Un gruppo di ricerca dell'Università di Cadice in Spagna ha avviato uno studio che prevede l'utilizzo del polline d'api per migliorare la fermentazione alcolica del vino.
Sviluppare uno strumento che aiuti il settore vitivinicolo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Questo è l'obiettivo del progetto ViPolen, lanciato da ricercatori dell'Università di Cadice in collaborazione con INCAVI, che mira ad approfondire i composti bioattivi presenti nel polline d'api da utilizzare come integratore nel processo di fermentazione alcolica del vino.
Il progetto nasce dall'esigenza di trovare nuovi strumenti per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici sull'industria vinicola. Il gruppo di ricerca dell'Università di Cadice, guidato dal professor Víctor Palacios in collaborazione con l'Istituto catalano della vite e del vino (INCAVI), ha lanciato uno studio che cerca attivatori di origine naturale nella produzione di vino.
Il cambiamento climatico è una delle grandi sfide che la società sta attualmente affrontando, interessando direttamente l'agricoltura e, in particolare, il settore vitivinicolo. Il generale aumento delle temperature e la mancanza di risorse idriche stanno causando alterazioni nella fenologia della vite, modificando il processo di maturazione dell'uva.
Di conseguenza, si ottengono mosti con significative carenze nutrizionali, che tendono ad avere difficoltà per l'avvio e lo sviluppo completo della fermentazione. Questo produce difetti sensoriali nei vini finali. Attualmente le cantine completano sistematicamente i mosti con fosfato diammonico e altri attivatori fermentativi commerciali che trasportano diversi nutrienti nella loro composizione come ammonio, amminoacidi, lieviti secchi inattivi, acidi grassi insaturi e alcune vitamine, come la tiamina. Tuttavia, in questo ampio elenco non esiste attualmente alcun prodotto attivatore di origine naturale, che può contenere una composizione nutrizionale ottimale ed equilibrata, in grado di dare una risposta completa a tutte le esigenze del lievito.
In questo contesto, studi precedenti condotti da ricercatori dell'Università di Cadice hanno dimostrato che il polline d'api multiflorale, usato a basse dosi come integratore alimentare nella fermentazione alcolica, migliora la capacità di fermentazione dei lieviti e le caratteristiche sensoriali del vino.
Esperienze sull'utilizzo del polline d'api sono state fatte nella produzione di vino DOP Montilla-Moriles e Jerez in cui il processo caratteristico durante l'invecchiamento è la formazione di un velo sulla superficie del vino grazie ai lieviti flor, dovuto alla moltiplicazione dei lieviti. Il tipico “velo de flor” è un biofilm naturale, che ricopre completamente la superficie del vino e impedisce il contatto dello stesso con l'aria e quindi l'ossidazione. Questo velo interagisce permanentemente con il vino consumando non solo alcol ma anche altri composti come glicerolo, prolina e naturalmente ossigeno disciolto nel vino, dando luogo a diversi altri composti e provocando cambiamenti significativi nelle caratteristiche organolettiche del vino. Tuttavia, quando vengono utilizzate alte dosi di polline, se da un lato la capacità di fermentazione dei lieviti è migliorata, dall'altro si nota un effetto negativo sul profilo sensoriale del vino. Di conseguenza, si è ritenuto necessario lo studio della natura dei composti che fanno parte del polline, per individuare quelli che influenzano positivamente la crescita dei lieviti e il miglioramento sensoriale dei vini.
Sviluppare uno strumento che aiuti il settore vitivinicolo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Questo è l'obiettivo del progetto ViPolen, lanciato da ricercatori dell'Università di Cadice in collaborazione con INCAVI, che mira ad approfondire i composti bioattivi presenti nel polline d'api da utilizzare come integratore nel processo di fermentazione alcolica del vino.
Il progetto nasce dall'esigenza di trovare nuovi strumenti per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici sull'industria vinicola. Il gruppo di ricerca dell'Università di Cadice, guidato dal professor Víctor Palacios in collaborazione con l'Istituto catalano della vite e del vino (INCAVI), ha lanciato uno studio che cerca attivatori di origine naturale nella produzione di vino.
Il cambiamento climatico è una delle grandi sfide che la società sta attualmente affrontando, interessando direttamente l'agricoltura e, in particolare, il settore vitivinicolo. Il generale aumento delle temperature e la mancanza di risorse idriche stanno causando alterazioni nella fenologia della vite, modificando il processo di maturazione dell'uva.
Di conseguenza, si ottengono mosti con significative carenze nutrizionali, che tendono ad avere difficoltà per l'avvio e lo sviluppo completo della fermentazione. Questo produce difetti sensoriali nei vini finali. Attualmente le cantine completano sistematicamente i mosti con fosfato diammonico e altri attivatori fermentativi commerciali che trasportano diversi nutrienti nella loro composizione come ammonio, amminoacidi, lieviti secchi inattivi, acidi grassi insaturi e alcune vitamine, come la tiamina. Tuttavia, in questo ampio elenco non esiste attualmente alcun prodotto attivatore di origine naturale, che può contenere una composizione nutrizionale ottimale ed equilibrata, in grado di dare una risposta completa a tutte le esigenze del lievito.
In questo contesto, studi precedenti condotti da ricercatori dell'Università di Cadice hanno dimostrato che il polline d'api multiflorale, usato a basse dosi come integratore alimentare nella fermentazione alcolica, migliora la capacità di fermentazione dei lieviti e le caratteristiche sensoriali del vino.
Esperienze sull'utilizzo del polline d'api sono state fatte nella produzione di vino DOP Montilla-Moriles e Jerez in cui il processo caratteristico durante l'invecchiamento è la formazione di un velo sulla superficie del vino grazie ai lieviti flor, dovuto alla moltiplicazione dei lieviti. Il tipico “velo de flor” è un biofilm naturale, che ricopre completamente la superficie del vino e impedisce il contatto dello stesso con l'aria e quindi l'ossidazione. Questo velo interagisce permanentemente con il vino consumando non solo alcol ma anche altri composti come glicerolo, prolina e naturalmente ossigeno disciolto nel vino, dando luogo a diversi altri composti e provocando cambiamenti significativi nelle caratteristiche organolettiche del vino. Tuttavia, quando vengono utilizzate alte dosi di polline, se da un lato la capacità di fermentazione dei lieviti è migliorata, dall'altro si nota un effetto negativo sul profilo sensoriale del vino. Di conseguenza, si è ritenuto necessario lo studio della natura dei composti che fanno parte del polline, per individuare quelli che influenzano positivamente la crescita dei lieviti e il miglioramento sensoriale dei vini.
Il primo step sarà quello di analizzare la fattibilità dell'utilizzo di queste frazioni buone estratte dal polline. La ricerca verrà condotta con l'utilizzo di uve Palomino Fino e Tintilla de Rota (uvaggio tipico dei vini di Cadice) e Xarello e Pinot nero (per i vini Penedés. Altri saranno effettuati inoltre anche con uve Merlot e Cabernet Sauvignon.
Attraverso i test i ricercatori valuteranno le varie potenzialità di diversi estratti di polline nell'attivare la crescita del lievito e delle loro possibili combinazioni, sia per quanta riguarda la fermentazione alcolica, sia per l'invecchiamento biologico, nonché l'analisi della loro influenza su diversi ceppi di lieviti fermentativi tra cui colture industriali flor. Gli estratti che avranno dato i migliori risultati saranno utilizzati per la produzione di vini bianchi, rossi, frizzanti e biologici.
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