre un arco temporale che va dal 1895, ovvero dall'invenzione delle primissime tecniche di manipolazione temporale, fino ad un futuro prossimo: le forme di temporalità delle immagini in movimento che la tecnologia ci consentirà di sperimentare nei prossimi anni. Cinema, video e videoinstallazioni vengono interpretati come “time machines” secondo tre diverse accezioni di questo termine: come media capaci di registrare, archiviare e ri-presentare tutta una serie di fenomeni visivi e audiovisivi che si svolgono nel tempo; come media che rendono possibili diverse forme di viaggio nel tempo (con un rinvio esplicito al racconto di fantascienza The Time Machine [La macchina del tempo], pubblicato da H.G. Wells proprio nel 1895.
La mostra copre un arco temporale che va dal 1895, ovvero dall'invenzione delle primissime tecniche di manipolazione temporale, fino ad un futuro prossimo: le forme di temporalità delle immagini in movimento che la tecnologia ci consentirà di sperimentare nei prossimi anni. Cinema, video e videoinstallazioni vengono interpretati come “time machines” secondo tre diverse accezioni di questo termine: come media capaci di registrare, archiviare e ri-presentare tutta una serie di fenomeni visivi e audiovisivi che si svolgono nel tempo; come media che rendono possibili diverse forme di viaggio nel tempo (con un rinvio esplicito al racconto di fantascienza The Time Machine [La macchina del tempo], pubblicato da H.G. Wells proprio nel 1895.
Nata da un’idea di Michele Guerra, assessore alla Cultura di Parma, l’esposizione, aperta al pubblico fino al 3 maggio 2020 al Palazzo del Governatore, prende spunto da due eventi risalenti al 1895: la prima pubblicazione del libro "The Time Machine" di H.G.Wells – uno dei primi testi di fantascienza ad esplorare la possibilità di viaggio nel tempo – e la nascita della Settima arte, il cinema.
Cinématographe dei Fratelli Lumière); infine, come media che operano diverse forme di manipolazione temporale, attraverso tecniche come l’accelerazione e il rallenty, l’inversione e il loop, il time-lapse e la cinematografia ultra-rapida, il flash-back e il flash-forward, così come le infinite variazioni del procedimento del montaggio. Articolata in diverse sezioni dedicate ad ognuna di queste forme di alterazione del flusso temporale, la mostra Time Machine propone allo spettatore un affascinante viaggio nel tempo; un viaggio in cui il tempo si rivela in tutta la sua relatività e plasticità.
Cinématographe dei Fratelli Lumière); infine, come media che operano diverse forme di manipolazione temporale, attraverso tecniche come l’accelerazione e il rallenty, l’inversione e il loop, il time-lapse e la cinematografia ultra-rapida, il flash-back e il flash-forward, così come le infinite variazioni del procedimento del montaggio. Articolata in diverse sezioni dedicate ad ognuna di queste forme di alterazione del flusso temporale, la mostra Time Machine propone allo spettatore un affascinante viaggio nel tempo; un viaggio in cui il tempo si rivela in tutta la sua relatività e plasticità.
Time Machine - Vedere e sperimentare il tempo
Parma, Palazzo Governatore
fino al 3 maggio 2020
martedì e mercoledì dalle 15.00 alle 19.00; da giovedì a domenica e festivi dalle 10.00 alle 19.00.
Intero € 8,00; ridotto € 5,00 (under 14, over 65, studenti universitari, gruppi minimo 10 persone, abbonati cinema Edison); ridotto € 4,00 per le scuole; gratuito per under 5 e aventi diritto legge 104/92
Clima e ricerca. Il controllo della CO2 ha un effetto immediato sulle precipitazioni nel Mediterraneo
Stabilizzare le concentrazioni di CO2 in atmosfera avrebbe, nell’immediato, un effetto benefico sulle piogge di alcune regioni a clima mediterraneo. Lo studio condotto dal Cnr-Isac in collaborazione con l’Università di Reading, è pubblicato sulla rivista Pnas.
Lo studio condotto da Giuseppe Zappa dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Isac) insieme all’Università di Reading ed all’Imperial College di Londra, pubblicato sulla rivista Pnas, rivela nuovi meccanismi con cui il cambiamento climatico influenza regioni caratterizzate da clima mediterraneo, quali la California, il Cile e l’area mediterranea stessa.
Precedenti studi modellistici e osservazioni hanno evidenziato che la maggior parte delle regioni a clima mediterraneo, ad eccezione della California, tendono a divenire meno piovose per via del riscaldamento globale. I climi mediterranei, caratterizzati da estati calde e secche, sono particolarmente vulnerabili ad un calo nella precipitazione invernale, motivo per il quale sono stati definiti un “hot spot” del cambiamento climatico. Tuttavia la rapidità con cui l’aumento di gas serra, come la CO2, tende ad influenzare il clima delle regioni mediterranee ha finora ricevuto poca attenzione.
“Ogni volta che della CO2 viene immessa in atmosfera”, spiega Zappa, “questa inizia immediatamente ad influenzare il clima, ma la risposta climatica che ne consegue evolve su diverse scale temporali. Questo significa che ci sono aspetti del cambiamento climatico che si manifestano in modo lento e continueranno a svilupparsi per secoli, come per esempio l’innalzamento dei mari. Altri, invece, sono rapidi e possono essere controllati rapidamente stabilizzando le concentrazioni di CO2 in atmosfera.”
La nuova ricerca, attraverso l’analisi di simulazioni di modelli di clima, mostra che la riduzione delle piogge nel Mediterraneo ed in Cile avviene in modo rapido. “Questo implica”, prosegue Zappa, “che stabilizzare le concentrazioni di gas serra avrebbe come immediata conseguenza quella di sospendere la tendenza al calo delle precipitazioni, con beneficio per le risorse idriche di quelle aree nel giro di pochi anni”. Pur seguendo un’evoluzione diversa, un beneficio è atteso anche in California. Qui i modelli prevedono piccole variazioni nella precipitazione annuale mentre aumentano i gas serra, seguite da un lento ma marcato incremento successivamente ad una loro stabilizzazione.
“Al contrario di quanto si pensava”, conclude Zappa, “la quantità di precipitazione in queste regioni Mediterranee non evolverà semplicemente di pari passo con il grado di riscaldamento globale nel corso dei prossimi secoli, ma è controllata da distinte scale temporali”. Il team di ricercatori ha identificato nell’evoluzione del riscaldamento oceanico la causa di queste scale temporali. I modelli climatici mostrano che il riscaldamento superficiale dell’oceano non è omogeno, ed alcune aree si scaldano più rapidamente di altre. Gli aspetti più rapidi del riscaldamento oceanico favoriscono una variazione nella circolazione atmosferica invernale che rende i climi Mediterranei meno piovosi. Il riscaldamento che si sviluppa lentamente rende la California più piovosa, mentre ha solo un effetto marginale sulla pioggia delle altre regioni.
Ridurre le emissioni di gas serra ha quindi un effetto anche nell’immediato, oltre che nel lungo termine, per la precipitazione delle regioni Mediterranee. Questo si aggiunge ai benefici di una rapida riduzione delle emissioni di CO2 discussi nel rapporto speciale del IPCC del 2018.
Lo studio condotto da Giuseppe Zappa dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Isac) insieme all’Università di Reading ed all’Imperial College di Londra, pubblicato sulla rivista Pnas, rivela nuovi meccanismi con cui il cambiamento climatico influenza regioni caratterizzate da clima mediterraneo, quali la California, il Cile e l’area mediterranea stessa.
Precedenti studi modellistici e osservazioni hanno evidenziato che la maggior parte delle regioni a clima mediterraneo, ad eccezione della California, tendono a divenire meno piovose per via del riscaldamento globale. I climi mediterranei, caratterizzati da estati calde e secche, sono particolarmente vulnerabili ad un calo nella precipitazione invernale, motivo per il quale sono stati definiti un “hot spot” del cambiamento climatico. Tuttavia la rapidità con cui l’aumento di gas serra, come la CO2, tende ad influenzare il clima delle regioni mediterranee ha finora ricevuto poca attenzione.
“Ogni volta che della CO2 viene immessa in atmosfera”, spiega Zappa, “questa inizia immediatamente ad influenzare il clima, ma la risposta climatica che ne consegue evolve su diverse scale temporali. Questo significa che ci sono aspetti del cambiamento climatico che si manifestano in modo lento e continueranno a svilupparsi per secoli, come per esempio l’innalzamento dei mari. Altri, invece, sono rapidi e possono essere controllati rapidamente stabilizzando le concentrazioni di CO2 in atmosfera.”
La nuova ricerca, attraverso l’analisi di simulazioni di modelli di clima, mostra che la riduzione delle piogge nel Mediterraneo ed in Cile avviene in modo rapido. “Questo implica”, prosegue Zappa, “che stabilizzare le concentrazioni di gas serra avrebbe come immediata conseguenza quella di sospendere la tendenza al calo delle precipitazioni, con beneficio per le risorse idriche di quelle aree nel giro di pochi anni”. Pur seguendo un’evoluzione diversa, un beneficio è atteso anche in California. Qui i modelli prevedono piccole variazioni nella precipitazione annuale mentre aumentano i gas serra, seguite da un lento ma marcato incremento successivamente ad una loro stabilizzazione.
“Al contrario di quanto si pensava”, conclude Zappa, “la quantità di precipitazione in queste regioni Mediterranee non evolverà semplicemente di pari passo con il grado di riscaldamento globale nel corso dei prossimi secoli, ma è controllata da distinte scale temporali”. Il team di ricercatori ha identificato nell’evoluzione del riscaldamento oceanico la causa di queste scale temporali. I modelli climatici mostrano che il riscaldamento superficiale dell’oceano non è omogeno, ed alcune aree si scaldano più rapidamente di altre. Gli aspetti più rapidi del riscaldamento oceanico favoriscono una variazione nella circolazione atmosferica invernale che rende i climi Mediterranei meno piovosi. Il riscaldamento che si sviluppa lentamente rende la California più piovosa, mentre ha solo un effetto marginale sulla pioggia delle altre regioni.
Ridurre le emissioni di gas serra ha quindi un effetto anche nell’immediato, oltre che nel lungo termine, per la precipitazione delle regioni Mediterranee. Questo si aggiunge ai benefici di una rapida riduzione delle emissioni di CO2 discussi nel rapporto speciale del IPCC del 2018.
lunedì 17 febbraio 2020
Formazione. Alta specializzazione per il nostro patrimonio culturale: al via oggi il bando di concorso
Alta specializzazione per il nostro patrimonio culturale: al via oggi il bando di concorso per venti borse di studio. Il corso si dipana in un percorso di due anni per formare i nuovi professionisti nella gestione di musei, siti archeologici e imprese culturali.
Giunto alla sua seconda edizione, il corso segue le più importanti ricerche europee nell’individuazione dei fabbisogni formativi e punta a valorizzare i profili professionali di provenienza dei partecipanti in relazione ai nuovi contesti del patrimonio, ascoltando le reali necessità degli istituti, delle organizzazioni e delle imprese culturali. Una Scuola che si rivolge in particolare ad archeologi, architetti, paesaggisti e conservatori, storici dell’arte, antropologi, archivisti, bibliotecari e altri specialisti nel campo delle attività culturali.
Il nuovo bando esce con alcune novità rispetto al primo ciclo. Sono ora 20 i posti disponibili anziché i 18 del corso precedente, tutti sostenuti con una borsa di studio di 14.700 euro lordi annui (il corso è gratuito). Cambia anche l’età massima dei partecipanti, che scende dai 39 ai 36 anni non compiuti. Tra i requisiti obbligatori, il possesso di dottorato o scuola di specializzazione in materie attinenti il patrimonio e le attività culturali, la padronanza delle lingue italiana e la conoscenza dell’inglese con livello minimo B2. La selezione dei prossimi partecipanti alla Scuola del Patrimonio attraverso il programma proposto dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali consentirà di accedere al Diploma di Alta Specializzazione e Ricerca per il patrimonio Culturale, con 150 crediti ECTS.
Il programma di studio, della durata di due anni con obbligo di frequenza, si articola in un ciclo di lezioni introduttive che hanno lo scopo di suggerire spunti di ricerca attraversando discipline giuridiche, amministrative, manageriali, nonché di approfondire le potenzialità delle nuove tecnologie applicate al patrimonio culturale.
I tre moduli di specializzazione del primo anno sono rivolti ai rapporti del patrimonio con lo sviluppo territoriale, alla digitalizzazione e alla mediazione.
Il secondo anno è invece dedicato all’internship per la fase di applicazione sul campo. La Fondazione propone infatti agli allievi giunti al termine del percorso in aula, lo sviluppo di progetti di lavoro presso enti e istituzioni operanti nella cultura a livello nazionale e internazionale, al fine di mettere in pratica e affinare le conoscenze e competenze acquisite.
I partecipanti sono selezionati attraverso una procedura pubblica di valutazione basata sul profilo scientifico dei candidati, sul colloquio e sulle prove psico attitudinali e motivazionali.
Con questo corso la Fondazione - voluta dal ministro Dario Franceschini nel corso del suo precedente mandato, come struttura operativa a sostegno delle politiche di innovazione e qualificazione delle competenze del Mibact - si propone di fornire alle professioni del settore culturale gli strumenti metodologici necessari ad approcciare la cura del patrimonio secondo una prospettiva sempre più ampia, trasversale e integrata con il mondo del lavoro.
“La Scuola del Patrimonio è una sorta di laboratorio, inteso come un ambito metodologico nel quale ogni conquista di conoscenze e competenze è frutto di un lavoro sia individuale che condiviso di progettazione e conduzione delle ricerche, nonché di verifica, fruizione ed esposizione dei risultati” dice Carla Di Francesco, Commissario straordinario della Fondazione.
Il modulo per la candidatura si può scaricare sul sito fondazionescuolapatrimonio.it
Giunto alla sua seconda edizione, il corso segue le più importanti ricerche europee nell’individuazione dei fabbisogni formativi e punta a valorizzare i profili professionali di provenienza dei partecipanti in relazione ai nuovi contesti del patrimonio, ascoltando le reali necessità degli istituti, delle organizzazioni e delle imprese culturali. Una Scuola che si rivolge in particolare ad archeologi, architetti, paesaggisti e conservatori, storici dell’arte, antropologi, archivisti, bibliotecari e altri specialisti nel campo delle attività culturali.
Il nuovo bando esce con alcune novità rispetto al primo ciclo. Sono ora 20 i posti disponibili anziché i 18 del corso precedente, tutti sostenuti con una borsa di studio di 14.700 euro lordi annui (il corso è gratuito). Cambia anche l’età massima dei partecipanti, che scende dai 39 ai 36 anni non compiuti. Tra i requisiti obbligatori, il possesso di dottorato o scuola di specializzazione in materie attinenti il patrimonio e le attività culturali, la padronanza delle lingue italiana e la conoscenza dell’inglese con livello minimo B2. La selezione dei prossimi partecipanti alla Scuola del Patrimonio attraverso il programma proposto dalla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali consentirà di accedere al Diploma di Alta Specializzazione e Ricerca per il patrimonio Culturale, con 150 crediti ECTS.
Il programma di studio, della durata di due anni con obbligo di frequenza, si articola in un ciclo di lezioni introduttive che hanno lo scopo di suggerire spunti di ricerca attraversando discipline giuridiche, amministrative, manageriali, nonché di approfondire le potenzialità delle nuove tecnologie applicate al patrimonio culturale.
I tre moduli di specializzazione del primo anno sono rivolti ai rapporti del patrimonio con lo sviluppo territoriale, alla digitalizzazione e alla mediazione.
Il secondo anno è invece dedicato all’internship per la fase di applicazione sul campo. La Fondazione propone infatti agli allievi giunti al termine del percorso in aula, lo sviluppo di progetti di lavoro presso enti e istituzioni operanti nella cultura a livello nazionale e internazionale, al fine di mettere in pratica e affinare le conoscenze e competenze acquisite.
I partecipanti sono selezionati attraverso una procedura pubblica di valutazione basata sul profilo scientifico dei candidati, sul colloquio e sulle prove psico attitudinali e motivazionali.
Con questo corso la Fondazione - voluta dal ministro Dario Franceschini nel corso del suo precedente mandato, come struttura operativa a sostegno delle politiche di innovazione e qualificazione delle competenze del Mibact - si propone di fornire alle professioni del settore culturale gli strumenti metodologici necessari ad approcciare la cura del patrimonio secondo una prospettiva sempre più ampia, trasversale e integrata con il mondo del lavoro.
“La Scuola del Patrimonio è una sorta di laboratorio, inteso come un ambito metodologico nel quale ogni conquista di conoscenze e competenze è frutto di un lavoro sia individuale che condiviso di progettazione e conduzione delle ricerche, nonché di verifica, fruizione ed esposizione dei risultati” dice Carla Di Francesco, Commissario straordinario della Fondazione.
Il modulo per la candidatura si può scaricare sul sito fondazionescuolapatrimonio.it
domenica 16 febbraio 2020
Roma Fotografia 2020: EROS. A Palazzo Merulana di scena il Desiderio, forza straordinaria che muove il mondo
Prende il via a Palazzo Merulana Roma Fotografia 2020: EROS, il grande evento che delinea i contorni e le sfumature della forza straordinaria che muove il mondo: il Desiderio.
Roma Fotografia 2020 EROS è una proposta culturale che indaga il rapporto tra la fotografia e l’arte in generale con il tema del desiderio, della passione e della bellezza e stimola la ricerca sulle motivazioni e le spinte più profonde che animano i sogni e le azioni quotidiane che puntano alla realizzazione di essi. Per riscoprire il talento, le capacità, le potenzialità, le aspirazioni che trovano nell’arte lo strumento ideale di espressione.
Cosa accende i nostri sogni, pensieri e azioni? Come fa a coglierlo il nostro sguardo? E quello sguardo come matura in noi? Se tutta l’arte è erotica, come diceva Gustav Klimt, in fondo, è perché l’erotismo caratterizza la natura stessa: dalla forma di un’orchidea in fiore ad un frutto aperto a metà, l’eros è lo sguardo di chi riesce a cogliere l’essenza e ogni forma di bellezza e di pathos nell'esistenza. Il continuo esercizio delle emozioni con cui stimoliamo i nostri sensi che diventa una chiave di lettura con cui interpretare ciò che viviamo.
L’evento si svolgerà a Roma dal 22 febbraio al 6 aprile in collaborazione con diverse istituzioni culturali tra le quali CoopCulture, Fondazione Cerasi, Istituto Luce – Cinecittà, Stadio di Domiziano, con il patrocinio di Regione Lazio e Roma Capitale. Inaugurazione a Palazzo Merulana sabato 22 febbraio alle 18.30.
In concomitanza con l’inaugurazione di Roma Fotografia 2020 EROS, la programmazione espositiva parte a Palazzo Merulana con un ciclo di tre personali tutte al femminile. Un racconto sull’Eros che percorre il secolo scorso sino all’oggi. Dalle Dive Divine del cinema muto agli anni Venti fiammeggianti di innovazione e spirito rivoluzionario nelle fotografie di Tina Modotti, sino alla contemporaneità intrisa di classicismo delle opere di Chiara Caselli.
Donne che rappresentano forza, indipendenza, coraggio e emancipazione e diventano portatrici di un messaggio importante che Roma Fotografia vuole amplificare: la presenza incisiva, attenta, competente e innovativa delle donne in un settore spesso declinato al maschile come la fotografia.
Il 22 febbraio inaugura la prima delle tre mostre, Tina Modotti “L’Eros della rivoluzione”. Un viaggio in quattro tappe che parte con le immagini iconiche che hanno portato Tina Modotti ad essere la fotografa più influente dell’inizio del secolo. Il suo splendido sguardo mostra una straordinaria capacità di raccontare la complessità di una rivoluzione senza mai perdere la delicatezza di porgere attenzione ad un particolare, ad un fiore. Una donna, una artista oltre le definizioni, oltre il suo tempo, che proietta verso una modernità che trova nella “Desiderio” la scintilla per muoversi verso un ideale imprescindibile, una passione irrinunciabile, una volontà tenace, nell’esplorazione di sé e della stessa vita per lei già immortale. nelle altre aree che scopriamo un’interpretazione insolita del suo lavoro, che per essere inserita nel progetto Roma Fotografia 2020 “EROS” aveva bisogno di isolare i suoi sguardi non dal punto di vista specifico o ideologico, ma simbolico. Ed ecco che le fotografie di mani diventano fiori e fiori che diventano mani, da sempre simboli di amore e sensualità. Un progetto inedito frutto di un lavoro approfondito di ricerca a cura dei fotografi di Roma Fotografia: Maria Cristina Valeri e Alex Mezzenga.
La mostra, organizzata in collaborazione con Associazione Culturale onlus 8 Marzo, prevede 38 opere che provengono dall’Instituto de Investigaciones Estéticas (IIE), dal Fondo “Manuel Toussaint” dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) di Città del Messico e dalla Collezione della Fototeca Nazionale dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia (INAH) della Città di Pachuca Hidalgo, Messico.
Info: www.palazzomerulana.it
Roma Fotografia 2020 EROS è una proposta culturale che indaga il rapporto tra la fotografia e l’arte in generale con il tema del desiderio, della passione e della bellezza e stimola la ricerca sulle motivazioni e le spinte più profonde che animano i sogni e le azioni quotidiane che puntano alla realizzazione di essi. Per riscoprire il talento, le capacità, le potenzialità, le aspirazioni che trovano nell’arte lo strumento ideale di espressione.
Cosa accende i nostri sogni, pensieri e azioni? Come fa a coglierlo il nostro sguardo? E quello sguardo come matura in noi? Se tutta l’arte è erotica, come diceva Gustav Klimt, in fondo, è perché l’erotismo caratterizza la natura stessa: dalla forma di un’orchidea in fiore ad un frutto aperto a metà, l’eros è lo sguardo di chi riesce a cogliere l’essenza e ogni forma di bellezza e di pathos nell'esistenza. Il continuo esercizio delle emozioni con cui stimoliamo i nostri sensi che diventa una chiave di lettura con cui interpretare ciò che viviamo.
L’evento si svolgerà a Roma dal 22 febbraio al 6 aprile in collaborazione con diverse istituzioni culturali tra le quali CoopCulture, Fondazione Cerasi, Istituto Luce – Cinecittà, Stadio di Domiziano, con il patrocinio di Regione Lazio e Roma Capitale. Inaugurazione a Palazzo Merulana sabato 22 febbraio alle 18.30.
In concomitanza con l’inaugurazione di Roma Fotografia 2020 EROS, la programmazione espositiva parte a Palazzo Merulana con un ciclo di tre personali tutte al femminile. Un racconto sull’Eros che percorre il secolo scorso sino all’oggi. Dalle Dive Divine del cinema muto agli anni Venti fiammeggianti di innovazione e spirito rivoluzionario nelle fotografie di Tina Modotti, sino alla contemporaneità intrisa di classicismo delle opere di Chiara Caselli.
Donne che rappresentano forza, indipendenza, coraggio e emancipazione e diventano portatrici di un messaggio importante che Roma Fotografia vuole amplificare: la presenza incisiva, attenta, competente e innovativa delle donne in un settore spesso declinato al maschile come la fotografia.
Il 22 febbraio inaugura la prima delle tre mostre, Tina Modotti “L’Eros della rivoluzione”. Un viaggio in quattro tappe che parte con le immagini iconiche che hanno portato Tina Modotti ad essere la fotografa più influente dell’inizio del secolo. Il suo splendido sguardo mostra una straordinaria capacità di raccontare la complessità di una rivoluzione senza mai perdere la delicatezza di porgere attenzione ad un particolare, ad un fiore. Una donna, una artista oltre le definizioni, oltre il suo tempo, che proietta verso una modernità che trova nella “Desiderio” la scintilla per muoversi verso un ideale imprescindibile, una passione irrinunciabile, una volontà tenace, nell’esplorazione di sé e della stessa vita per lei già immortale. nelle altre aree che scopriamo un’interpretazione insolita del suo lavoro, che per essere inserita nel progetto Roma Fotografia 2020 “EROS” aveva bisogno di isolare i suoi sguardi non dal punto di vista specifico o ideologico, ma simbolico. Ed ecco che le fotografie di mani diventano fiori e fiori che diventano mani, da sempre simboli di amore e sensualità. Un progetto inedito frutto di un lavoro approfondito di ricerca a cura dei fotografi di Roma Fotografia: Maria Cristina Valeri e Alex Mezzenga.
La mostra, organizzata in collaborazione con Associazione Culturale onlus 8 Marzo, prevede 38 opere che provengono dall’Instituto de Investigaciones Estéticas (IIE), dal Fondo “Manuel Toussaint” dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) di Città del Messico e dalla Collezione della Fototeca Nazionale dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia (INAH) della Città di Pachuca Hidalgo, Messico.
Info: www.palazzomerulana.it
sabato 15 febbraio 2020
Gesualdo Project, alla IUC secondo appuntamento con Les Arts Florissants dedicato ai Libri di Madrigali di Gesualdo
Secondo appuntamento nell’ambito del progetto europeo di Les Arts Florissants e Paul Agnew dedicato all’integrale dei madrigali di Gesualdo. Il concerto sarà preceduto da un incontro a cura di Giovanni D’Alò, dal titolo Come ascoltare un Madrigale.
Dopo il grande successo del concerto inaugurale (non a caso è stato inserito dalla critica tra i 10 migliori concerti del 2019), prosegue alla IUC il Gesualdo Project, nell’ambito di un ampio progetto, che prevede l’esecuzione completa dei suoi sei Libri di Madrigali in varie città europee, tra cui Parigi, Madrid, Siviglia, Essen, ma anche a New York, che la IUC propone in esclusiva per l’Italia.
In programma l’integrale del Quarto Libro dei Madrigali di Carlo Gesualdo principe di Venosa, che sarà eseguita da Les Arts Florissants con la direzione di Paul Agnew. Nella prima parte del concerto si ascolteranno anche madrigali di altri grandi compositori italiani e fiamminghi, che aprirono la strada ai capolavori di Gesualdo: sono Orlando Di Lasso, Nicola Vicentino, Luca Marenzio, Luzzasco Luzzaschi e Claudio Monteverdi. Il concerto sarà preceduto, alle ore 16:30 presso la Sala Multimediale-Rettorato, da un incontro a cura di Giovanni D’Alò, dal titolo Come ascoltare un Madrigale.
Vissuto a cavallo dei secoli sedicesimo e diciassettesimo, Gesualdo è uno dei più originali e geniali musicisti di tutti i tempi e una figura chiave della transizione dal Rinascimento al Barocco, poiché la polifonia vocale, che rappresentava il culmine della musica rinascimentale, venne da lui usata per esprimere gli affetti contrastanti e portati all’estremo del barocco, usando dissonanze e cromatismi non ammessi dalle regole del tempo e anticipando così di oltre due secoli i successivi sviluppi della musica.
Discendente di una delle più antiche e potenti famiglie del regno di Napoli, Gesualdo nel 1590 uccise la moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, colti in flagrante adulterio. La legge non osò toccare un personaggio così potente, ma Gesualdo ritenne più prudente lasciare Napoli rifugiarsi in un suo castello isolato per timore della vendetta delle famiglie D’Avalos e Carafa. Alcuni anni dopo – era il 1595 – si recò a Ferrara per sposare in seconde nozze la duchessa Eleonora d’Este, fermandosi a lungo nella capitale estense.
Già a Napoli Gesualdo era stato in contatto con grandi musicisti italiani e fiamminghi e con grandi poeti come Torquato Tasso, ma il vivace ambiente musicale ferrarese diede nuovo impulso alla sua arte. Lì compose il suo Quarto Libro di Madrigali, pubblicato proprio a Ferrara nel 1596. Nei testi sempre molto tormentati e cupi e nel fatto che proprio al centro della raccolta abbia inserito il madrigale spirituale “Sparge la morte al mio Signor”, si è voluto vedere il riflesso del tragico fatto di sangue che segnò la sua vita, ma questa è un’interpretazione moderna, perché le concezioni dell’epoca non prevedevano commistioni tra vita e arte.
Les Arts Florissants è un collettivo strumentale e vocale a organico variabile e modulabile a seconda delle esigenze artistiche, che nel 2019 ha celebrato i quarant’anni di attività. Il fondatore è William Christie, che nel 2013 ha associato Paul Agnew alla direzione del gruppo. È stata tra le prime e più reputate formazioni in campo internazionale nell’ambito della musica rinascimentale e barocca, eseguita ricostruendo fedelmente le modalità originali, ed è attiva nel campo della musica vocale e strumentale, del concerto e dell’opera. Il suo curriculum è talmente ricco che è impossibile offrirne un sia pur sintetico quadro: per darne appena un’idea, si può ricordare che questo gruppo ha inciso oltre cento dischi e si esibisce circa cento volte all’anno, a Parigi, New York, Londra, Bruxelles, Vienna, Salisburgo, Madrid, Mosca… praticamente in tutti le principali capitali della musica del mondo intero.
In collaborazione con la Cité de la Musique – Philharmonie de Paris.
Les Arts Florissants riceve il sostegno finanziario del Ministero della Cultura e della Comunicazione, del Dipartimento di Vendée e della Regione della Loira. L’Ensemble risiede presso la Philharmonie de Paris dal 2015. Selz Foundation, American Friends of Les Arts Florissants e Crédit Agricole Corporale & lnvestment Bank sono gli sponsor principali.
Programma
Orlando di Lasso Timor et tremor
Nicola Vicentino L’aura che ’l verde lauro
Luca Marenzio Solo e pensoso
Luzzasco Luzzaschi Quivi sospiri
Claudio Monteverdi Luci serene e chiare
Gesualdo da Venosa Il Quarto Libro de’ Madrigali
Info: www.concertiiuc.it/
Dopo il grande successo del concerto inaugurale (non a caso è stato inserito dalla critica tra i 10 migliori concerti del 2019), prosegue alla IUC il Gesualdo Project, nell’ambito di un ampio progetto, che prevede l’esecuzione completa dei suoi sei Libri di Madrigali in varie città europee, tra cui Parigi, Madrid, Siviglia, Essen, ma anche a New York, che la IUC propone in esclusiva per l’Italia.
In programma l’integrale del Quarto Libro dei Madrigali di Carlo Gesualdo principe di Venosa, che sarà eseguita da Les Arts Florissants con la direzione di Paul Agnew. Nella prima parte del concerto si ascolteranno anche madrigali di altri grandi compositori italiani e fiamminghi, che aprirono la strada ai capolavori di Gesualdo: sono Orlando Di Lasso, Nicola Vicentino, Luca Marenzio, Luzzasco Luzzaschi e Claudio Monteverdi. Il concerto sarà preceduto, alle ore 16:30 presso la Sala Multimediale-Rettorato, da un incontro a cura di Giovanni D’Alò, dal titolo Come ascoltare un Madrigale.
Vissuto a cavallo dei secoli sedicesimo e diciassettesimo, Gesualdo è uno dei più originali e geniali musicisti di tutti i tempi e una figura chiave della transizione dal Rinascimento al Barocco, poiché la polifonia vocale, che rappresentava il culmine della musica rinascimentale, venne da lui usata per esprimere gli affetti contrastanti e portati all’estremo del barocco, usando dissonanze e cromatismi non ammessi dalle regole del tempo e anticipando così di oltre due secoli i successivi sviluppi della musica.
Discendente di una delle più antiche e potenti famiglie del regno di Napoli, Gesualdo nel 1590 uccise la moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, colti in flagrante adulterio. La legge non osò toccare un personaggio così potente, ma Gesualdo ritenne più prudente lasciare Napoli rifugiarsi in un suo castello isolato per timore della vendetta delle famiglie D’Avalos e Carafa. Alcuni anni dopo – era il 1595 – si recò a Ferrara per sposare in seconde nozze la duchessa Eleonora d’Este, fermandosi a lungo nella capitale estense.
Già a Napoli Gesualdo era stato in contatto con grandi musicisti italiani e fiamminghi e con grandi poeti come Torquato Tasso, ma il vivace ambiente musicale ferrarese diede nuovo impulso alla sua arte. Lì compose il suo Quarto Libro di Madrigali, pubblicato proprio a Ferrara nel 1596. Nei testi sempre molto tormentati e cupi e nel fatto che proprio al centro della raccolta abbia inserito il madrigale spirituale “Sparge la morte al mio Signor”, si è voluto vedere il riflesso del tragico fatto di sangue che segnò la sua vita, ma questa è un’interpretazione moderna, perché le concezioni dell’epoca non prevedevano commistioni tra vita e arte.
Les Arts Florissants è un collettivo strumentale e vocale a organico variabile e modulabile a seconda delle esigenze artistiche, che nel 2019 ha celebrato i quarant’anni di attività. Il fondatore è William Christie, che nel 2013 ha associato Paul Agnew alla direzione del gruppo. È stata tra le prime e più reputate formazioni in campo internazionale nell’ambito della musica rinascimentale e barocca, eseguita ricostruendo fedelmente le modalità originali, ed è attiva nel campo della musica vocale e strumentale, del concerto e dell’opera. Il suo curriculum è talmente ricco che è impossibile offrirne un sia pur sintetico quadro: per darne appena un’idea, si può ricordare che questo gruppo ha inciso oltre cento dischi e si esibisce circa cento volte all’anno, a Parigi, New York, Londra, Bruxelles, Vienna, Salisburgo, Madrid, Mosca… praticamente in tutti le principali capitali della musica del mondo intero.
In collaborazione con la Cité de la Musique – Philharmonie de Paris.
Les Arts Florissants riceve il sostegno finanziario del Ministero della Cultura e della Comunicazione, del Dipartimento di Vendée e della Regione della Loira. L’Ensemble risiede presso la Philharmonie de Paris dal 2015. Selz Foundation, American Friends of Les Arts Florissants e Crédit Agricole Corporale & lnvestment Bank sono gli sponsor principali.
Programma
Orlando di Lasso Timor et tremor
Nicola Vicentino L’aura che ’l verde lauro
Luca Marenzio Solo e pensoso
Luzzasco Luzzaschi Quivi sospiri
Claudio Monteverdi Luci serene e chiare
Gesualdo da Venosa Il Quarto Libro de’ Madrigali
Info: www.concertiiuc.it/
Educazione stradale: azioni ed iniziative per i più giovani
L’educazione stradale è di primaria importanza ed una delle priorità su cui diversi attori istituzionali stanno lavorando per promuovere tra i giovani la cultura della sicurezza in strada. Tra questi Edustrada è il progetto nazionale per l'educazione stradale nelle scuole, uno strumento operativo che utilizza metodologie nuove per aumentare il coinvolgimento degli studenti e dei docenti.
Secondo l'ultimo Rapporto ACI-ISTAT sugli incidenti stradali 2018, si registra, purtroppo, un aumento delle vittime delle categorie vulnerabili, in particolare tra i pedoni. La riduzione media annua del numero di vittime della strada del nostro Paese, poi, pari a 2,6% nel periodo 2010-2018, è inferiore a quanto stimato per l’obiettivo europeo - ormai irraggiungibile - di dimezzare il numero di morti in incidenti stradali entro il 2020.
Secondo Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’Automobile Club d’Italia, in occasione dell'evento "Workshop Sicurezza stradale: azione ed iniziative di educazione stradale per i più giovani", tenutosi presso la sede ACI di Roma il 6 febbraio 2020, "La sicurezza deve tornare ad essere una priorità, sono necessari, da subito, corsi di aggiornamento o di guida sicura riservati ai conducenti, in quanto, se da una parte l’età delle vittime è aumentata, dall’altra i giovani si confermano la categoria più a rischio".
I dati
Giovani 15/24 anni e anziani 70/74 prime vittime; bambini in diminuzione
Le fasce d’età più a rischio risultano i giovani tra 15 e 24 anni (413 morti: 12,4% del totale; 70,2 decessi per un milione di residenti) e gli anziani tra 70 e 74 anni (222 morti: 6,7% del totale; 78,4 decessi per un milione di residenti).
Per gli uomini si rilevano picchi in tre fasce d’età: 40-44 (200 morti), 20-24 (197), 55-59 (194). Per le donne frequenze maggiori per le età 70-84 (179).
Nel 2018 si sono registrate 9 vittime in meno tra i bambini 0-14 anni (34 rispetto ai 43 dell’anno precedente: -20,9%), ma siamo ancora lontani dall’obiettivo “vision zero” stabilito dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale 2020.
Tra tutti i conducenti coinvolti in incidenti, è particolarmente alto il numero di quelli tra i 40 e i 49 anni (21%), seguiti dai giovani tra i 20 e i 29 anni (19%) ma si registrano proporzioni elevate anche tra i più anziani (8% con età 70 anni e più). Rispetto ai patentati la probabilità di essere coinvolti in un incidente è più elevata nei giovanissimi, mentre decresce a partire dai 25 anni.
Aumentano pedoni e ciclomotoristi; diminuiscono motociclisti e ciclisti
L’aumento dei morti ha riguardato, in modo particolare, ciclomotoristi (108; +17,4%) - che si confermano tra le categorie più a rischio - e pedoni (609; +1,5%). Nel complesso, gli utenti vulnerabili rappresentano circa il 50% dei decessi (1.621 su 3.325).
Nel 2018 si sono registrate 1.420 vittime tra conducenti e passeggeri di autovetture (-3%), 685 tra i motociclisti (-6,8%), 219 tra i ciclisti (-13,8%).
Aumentano i morti sulle autostrade, diminuiscono in città e sulle strade extraurbane
Nel 2018 è diminuito il numero di incidenti su strade urbane (126.701; -2,9%) e autostrade (9.372; -0,2%), mentre è aumentato sulle extraurbane (36.271; +3,4%). In città e in autostrada sono diminuiti anche i feriti (169.573 e 15.440 rispetto a 174.612 e 15.844 del 2017, pari a -2,9 e -2,5%).
Crescono (+10,5%) i morti su autostrade (i 43 morti di Genova sul Ponte Morandi sono compresi nella statistica), mentre scendono quelli all’interno dei centri abitati (-4,4%) e sulle strade extraurbane (-1,2%).
Prime cause: distrazione, mancata precedenza e velocità elevata
Distrazione, mancato rispetto della precedenza o del semaforo, velocità troppo elevata si confermano, anche nel 2018, le prime tre cause di incidente (complessivamente il 40,8% delle circostanze).
Tra le altre cause più rilevanti: distanza di sicurezza (20.443), manovra irregolare (15.192), comportamento scorretto verso il pedone (7.243) o del pedone (7.021), presenza di buche o ostacoli accidentali (6.753): rispettivamente il 9,2%, il 6,9%, il 3,3%, il 3,2% e il 3,1% del totale.
Sulle strade urbane la prima causa di incidente è il mancato rispetto di precedenza o semafori (17%), seguito dalla guida distratta (14,9%); sulle strade extraurbane la guida distratta o andamento indeciso (20,1%), velocità troppo elevata (14%) e mancata distanza di sicurezza (13,8%).
Violazioni principali: velocità, segnaletica, cinture di sicurezza/seggiolini e uso del cellulare
Nel 2018 le sanzioni per le violazioni al Codice della Strada si sono ridotte complessivamente del 4,4%, (anche a causa della diminuzione dei controlli da parte delle Forze dell’Ordine), le voci principali, oltre al superamento dei limiti di velocità, vedono ai primi posti l’inosservanza del rispetto della segnaletica (365.697; -6,6%), seguita da mancato uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta dei bambini (202.941; -0,03%) e uso improprio del cellulare alla guida (136.950; -6,1%).
In diminuzione anche le contravvenzioni per eccesso di velocità, (2.513.936; -11,6%). Tra le probabili cause il fatto che, nei mesi di giugno e luglio, il sistema Tutor sia stato inattivo.
Agosto mese più pericoloso
I mesi estivi si confermano il periodo con il maggior numero di incidenti e vittime. Agosto è il mese più pericoloso per il numero di incidenti gravi in tutti gli ambiti stradali (2,7 morti ogni 100 incidenti). Giugno e luglio quelli con più incidenti nel complesso, (rispettivamente 16.755 e 16.856). Gennaio e Febbraio, viceversa, i mesi con il minor numero di incidenti, Febbraio anche con il minor numero di morti. Di notte (tra le 22 e le 6 del mattino) e nelle ore di buio aumentano sia l’indice di mortalità che quello di lesività (rispettivamente morti e feriti ogni 100 incidenti).
L'importanza dell'educazione stradale
In tale contesto risulta di primaria importanza promuovere l'educazione stradale soprattutto tra i più giovani e sono diversi i progetti avviati in Italia, che vedono la presenza di diversi attori istituzionali:
Il portale Edustrada del Miur
L’educazione stradale è una delle priorità su cui il Miur lavora per promuovere tra i giovani la cultura della sicurezza in strada. Edustrada è il progetto nazionale per l'educazione stradale nelle scuole, uno strumento operativo che utilizza metodologie nuove per aumentare il coinvolgimento degli studenti e dei docenti. La piattaforma www.edustrada.it è uno spazio interattivo dedicato alle scuole, di ogni ordine e grado, per consentire l’adesione - previa registrazione - all’offerta formativa del Miur in tema di educazione stradale.
Il portale è stato avviato dalla Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Miur nel 2017, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Polizia stradale, il Dipartimento di psicologia dell’università “Sapienza” di Roma, la Federazione ciclistica italiana, la Federazione motociclistica italiana, l’Automobile club d’Italia, la Fondazione Ania. Il lavoro dei diversi partner punta a diffondere in tutti i cicli scolastici la cultura della sicurezza stradale, il rispetto delle norme e la mobilità sostenibile.
Il progetto SicuraMENTE: Educazione alla mobilità sicura e sostenibile
Il progetto SicuraMENTE nasce da un’esperienza condivisa dal 2007 tra la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Ufficio Scolastico Regionale per il FVG per sensibilizzare tutti gli studenti della Regione ad un’educazione stradale attiva e consapevole. Scopo dell’iniziativa è quello di stimolare i giovani ad una riflessione responsabile e partecipata sui temi della sicurezza stradale e della mobilità sicura e sostenibile –intesa come cultura del rispetto delle regole e degli altri–attraverso un confronto diretto con coetanei o con ragazzi più giovani che sfoci nell’acquisizione di abitudini comportamentali corrette.
De.Si.Re. – La città che vorrei
De.Si.Re. – La città che vorrei è un’iniziativa di formazione sui temi della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile, già realizzata a Roma nel 2019 in 14 Istituti della Scuola primaria: 4.300 gli alunni coinvolti per un totale di 2.000 ore di formazione. Il progetto è promosso da Roma Capitale e patrocinato dalla “Consulta Cittadina Sicurezza Stradale, Mobilità Dolce e Sostenibilità”, in collaborazione con l’Automobile Club Roma, la Federazione Ciclistica Italiana e la Polizia Locale di Roma Capitale. Quest'anno l’iniziativa è stata estesa anche agli alunni della Scuola secondaria di I grado. Il fine è quello di trasferire loro, sin da piccoli, la conoscenza e l’importanza delle regole da seguire sulla strada, insieme alla consapevolezza dei rischi e delle conseguenze che possono derivare da comportamenti errati e irresponsabili.
Secondo l'ultimo Rapporto ACI-ISTAT sugli incidenti stradali 2018, si registra, purtroppo, un aumento delle vittime delle categorie vulnerabili, in particolare tra i pedoni. La riduzione media annua del numero di vittime della strada del nostro Paese, poi, pari a 2,6% nel periodo 2010-2018, è inferiore a quanto stimato per l’obiettivo europeo - ormai irraggiungibile - di dimezzare il numero di morti in incidenti stradali entro il 2020.
Secondo Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’Automobile Club d’Italia, in occasione dell'evento "Workshop Sicurezza stradale: azione ed iniziative di educazione stradale per i più giovani", tenutosi presso la sede ACI di Roma il 6 febbraio 2020, "La sicurezza deve tornare ad essere una priorità, sono necessari, da subito, corsi di aggiornamento o di guida sicura riservati ai conducenti, in quanto, se da una parte l’età delle vittime è aumentata, dall’altra i giovani si confermano la categoria più a rischio".
I dati
Giovani 15/24 anni e anziani 70/74 prime vittime; bambini in diminuzione
Le fasce d’età più a rischio risultano i giovani tra 15 e 24 anni (413 morti: 12,4% del totale; 70,2 decessi per un milione di residenti) e gli anziani tra 70 e 74 anni (222 morti: 6,7% del totale; 78,4 decessi per un milione di residenti).
Per gli uomini si rilevano picchi in tre fasce d’età: 40-44 (200 morti), 20-24 (197), 55-59 (194). Per le donne frequenze maggiori per le età 70-84 (179).
Nel 2018 si sono registrate 9 vittime in meno tra i bambini 0-14 anni (34 rispetto ai 43 dell’anno precedente: -20,9%), ma siamo ancora lontani dall’obiettivo “vision zero” stabilito dal Piano Nazionale della Sicurezza Stradale 2020.
Tra tutti i conducenti coinvolti in incidenti, è particolarmente alto il numero di quelli tra i 40 e i 49 anni (21%), seguiti dai giovani tra i 20 e i 29 anni (19%) ma si registrano proporzioni elevate anche tra i più anziani (8% con età 70 anni e più). Rispetto ai patentati la probabilità di essere coinvolti in un incidente è più elevata nei giovanissimi, mentre decresce a partire dai 25 anni.
Aumentano pedoni e ciclomotoristi; diminuiscono motociclisti e ciclisti
L’aumento dei morti ha riguardato, in modo particolare, ciclomotoristi (108; +17,4%) - che si confermano tra le categorie più a rischio - e pedoni (609; +1,5%). Nel complesso, gli utenti vulnerabili rappresentano circa il 50% dei decessi (1.621 su 3.325).
Nel 2018 si sono registrate 1.420 vittime tra conducenti e passeggeri di autovetture (-3%), 685 tra i motociclisti (-6,8%), 219 tra i ciclisti (-13,8%).
Aumentano i morti sulle autostrade, diminuiscono in città e sulle strade extraurbane
Nel 2018 è diminuito il numero di incidenti su strade urbane (126.701; -2,9%) e autostrade (9.372; -0,2%), mentre è aumentato sulle extraurbane (36.271; +3,4%). In città e in autostrada sono diminuiti anche i feriti (169.573 e 15.440 rispetto a 174.612 e 15.844 del 2017, pari a -2,9 e -2,5%).
Crescono (+10,5%) i morti su autostrade (i 43 morti di Genova sul Ponte Morandi sono compresi nella statistica), mentre scendono quelli all’interno dei centri abitati (-4,4%) e sulle strade extraurbane (-1,2%).
Prime cause: distrazione, mancata precedenza e velocità elevata
Distrazione, mancato rispetto della precedenza o del semaforo, velocità troppo elevata si confermano, anche nel 2018, le prime tre cause di incidente (complessivamente il 40,8% delle circostanze).
Tra le altre cause più rilevanti: distanza di sicurezza (20.443), manovra irregolare (15.192), comportamento scorretto verso il pedone (7.243) o del pedone (7.021), presenza di buche o ostacoli accidentali (6.753): rispettivamente il 9,2%, il 6,9%, il 3,3%, il 3,2% e il 3,1% del totale.
Sulle strade urbane la prima causa di incidente è il mancato rispetto di precedenza o semafori (17%), seguito dalla guida distratta (14,9%); sulle strade extraurbane la guida distratta o andamento indeciso (20,1%), velocità troppo elevata (14%) e mancata distanza di sicurezza (13,8%).
Violazioni principali: velocità, segnaletica, cinture di sicurezza/seggiolini e uso del cellulare
Nel 2018 le sanzioni per le violazioni al Codice della Strada si sono ridotte complessivamente del 4,4%, (anche a causa della diminuzione dei controlli da parte delle Forze dell’Ordine), le voci principali, oltre al superamento dei limiti di velocità, vedono ai primi posti l’inosservanza del rispetto della segnaletica (365.697; -6,6%), seguita da mancato uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta dei bambini (202.941; -0,03%) e uso improprio del cellulare alla guida (136.950; -6,1%).
In diminuzione anche le contravvenzioni per eccesso di velocità, (2.513.936; -11,6%). Tra le probabili cause il fatto che, nei mesi di giugno e luglio, il sistema Tutor sia stato inattivo.
Agosto mese più pericoloso
I mesi estivi si confermano il periodo con il maggior numero di incidenti e vittime. Agosto è il mese più pericoloso per il numero di incidenti gravi in tutti gli ambiti stradali (2,7 morti ogni 100 incidenti). Giugno e luglio quelli con più incidenti nel complesso, (rispettivamente 16.755 e 16.856). Gennaio e Febbraio, viceversa, i mesi con il minor numero di incidenti, Febbraio anche con il minor numero di morti. Di notte (tra le 22 e le 6 del mattino) e nelle ore di buio aumentano sia l’indice di mortalità che quello di lesività (rispettivamente morti e feriti ogni 100 incidenti).
L'importanza dell'educazione stradale
In tale contesto risulta di primaria importanza promuovere l'educazione stradale soprattutto tra i più giovani e sono diversi i progetti avviati in Italia, che vedono la presenza di diversi attori istituzionali:
Il portale Edustrada del Miur
L’educazione stradale è una delle priorità su cui il Miur lavora per promuovere tra i giovani la cultura della sicurezza in strada. Edustrada è il progetto nazionale per l'educazione stradale nelle scuole, uno strumento operativo che utilizza metodologie nuove per aumentare il coinvolgimento degli studenti e dei docenti. La piattaforma www.edustrada.it è uno spazio interattivo dedicato alle scuole, di ogni ordine e grado, per consentire l’adesione - previa registrazione - all’offerta formativa del Miur in tema di educazione stradale.
Il portale è stato avviato dalla Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Miur nel 2017, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Polizia stradale, il Dipartimento di psicologia dell’università “Sapienza” di Roma, la Federazione ciclistica italiana, la Federazione motociclistica italiana, l’Automobile club d’Italia, la Fondazione Ania. Il lavoro dei diversi partner punta a diffondere in tutti i cicli scolastici la cultura della sicurezza stradale, il rispetto delle norme e la mobilità sostenibile.
Il progetto SicuraMENTE: Educazione alla mobilità sicura e sostenibile
Il progetto SicuraMENTE nasce da un’esperienza condivisa dal 2007 tra la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Ufficio Scolastico Regionale per il FVG per sensibilizzare tutti gli studenti della Regione ad un’educazione stradale attiva e consapevole. Scopo dell’iniziativa è quello di stimolare i giovani ad una riflessione responsabile e partecipata sui temi della sicurezza stradale e della mobilità sicura e sostenibile –intesa come cultura del rispetto delle regole e degli altri–attraverso un confronto diretto con coetanei o con ragazzi più giovani che sfoci nell’acquisizione di abitudini comportamentali corrette.
De.Si.Re. – La città che vorrei
De.Si.Re. – La città che vorrei è un’iniziativa di formazione sui temi della sicurezza stradale e della mobilità sostenibile, già realizzata a Roma nel 2019 in 14 Istituti della Scuola primaria: 4.300 gli alunni coinvolti per un totale di 2.000 ore di formazione. Il progetto è promosso da Roma Capitale e patrocinato dalla “Consulta Cittadina Sicurezza Stradale, Mobilità Dolce e Sostenibilità”, in collaborazione con l’Automobile Club Roma, la Federazione Ciclistica Italiana e la Polizia Locale di Roma Capitale. Quest'anno l’iniziativa è stata estesa anche agli alunni della Scuola secondaria di I grado. Il fine è quello di trasferire loro, sin da piccoli, la conoscenza e l’importanza delle regole da seguire sulla strada, insieme alla consapevolezza dei rischi e delle conseguenze che possono derivare da comportamenti errati e irresponsabili.
venerdì 14 febbraio 2020
Animazione, arriva in tv la serie sul mitico Topo Gigio. 52 episodi da 11 minuti l’uno interamente realizzati da talenti italiani
Ma cosa mi dici mai... Arriva la serie Tv “Topo Gigio”: 52 episodi da 11 minuti l’uno interamente realizzati da talenti italiani. La produzione a cura della DogHead Animation di Firenze. In onda dal prossimo autunno su Rai YoYo.
Ricordate Topo Gigio? Il pupazzo più amato dagli italiani, protagonista di programmi televisivi come Carosello, Canzonissima, Lo Zecchino d'oro, diventando poi un successo planetario conosciuto in oltre 40 paesi del mondo, nasce 60 anni fa dalla mente di Maria Perego, recentemente scomparsa. La mamma di Topo Gigio è stata non solo l’inventrice di un pupazzo diventato personaggio iconico della televisione italiana a partire dagli anni Sessanta ma anche portatrice di un nuovo modo di fare spettacolo.
Il mitico pupazzo arriva ora in tv con la serie “Topo Gigio”: 52 episodi da 11 minuti l’uno interamente realizzati da talenti italiani. La serie è co-prodotta da Movimenti Production (casa di produzione anch’essa facente parte del Gruppo ForFun) e la Topo Gigio srl, che rappresenta la proprietà dell’IP, ovvero la sua inventrice Maria Perego e sarà in onda su Rai YoYo dal prossimo autunno, grazie alla partnership preziosa di Rai Ragazzi.
Topo Gigio è una nuova produzione e vero fiore all’occhiello della DogHead Animation, studio di animazione 2D leader in Italia che unisce design e creatività, tradizione e innovazione, artigianalità e tecnologia. Un eccellenza tutta italiana che ha da poco inaugurato i nuovi studi a Firenze che hanno sede in una delle aree riqualificate della Manifattura Tabacchi: 500mq suddivisi tra uffici, un’arena per workshop e proiezioni, open space operativo attrezzato con hardware e software avanzati – saranno occupati dagli oltre 50 collaboratori che compongono il team di produzione (che segue a livello organizzativo i progetti), il team dei supervisori artistici, (che controlla la qualità tecnico artistica dei progetti), il team di rigger, il team dei layout artists ed il team degli animatori. Questi ultimi tre dipartimenti rappresentano il cuore pulsante dell’attività principale di DogHead Animation, che grazie alla versatilità dei suoi artisti può produrre animazione a standard altamente competitivi a livello europeo e mondiale.
Lo studio di produzione di cartoni animati DogHead Animation nasce alla fine del 2018 come newCo del Gruppo ForFun Media: il primo ambizioso obiettivo è stato quello di riportare l’animazione 2D in Italia, una scommessa per il nostro Paese che da molti anni non aveva in questo settore una realtà così ampia per dimensioni, talenti, eccellenze, oltre a capacità progettuali e organizzative in grado di realizzare prodotti totalmente Made in Italy.
In poco più di un anno dalla sua nascita, DogHead Animation ha già prodotto quasi 500 minuti di animazione, spaziando da un trailer di circa due minuti per la società di produzione francese Studio RedFrog, con la quale è in fase di progettazione la realizzazione dell’intera serie di respiro internazionale, e le animazioni per il videoclip di Takagi&Ketra (Jovanotti, Tommaso Paradiso e Calcutta) “La Gatta e la Luna”. Inoltre, per il grande schermo DogHead ha realizzato la clip animata “La Cicogna Strabica”, che chiude il film di Checco Zalone “Tolo Tolo”.
Ricordate Topo Gigio? Il pupazzo più amato dagli italiani, protagonista di programmi televisivi come Carosello, Canzonissima, Lo Zecchino d'oro, diventando poi un successo planetario conosciuto in oltre 40 paesi del mondo, nasce 60 anni fa dalla mente di Maria Perego, recentemente scomparsa. La mamma di Topo Gigio è stata non solo l’inventrice di un pupazzo diventato personaggio iconico della televisione italiana a partire dagli anni Sessanta ma anche portatrice di un nuovo modo di fare spettacolo.
Il mitico pupazzo arriva ora in tv con la serie “Topo Gigio”: 52 episodi da 11 minuti l’uno interamente realizzati da talenti italiani. La serie è co-prodotta da Movimenti Production (casa di produzione anch’essa facente parte del Gruppo ForFun) e la Topo Gigio srl, che rappresenta la proprietà dell’IP, ovvero la sua inventrice Maria Perego e sarà in onda su Rai YoYo dal prossimo autunno, grazie alla partnership preziosa di Rai Ragazzi.
Topo Gigio è una nuova produzione e vero fiore all’occhiello della DogHead Animation, studio di animazione 2D leader in Italia che unisce design e creatività, tradizione e innovazione, artigianalità e tecnologia. Un eccellenza tutta italiana che ha da poco inaugurato i nuovi studi a Firenze che hanno sede in una delle aree riqualificate della Manifattura Tabacchi: 500mq suddivisi tra uffici, un’arena per workshop e proiezioni, open space operativo attrezzato con hardware e software avanzati – saranno occupati dagli oltre 50 collaboratori che compongono il team di produzione (che segue a livello organizzativo i progetti), il team dei supervisori artistici, (che controlla la qualità tecnico artistica dei progetti), il team di rigger, il team dei layout artists ed il team degli animatori. Questi ultimi tre dipartimenti rappresentano il cuore pulsante dell’attività principale di DogHead Animation, che grazie alla versatilità dei suoi artisti può produrre animazione a standard altamente competitivi a livello europeo e mondiale.
Lo studio di produzione di cartoni animati DogHead Animation nasce alla fine del 2018 come newCo del Gruppo ForFun Media: il primo ambizioso obiettivo è stato quello di riportare l’animazione 2D in Italia, una scommessa per il nostro Paese che da molti anni non aveva in questo settore una realtà così ampia per dimensioni, talenti, eccellenze, oltre a capacità progettuali e organizzative in grado di realizzare prodotti totalmente Made in Italy.
In poco più di un anno dalla sua nascita, DogHead Animation ha già prodotto quasi 500 minuti di animazione, spaziando da un trailer di circa due minuti per la società di produzione francese Studio RedFrog, con la quale è in fase di progettazione la realizzazione dell’intera serie di respiro internazionale, e le animazioni per il videoclip di Takagi&Ketra (Jovanotti, Tommaso Paradiso e Calcutta) “La Gatta e la Luna”. Inoltre, per il grande schermo DogHead ha realizzato la clip animata “La Cicogna Strabica”, che chiude il film di Checco Zalone “Tolo Tolo”.
Celebrazioni Raffaellesche. Ai Vaticani straordinaria esposizione dei preziosi arazzi degli Atti degli Apostoli
In occasione delle celebrazioni per il V centenario della morte di Raffaello Sanzio, straordinaria esposizione dei preziosi arazzi degli Atti degli Apostoli in Cappella Sistina.
In occasione delle celebrazioni per il V centenario della morte di Raffaello Sanzio, dal 17 al 23 febbraio 2020, i Musei Vaticani hanno il piacere di presentare la Cappella Sistina magnificamente adorna nella sua interezza la serie completa dei preziosi arazzi degli Atti degli Apostoli nell'originale posizionamento in Cappella Sistina realizzati su cartoni di Raffaello.
Dopo la presentazione della ricostruita Pala dei Decemviri opera di Pietro Perugino maestro di Raffaello, ai Musei Vaticani le Celebrazioni Raffaellesche entrano nel vivo con la rievocazione del suggestivo grandioso allestimento in Cappella Sistina degli arazzi ideati da Raffaello che l’artista non poté mai ammirare al completo causa la morte prematura.
“1520-2020: una celebrazione favolosa – 500 anni – la metà di un millennio, che ha visto Raffaello Sanzio da Urbino protagonista della bellezza, dell’armonia, del gusto e dell’ispirazione creativa di generazioni di pittori, scultori, decoratori, architetti ed artisti. Un artista universale, Raffaello, che ha fornito alla civiltà figurativa occidentale i modelli supremi della Bellezza.” afferma Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani.
I Pontefici Sisto IV (1471-1484) e Giulio II (1503-1513) fecero eseguire nella Cappella Magna di Palazzo rispettivamente il ciclo pittorico delle pareti e la volta michelangiolesca. Papa Leone X (1513-1521) volle completare tramite l’arte il messaggio religioso di uno dei luoghi più sacri della Cristianità e, nel 1515, incaricò Raffaello del prestigioso compito di realizzare i cartoni preparatori per una serie di arazzi destinati a rivestire la zona inferiore delle pareti affrescate a finti tendaggi.
Tra il 1515 e il 1516 Raffaello concepì un grande ciclo monumentale con le storie delle vite di San Pietro e San Paolo, i cui cartoni preparatori vennero mandati a Bruxelles per la realizzazione degli arazzi presso la nota bottega del tessitore Pieter van Aelst. I dieci arazzi giunsero in Vaticano fra il 1519 e il 1521.
“Pochi mesi prima della prematura ed improvvisa scomparsa dell’artista – il 26 dicembre 1519 – per la festività di Santo Stefano, i primi sette arazzi della serie vennero esposti alla presenza del suo illustre committente. Il cerimoniere della Cappella Papale, Paris de Grassis, annotava che a universale giudizio non si era mai visto niente di più bello al mondo: ut fuit universale juditium, sunt res qua non est aliquid in orbe nunc pulchrius.”
‘’L’intenzione dei Musei del Papa è quella di condividere – a cinquecento anni di distanza – la stessa Bellezza in omaggio al divino Raffaello. Per comprendere pienamente Raffaello bisogna venire in Vaticano.” precisa il Direttore dei Musei Vaticani.
La rievocazione storica che si presenta il 17 febbraio 2020 offre per un’intera settimana l’eccezionale opportunità di ammirare nella sede per cui furono pensati e voluti da Papa Leone X tutti gli arazzi di Raffaello conservati nelle Collezioni Vaticane ed esposti a turno nel Salone di Raffaello della Pinacoteca Vaticana: in omaggio al ‘divino’ Raffaello, ma anche quale suggestiva memoria dell’antica consuetudine di adornare la maggiore Cappella Papale durante le solenni cerimonie liturgiche del lontano passato.
Tale eccezionale rievocazione è il frutto di lunghi anni di impegnativi studi da parte di specialisti internazionali, che hanno confrontato le scarne notizie storiche riguardanti le rare antiche solenni cerimonie liturgiche per le quali erano stati adoperati gli arazzi con la realtà delle pareti della Cappella Sistina.
Provato per alcune ore nel 1983 e nel 2010 secondo varianti interpretative, nell’anno 2020 – in onore del grande Raffaello nel V centenario della morte – si è deciso di proporre nella sua interezza la serie completa di tutti gli arazzi nell’originale posizionamento, compatibilmente con le trasformazioni subite nei secoli dalla Cappella Sistina, a cominciare da quella della parete dell’altare per la realizzazione del Giudizio Universale di Michelangelo.
Come speciale omaggio a Raffaello da parte della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, a cura di Alessandra Rodolfo (Curatore dei Reparti Arazzi e Tessuti e Arte dei secoli XVII e XVII dei Musei Vaticani) con la preziosa collaborazione del Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti dei Musei Vaticani e grazie all’intenso sforzo corale di tutti i competenti uffici e servizi impegnati nell’operazione, la ineguagliabile rievocazione dell’antico allestimento viene offerta alla pubblica visione per l’intera settimana dal 17 al 23 febbraio.
In tale periodo, la possibilità di ammirare la straordinaria esposizione sarà offerta a tutti i visitatori dei Musei Vaticani durante il consueto orario di apertura museale e secondo le consuete modalità di visita.
www.museivaticani.va
In occasione delle celebrazioni per il V centenario della morte di Raffaello Sanzio, dal 17 al 23 febbraio 2020, i Musei Vaticani hanno il piacere di presentare la Cappella Sistina magnificamente adorna nella sua interezza la serie completa dei preziosi arazzi degli Atti degli Apostoli nell'originale posizionamento in Cappella Sistina realizzati su cartoni di Raffaello.
Dopo la presentazione della ricostruita Pala dei Decemviri opera di Pietro Perugino maestro di Raffaello, ai Musei Vaticani le Celebrazioni Raffaellesche entrano nel vivo con la rievocazione del suggestivo grandioso allestimento in Cappella Sistina degli arazzi ideati da Raffaello che l’artista non poté mai ammirare al completo causa la morte prematura.
“1520-2020: una celebrazione favolosa – 500 anni – la metà di un millennio, che ha visto Raffaello Sanzio da Urbino protagonista della bellezza, dell’armonia, del gusto e dell’ispirazione creativa di generazioni di pittori, scultori, decoratori, architetti ed artisti. Un artista universale, Raffaello, che ha fornito alla civiltà figurativa occidentale i modelli supremi della Bellezza.” afferma Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani.
I Pontefici Sisto IV (1471-1484) e Giulio II (1503-1513) fecero eseguire nella Cappella Magna di Palazzo rispettivamente il ciclo pittorico delle pareti e la volta michelangiolesca. Papa Leone X (1513-1521) volle completare tramite l’arte il messaggio religioso di uno dei luoghi più sacri della Cristianità e, nel 1515, incaricò Raffaello del prestigioso compito di realizzare i cartoni preparatori per una serie di arazzi destinati a rivestire la zona inferiore delle pareti affrescate a finti tendaggi.
Tra il 1515 e il 1516 Raffaello concepì un grande ciclo monumentale con le storie delle vite di San Pietro e San Paolo, i cui cartoni preparatori vennero mandati a Bruxelles per la realizzazione degli arazzi presso la nota bottega del tessitore Pieter van Aelst. I dieci arazzi giunsero in Vaticano fra il 1519 e il 1521.
“Pochi mesi prima della prematura ed improvvisa scomparsa dell’artista – il 26 dicembre 1519 – per la festività di Santo Stefano, i primi sette arazzi della serie vennero esposti alla presenza del suo illustre committente. Il cerimoniere della Cappella Papale, Paris de Grassis, annotava che a universale giudizio non si era mai visto niente di più bello al mondo: ut fuit universale juditium, sunt res qua non est aliquid in orbe nunc pulchrius.”
‘’L’intenzione dei Musei del Papa è quella di condividere – a cinquecento anni di distanza – la stessa Bellezza in omaggio al divino Raffaello. Per comprendere pienamente Raffaello bisogna venire in Vaticano.” precisa il Direttore dei Musei Vaticani.
La rievocazione storica che si presenta il 17 febbraio 2020 offre per un’intera settimana l’eccezionale opportunità di ammirare nella sede per cui furono pensati e voluti da Papa Leone X tutti gli arazzi di Raffaello conservati nelle Collezioni Vaticane ed esposti a turno nel Salone di Raffaello della Pinacoteca Vaticana: in omaggio al ‘divino’ Raffaello, ma anche quale suggestiva memoria dell’antica consuetudine di adornare la maggiore Cappella Papale durante le solenni cerimonie liturgiche del lontano passato.
Tale eccezionale rievocazione è il frutto di lunghi anni di impegnativi studi da parte di specialisti internazionali, che hanno confrontato le scarne notizie storiche riguardanti le rare antiche solenni cerimonie liturgiche per le quali erano stati adoperati gli arazzi con la realtà delle pareti della Cappella Sistina.
Provato per alcune ore nel 1983 e nel 2010 secondo varianti interpretative, nell’anno 2020 – in onore del grande Raffaello nel V centenario della morte – si è deciso di proporre nella sua interezza la serie completa di tutti gli arazzi nell’originale posizionamento, compatibilmente con le trasformazioni subite nei secoli dalla Cappella Sistina, a cominciare da quella della parete dell’altare per la realizzazione del Giudizio Universale di Michelangelo.
Come speciale omaggio a Raffaello da parte della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, a cura di Alessandra Rodolfo (Curatore dei Reparti Arazzi e Tessuti e Arte dei secoli XVII e XVII dei Musei Vaticani) con la preziosa collaborazione del Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti dei Musei Vaticani e grazie all’intenso sforzo corale di tutti i competenti uffici e servizi impegnati nell’operazione, la ineguagliabile rievocazione dell’antico allestimento viene offerta alla pubblica visione per l’intera settimana dal 17 al 23 febbraio.
In tale periodo, la possibilità di ammirare la straordinaria esposizione sarà offerta a tutti i visitatori dei Musei Vaticani durante il consueto orario di apertura museale e secondo le consuete modalità di visita.
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giovedì 13 febbraio 2020
Vino biologico, due studi sulle cause di contaminazione da fosfiti
Due studi del gruppo di ricerca del Crea per trovare le cause dei residui di solfiti nel vino biologico. Al Biofach, la più importante fiera mondiale sul bio, i primi risultati del progetto Biofosf-Wine.
I consumatori che scelgono il bio, si aspettano un prodotto sicuro e privo di residui. Per questo, sta crescendo sempre di più l’attenzione al tema dei fosfiti (sali dell’acido fosforico), residui talvolta inaspettatamente presenti nel vino ma anche nell'ortofrutta biologici, pur essendo in realtà, ammessi solo in agricoltura convenzionale.
Sul tema fosfiti in agricoltura biologica se ne è discusso oggi, in occasione del Workshop internazionale del CREA, dal titolo “Why phosphonic acid residues in organic wine? The Italian BIOFOSF-WINE project” (Perché residui dell’acido fosfonico nel vino biologico? Il progetto italiano BIOFOSF-WINE) nell'ambito del Biofach 2020 a Norimberga. Nello specifico sono stati presentati due progetti coordinati dal CREA: il primo BIOFOSF, conclusosi nel 2018, il secondo, a cui tra l’altro è dedicato il workshop, focalizzato sul vino e ancora in corso.
I ricercatori del CREA hanno indagato prima di tutto le possibili cause di questa presenza indesiderata nei prodotti bio: dall’uso improprio di fosetyl e/o di fosfito di potassio/sodio per la difesa fitosanitaria, all’aggiunta non dichiarata di fosfiti o fosetyl-Al ai mezzi tecnici, alla naturale presenza di fosfiti nei concimi e negli ammendanti o, infine, alla loro produzione spontanea da parte delle colture arboree.
Nel progetto BIOFOSF, dedicato alle contaminazioni da fosfito delle colture orticole e frutticole, sono state realizzate prove sperimentali di campo su colture bio (patata, uva, rucola, pere, pomodoro e kiwi), applicando concimi organici, inorganici e prodotti per la protezione ammessi in biologico, valutandone la potenziale fonte nascosta di acido fosfonico. E’ stato, quindi, effettuato uno screening dei mezzi tecnici (fertilizzanti) ammessi in bio, per verificare l’assenza di acido fosfonico/etilfosfonico ed uno studio sulla degradazione dei prodotti a base di fosetyl.
È emerso che, nelle colture considerate, l’acido fosfonico non viene prodotto spontaneamente dalla pianta, ma si rileva esclusivamente in seguito ad applicazioni di fosetyl-derivati o sali di fosfito, che possono essere effettuate anche inconsapevolmente, tramite l’uso di mezzi tecnici ammessi in biologico, ma contaminati in fase produttiva o irregolari per aggiunte non dichiarate di fosfito o di fosetyl. Inoltre, a causa di diversi tempi di degradazione, è possibile riscontrare o entrambi gli acidi, etilfosfonico e fosfonico insieme, o, se trascorre più tempo, solo quest’ultimo, che degrada più lentamente. La rilevazione del solo acido fosfonico, pertanto, è di per sé sufficiente per indurre a verificare l’applicazione di sali di fosfito, non ammessi in biologico, e, quindi, di eventuali irregolarità.
“La contaminazione da fosfonato – ha dichiarato Alessandra Trinchera, ricercatrice del CREA Agricoltura e Ambiente e coordinatrice di entrambi i progetti - è un problema molto sentito dai produttori biologici italiani, penalizzati per la contaminazione di alcuni loro prodotti, pur avendo seguito correttamente i disciplinari. BIOFOSF ha, di fatto, chiarito sia la dinamica di degradazione del fosetyl, un fitosanitario con ampi residui di acido fosfonico, sia la capacità delle specie frutticole di accumulare il fosfonato nelle loro parti legnose per rilasciarlo successivamente alle foglie ed ai frutti, impattando sui tempi di conversione degli arboreti in bio. Vista la presenza di fosfonato in prodotti a base di rame e di alghe, è, inoltre, necessario implementare adeguatamente il sistema di registrazione e di controllo qualità dei mezzi tecnici per la protezione e la fertilizzazione in biologico. I risultati presentati oggi al Biofach 2020 del progetto BIOFOSF-WINE hanno dimostrato come a volte i 3 anni di conversione in biologico non sono sufficienti a garantire la decontaminazione da fosfiti di un vigneto convenzionale. Nel vino, poi, giocano un ruolo determinante anche i coadiuvanti di fermentazione: abbiamo infatti verificato che il fosfato biammonico e alcuni lieviti possono contenere fosfito, elemento che sottolinea ulteriormente l'importanza di prevedere ulteriori restrizioni per i mezzi tecnici da utilizzare in biologico non solo in campo, ma anche in cantina”.
I due progetti di ricerca dedicati, ossia BIOFOSF “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti nei prodotti ortofrutticoli biologici” e BIOFOSF-WINE “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti in uve e vini biologici”, finanziati dal Mipaaf e coordinati dal Crea, con il suo centro Agricoltura e Ambiente, hanno entrambi operato seguendo un approccio ampiamente partecipato. Nel progetto BIOFOSF sono stati coinvolti altri centri CREA (Cerealicoltura e Colture Industriali e Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura), le associazioni del biologico (Federbio), produttori del comparto (BRIO, Apofruit, BioTropic) e la principale associazione italiana di produttori di fertilizzanti (Federchimica- Assofertilizzanti). Nel progetto BIOFOSF-WINE invece collaborano a vario titolo con il CREA - Agricoltura e Ambiente - la Fondazione E. Mach, Federbio, Alleanza Cooperative, l'Unione Italiana Vini, con l'importante supporto dei Laboratori Vassanelli.
I consumatori che scelgono il bio, si aspettano un prodotto sicuro e privo di residui. Per questo, sta crescendo sempre di più l’attenzione al tema dei fosfiti (sali dell’acido fosforico), residui talvolta inaspettatamente presenti nel vino ma anche nell'ortofrutta biologici, pur essendo in realtà, ammessi solo in agricoltura convenzionale.
Sul tema fosfiti in agricoltura biologica se ne è discusso oggi, in occasione del Workshop internazionale del CREA, dal titolo “Why phosphonic acid residues in organic wine? The Italian BIOFOSF-WINE project” (Perché residui dell’acido fosfonico nel vino biologico? Il progetto italiano BIOFOSF-WINE) nell'ambito del Biofach 2020 a Norimberga. Nello specifico sono stati presentati due progetti coordinati dal CREA: il primo BIOFOSF, conclusosi nel 2018, il secondo, a cui tra l’altro è dedicato il workshop, focalizzato sul vino e ancora in corso.
I ricercatori del CREA hanno indagato prima di tutto le possibili cause di questa presenza indesiderata nei prodotti bio: dall’uso improprio di fosetyl e/o di fosfito di potassio/sodio per la difesa fitosanitaria, all’aggiunta non dichiarata di fosfiti o fosetyl-Al ai mezzi tecnici, alla naturale presenza di fosfiti nei concimi e negli ammendanti o, infine, alla loro produzione spontanea da parte delle colture arboree.
Nel progetto BIOFOSF, dedicato alle contaminazioni da fosfito delle colture orticole e frutticole, sono state realizzate prove sperimentali di campo su colture bio (patata, uva, rucola, pere, pomodoro e kiwi), applicando concimi organici, inorganici e prodotti per la protezione ammessi in biologico, valutandone la potenziale fonte nascosta di acido fosfonico. E’ stato, quindi, effettuato uno screening dei mezzi tecnici (fertilizzanti) ammessi in bio, per verificare l’assenza di acido fosfonico/etilfosfonico ed uno studio sulla degradazione dei prodotti a base di fosetyl.
È emerso che, nelle colture considerate, l’acido fosfonico non viene prodotto spontaneamente dalla pianta, ma si rileva esclusivamente in seguito ad applicazioni di fosetyl-derivati o sali di fosfito, che possono essere effettuate anche inconsapevolmente, tramite l’uso di mezzi tecnici ammessi in biologico, ma contaminati in fase produttiva o irregolari per aggiunte non dichiarate di fosfito o di fosetyl. Inoltre, a causa di diversi tempi di degradazione, è possibile riscontrare o entrambi gli acidi, etilfosfonico e fosfonico insieme, o, se trascorre più tempo, solo quest’ultimo, che degrada più lentamente. La rilevazione del solo acido fosfonico, pertanto, è di per sé sufficiente per indurre a verificare l’applicazione di sali di fosfito, non ammessi in biologico, e, quindi, di eventuali irregolarità.
“La contaminazione da fosfonato – ha dichiarato Alessandra Trinchera, ricercatrice del CREA Agricoltura e Ambiente e coordinatrice di entrambi i progetti - è un problema molto sentito dai produttori biologici italiani, penalizzati per la contaminazione di alcuni loro prodotti, pur avendo seguito correttamente i disciplinari. BIOFOSF ha, di fatto, chiarito sia la dinamica di degradazione del fosetyl, un fitosanitario con ampi residui di acido fosfonico, sia la capacità delle specie frutticole di accumulare il fosfonato nelle loro parti legnose per rilasciarlo successivamente alle foglie ed ai frutti, impattando sui tempi di conversione degli arboreti in bio. Vista la presenza di fosfonato in prodotti a base di rame e di alghe, è, inoltre, necessario implementare adeguatamente il sistema di registrazione e di controllo qualità dei mezzi tecnici per la protezione e la fertilizzazione in biologico. I risultati presentati oggi al Biofach 2020 del progetto BIOFOSF-WINE hanno dimostrato come a volte i 3 anni di conversione in biologico non sono sufficienti a garantire la decontaminazione da fosfiti di un vigneto convenzionale. Nel vino, poi, giocano un ruolo determinante anche i coadiuvanti di fermentazione: abbiamo infatti verificato che il fosfato biammonico e alcuni lieviti possono contenere fosfito, elemento che sottolinea ulteriormente l'importanza di prevedere ulteriori restrizioni per i mezzi tecnici da utilizzare in biologico non solo in campo, ma anche in cantina”.
I due progetti di ricerca dedicati, ossia BIOFOSF “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti nei prodotti ortofrutticoli biologici” e BIOFOSF-WINE “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti in uve e vini biologici”, finanziati dal Mipaaf e coordinati dal Crea, con il suo centro Agricoltura e Ambiente, hanno entrambi operato seguendo un approccio ampiamente partecipato. Nel progetto BIOFOSF sono stati coinvolti altri centri CREA (Cerealicoltura e Colture Industriali e Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura), le associazioni del biologico (Federbio), produttori del comparto (BRIO, Apofruit, BioTropic) e la principale associazione italiana di produttori di fertilizzanti (Federchimica- Assofertilizzanti). Nel progetto BIOFOSF-WINE invece collaborano a vario titolo con il CREA - Agricoltura e Ambiente - la Fondazione E. Mach, Federbio, Alleanza Cooperative, l'Unione Italiana Vini, con l'importante supporto dei Laboratori Vassanelli.
Vino 4.0: distribuzione, comunicazione, promozione, strategie e protagonisti a confronto. Al via il Global Summit di Gambero Rosso
Organizzato da Gambero Rosso, il Global Summit vuole approfondire le strategie da mettere in atto per promuovere il vino italiano in Italia e nel mondo.
Si svolgerà lunedì 17 febbraio prossimo, presso lo Sheraton Hotel & Conference Center di Roma il Global Summit Vino 4.0 Distribuzione, Comunicazione, Promozione Strategie E Protagonisti A Confronto. Un incontro con i canali di distribuzione, tradizionali e innovativi, sulle nuove strategie per promuovere il vino italiano in Italia e nel mondo con l’obiettivo di incrementare i prezzi di vendita, aumentando così il margine per l’intero settore.
I produttori e i consorzi si confronteranno con le migliori espressioni delle enoteche, i migliori sommelier dell’Ho.Re.Ca. che continuano ad avere un ruolo fondamentale nell’introduzione al vino, con i maggiori esponenti della GDO che hanno un ruolo sempre più importante nella vendita del vino. E ancora, con le realtà più importanti dell’E-commerce e del Trade internazionale.
L’obiettivo comune delle tavole di discussione è la massima valorizzazione del prodotto sia in termini di quantità, sia in termini di prezzi di vendita: il vino italiano per conquistare il mercato deve essere raccontato bene.
Seguirà la presentazione della prima Guida Enoteche di Gambero Rosso e il Grande Wine Tasting di presentazione di “Anteprima Fiere Vino”, il Tour di degustazioni e seminari organizzato per il settimo anno da Gambero Rosso in oltre 30 enoteche su tutto il territorio nazionale per presentare un nutrito gruppo di cantine ed etichette della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso.
Info: www.gamberorosso.it
Si svolgerà lunedì 17 febbraio prossimo, presso lo Sheraton Hotel & Conference Center di Roma il Global Summit Vino 4.0 Distribuzione, Comunicazione, Promozione Strategie E Protagonisti A Confronto. Un incontro con i canali di distribuzione, tradizionali e innovativi, sulle nuove strategie per promuovere il vino italiano in Italia e nel mondo con l’obiettivo di incrementare i prezzi di vendita, aumentando così il margine per l’intero settore.
I produttori e i consorzi si confronteranno con le migliori espressioni delle enoteche, i migliori sommelier dell’Ho.Re.Ca. che continuano ad avere un ruolo fondamentale nell’introduzione al vino, con i maggiori esponenti della GDO che hanno un ruolo sempre più importante nella vendita del vino. E ancora, con le realtà più importanti dell’E-commerce e del Trade internazionale.
L’obiettivo comune delle tavole di discussione è la massima valorizzazione del prodotto sia in termini di quantità, sia in termini di prezzi di vendita: il vino italiano per conquistare il mercato deve essere raccontato bene.
Seguirà la presentazione della prima Guida Enoteche di Gambero Rosso e il Grande Wine Tasting di presentazione di “Anteprima Fiere Vino”, il Tour di degustazioni e seminari organizzato per il settimo anno da Gambero Rosso in oltre 30 enoteche su tutto il territorio nazionale per presentare un nutrito gruppo di cantine ed etichette della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso.
Info: www.gamberorosso.it
martedì 11 febbraio 2020
Cultura tradizionale, Musaica | Scuola di Pizzica di San Vito: al Teatro del Lido, atmosfere e suggestioni di danza e musica popolare
Dopo il successo della stagione passata, i Musaica tornano al Teatro del Lido, con un nuovo spettacolo che unisce musica di ispirazione tradizionale a danze e nuove composizioni coreografiche della Scuola di Pizzica di San Vito.
TESSERE, trame di musica e danza è il titolo dello spettacolo di scena al Teatro del Lido domenica 16 febbraio alle ore 18. Un esibizione artistica della cultura tradizionale che ha in sé una narrazione: è la storia di alcuni studenti universitari – molti dei quali provenienti dal Sud Italia – che si incontrano a Roma in EtnoMuSa, la prima orchestra popolare universitaria, nata nell’ambito del progetto MuSa (Musica Sapienza). Da quell’esperienza nasce l’ensemble Musaica e, grazie a quell’esperienza, Andrea De Siena e Ludovica Morleo hanno l’occasione di conoscere giovani artisti, con i quali confrontarsi attraverso vissuti, emozioni e passioni.
Con questo spettacolo si pone una tessera del mosaico ideale che rappresenta l’armonia musicale, coreutica e affettiva di questi ragazzi, e che ora l’esperienza e il tempo permettono sia ricomposto, come il capitolo di una storia che chiude un racconto e ne apre un altro. La musica dei Musaica segue tre percorsi: composizioni proprie, musica di tradizione italiana e brani autoriali. Dall’esigenza e il desiderio di elaborare un linguaggio e un’identità propri, in un continuo movimento di scoperta, sono nate composizioni ispirate dalle parole di poeti come Saba e Buttitta e dal lavoro di musicisti come i Fratelli Mancuso e Andrea Parodi.
I testi popolari e i suoni delle terre d’origine sono stati il punto di partenza del percorso musicale, completato dalla ricerca e dalla sperimentazione coreografica del primo laboratorio coreografico stabile della Scuola di Pizzica di San Vito (sede di Roma) a cura di Andrea De Siena. Testimoni di questo intento sono gli strumenti popolari in uso al gruppo: l’organetto, le launeddas, la zampogna, la lira, il bouzouki, le diverse tipologie di tamburi a cornice, che attraversano tutte le modalità espressive di Musaica, come un filo conduttore che viene da lontano.
Musaica è composta da dieci giovani musicisti provenienti da Calabria, Puglia, Basilicata e Lazio. A fare da collante, fra la diversa formazione e le diverse esperienze dei componenti del gruppo, è il modo condiviso di sentire e vivere la musica. Nel dicembre 2016 il gruppo inizia i lavori per il suo primo CD, composto principalmente da brani inediti, pubblicato dall’etichetta discografica Radici Music Records di Arezzo e presentato al Teatro del Lido di Ostia a maggio 2018. Il disco ha visto la collaborazione, come ospite, di Francesco Salvadore, musicista e voce del gruppo siciliano Unavantaluna. Musaica è stata selezionata fra i dieci finalisti della decima edizione del Premio Andrea Parodi 2017, ricevendo due importanti riconoscimenti: migliore interpretazione di un brano di Andrea Parodi; menzione degli artisti in gara.
La Scuola di Pizzica di San Vito nasce dall’incontro di artisti, professionisti e appassionati, accomunati da una linea d’azione condivisa: da una parte, far conoscere e sviluppare il repertorio della tradizione di San Vito, dall’altra, aprire questo repertorio a esperienze che arrivano ‘da fuori’. La Scuola ha sede nei locali della World Music Academy, presso il laboratorio urbano ExFadda di San Vito dei Normanni e a Roma in diversi spazi. La Scuola di Pizzica di San Vito, rappresenta una nuova generazione di musicisti e ballerini che vengono da esperienze di rilievo, per il contributo essenziale nella ricerca e nella diffusione della tradizione, e che sperimentano al contempo nuovi percorsi.
Teatro del Lido
Via delle Sirene, 22 | 00121 Ostia (Roma)
06 564 6962
domenica 16 febbraio ore 18 | musica – danza
Musaica | Scuola di Pizzica di San Vito
TESSERE, trame di musica e danza
interpreti Davide Ambrogio zampogna, lira calabrese e voce, Francesco Micelli percussioni e voce, Valeria Taccone, Giorgia Santalucia, Mara Petrocelli voce, Roberto Licchetta, Giulio De Paolis percussioni, Ludovico Radaelli chitarra, Luca De Luca bouzouki, Francesco Berrafato organetti
e con Scuola di Pizzica di San Vito: Andrea De Siena coreografia e danza, Ludovica Morleo danza
durata 90’
https://www.facebook.com/musaica0/
https://www.facebook.com/scuoladipizzicadisanvito/
TESSERE, trame di musica e danza è il titolo dello spettacolo di scena al Teatro del Lido domenica 16 febbraio alle ore 18. Un esibizione artistica della cultura tradizionale che ha in sé una narrazione: è la storia di alcuni studenti universitari – molti dei quali provenienti dal Sud Italia – che si incontrano a Roma in EtnoMuSa, la prima orchestra popolare universitaria, nata nell’ambito del progetto MuSa (Musica Sapienza). Da quell’esperienza nasce l’ensemble Musaica e, grazie a quell’esperienza, Andrea De Siena e Ludovica Morleo hanno l’occasione di conoscere giovani artisti, con i quali confrontarsi attraverso vissuti, emozioni e passioni.
Con questo spettacolo si pone una tessera del mosaico ideale che rappresenta l’armonia musicale, coreutica e affettiva di questi ragazzi, e che ora l’esperienza e il tempo permettono sia ricomposto, come il capitolo di una storia che chiude un racconto e ne apre un altro. La musica dei Musaica segue tre percorsi: composizioni proprie, musica di tradizione italiana e brani autoriali. Dall’esigenza e il desiderio di elaborare un linguaggio e un’identità propri, in un continuo movimento di scoperta, sono nate composizioni ispirate dalle parole di poeti come Saba e Buttitta e dal lavoro di musicisti come i Fratelli Mancuso e Andrea Parodi.
I testi popolari e i suoni delle terre d’origine sono stati il punto di partenza del percorso musicale, completato dalla ricerca e dalla sperimentazione coreografica del primo laboratorio coreografico stabile della Scuola di Pizzica di San Vito (sede di Roma) a cura di Andrea De Siena. Testimoni di questo intento sono gli strumenti popolari in uso al gruppo: l’organetto, le launeddas, la zampogna, la lira, il bouzouki, le diverse tipologie di tamburi a cornice, che attraversano tutte le modalità espressive di Musaica, come un filo conduttore che viene da lontano.
Musaica è composta da dieci giovani musicisti provenienti da Calabria, Puglia, Basilicata e Lazio. A fare da collante, fra la diversa formazione e le diverse esperienze dei componenti del gruppo, è il modo condiviso di sentire e vivere la musica. Nel dicembre 2016 il gruppo inizia i lavori per il suo primo CD, composto principalmente da brani inediti, pubblicato dall’etichetta discografica Radici Music Records di Arezzo e presentato al Teatro del Lido di Ostia a maggio 2018. Il disco ha visto la collaborazione, come ospite, di Francesco Salvadore, musicista e voce del gruppo siciliano Unavantaluna. Musaica è stata selezionata fra i dieci finalisti della decima edizione del Premio Andrea Parodi 2017, ricevendo due importanti riconoscimenti: migliore interpretazione di un brano di Andrea Parodi; menzione degli artisti in gara.
La Scuola di Pizzica di San Vito nasce dall’incontro di artisti, professionisti e appassionati, accomunati da una linea d’azione condivisa: da una parte, far conoscere e sviluppare il repertorio della tradizione di San Vito, dall’altra, aprire questo repertorio a esperienze che arrivano ‘da fuori’. La Scuola ha sede nei locali della World Music Academy, presso il laboratorio urbano ExFadda di San Vito dei Normanni e a Roma in diversi spazi. La Scuola di Pizzica di San Vito, rappresenta una nuova generazione di musicisti e ballerini che vengono da esperienze di rilievo, per il contributo essenziale nella ricerca e nella diffusione della tradizione, e che sperimentano al contempo nuovi percorsi.
Teatro del Lido
Via delle Sirene, 22 | 00121 Ostia (Roma)
06 564 6962
domenica 16 febbraio ore 18 | musica – danza
Musaica | Scuola di Pizzica di San Vito
TESSERE, trame di musica e danza
interpreti Davide Ambrogio zampogna, lira calabrese e voce, Francesco Micelli percussioni e voce, Valeria Taccone, Giorgia Santalucia, Mara Petrocelli voce, Roberto Licchetta, Giulio De Paolis percussioni, Ludovico Radaelli chitarra, Luca De Luca bouzouki, Francesco Berrafato organetti
e con Scuola di Pizzica di San Vito: Andrea De Siena coreografia e danza, Ludovica Morleo danza
durata 90’
https://www.facebook.com/musaica0/
https://www.facebook.com/scuoladipizzicadisanvito/
Vino e ricerca, la conservazione dei paesaggi terrazzati come possibile risposta ai cambiamenti climatici e sociali. Il modello Soave
La conservazione dei paesaggi terrazzati al centro di uno studio internazionale che coinvolge sei stati. Ricercatori di tutto il mondo si incontrano a Soave per il meeting TerrACE.
Prenderà il via a Soave il primo meeting di TerrACE, progetto nell’ambito del programma europeo Horizon 2020, inerente allo studio e alla conservazione dei terrazzamenti agricoli su scala europea. I vigneti terrazzati del Soave, patrimonio agricolo globale GIAHS – FAO, sono stati scelti come luogo di studio e di incontro, una scelta questa presa non a caso, in quanto i terrazzamenti e i muretti a secco fanno parte della storia del Soave, dove i viticoltori con fatica da sempre hanno preservato e sfruttato ogni centimetro di terreno fertile per coltivare le uve. Nel tempo il ruolo di questo sistema di coltivazione si è dimostrato sempre più fondamentale nel ricostituire il suolo e proteggere il pendio, oltre a donare un alto valore estetico a livello paesaggistico.
La ricerca ha l'obiettivo di individuare le antiche aree terrazzate europee e studiare quali sono stati gli effetti nel passato, in particolare sull’erosione e degrado del suolo e sullo stoccaggio del carbonio e di altra materia organica. Questo per capire quali possono essere gli eventuali effetti dei cambiamenti climatici e sociali, e se i terrazzamenti sono una risposta efficace ad essi.
Il progetto, della durata di 5 anni è stato finanziato per 2.5 milioni di euro dall’European Research Council (ERC), la più prestigiosa agenzia europea per il finanziamento della ricerca, con la missione di mantenere e attrarre in Europa i migliori ricercatori, selezionati esclusivamente in base al criterio dell'eccellenza scientifica.
Il 14 e il 15 febbraio i ricercatori delle Università di Tromsø (Norvegia)(capofila del progetto, guidato dal noto geografo Prof. Antony Brown), Università di Padova (Italia), Università Cattolica di Louvain (Belgio), Università di York (Inghilterra), Università di Salisburgo (Austria) e Università di Barcellona (Spagna) si troveranno presso il Consorzio Tutela Soave per un incontro a un anno dall’inizio di questo progetto quinquennale.
A coordinare il gruppo italiano il Prof. Paolo Tarolli, già impegnato nel progetto PSR Soilution System (Soluzioni innovative di sistema per la riduzione del rischio erosivo e una migliore gestione dei suoli in vigneti di collina e di montagna) che, coadiuvato dalla ricercatrice Sara Cucchiaro, avranno il compito di creare, mediante l’impiego di dati topografici ricavati da drone e laser scanner terrestre, modelli 3D ad altissima risoluzione di aree terrazzate attuali ed abbandonate.
Nel comprensorio del Soave si concentreranno gran parte dei rilievi italiani, e i ricercatori hanno individuato aree con terrazzamenti di più di 200 anni, testimonianza dell’attività viticola centenaria nella zona, che ha permesso al Soave di entrare nell’élite dei paesaggi rurali riconosciuti dalla FAO.
«I terrazzamenti e i muretti a secco fanno parte della storia del Soave, dove i viticoltori dovevano con fatica preservare e sfruttare ogni centimetro di terreno fertile per coltivare le uve – spiega Sandro Gini, presidente del Consorzio – quindi non ci può che rendere orgogliosi essere stati scelti per un così prestigioso progetto, per portare la nostra testimonianza sulla ribalta mondiale. Stiamo assistendo di anno in anno a stravolgimenti a livello globale delle pratiche agricole che sono alla base non solo dell’alimentazione e quindi del vivere delle popolazioni, ma anche della tenuta del tessuto sociale e delle comunità, fili che si intrecciano e che con forza mantengono le persone nel luogo in cui sono nate, sia permettendo una continuità e una affidabilità nei mercati mondiali di un prodotto che fa sentire forte la sua identità»
Prenderà il via a Soave il primo meeting di TerrACE, progetto nell’ambito del programma europeo Horizon 2020, inerente allo studio e alla conservazione dei terrazzamenti agricoli su scala europea. I vigneti terrazzati del Soave, patrimonio agricolo globale GIAHS – FAO, sono stati scelti come luogo di studio e di incontro, una scelta questa presa non a caso, in quanto i terrazzamenti e i muretti a secco fanno parte della storia del Soave, dove i viticoltori con fatica da sempre hanno preservato e sfruttato ogni centimetro di terreno fertile per coltivare le uve. Nel tempo il ruolo di questo sistema di coltivazione si è dimostrato sempre più fondamentale nel ricostituire il suolo e proteggere il pendio, oltre a donare un alto valore estetico a livello paesaggistico.
La ricerca ha l'obiettivo di individuare le antiche aree terrazzate europee e studiare quali sono stati gli effetti nel passato, in particolare sull’erosione e degrado del suolo e sullo stoccaggio del carbonio e di altra materia organica. Questo per capire quali possono essere gli eventuali effetti dei cambiamenti climatici e sociali, e se i terrazzamenti sono una risposta efficace ad essi.
Il progetto, della durata di 5 anni è stato finanziato per 2.5 milioni di euro dall’European Research Council (ERC), la più prestigiosa agenzia europea per il finanziamento della ricerca, con la missione di mantenere e attrarre in Europa i migliori ricercatori, selezionati esclusivamente in base al criterio dell'eccellenza scientifica.
Il 14 e il 15 febbraio i ricercatori delle Università di Tromsø (Norvegia)(capofila del progetto, guidato dal noto geografo Prof. Antony Brown), Università di Padova (Italia), Università Cattolica di Louvain (Belgio), Università di York (Inghilterra), Università di Salisburgo (Austria) e Università di Barcellona (Spagna) si troveranno presso il Consorzio Tutela Soave per un incontro a un anno dall’inizio di questo progetto quinquennale.
A coordinare il gruppo italiano il Prof. Paolo Tarolli, già impegnato nel progetto PSR Soilution System (Soluzioni innovative di sistema per la riduzione del rischio erosivo e una migliore gestione dei suoli in vigneti di collina e di montagna) che, coadiuvato dalla ricercatrice Sara Cucchiaro, avranno il compito di creare, mediante l’impiego di dati topografici ricavati da drone e laser scanner terrestre, modelli 3D ad altissima risoluzione di aree terrazzate attuali ed abbandonate.
Nel comprensorio del Soave si concentreranno gran parte dei rilievi italiani, e i ricercatori hanno individuato aree con terrazzamenti di più di 200 anni, testimonianza dell’attività viticola centenaria nella zona, che ha permesso al Soave di entrare nell’élite dei paesaggi rurali riconosciuti dalla FAO.
«I terrazzamenti e i muretti a secco fanno parte della storia del Soave, dove i viticoltori dovevano con fatica preservare e sfruttare ogni centimetro di terreno fertile per coltivare le uve – spiega Sandro Gini, presidente del Consorzio – quindi non ci può che rendere orgogliosi essere stati scelti per un così prestigioso progetto, per portare la nostra testimonianza sulla ribalta mondiale. Stiamo assistendo di anno in anno a stravolgimenti a livello globale delle pratiche agricole che sono alla base non solo dell’alimentazione e quindi del vivere delle popolazioni, ma anche della tenuta del tessuto sociale e delle comunità, fili che si intrecciano e che con forza mantengono le persone nel luogo in cui sono nate, sia permettendo una continuità e una affidabilità nei mercati mondiali di un prodotto che fa sentire forte la sua identità»
lunedì 10 febbraio 2020
Vino e territori, il vigneto toscano sempre più verde alla sfida dei mercati mondiali
La Toscana del vino sempre più verde: su un totale di 59mila ettari vitati 16.720 sono bio e biodinamici. Il dato emerso a BuyWine, decima edizione della più grande vetrina internazionale del vino made in Tuscany incentrata su sostenibilità, bio e dazi. Oltre il 60% delle 260 aziende partecipanti considera il cambiamento climatico un fattore decisivo, seguito dai cambiamenti nei comportamenti dei consumatori, sempre più attenti a marchi green.
Il vino toscano alla sfida dei mercati mondiali, con un vigneto sempre più verde: su un totale di 59mila ettari vitati in Toscana 16.720 sono coltivazioni bio e biodinamiche. Il dato emerge dalla decima edizione di BuyWine, la più grande vetrina internazionale del vino made in Tuscany, che si è svolto alla Fortezza da Basso il 7-8 febbraio 2020 e organizzata dalla Regione Toscana insieme a Camera di Commercio di Firenze con il supporto di PromoFirenze, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze e Fondazione Sistema Toscana.
Oltre 4mila gli appuntamenti b2b organizzati tra 260 aziende vitivinicole e circa 220 buyers da tutto il mondo, compresi paesi emergenti nel mercato del vino quali Angola, Romania, Malesia, Repubblica Dominicana.
Il posizionamento del vino toscano sui mercati globali passa sempre più attraverso la sfida della sostenibilità, in grado di contrastare le incertezze derivanti da dazi e imposizioni tariffarie di uno degli importatori storicamente più importanti, gli Stati Uniti. Novantasei le aziende organiche e biodinamiche presenti in Fortezza da Basso nei due giorni di BuyWine. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Pisa sui partecipanti alla manifestazione, il 62% delle aziende vitivinicole considera le condizioni climatiche avverse come un fattore significativo per le decisioni produttive, seguito dai cambiamenti nei comportamenti dei consumatori (57,7%), sempre più attenti a marchi green e produzioni sostenibili. L’innovazione e le nuove tecnologie vengono considerate alleate delle aziende in tal senso.
Nel settore vinicolo da tempo l’attenzione è riposta nel bilanciare la sostenibilità ambientale con la redditività economica e l'equità sociale: non mancano tra le aziende partecipanti a BuyWine quelle certificate anche dal punto di vista della sostenibilità sociale oltre che ambientale.
Tra i driver esterni che possono influenzare la decisione di adottare pratiche più sostenibili il cambiamento climatico, le pressioni normative e gli incentivi come i pagamenti agro-ambientali e le misure di supporto agli investimenti e quindi un miglior accesso al credito. In linea generale la sostenibilità viene percepita come un vantaggio strategico in grado di assicurare maggiori possibilità di penetrazione sul mercato e una migliore reputazione. Un altro fattore vitale sono i cambiamenti nel comportamento dei consumatori, in grado di motivare gli agricoltori a migliorare le loro pratiche agricole per massimizzare i profitti e rimanere competitivi nel settore vitivinicolo.
Il vino toscano alla sfida dei mercati mondiali, con un vigneto sempre più verde: su un totale di 59mila ettari vitati in Toscana 16.720 sono coltivazioni bio e biodinamiche. Il dato emerge dalla decima edizione di BuyWine, la più grande vetrina internazionale del vino made in Tuscany, che si è svolto alla Fortezza da Basso il 7-8 febbraio 2020 e organizzata dalla Regione Toscana insieme a Camera di Commercio di Firenze con il supporto di PromoFirenze, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze e Fondazione Sistema Toscana.
Oltre 4mila gli appuntamenti b2b organizzati tra 260 aziende vitivinicole e circa 220 buyers da tutto il mondo, compresi paesi emergenti nel mercato del vino quali Angola, Romania, Malesia, Repubblica Dominicana.
Il posizionamento del vino toscano sui mercati globali passa sempre più attraverso la sfida della sostenibilità, in grado di contrastare le incertezze derivanti da dazi e imposizioni tariffarie di uno degli importatori storicamente più importanti, gli Stati Uniti. Novantasei le aziende organiche e biodinamiche presenti in Fortezza da Basso nei due giorni di BuyWine. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Pisa sui partecipanti alla manifestazione, il 62% delle aziende vitivinicole considera le condizioni climatiche avverse come un fattore significativo per le decisioni produttive, seguito dai cambiamenti nei comportamenti dei consumatori (57,7%), sempre più attenti a marchi green e produzioni sostenibili. L’innovazione e le nuove tecnologie vengono considerate alleate delle aziende in tal senso.
Nel settore vinicolo da tempo l’attenzione è riposta nel bilanciare la sostenibilità ambientale con la redditività economica e l'equità sociale: non mancano tra le aziende partecipanti a BuyWine quelle certificate anche dal punto di vista della sostenibilità sociale oltre che ambientale.
Tra i driver esterni che possono influenzare la decisione di adottare pratiche più sostenibili il cambiamento climatico, le pressioni normative e gli incentivi come i pagamenti agro-ambientali e le misure di supporto agli investimenti e quindi un miglior accesso al credito. In linea generale la sostenibilità viene percepita come un vantaggio strategico in grado di assicurare maggiori possibilità di penetrazione sul mercato e una migliore reputazione. Un altro fattore vitale sono i cambiamenti nel comportamento dei consumatori, in grado di motivare gli agricoltori a migliorare le loro pratiche agricole per massimizzare i profitti e rimanere competitivi nel settore vitivinicolo.
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sabato 8 febbraio 2020
All'alba di Raffaello. La Pala dei Decemviri del Perugino, l'opera nella sua interezza in mostra ai Vaticani
Ai Musei Vaticani, l’anno di Raffaello inizia col capolavoro del suo maestro Perugino. In occasione delle Celebrazioni Raffaellesche inaugurata la mostra All'alba di Raffaello. Dall'8 febbraio al 30 aprile 2020 ai Musei Vaticani.
Le celebrazioni per i 500 anni della morte di Raffaello Sanzio, iniziano in Vaticano con l’esposizione della Pala dei Decemviri di di Pietro Vannucci, detto il Perugino, il maestro del grande pittore urbinate. Il capolavoro dopo essere stato esposto da ottobre 2019 a fine gennaio 2020, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nella sua ritrovata unità e bellezza originaria, torna trionfalmente a casa per far ancora bella mostra di sé, sempre eccezionalmente e temporaneamente ricomposto.
Rientra così nei Musei Vaticani, nella sua interezza, con la sua cornice e la sua “cimasa”, la “Pala dei Decemviri” di Pietro Perugino, e l'occasione è l'apertura delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte del suo allievo, il grande Raffaello Sanzio da Urbino. I due dipinti, realizzati nel 1495 per la Cappella del Palazzo dei Priori di Perugia, furono separati nel 1797, in seguito alle requisizioni francesi che portarono a Parigi la sola grande tavola. Cornice e cimasa furono invece lasciate nel Palazzo. Dopo la caduta di Napoleone, la tavola non fu restituita a Perugia ma, per disposizione di Pio VII, entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana.
Un’occasione imperdibile, nata dalla felice e proficua collaborazione tra i Musei del Papa e la Galleria Nazionale dell’Umbria, per ammirare anche nella Pinacoteca Vaticana, la celebre Pala del maestro umbro: la tavola con la Madonna in trono col Bambino e Santi dei Musei Vaticani reinserita nella sua splendida cornice originale e riunita alla cimasa raffigurante il Cristo in pietà del museo perugino. Guido Cornini, responsabile scientifico del Dipartimento delle Arti dei Musei Vaticani, ha spiegato l'opera sotto l'aspetto contestuale; essa raffigura una sacra conversazione, che era il nome convenzionale che si dava all'epoca, ad una situazione di gruppo in cui una Madonna col bambino direttamente seduta trono ma poteva essere anche in piedi, era circondata da santi che variavano a seconda della devozione della chiesa alla quale la pala era destinata. Questa invenzione stilistica si situa intorno agli anni cinquanta del Quattrocento a Firenze in particolare nell'ambito del Beato Angelico. 30-40 anni dopo, all'epoca del Perugino, si è evoluta allo stadio che vediamo. I santi riuniti con la Madonna sono san Lorenzo, san Ludovico da Tolosa, sant'Ercolano, e san Costanzo, i patroni della città di Perugia e quindi appropriati per la Cappella del Palazzo Dei Priori, sede della magistratura cittadina e del governo della città. E’ il momento più alto della produzione stilistica del Perugino, manifesto degli stilemi della pittura umbra di fine Quattrocento, che vediamo trasmigrare puntualmente nel primo Raffaello come ossatura di fondo, prima di arrivare al Raffaello classicista delle Stanze, delle Logge e di Villa Madama.
"Ricordata dal Vasari e dalle successive fonti storico-artistiche per la sua bellezza, la Pala è firmata sulla pedana del trono dal suo autore", ha spiegato nel suo intervento, il direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta. "Questa del Perugino è una delle opere identitarie delle nostre collezioni. Quando Luca Beltrami insieme a Pio XI concepisce questa nuova pinacoteca la pone nella stanza precedente al grande salone dedicato a Raffaello. Esporre Perugino in questa occasione è un modo di fare tornare un po' indietro anche la storia di questi Musei. l'opera arriva grazie al soggiorno che ha a Parigi per le asportazioni napoleoniche, ma arriva grazie a Canova quando decide di riportare le opere, dopo la caduta di Napoleone, non nei luoghi d'origine ma in Vaticano per una maggiore condivisione. Tante nostre opere identitarie fanno parte di quella riacquisizione: pensiamo a Caravaggio, pensiamo alla Madonna di Foligno di Raffaello, pensiamo al Domenichino, grazie all'intuizione di Canova di avere delle opere d'arte importanti condivise all'interno del Vaticano".
Le celebrazioni per i 500 anni della morte di Raffaello Sanzio, iniziano in Vaticano con l’esposizione della Pala dei Decemviri di di Pietro Vannucci, detto il Perugino, il maestro del grande pittore urbinate. Il capolavoro dopo essere stato esposto da ottobre 2019 a fine gennaio 2020, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nella sua ritrovata unità e bellezza originaria, torna trionfalmente a casa per far ancora bella mostra di sé, sempre eccezionalmente e temporaneamente ricomposto.
Rientra così nei Musei Vaticani, nella sua interezza, con la sua cornice e la sua “cimasa”, la “Pala dei Decemviri” di Pietro Perugino, e l'occasione è l'apertura delle celebrazioni dei 500 anni dalla morte del suo allievo, il grande Raffaello Sanzio da Urbino. I due dipinti, realizzati nel 1495 per la Cappella del Palazzo dei Priori di Perugia, furono separati nel 1797, in seguito alle requisizioni francesi che portarono a Parigi la sola grande tavola. Cornice e cimasa furono invece lasciate nel Palazzo. Dopo la caduta di Napoleone, la tavola non fu restituita a Perugia ma, per disposizione di Pio VII, entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana.
Un’occasione imperdibile, nata dalla felice e proficua collaborazione tra i Musei del Papa e la Galleria Nazionale dell’Umbria, per ammirare anche nella Pinacoteca Vaticana, la celebre Pala del maestro umbro: la tavola con la Madonna in trono col Bambino e Santi dei Musei Vaticani reinserita nella sua splendida cornice originale e riunita alla cimasa raffigurante il Cristo in pietà del museo perugino. Guido Cornini, responsabile scientifico del Dipartimento delle Arti dei Musei Vaticani, ha spiegato l'opera sotto l'aspetto contestuale; essa raffigura una sacra conversazione, che era il nome convenzionale che si dava all'epoca, ad una situazione di gruppo in cui una Madonna col bambino direttamente seduta trono ma poteva essere anche in piedi, era circondata da santi che variavano a seconda della devozione della chiesa alla quale la pala era destinata. Questa invenzione stilistica si situa intorno agli anni cinquanta del Quattrocento a Firenze in particolare nell'ambito del Beato Angelico. 30-40 anni dopo, all'epoca del Perugino, si è evoluta allo stadio che vediamo. I santi riuniti con la Madonna sono san Lorenzo, san Ludovico da Tolosa, sant'Ercolano, e san Costanzo, i patroni della città di Perugia e quindi appropriati per la Cappella del Palazzo Dei Priori, sede della magistratura cittadina e del governo della città. E’ il momento più alto della produzione stilistica del Perugino, manifesto degli stilemi della pittura umbra di fine Quattrocento, che vediamo trasmigrare puntualmente nel primo Raffaello come ossatura di fondo, prima di arrivare al Raffaello classicista delle Stanze, delle Logge e di Villa Madama.
"Ricordata dal Vasari e dalle successive fonti storico-artistiche per la sua bellezza, la Pala è firmata sulla pedana del trono dal suo autore", ha spiegato nel suo intervento, il direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta. "Questa del Perugino è una delle opere identitarie delle nostre collezioni. Quando Luca Beltrami insieme a Pio XI concepisce questa nuova pinacoteca la pone nella stanza precedente al grande salone dedicato a Raffaello. Esporre Perugino in questa occasione è un modo di fare tornare un po' indietro anche la storia di questi Musei. l'opera arriva grazie al soggiorno che ha a Parigi per le asportazioni napoleoniche, ma arriva grazie a Canova quando decide di riportare le opere, dopo la caduta di Napoleone, non nei luoghi d'origine ma in Vaticano per una maggiore condivisione. Tante nostre opere identitarie fanno parte di quella riacquisizione: pensiamo a Caravaggio, pensiamo alla Madonna di Foligno di Raffaello, pensiamo al Domenichino, grazie all'intuizione di Canova di avere delle opere d'arte importanti condivise all'interno del Vaticano".
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