venerdì 28 settembre 2018
ROMICS, al via la rassegna internazionale sul fumetto, l’animazione, il cinema e i games
4 giorni di kermesse ininterrotta con eventi, incontri e spettacoli. Il fumetto protagonista dell’Officina del Fumetto, l’appuntamento per gli addetti ai lavori e per il pubblico per fare il punto sullo stato del fumetto italiano e internazionale. I grandi successi del cinema e della serialità presentati nel Pala Movie che dà corpo, voce e anima ai grandi colossal cinematografici ispirati a fumetti e romanzi, all’animazione e ai videogames.
Il Festival è caratterizzato da un programma culturale di livello internazionale, con prestigiosi ospiti, mostre, anteprime, eventi speciali, incontri con i responsabili dei più rilevanti festival internazionali, buyer e operatori del settore.
A Romics puoi trovare stand delle case editrici, fumetterie, collezionisti, merchandising, videogames, giochi di ruolo e molto molto altro. Conferenze, tavole rotonde, incontri sul tema e con gli autori: sul fumetto, l’animazione, il rapporto con i nuovi media, il gioco, il videogioco, le interazioni con la fantascienza e il fantasy; inoltre offre l’opportunità di seguire lezioni sul fumetto e l’animazione, aperte a tutti.
Tra i Grandi Eventi: la gara cosplay più attesa dell’anno, organizzata in collaborazione con il World Cosplay Summit di Nagoya, con l’Eurocosplay di Londra, la Yamato Cup Cosplay International; il Romics Kids & Junior, per i più piccoli, con laboratori di fumetto, educational game, giochi creativi e d’ingegno.
Il Concorso Romics dei libri a fumetti, il concorso Romics – I Castelli Animati – Tutto digitale gli eventi speciali, grandi mostre. Romics è tutto questo e molto altro ancora per un programma sempre ricchissimo, con oltre 200.000 visitatori ad ogni edizione.
Roma, Fiera di Roma - dal 04 ottobre 2018 al 07 ottobre 2018
www.romics.it/
martedì 25 settembre 2018
Innovazione e ricerca. La Relatività Generale confermata su scala cosmologica
Su Nature Astronomy, uno studio delle Università di Milano e Durham ribadisce la validità della teoria della Relatività Generale anche su scala cosmologica.
Comprendere perché l'espansione dell'Universo stia oggi accelerando è probabilmente la domanda più affascinante della cosmologia moderna. Ad affermarlo è Luigi Guzzo, docente di Cosmologia dell'Università Statale di Milano (e ricercatore associato dell'INAF e INFN) e co-autore di un articolo appena pubblicato su Nature Astronomy. La ricerca va a testare le due possibili origini dell'accelerazione: nello scenario standard questa richiede l'aggiunta della cosiddetta energia oscura nelle equazioni di Einstein, ma in una visione più ampia potrebbe indicare una possibile incompletezza della teoria della Relatività Generale, più precisamente un "difetto" nella sua applicazione su scala cosmologica.
Usando un approccio innovativo che ha utilizzato dati sperimentali e simulazioni numeriche, ricercatori dell'Università Statale di Milano e della Durham University (UK) hanno dimostrato che una modifica anche piccola delle equazioni della Relatività Generale porterebbe a un Universo in cui le galassie si ammassano e si muovono in modo molto diverso dall'Universo reale. Lo studio rende poco plausibile l'ipotesi che l'accelerazione dell'espansione dell'Universo, scoperta nel 1998, sia dovuta ad un'incompletezza della teoria di Einstein. Questo ribadisce nel contempo la presenza della misteriosa energia oscura, necessaria a "spingere" l'Universo.
La teoria della Relatività Generale, formulata da Einstein nel 1915, ha finora superato brillantemente ogni test sperimentale cui è stata sottoposta. Ultimo di questi la recente e spettacolare rivelazione delle onde gravitazionali. In questo contesto, in cui la teoria della gravità è universalmente accettata, la scoperta che la velocità di espansione dell'Universo è maggiore oggi che 7 miliardi di anni fa (che ha fruttato il Premio Nobel per la Fisica 2011) richiede necessariamente la presenza di un ingrediente extra nella "mistura cosmica" che regola il modo in cui l'Universo evolve. È questa la cosiddetta costante cosmologica, un contributo di energia oscura che produrrebbe un effetto repulsivo in grado di sovrastare il "frenamento" della forza di gravità prodotta dalla materia contenuta nell'Universo stesso.
L’apparente accelerazione potrebbe tuttavia segnalare qualcosa di completamente diverso, e più profondo, ovvero che qualcosa non funzioni più quando la teoria viene applicata a scale molto grandi. Se fosse così, potrebbe non esserci bisogno dell'energia oscura.
In un certo senso staremmo cercando di far indossare all'Universo un vestito troppo stretto: in questa analogia, per riuscire a indossarlo saremmo costretti a stiracchiarlo innaturalmente, e lui cercherebbe di tornare alla sua misura, producendo l'accelerazione. Come capire, quindi, se dobbiamo buttare via il vestito e comprarne uno nuovo o accettare di indossarlo così com'è, ma completandone la trama con l'energia oscura?
Un modo c’è, e venne evidenziato nel 2008 proprio in un altro articolo su Nature: se modifichiamo le leggi della gravità, cambiamo anche il modo in cui le strutture si aggregano all'interno dell'Universo sotto il suo effetto. Le galassie si muovono seguendo questa crescita gravitazionale, attirate verso le regioni più massicce con una velocità che sappiamo dipendere direttamente dalla teoria della gravità. "Nel nostro lavoro del 2008 (n.d.r. Nature 451, 541) mostrammo che l'effetto di queste velocità sulle mappe tridimensionali di galassie poteva potenzialmente rivelare variazioni della gravità a grandi scale" - continua il professor Guzzo.
“In questo lavoro abbiamo utilizzato la più grande mappa di questo tipo, la Sloan Digital Sky Survey (SDSS), che contiene inoltre informazioni dettagliate sulle proprietà delle singole galassie, come, in particolare, la loro massa totale in stelle" - dice il primo autore dell’articolo, Jianhua He dell'Università di Durham, e per quattro anni assegnista di ricerca dell'INAF. "Questo ci ha permesso di riprodurre le galassie nei nostri 'Universi' simulati al calcolatore in modo coerente con quelle vere. La novità del nostro approccio è stata di esser riusciti a confrontare teoria e dati sperimentali laddove finora non era stato fatto".
Jianhua He e collaboratori hanno infatti simulato la distribuzione e le velocità delle galassie nel caso del modello standard basato sulla Relatività Generale assieme a una lieve variante della medesima [i cosiddetti modelli f(R)]. Il risultato è stato che le galassie simulate con la teoria di Einstein (che include l'energia oscura attraverso la famosa costante cosmologica) riproducono la distribuzione statistica di posizioni e velocità in modo sorprendentemente accurato. Al contrario, la simulazione del modello "modificato" si allontana fortemente dai dati sperimentali.
L'energia oscura si conferma quindi un ingrediente necessario per spiegare il comportamento del nostro Universo. Se sia una manifestazione dell’energia quantistica del vuoto, se sia costante o se evolva nel tempo rimangono domande aperte e affascinanti. Importanti risposte arriveranno da nuovi progetti in corso di preparazione, che si propongono di realizzare mappe delle galassie e della materia oscura ancora più grandi. È questo il caso della missione Euclid dell'ESA, che verrà lanciata nel 2022 e in cui l'Italia e l'Agenzia Spaziale Italiana giocano un ruolo primario.
Comprendere perché l'espansione dell'Universo stia oggi accelerando è probabilmente la domanda più affascinante della cosmologia moderna. Ad affermarlo è Luigi Guzzo, docente di Cosmologia dell'Università Statale di Milano (e ricercatore associato dell'INAF e INFN) e co-autore di un articolo appena pubblicato su Nature Astronomy. La ricerca va a testare le due possibili origini dell'accelerazione: nello scenario standard questa richiede l'aggiunta della cosiddetta energia oscura nelle equazioni di Einstein, ma in una visione più ampia potrebbe indicare una possibile incompletezza della teoria della Relatività Generale, più precisamente un "difetto" nella sua applicazione su scala cosmologica.
Usando un approccio innovativo che ha utilizzato dati sperimentali e simulazioni numeriche, ricercatori dell'Università Statale di Milano e della Durham University (UK) hanno dimostrato che una modifica anche piccola delle equazioni della Relatività Generale porterebbe a un Universo in cui le galassie si ammassano e si muovono in modo molto diverso dall'Universo reale. Lo studio rende poco plausibile l'ipotesi che l'accelerazione dell'espansione dell'Universo, scoperta nel 1998, sia dovuta ad un'incompletezza della teoria di Einstein. Questo ribadisce nel contempo la presenza della misteriosa energia oscura, necessaria a "spingere" l'Universo.
La teoria della Relatività Generale, formulata da Einstein nel 1915, ha finora superato brillantemente ogni test sperimentale cui è stata sottoposta. Ultimo di questi la recente e spettacolare rivelazione delle onde gravitazionali. In questo contesto, in cui la teoria della gravità è universalmente accettata, la scoperta che la velocità di espansione dell'Universo è maggiore oggi che 7 miliardi di anni fa (che ha fruttato il Premio Nobel per la Fisica 2011) richiede necessariamente la presenza di un ingrediente extra nella "mistura cosmica" che regola il modo in cui l'Universo evolve. È questa la cosiddetta costante cosmologica, un contributo di energia oscura che produrrebbe un effetto repulsivo in grado di sovrastare il "frenamento" della forza di gravità prodotta dalla materia contenuta nell'Universo stesso.
L’apparente accelerazione potrebbe tuttavia segnalare qualcosa di completamente diverso, e più profondo, ovvero che qualcosa non funzioni più quando la teoria viene applicata a scale molto grandi. Se fosse così, potrebbe non esserci bisogno dell'energia oscura.
In un certo senso staremmo cercando di far indossare all'Universo un vestito troppo stretto: in questa analogia, per riuscire a indossarlo saremmo costretti a stiracchiarlo innaturalmente, e lui cercherebbe di tornare alla sua misura, producendo l'accelerazione. Come capire, quindi, se dobbiamo buttare via il vestito e comprarne uno nuovo o accettare di indossarlo così com'è, ma completandone la trama con l'energia oscura?
Un modo c’è, e venne evidenziato nel 2008 proprio in un altro articolo su Nature: se modifichiamo le leggi della gravità, cambiamo anche il modo in cui le strutture si aggregano all'interno dell'Universo sotto il suo effetto. Le galassie si muovono seguendo questa crescita gravitazionale, attirate verso le regioni più massicce con una velocità che sappiamo dipendere direttamente dalla teoria della gravità. "Nel nostro lavoro del 2008 (n.d.r. Nature 451, 541) mostrammo che l'effetto di queste velocità sulle mappe tridimensionali di galassie poteva potenzialmente rivelare variazioni della gravità a grandi scale" - continua il professor Guzzo.
“In questo lavoro abbiamo utilizzato la più grande mappa di questo tipo, la Sloan Digital Sky Survey (SDSS), che contiene inoltre informazioni dettagliate sulle proprietà delle singole galassie, come, in particolare, la loro massa totale in stelle" - dice il primo autore dell’articolo, Jianhua He dell'Università di Durham, e per quattro anni assegnista di ricerca dell'INAF. "Questo ci ha permesso di riprodurre le galassie nei nostri 'Universi' simulati al calcolatore in modo coerente con quelle vere. La novità del nostro approccio è stata di esser riusciti a confrontare teoria e dati sperimentali laddove finora non era stato fatto".
Jianhua He e collaboratori hanno infatti simulato la distribuzione e le velocità delle galassie nel caso del modello standard basato sulla Relatività Generale assieme a una lieve variante della medesima [i cosiddetti modelli f(R)]. Il risultato è stato che le galassie simulate con la teoria di Einstein (che include l'energia oscura attraverso la famosa costante cosmologica) riproducono la distribuzione statistica di posizioni e velocità in modo sorprendentemente accurato. Al contrario, la simulazione del modello "modificato" si allontana fortemente dai dati sperimentali.
L'energia oscura si conferma quindi un ingrediente necessario per spiegare il comportamento del nostro Universo. Se sia una manifestazione dell’energia quantistica del vuoto, se sia costante o se evolva nel tempo rimangono domande aperte e affascinanti. Importanti risposte arriveranno da nuovi progetti in corso di preparazione, che si propongono di realizzare mappe delle galassie e della materia oscura ancora più grandi. È questo il caso della missione Euclid dell'ESA, che verrà lanciata nel 2022 e in cui l'Italia e l'Agenzia Spaziale Italiana giocano un ruolo primario.
Racconti di donne straniere in Italia, al via il Concorso letterario nazionale "Lingua Madre"

A questo scopo, numerose iniziative vengono lanciate da attori pubblici e privati per sensibilizzare la cittadinanza sui temi dell’accettazione della diversità. Una di queste iniziative, di cui oggi vi vogliamo parlare, è il concorso letterario nazionale “Lingua Madre - Racconti di donne straniere in Italia”.
Il concorso, ideato da Daniela Finocchi, è parte di un progetto permanente sostenuto dalla Regione Piemonte e dal Salone Internazionale del Libro di Torino, sotto il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, di Pubblicità Progresso e di We Women for Expo.
Si tratta di un’iniziativa indirizzata a tutte le donne straniere (o di origine straniera) che risiedono in Italia e che abbiano intenzione di raccontare nella lingua d’arrivo (ossia l’italiano), tramite la loro esperienza e la loro visione, il rapporto tra identità, radici e il mondo “altro”. Il concorso è indirizzato altresì alle donne italiane che siano intenzionate a farsi tramite della diversità di culture, raccontando a loro volta storie di donne straniere che hanno saputo trasmettere loro “altre” identità.
Si concorre inviando alla segreteria del premio, secondo le modalità indicate sul bando, un elaborato scritto di lunghezza non superiore a 9.000 battute.
Le prime 3 autrici selezionate si aggiudicheranno i seguenti premi in denaro:
I premio: 1.000 euro
II premio: 500 euro
III premio 400 euro
Al di là di questi, altri premi speciali verranno assegnati alle più meritevoli. Tutte le opere selezionate verranno inoltre inserite in un volume che sarà presentato a Torino, durante la prossima edizione del Salone Internazionale del Libro.
La partecipazione al concorso è totalmente gratuita.
La data di scadenza per l’invio degli elaborati è fissata al 31 dicembre 2018.
Scarica qui il bando completo
Vino e clima, con sbalzo termico arrivano i vigneti in alta quota. A Belluno record surriscaldamento in Italia
Il caldo spinge i vigneti sempre più a nord e sempre più in alto. Ne abbiamo parlato qui. Entro la fine di questo secolo la geografia del vino mondiale sarà inevitabilmente mutata con una vera e propria “corsa verso l'alto” dei vigneti.
Vino d’alta quota sui pendii delle Dolomiti, ma non solo anche ulivi e primizie orticole. Sono alcuni degli effetti provocati dai cambiamenti climatici in questa area geografica, dove Belluno si classifica come la città italiana più colpita dal surriscaldamento con un aumento di 2 gradi delle temperatura nel 21esimo secolo (fino al 31 dicembre 2017) rispetto alla media annuale del ventesimo secolo secondo l’indagine realizzata dall'European Data Journalism Network (EDJNet).
Ad evidenziarlo è la Coldiretti, sottolineando che proprio nel feltrino, territorio che circonda la città di Feltre dove si riconducono i dodici comuni della Provincia di Belluno, si trova dell’ottimo vino, del buon olio e soprattutto molte verdure fresche di stagione come se gli orti verdi siano i nuovi pascoli di montagna cosi come ha fatto la sua prima comparsa il carciofo, tanto da diventare prodotto di punta di alcuni di questi territori.
Ma gli effetti del cambiamento climatico sono evidenti lungo tutta la penisola a partire dal centro nord dove si concentrano tutte le realtà che rientrano nella top ten delle città italiane che hanno avuto il maggior innalzamento delle temperature che oltre a Belluno si annoverano Piombino (+1,7 gradi), Pavia, Piacenza (1,3 gradi), Savona, La Spezia, Modena, Genova, Ancona, Bergamo, Livorno (+1,2 gradi).
Come spiega Coldiretti, la distribuzione delle coltivazioni e le loro caratteristiche come ad esempio l’ulivo, tipicamente mediterraneo, in Italia si è spostato a ridosso delle Alpi mentre in Sicilia ed in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici, ormai da considerare prodotti Made in Italy, mai visti prima lungo la Penisola.
Per quanto riguarda il vino italiano, con il caldo, è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, e ciò ha spinto i viticoltori, nel tempo, ad anticipare la vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi il proverbio “ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina”, insomma quello che veniva scritto in molti testi scolastici, andrebbe ora rivisto.
Il riscaldamento provoca anche il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico dove vengono prodotte.
L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma è anche il settore più impegnato per contrastarli, afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, sottolineando che i cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio.
Vino d’alta quota sui pendii delle Dolomiti, ma non solo anche ulivi e primizie orticole. Sono alcuni degli effetti provocati dai cambiamenti climatici in questa area geografica, dove Belluno si classifica come la città italiana più colpita dal surriscaldamento con un aumento di 2 gradi delle temperatura nel 21esimo secolo (fino al 31 dicembre 2017) rispetto alla media annuale del ventesimo secolo secondo l’indagine realizzata dall'European Data Journalism Network (EDJNet).
Ad evidenziarlo è la Coldiretti, sottolineando che proprio nel feltrino, territorio che circonda la città di Feltre dove si riconducono i dodici comuni della Provincia di Belluno, si trova dell’ottimo vino, del buon olio e soprattutto molte verdure fresche di stagione come se gli orti verdi siano i nuovi pascoli di montagna cosi come ha fatto la sua prima comparsa il carciofo, tanto da diventare prodotto di punta di alcuni di questi territori.
Ma gli effetti del cambiamento climatico sono evidenti lungo tutta la penisola a partire dal centro nord dove si concentrano tutte le realtà che rientrano nella top ten delle città italiane che hanno avuto il maggior innalzamento delle temperature che oltre a Belluno si annoverano Piombino (+1,7 gradi), Pavia, Piacenza (1,3 gradi), Savona, La Spezia, Modena, Genova, Ancona, Bergamo, Livorno (+1,2 gradi).
Come spiega Coldiretti, la distribuzione delle coltivazioni e le loro caratteristiche come ad esempio l’ulivo, tipicamente mediterraneo, in Italia si è spostato a ridosso delle Alpi mentre in Sicilia ed in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici, ormai da considerare prodotti Made in Italy, mai visti prima lungo la Penisola.
Per quanto riguarda il vino italiano, con il caldo, è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, e ciò ha spinto i viticoltori, nel tempo, ad anticipare la vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi il proverbio “ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina”, insomma quello che veniva scritto in molti testi scolastici, andrebbe ora rivisto.
Il riscaldamento provoca anche il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico dove vengono prodotte.
L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma è anche il settore più impegnato per contrastarli, afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, sottolineando che i cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio.
lunedì 24 settembre 2018
Vino e disciplinari di produzione, il Comitato Vini approva l’imbottigliamento in zona per il Soave
Approvata l’importante modifica del disciplinare di produzione che vede il Soave DOC imbottigliato solo nella provincia di Verona. Sinergia strategica tra Consorzio, Ministero e Regione Veneto.
Il Comitato Nazionale vini DOP e IGP da poco insediatosi presso il MIPAAFT ha lavorato duramente queste settimane per chiudere diverse istanze in sospeso. Uno dei dossier più importanti era quello del Soave, che aveva chiesto l’imbottigliamento in zona, in adeguamento alle altre denominazioni d’origine italiane.
ll Consorzio, in sinergia con la Regione Veneto e gli Uffici ministeriali, ha preparato in questi mesi tutta la documentazione da far pervenire al comitato presieduto da Michele Zanardo per accelerare i tempi di una modifica strategica per il futuro della denominazione scaligera e ieri è arrivata la conferma che la modifica sarà operativa dal 2019.
Come cambiano le regole?
Con questa modifica il Soave e il Soave Classico potranno essere imbottigliati solo nella provincia di Verona e nei comuni di Montebello Vicentino e Gambellara in provincia di Vicenza. Rimangono i diritti acquisiti di chi già confeziona il Soave al di fuori di quest’area, che dovrà comunque chiedere una deroga al Ministero delle Politiche Agricole. Questa misura, accanto a quella già introdotta nel 2015 della fascetta di Stato, è funzionale alla tutela della tracciabilità del prodotto che viene immesso nel mercato.
«Devo ringraziare chi ha operato in questi mesi verso questa modifica – dice Sandro Gini, presidente del Consorzio – gli uffici ministeriali e quelli regionali che con grande disponibilità e attenzione hanno seguito l’iter e guidato il Consorzio verso questo passo di maturità e responsabilità. Attendiamo ora la chiusura dell’altra modifica, quella delle unità geografiche aggiuntive che pone l’accento su questo periodo di importanti cambiamenti per la denominazione finalizzati alla qualità del prodotto.»
Il Comitato Nazionale vini DOP e IGP da poco insediatosi presso il MIPAAFT ha lavorato duramente queste settimane per chiudere diverse istanze in sospeso. Uno dei dossier più importanti era quello del Soave, che aveva chiesto l’imbottigliamento in zona, in adeguamento alle altre denominazioni d’origine italiane.
ll Consorzio, in sinergia con la Regione Veneto e gli Uffici ministeriali, ha preparato in questi mesi tutta la documentazione da far pervenire al comitato presieduto da Michele Zanardo per accelerare i tempi di una modifica strategica per il futuro della denominazione scaligera e ieri è arrivata la conferma che la modifica sarà operativa dal 2019.
Come cambiano le regole?
Con questa modifica il Soave e il Soave Classico potranno essere imbottigliati solo nella provincia di Verona e nei comuni di Montebello Vicentino e Gambellara in provincia di Vicenza. Rimangono i diritti acquisiti di chi già confeziona il Soave al di fuori di quest’area, che dovrà comunque chiedere una deroga al Ministero delle Politiche Agricole. Questa misura, accanto a quella già introdotta nel 2015 della fascetta di Stato, è funzionale alla tutela della tracciabilità del prodotto che viene immesso nel mercato.
«Devo ringraziare chi ha operato in questi mesi verso questa modifica – dice Sandro Gini, presidente del Consorzio – gli uffici ministeriali e quelli regionali che con grande disponibilità e attenzione hanno seguito l’iter e guidato il Consorzio verso questo passo di maturità e responsabilità. Attendiamo ora la chiusura dell’altra modifica, quella delle unità geografiche aggiuntive che pone l’accento su questo periodo di importanti cambiamenti per la denominazione finalizzati alla qualità del prodotto.»
Un mare di plastica. Dalle isole di rifiuti alla minaccia invisibile delle microplastiche
A Terra Madre Salone del Gusto, nell’area #foodforchange dedicata a Slow Fish, si è parlato di mari e di plastiche con il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, la direttrice della Sezione di Ricerca Oceanografica dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste, Paola Del Negro.
Non preoccupiamoci per i mari. Esistevano da prima di noi e continueranno a farlo anche senza di noi. Quello di cui dovremmo davvero preoccuparci, semmai, è se come esseri umani saremo ancora in grado di trarre dalle acque tutto quello che attualmente ci danno: più della metà dell’ossigeno che respiriamo e buona parte del cibo che portiamo in tavola, innanzitutto.
«L’Italia si doti presto di una legge per l’abolizione del monouso». Così Silvio Greco, presidente del comitato scientifico di Slow Fish e autore insieme a Raffaella Bullo di Un’onda di plastica (Manifestolibri).
Gli autori del saggio Production, use and fate of all plastics ever made, pubblicato su Science Advances nel 2017, hanno calcolato che dagli anni Cinquanta a oggi la produzione totale di plastica ammonti a 8,3 miliardi di tonnellate. L’equivalente di 158.670 Titanic di plastica.
Ma il dato più interessante è che 6,3 miliardi di tonnellate sono diventati spazzatura. Solo il 9% della plastica giunta al termine del suo utilizzo è stata riciclata, il 12% incenerita e il 79% accumulata nelle discariche o dispersa nell’ambiente, con grave danno per gli ecosistemi.
Dai due milioni di tonnellate del 1950 la produzione di plastica è arrivata nel 2015 a più di 400 milioni di tonnellate. I dati del rapporto Fao Microplastics in fisheries and acquaculture prevedono che la domanda cresca a ritmo ancora più sostenuto nei prossimi anni, toccando le 600 milioni di tonnellate entro il 2025 e il miliardo di tonnellate nel 2050: sempre più plastica, insomma, ma soprattutto sempre più usa e getta.
«La plastica era nata per essere uno strumento di realizzazione dei prodotti di lunga durata: anno per anno, tuttavia, è passata dalla durabilità al consumo immediato, al punto tale che oggi la componente usa e getta arriva intorno al 70%» sottolinea Carlo Petrini.
Non si tratta di demonizzare un materiale che ci ha permesso nell'ultimo mezzo secolo un grande salto culturale, avverte l’oceanografa Paola Del Negro: «Ricordiamoci che i primi negozi monomarca sono stati quelli della Moplen ed erano visti come qualcosa di molto innovativo. Oggi abbiamo tutti cognizione del fatto che le plastiche siano anche un problema: basti dire che in quattro sogliole su cento tra quelle pescate nell’Adriatico troviamo residui di materiali plastici. Il libro di Silvio Greco e Raffaella Bullo ha il merito di restituirci questa prospettiva storica, l’evoluzione del pensiero industriale nell’uso della plastica».
Alcune ricerche hanno stimato il peso dell’inquinamento plastico globale: comprende il 75% di macroplastica, l’11% di mesoplastica e il 14% di microplastiche. «Non parliamo allora di plastica, ma piuttosto di plastiche: non c’è una plastica sola» suggerisce Greco. Che ricorda: «Noi a oggi ricicliamo bene solo il polietilene e nei casi in cui le molecole sono mischiate spesso non sappiamo come fare: questo è un problema dentro il problema».
I dati suggeriscono che un minimo di 233.400 tonnellate di oggetti di plastica più grandi siano alla deriva negli oceani rispetto a 35.540 tonnellate di microplastiche. Negli ultimi decenni si è osservata una diminuzione delle dimensioni medie dei rifiuti di plastica, così come una distribuzione globale delle microplastiche in costante aumento.
È questa insomma la minaccia invisibile che percorre i nostri mari, arrivando a noi attraverso la carne dei pesci e dei molluschi. Ma anche nell’acqua delle bottigliette, nel sale marino, perfino nella birra e nel miele.
In più di 220 specie della fauna selvatica gli scienziati di tutto il mondo hanno ritrovato i detriti microplastici sparsi in natura. Escludendo uccelli, tartarughe e mammiferi, il 55% di queste sono invertebrati da pesca di importanza commerciale: cozze, ostriche, vongole, gamberetti comuni, scampi, acciughe, sardine, aringhe atlantiche, merluzzi bianchi e carpe comuni figurano nell’elenco.
In Italia ogni anno vengono individuate tra 40 e 50mila le tonnellate di rifiuti plastici marini. Secondo l’indagine Plastic free sea promossa dalla Goletta Verde di Legambiente, il 95% dei rifiuti galleggianti nel mar Tirreno è composto da plastica, per il 41% buste e frammenti. Nel Mediterraneo, stando alle stime del Cnr, galleggiano 1,25 milioni di tonnellate di microplastiche e soltanto nel tratto di mare tra la Toscana e la Corsica ne è stata rilevata la presenza in quantità di 10 kg per km2.
La buona notizia è che il nostro Paese è uno dei più avanzati per quanto riguarda la lotta all’usa e getta e il recupero delle plastiche. Mentre negli Usa si ricicla appena il 10% delle plastiche e nell’Unione Europea il 30%, l’Italia fa decisamente meglio della media continentale arrivando al 45% di riciclo.
Dal 1 gennaio 2019, inoltre, entrerà in vigore la legge che consente di commercializzare soltanto bastoncini per le orecchie biodegradabili, oggetti che oggi costituiscono il 7,8 % della spazzatura nei mari. A partire dal 2020, invece, sarà vietata la vendita di cosmetici da risciacquo e detergenti contenenti microplastiche.
Il nostro Paese si colloca all’avanguardia anche sul piano normativo: siamo stati infatti il primo Stato europeo a mettere al bando gli shopper di plastica, i cotton fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici.
«L’Unione Europea - continua il presidente di Slow Fish - ha iniziato un lavoro per arrivare all’eliminazione del monouso, ma c’è una possibile difficoltà: l’Ue infatti si limita alle raccomandazioni, che i singoli Stati dovrebbero recepire elaborando appositi progetti di legge. Una dichiarazione molto forte in questo senso è venuta dall’attuale ministro dell’Ambiente, il generale Sergio Costa, il quale ha assicurato che l’Italia si doterà a brevissimo di una legge di questo tipo: come Slow Food ci associamo a questo intento e vigileremo perché trovi seguito».
Abbiamo di fronte uno scenario duro e battaglie feroci, avverte l’autore di Un’onda di plastica, perché l’industria dei componenti plastici e quella petrolifera si confondono: la DowDuPont, l’ExxonMobil, la Shell, la Chevron, la BP e in Italia l’Eni sono mostri intoccabili.
Intoccabile sembra essere anche il business: il mercato della plastica globale per il 2020 è valutato in circa 654,38 miliardi di dollari e, nel 2050, la quota di idrocarburi dedicata alla plastica toccherà il 14%, contro il 6% del 2014. Sono numeri impressionanti. Ma nel mondo si stanno formando consapevolezze inaspettate anche lì dove l’impatto è maggiormente critico.
Non preoccupiamoci per i mari. Esistevano da prima di noi e continueranno a farlo anche senza di noi. Quello di cui dovremmo davvero preoccuparci, semmai, è se come esseri umani saremo ancora in grado di trarre dalle acque tutto quello che attualmente ci danno: più della metà dell’ossigeno che respiriamo e buona parte del cibo che portiamo in tavola, innanzitutto.
«L’Italia si doti presto di una legge per l’abolizione del monouso». Così Silvio Greco, presidente del comitato scientifico di Slow Fish e autore insieme a Raffaella Bullo di Un’onda di plastica (Manifestolibri).
Gli autori del saggio Production, use and fate of all plastics ever made, pubblicato su Science Advances nel 2017, hanno calcolato che dagli anni Cinquanta a oggi la produzione totale di plastica ammonti a 8,3 miliardi di tonnellate. L’equivalente di 158.670 Titanic di plastica.
Ma il dato più interessante è che 6,3 miliardi di tonnellate sono diventati spazzatura. Solo il 9% della plastica giunta al termine del suo utilizzo è stata riciclata, il 12% incenerita e il 79% accumulata nelle discariche o dispersa nell’ambiente, con grave danno per gli ecosistemi.
Dai due milioni di tonnellate del 1950 la produzione di plastica è arrivata nel 2015 a più di 400 milioni di tonnellate. I dati del rapporto Fao Microplastics in fisheries and acquaculture prevedono che la domanda cresca a ritmo ancora più sostenuto nei prossimi anni, toccando le 600 milioni di tonnellate entro il 2025 e il miliardo di tonnellate nel 2050: sempre più plastica, insomma, ma soprattutto sempre più usa e getta.
«La plastica era nata per essere uno strumento di realizzazione dei prodotti di lunga durata: anno per anno, tuttavia, è passata dalla durabilità al consumo immediato, al punto tale che oggi la componente usa e getta arriva intorno al 70%» sottolinea Carlo Petrini.
Non si tratta di demonizzare un materiale che ci ha permesso nell'ultimo mezzo secolo un grande salto culturale, avverte l’oceanografa Paola Del Negro: «Ricordiamoci che i primi negozi monomarca sono stati quelli della Moplen ed erano visti come qualcosa di molto innovativo. Oggi abbiamo tutti cognizione del fatto che le plastiche siano anche un problema: basti dire che in quattro sogliole su cento tra quelle pescate nell’Adriatico troviamo residui di materiali plastici. Il libro di Silvio Greco e Raffaella Bullo ha il merito di restituirci questa prospettiva storica, l’evoluzione del pensiero industriale nell’uso della plastica».
Alcune ricerche hanno stimato il peso dell’inquinamento plastico globale: comprende il 75% di macroplastica, l’11% di mesoplastica e il 14% di microplastiche. «Non parliamo allora di plastica, ma piuttosto di plastiche: non c’è una plastica sola» suggerisce Greco. Che ricorda: «Noi a oggi ricicliamo bene solo il polietilene e nei casi in cui le molecole sono mischiate spesso non sappiamo come fare: questo è un problema dentro il problema».
I dati suggeriscono che un minimo di 233.400 tonnellate di oggetti di plastica più grandi siano alla deriva negli oceani rispetto a 35.540 tonnellate di microplastiche. Negli ultimi decenni si è osservata una diminuzione delle dimensioni medie dei rifiuti di plastica, così come una distribuzione globale delle microplastiche in costante aumento.
È questa insomma la minaccia invisibile che percorre i nostri mari, arrivando a noi attraverso la carne dei pesci e dei molluschi. Ma anche nell’acqua delle bottigliette, nel sale marino, perfino nella birra e nel miele.
In più di 220 specie della fauna selvatica gli scienziati di tutto il mondo hanno ritrovato i detriti microplastici sparsi in natura. Escludendo uccelli, tartarughe e mammiferi, il 55% di queste sono invertebrati da pesca di importanza commerciale: cozze, ostriche, vongole, gamberetti comuni, scampi, acciughe, sardine, aringhe atlantiche, merluzzi bianchi e carpe comuni figurano nell’elenco.
In Italia ogni anno vengono individuate tra 40 e 50mila le tonnellate di rifiuti plastici marini. Secondo l’indagine Plastic free sea promossa dalla Goletta Verde di Legambiente, il 95% dei rifiuti galleggianti nel mar Tirreno è composto da plastica, per il 41% buste e frammenti. Nel Mediterraneo, stando alle stime del Cnr, galleggiano 1,25 milioni di tonnellate di microplastiche e soltanto nel tratto di mare tra la Toscana e la Corsica ne è stata rilevata la presenza in quantità di 10 kg per km2.
La buona notizia è che il nostro Paese è uno dei più avanzati per quanto riguarda la lotta all’usa e getta e il recupero delle plastiche. Mentre negli Usa si ricicla appena il 10% delle plastiche e nell’Unione Europea il 30%, l’Italia fa decisamente meglio della media continentale arrivando al 45% di riciclo.
Dal 1 gennaio 2019, inoltre, entrerà in vigore la legge che consente di commercializzare soltanto bastoncini per le orecchie biodegradabili, oggetti che oggi costituiscono il 7,8 % della spazzatura nei mari. A partire dal 2020, invece, sarà vietata la vendita di cosmetici da risciacquo e detergenti contenenti microplastiche.
Il nostro Paese si colloca all’avanguardia anche sul piano normativo: siamo stati infatti il primo Stato europeo a mettere al bando gli shopper di plastica, i cotton fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici.
«L’Unione Europea - continua il presidente di Slow Fish - ha iniziato un lavoro per arrivare all’eliminazione del monouso, ma c’è una possibile difficoltà: l’Ue infatti si limita alle raccomandazioni, che i singoli Stati dovrebbero recepire elaborando appositi progetti di legge. Una dichiarazione molto forte in questo senso è venuta dall’attuale ministro dell’Ambiente, il generale Sergio Costa, il quale ha assicurato che l’Italia si doterà a brevissimo di una legge di questo tipo: come Slow Food ci associamo a questo intento e vigileremo perché trovi seguito».
Abbiamo di fronte uno scenario duro e battaglie feroci, avverte l’autore di Un’onda di plastica, perché l’industria dei componenti plastici e quella petrolifera si confondono: la DowDuPont, l’ExxonMobil, la Shell, la Chevron, la BP e in Italia l’Eni sono mostri intoccabili.
Intoccabile sembra essere anche il business: il mercato della plastica globale per il 2020 è valutato in circa 654,38 miliardi di dollari e, nel 2050, la quota di idrocarburi dedicata alla plastica toccherà il 14%, contro il 6% del 2014. Sono numeri impressionanti. Ma nel mondo si stanno formando consapevolezze inaspettate anche lì dove l’impatto è maggiormente critico.
CREA, Progetto FORBIO: fino al 70% in meno di CO2 con le bioenergie. A Ferrara l’incontro di Capacity Building.
Quasi il 70% in meno di emissioni di CO2 nell’atmosfera grazie all’utilizzo di biomasse a fini energetici e la diffusione di filiere bioenergetiche. Sono gli output di FORBIO (forbio-project.eu/), un progetto Horizon2020, con cui il CREA Politiche e Bioeconomia intende promuovere la coltivazione sostenibile di risorse biologiche.
Attraverso il progetto il Crea, Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, promuoverà in Europa la produzione di biocarburanti avanzati in terreni sotto utilizzati, contaminati e marginali, senza incidere sulla produzione di alimenti e foraggi e sugli usi del suolo attuali.
Lo scorso 14 settembre si è svolto un Webinar tematico sull’implementazione degli indicatori di sostenibilità per il monitoraggio degli impatti delle moderne bioenergie, rivolto ad esperti, agricoltori e istituzioni locali che operano in quest’ambito.
Tali indicatori, prodotti mediante il modello FAST, un calcolatore sviluppato dalla FAO nell’ambito del progetto, definendo gli effetti ambientali, tecnico-economici e sociali, dimostrano che l’introduzione di coltivazioni bioenergetiche nell’area di studio prescelta, consentirebbe una produzione di 40.000 tonnellate di etanolo, con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 del 68% (61.200 tonnellate di CO2 in meno) rispetto alla medesima produzione energetica con combustibili fossili. Inoltre, si registrano importanti risultati in materia di miglioramento della qualità delle acque e dei suoli, grazie a una notevole riduzione di sostanze inquinanti come azoto e fosforo nonché di perdite di carbonio, con impatti occupazionali di rilievo, quantificati in circa 600 contratti di lavoro temporanei o stagionali e oltre 700 stabili.
Nel programma inoltre l'incontro di Capacity Building volto a:
Esaminare opportunità e prospettive di filiere bioenergetiche in aree sottoutilizzate (siti inquinati, aree marginali);
Fornire informazioni sulle potenzialità tecnico-agronomiche e sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica della coltivazione di biomasse dedicate alla produzione di bioenergie;
Proporre raccomandazioni e soluzioni realizzabili e trasferibili per incoraggiare agricoltori, investitori e attori locali verso filiere locali sostenibili e integrate nel territorio.
Secondo Guido Bonati, coordinatore del progetto per il Centro Politiche e Bioeconomia del CREA, “le attività di FORBIO sono estremamente importanti per definire il potenziale di sfruttamento delle aree attualmente inutilizzate per la produzione di biocombustibili, aree che, invece, potrebbero rappresentare una soluzione strategica con importanti impatti in termini economici e ambientali oltre a generare positive ricadute a livello sociale e occupazionale. I risultati ottenuti nell’area di studio italiana del Sulcis, mostrano una produzione potenziale fino a 25 tonnellate/ettaro di biomassa in un’area di circa 13.000 ettari”.
“La produzione di biocombustibili avanzati, inoltre, rappresenta un adempimento fondamentale per gli Stati Membri Ue, impegnati a conseguire determinati risultati in tema di produzione di energie rinnovabili sui consumi finali (per l’Italia il 27% nei vari settori, tra cui il 17-19% nei trasporti). Tali obiettivi, ricordiamo, sono necessari per consentire il raggiungimento dei target stabiliti dalle politiche comunitarie, ossia il 32% di quota complessiva di energie rinnovabili all’interno dell’Unione”, sostiene Stefano Fabiani, esperto CREA di energie rinnovabili e politiche energetiche. Per questi motivi “i temi sviluppati in FORBIO saranno ampliati nel nuovo progetto BIOPLAT-EU, che, basandosi sui risultati ottenuti, mira a definire metodologie orientate alla realizzazione di iniziative concrete da parte del mondo delle imprese”.
Attraverso il progetto il Crea, Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, promuoverà in Europa la produzione di biocarburanti avanzati in terreni sotto utilizzati, contaminati e marginali, senza incidere sulla produzione di alimenti e foraggi e sugli usi del suolo attuali.
Lo scorso 14 settembre si è svolto un Webinar tematico sull’implementazione degli indicatori di sostenibilità per il monitoraggio degli impatti delle moderne bioenergie, rivolto ad esperti, agricoltori e istituzioni locali che operano in quest’ambito.
Tali indicatori, prodotti mediante il modello FAST, un calcolatore sviluppato dalla FAO nell’ambito del progetto, definendo gli effetti ambientali, tecnico-economici e sociali, dimostrano che l’introduzione di coltivazioni bioenergetiche nell’area di studio prescelta, consentirebbe una produzione di 40.000 tonnellate di etanolo, con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 del 68% (61.200 tonnellate di CO2 in meno) rispetto alla medesima produzione energetica con combustibili fossili. Inoltre, si registrano importanti risultati in materia di miglioramento della qualità delle acque e dei suoli, grazie a una notevole riduzione di sostanze inquinanti come azoto e fosforo nonché di perdite di carbonio, con impatti occupazionali di rilievo, quantificati in circa 600 contratti di lavoro temporanei o stagionali e oltre 700 stabili.
Nel programma inoltre l'incontro di Capacity Building volto a:
Esaminare opportunità e prospettive di filiere bioenergetiche in aree sottoutilizzate (siti inquinati, aree marginali);
Fornire informazioni sulle potenzialità tecnico-agronomiche e sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica della coltivazione di biomasse dedicate alla produzione di bioenergie;
Proporre raccomandazioni e soluzioni realizzabili e trasferibili per incoraggiare agricoltori, investitori e attori locali verso filiere locali sostenibili e integrate nel territorio.
Secondo Guido Bonati, coordinatore del progetto per il Centro Politiche e Bioeconomia del CREA, “le attività di FORBIO sono estremamente importanti per definire il potenziale di sfruttamento delle aree attualmente inutilizzate per la produzione di biocombustibili, aree che, invece, potrebbero rappresentare una soluzione strategica con importanti impatti in termini economici e ambientali oltre a generare positive ricadute a livello sociale e occupazionale. I risultati ottenuti nell’area di studio italiana del Sulcis, mostrano una produzione potenziale fino a 25 tonnellate/ettaro di biomassa in un’area di circa 13.000 ettari”.
“La produzione di biocombustibili avanzati, inoltre, rappresenta un adempimento fondamentale per gli Stati Membri Ue, impegnati a conseguire determinati risultati in tema di produzione di energie rinnovabili sui consumi finali (per l’Italia il 27% nei vari settori, tra cui il 17-19% nei trasporti). Tali obiettivi, ricordiamo, sono necessari per consentire il raggiungimento dei target stabiliti dalle politiche comunitarie, ossia il 32% di quota complessiva di energie rinnovabili all’interno dell’Unione”, sostiene Stefano Fabiani, esperto CREA di energie rinnovabili e politiche energetiche. Per questi motivi “i temi sviluppati in FORBIO saranno ampliati nel nuovo progetto BIOPLAT-EU, che, basandosi sui risultati ottenuti, mira a definire metodologie orientate alla realizzazione di iniziative concrete da parte del mondo delle imprese”.
Buono... non lo conoscevo, a Roma presentati i vini di territorio da vitigno autoctono. Ecco una mia selezione
L’associazione Go Wine riprende l'attività a Roma, dopo la pausa estiva, con l’ormai tradizionale appuntamento di fine estate dedicato ai vitigni autoctoni italiani. Con il progetto “Buono… non lo conoscevo!” l' associazione mira a favorire la conoscenza e l’acquisto di vini legati a specifici territori, non sempre agevolmente reperibili dal consumatore.
Negli eleganti saloni del Savoy Hotel di Ludovisi di Roma erano presenti i vini di molte regioni d’Italia, alcuni presentati direttamente dai produttori, altri da attenti e competenti sommelier. Una selezione di etichette che si conferma sempre interessante e sfiziosa.
di Francesco Cerini
L'iniziativa ha messo in scena nomi come Barbarossa, Bellone, Bombino Bianco, Bombino Nero, Cannonau, Cococciola, Erbaluce, Malvasia Istriana, Malvasia Puntinata del Lazio, Montepulciano, Nero di Troia, Pallagrello Bianco, Pallagrello rosso, Pelaverga, Pigato, Pignola valtellinese, Pugnitello, Ribolla Gialla, Ruchè, Tintilia, Verdea, Verdicchio, Vermentino, Violone, Zibibbo. Un susseguirsi di vitigni decisamente poco noti, ma assolutamente di gran pregio a conferma di quanto le varietà autoctone possano raccontare al meglio l'Italia enoica partendo proprio dal territorio di origine.
Molte le “chicche” della serata: l’anteprima del verdicchio 2017 di Benforti Valori, il Cannonau di Murales, le varie Espressioni di Collio della Tenuta Stella, il Sagrantino Passito di Colle Ciocco, e la grande carrellata dell’Associazione Vite in Riviera, con una selezione di vini di 25 aziende del Ponente Ligure (anzi 26 che una se n’è aggiunta ad insaputa anche del rappresentante dell’associazione).
Sicuramente il “buono non lo conoscevo” della serata è stato il Pugnitello nella sua versione base e riserva dell’azienda bioagricola Poggiolella.
Il Pugnitello, vitigno autoctono della Maremma Toscana, iscritto nel registro nazionale delle varietà della vite nel 2002 su richiesta della università di Firenze, anche grazie alla caparbietà e all’amore di una coppia che, “fuggita” dalla città sta riversando tutte le proprie energie per la diffusione di questo vitigno, sta raggiungendo ottimi risultati fornendo un vino denso e corposo, elegante e finemente tannico, che si inserisce bene tra i giganti di questo lembo di territorio.
Insomma un ennesimo bel viaggio a cura di GoWine tra le diverse espressioni del nostro territorio.
Negli eleganti saloni del Savoy Hotel di Ludovisi di Roma erano presenti i vini di molte regioni d’Italia, alcuni presentati direttamente dai produttori, altri da attenti e competenti sommelier. Una selezione di etichette che si conferma sempre interessante e sfiziosa.
di Francesco Cerini
L'iniziativa ha messo in scena nomi come Barbarossa, Bellone, Bombino Bianco, Bombino Nero, Cannonau, Cococciola, Erbaluce, Malvasia Istriana, Malvasia Puntinata del Lazio, Montepulciano, Nero di Troia, Pallagrello Bianco, Pallagrello rosso, Pelaverga, Pigato, Pignola valtellinese, Pugnitello, Ribolla Gialla, Ruchè, Tintilia, Verdea, Verdicchio, Vermentino, Violone, Zibibbo. Un susseguirsi di vitigni decisamente poco noti, ma assolutamente di gran pregio a conferma di quanto le varietà autoctone possano raccontare al meglio l'Italia enoica partendo proprio dal territorio di origine.
Molte le “chicche” della serata: l’anteprima del verdicchio 2017 di Benforti Valori, il Cannonau di Murales, le varie Espressioni di Collio della Tenuta Stella, il Sagrantino Passito di Colle Ciocco, e la grande carrellata dell’Associazione Vite in Riviera, con una selezione di vini di 25 aziende del Ponente Ligure (anzi 26 che una se n’è aggiunta ad insaputa anche del rappresentante dell’associazione).
Sicuramente il “buono non lo conoscevo” della serata è stato il Pugnitello nella sua versione base e riserva dell’azienda bioagricola Poggiolella.
Il Pugnitello, vitigno autoctono della Maremma Toscana, iscritto nel registro nazionale delle varietà della vite nel 2002 su richiesta della università di Firenze, anche grazie alla caparbietà e all’amore di una coppia che, “fuggita” dalla città sta riversando tutte le proprie energie per la diffusione di questo vitigno, sta raggiungendo ottimi risultati fornendo un vino denso e corposo, elegante e finemente tannico, che si inserisce bene tra i giganti di questo lembo di territorio.
Insomma un ennesimo bel viaggio a cura di GoWine tra le diverse espressioni del nostro territorio.
Droni e satelliti, così proteggiamo il nostro Patrimonio Culturale
Droni e satelliti per proteggere il Patrimonio Culturale, se ne parlerà al Forum TECHNOLOGY for ALL a Roma, il 3-5 Ottobre.
Il Patrimonio Culturale italiano sarà difeso anche dal cielo. I dati raccolti da satelliti e droni, integrati con quelli già presenti nella Carta del Rischio realizzata e mantenuta dall'ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) del Mibac, potranno fornire infatti preziose informazioni per il monitoraggio e la manutenzione programmata di edifici storici, chiese, siti archeologici e proprietà architettoniche vincolate, riducendo il pericolo di crolli che, come successo anche di recente, sempre più spesso colpiscono costruzioni di elevato pregio artistico e culturale.
Sarebbe così possibile implementare meglio la “Banca dati del Rischio”, che, grazie a specifici algoritmi già disponibili, indichi il livello di vulnerabilità di ciascun sito, consentendo alle amministrazioni di pianificare per tempo gli interventi partendo dalle strutture più a rischio.
Sarà questo uno dei temi al centro di “Technology for All 2018”, quinta edizione del forum dedicato all'innovazione tecnologica per il territorio e l’ambiente, i beni culturali e le smart city. L’evento si svolgerà a Roma dal 3 al 5 ottobre prossimi presso l’Istituto Superiore Antincendi (ISA), la scuola di alta qualificazione del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Il programma di “TECHNOLOGY for All 2018” si aprirà mercoledì 3 ottobre con un “workshop sul campo” in un’importante zona archeologica di Roma e presso l'area di archeologia industriale dell'ISA, che vedrà l’utilizzo di droni e sensori per riprese LIDAR (Laser Imaging Detection and Ranging). Saranno anche presentati gli ultimi sistemi GNSS (Global Navigation Satellite System), laser scanner, georadar e molti altri ancora.
Giovedì 4 presso l’ISA si svolgerà invece il convegno inaugurale, sul tema “Nuove tecnologie per il monitoraggio e la sicurezza delle infrastrutture e del territorio”, con gli interventi di rappresentanti istituzionali ed esperti di Enti di ricerca, aziende specializzate e associazioni di categoria.
Seguirà una due giorni di sessioni dedicate alle più recenti tecnologie per il territorio, i beni culturali e le smart city: tra l’altro, si parlerà di geoinformazione e analisi geospaziale, realtà virtuale e aumentata, droni per l’aerofotogrammetria, imaging con sensori iperspettrali, sistemi per il BIM (Building Information Modeling), tecnologie italiane per le smart city, cartografia e toponomastica, il PNT (Positioning Navigation & Timing).
Prevista anche la presentazione delle rilevazioni eseguite durante i workshop sul campo, una serie di seminari e conferenze e attività dimostrative di nuovi sistemi e software.
La partecipazione è gratuita, previa registrazione su www.technologyforall.it.
Il Patrimonio Culturale italiano sarà difeso anche dal cielo. I dati raccolti da satelliti e droni, integrati con quelli già presenti nella Carta del Rischio realizzata e mantenuta dall'ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) del Mibac, potranno fornire infatti preziose informazioni per il monitoraggio e la manutenzione programmata di edifici storici, chiese, siti archeologici e proprietà architettoniche vincolate, riducendo il pericolo di crolli che, come successo anche di recente, sempre più spesso colpiscono costruzioni di elevato pregio artistico e culturale.
Sarebbe così possibile implementare meglio la “Banca dati del Rischio”, che, grazie a specifici algoritmi già disponibili, indichi il livello di vulnerabilità di ciascun sito, consentendo alle amministrazioni di pianificare per tempo gli interventi partendo dalle strutture più a rischio.
Sarà questo uno dei temi al centro di “Technology for All 2018”, quinta edizione del forum dedicato all'innovazione tecnologica per il territorio e l’ambiente, i beni culturali e le smart city. L’evento si svolgerà a Roma dal 3 al 5 ottobre prossimi presso l’Istituto Superiore Antincendi (ISA), la scuola di alta qualificazione del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Il programma di “TECHNOLOGY for All 2018” si aprirà mercoledì 3 ottobre con un “workshop sul campo” in un’importante zona archeologica di Roma e presso l'area di archeologia industriale dell'ISA, che vedrà l’utilizzo di droni e sensori per riprese LIDAR (Laser Imaging Detection and Ranging). Saranno anche presentati gli ultimi sistemi GNSS (Global Navigation Satellite System), laser scanner, georadar e molti altri ancora.
Giovedì 4 presso l’ISA si svolgerà invece il convegno inaugurale, sul tema “Nuove tecnologie per il monitoraggio e la sicurezza delle infrastrutture e del territorio”, con gli interventi di rappresentanti istituzionali ed esperti di Enti di ricerca, aziende specializzate e associazioni di categoria.
Seguirà una due giorni di sessioni dedicate alle più recenti tecnologie per il territorio, i beni culturali e le smart city: tra l’altro, si parlerà di geoinformazione e analisi geospaziale, realtà virtuale e aumentata, droni per l’aerofotogrammetria, imaging con sensori iperspettrali, sistemi per il BIM (Building Information Modeling), tecnologie italiane per le smart city, cartografia e toponomastica, il PNT (Positioning Navigation & Timing).
Prevista anche la presentazione delle rilevazioni eseguite durante i workshop sul campo, una serie di seminari e conferenze e attività dimostrative di nuovi sistemi e software.
La partecipazione è gratuita, previa registrazione su www.technologyforall.it.
venerdì 21 settembre 2018
Ristorazione ospedaliera, quale futuro? L'indagine sulla relazione tra cibo e salute e la direzione in cui si muove il cambiamento in quest’ambito
L'incontro che si è svolto oggi al Lingotto di Torino a cura di Slow Food ha indagato la relazione tra cibo e salute e la direzione in cui si muove il cambiamento in quest’ambito. Il cibo per il cambiamento, appunto. E l’area tematica #foodforchange Cibo e salute testimonia proprio l’attenzione della Chiocciola nei confronti della relazione tra quello che mangiamo e il nostro benessere.
L'80% del personale addetto alle mense richiede attenzione alle materie prime e alla stagionalità: l’ospedale ha anche una responsabilità educativa sui pazienti in quanto il cibo ha un’importanza enorme sul benessere del paziente e risulta ormai evidente la relazione tra la dieta e il percorso di cura di molte patologie. La malnutrizione ospedaliera è ormai riconosciuta in quanto vera e propria patologia che aggrava i motivi di ricovero e allunga il periodo di degenza. Investire su una nuova strategia per migliorare questo aspetto è non solo auspicabile, ma necessario. Per farlo bisogna tenere conto delle esigenze cliniche e culturali di ogni paziente. Il cibo è necessario per star bene e il convegno nasce proprio dall’esigenza di rinnovare il sistema e sensibilizzare gli addetti ai lavori sul tema dell’alimentazione come strumento di terapia ma anche di piacere e benessere del paziente.
Con queste parole Andrea Pezzana, direttore di Dietetica e Nutrizione Clinica ASL Città di Torino, ha dato oggi il via al convegno "L’alimentazione in ospedale, un nuovo approccio alla ristorazione ospedaliera. Quale futuro?", che si è tenuto nell’Aula Magna di Dental School della Città della salute e della scienza al Lingotto, nell’ambito di Terra Madre Salone del Gusto 2018, organizzato da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in corso fino al 24 settembre con eventi a Torino e in tutto il Piemonte.
«Mangiare bene è un diritto di tutti; e ancor di più di chi ha una patologia – ha evidenziato Marco Storchi - responsabile dei servizi di supporto alla persona AO Sant’Orsola Malpighi di Bologna nel suo intervento -. Per noi il cibo e la dieta hanno un prezioso ruolo di supporto alla cura, non possono sostituirsi a essa ma possono potenziare o depotenziare la terapia. Inoltre, è importante il significato simbolico che ha il cibo per le persone; anche questo incide sul benessere o malessere dei pazienti che se ben alimentati possono ridurre i tempi di degenza e tornare più in fretta alla loro vita».
Per questo motivo già nel 2013, appena arrivato al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, Storchi si è impegnato per valorizzare e ottimizzare la ristorazione attraverso una cucina interna che è diventata un vero e proprio laboratorio vivo in cui fare ricerca ogni gior. L’obiettivo? Una proposta buona, sana e sostenibile. In questa direzione va il progetto Crunch – che sta per Cucina e ristorazione uniti nella nutrizione clinica ospedaliera – in collaborazione con partner come Slow Food e l’Università di Scienze Gastronomiche, che vuole rappresentare un ponte fra clinica, settore dietetico, cucina interna, linee guida internazionali e partner esterni. Ma il lavoro non è semplice perché bisogna scardinare procedure di appalto, come le piattaforme di acquisto, o i vecchi modi di intendere il pasto in ospedale.
Un menu buono, pulito, giusto e sano è possibile anche in corsia quindi. Basta trovare soluzioni innovative e tecniche di cottura alternative. Secondo Lia Di Marco, responsabile SSD URP CDSS, spesso i pazienti e chi usufruisce delle mense ospedaliere lamentano (80,7%) cibi scotti e poca varietà nella proposta alimentare. Ma le soluzioni ci sono e arrivano dagli stessi operatori che prestano servizio negli ospedali e sono costantemente in contatto con i pazienti. Il migliaio di questionari che giungono dalle mense della Città della salute e della scienza di Torino suggeriscono pasta integrale che tiene meglio la cottura e ha, inoltre, proprietà nutritive maggiori; e un più ampio impiego di carne bianca, pesce e legumi per ovviare la scarsa varietà dei secondi. Dallo studio emerge, ed è un dato molto interessante, la richiesta di valorizzare la stagionalità di frutta e verdura. Il 79,5%, inoltre, ritiene importante l’uso di prodotti bio e a basso impatto ambientale. Comunque l’83,7% presenta un occhio di riguardo per la scelta delle materie prime contro un 39,3% che pone l’accento sull’importanza della quantità delle porzioni.
Filippo Denaropapa, dirigente responsabile f.f. S.I.A.N. (Igiene degli alimenti e della nutrizione) ASL TO1, propone il progetto Cook & Chill nella ristorazione sanitaria e scolastica. L’espressione – che in italiano significa cuoci e raffredda – indica un sistema di confezionamento dei pasti che consente, oltre che di ridurre i costi, di mantenere pressoché inalterate le caratteristiche qualitative, organolettiche e igieniche, proprie del cibo appena cucinato.
Non manca neanche l’attenzione agli snack proposti dai distributori automatici che spesso nutrono non solo i famigliari dei pazienti, ma anche gli stessi malati, che tentano di trovare un’alternativa al pasto insoddisfacente. A tal proposito Lelio Morricone, Co-fondatore e responsabile scientifico del Progetto EAT – Alimentazione Sostenibile, spiega i criteri di selezione di questi prodotti nell’ambito del Progetto EAT, un programma di rieducazione destinato a scuole e ospedali, che mira a insegnare e stimolare le persone verso uno stile di vita corretto e un’alimentazione sostenibile. Tra i criteri: la drastica riduzione di zuccheri aggiunti e sale, l’aumento del contenuto di fibra, la presenza di alimenti di origine vegetale come frutta e verdura freschi e, tra le bevande, solo acqua e succhi senza zuccheri aggiunti.
Perché, come sostiene Storchi, il rapporto tra cibo e salute non deve limitarsi solo ai giorni di degenza ma si riferisce piuttosto a un discorso a lungo termine. L’ospedale, quindi, ha anche una responsabilità educativa sui pazienti e deve indirizzarli verso uno stile di vita e un’alimentazione più sana nel quotidiano. E per far questo «non basta limitarsi a quanto si è già conquistato. – suggerisce Pezzana. – Non ci si può fermare al bilanciamento dei nutrienti, ma è necessario un nuovo approccio professionale che coinvolga esperti di nutrizione e igienicosanitari, il provveditorato, per disporre percorsi d’acquisto intelligenti e la rappresentanza dei pazienti e delle famiglie. Un occhio al passato, quindi, per capire cosa abbiamo imparato, e uno sguardo al futuro verso l’innovazione. Questa è la soluzione».
L'80% del personale addetto alle mense richiede attenzione alle materie prime e alla stagionalità: l’ospedale ha anche una responsabilità educativa sui pazienti in quanto il cibo ha un’importanza enorme sul benessere del paziente e risulta ormai evidente la relazione tra la dieta e il percorso di cura di molte patologie. La malnutrizione ospedaliera è ormai riconosciuta in quanto vera e propria patologia che aggrava i motivi di ricovero e allunga il periodo di degenza. Investire su una nuova strategia per migliorare questo aspetto è non solo auspicabile, ma necessario. Per farlo bisogna tenere conto delle esigenze cliniche e culturali di ogni paziente. Il cibo è necessario per star bene e il convegno nasce proprio dall’esigenza di rinnovare il sistema e sensibilizzare gli addetti ai lavori sul tema dell’alimentazione come strumento di terapia ma anche di piacere e benessere del paziente.
Con queste parole Andrea Pezzana, direttore di Dietetica e Nutrizione Clinica ASL Città di Torino, ha dato oggi il via al convegno "L’alimentazione in ospedale, un nuovo approccio alla ristorazione ospedaliera. Quale futuro?", che si è tenuto nell’Aula Magna di Dental School della Città della salute e della scienza al Lingotto, nell’ambito di Terra Madre Salone del Gusto 2018, organizzato da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in corso fino al 24 settembre con eventi a Torino e in tutto il Piemonte.
«Mangiare bene è un diritto di tutti; e ancor di più di chi ha una patologia – ha evidenziato Marco Storchi - responsabile dei servizi di supporto alla persona AO Sant’Orsola Malpighi di Bologna nel suo intervento -. Per noi il cibo e la dieta hanno un prezioso ruolo di supporto alla cura, non possono sostituirsi a essa ma possono potenziare o depotenziare la terapia. Inoltre, è importante il significato simbolico che ha il cibo per le persone; anche questo incide sul benessere o malessere dei pazienti che se ben alimentati possono ridurre i tempi di degenza e tornare più in fretta alla loro vita».
Per questo motivo già nel 2013, appena arrivato al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, Storchi si è impegnato per valorizzare e ottimizzare la ristorazione attraverso una cucina interna che è diventata un vero e proprio laboratorio vivo in cui fare ricerca ogni gior. L’obiettivo? Una proposta buona, sana e sostenibile. In questa direzione va il progetto Crunch – che sta per Cucina e ristorazione uniti nella nutrizione clinica ospedaliera – in collaborazione con partner come Slow Food e l’Università di Scienze Gastronomiche, che vuole rappresentare un ponte fra clinica, settore dietetico, cucina interna, linee guida internazionali e partner esterni. Ma il lavoro non è semplice perché bisogna scardinare procedure di appalto, come le piattaforme di acquisto, o i vecchi modi di intendere il pasto in ospedale.
Un menu buono, pulito, giusto e sano è possibile anche in corsia quindi. Basta trovare soluzioni innovative e tecniche di cottura alternative. Secondo Lia Di Marco, responsabile SSD URP CDSS, spesso i pazienti e chi usufruisce delle mense ospedaliere lamentano (80,7%) cibi scotti e poca varietà nella proposta alimentare. Ma le soluzioni ci sono e arrivano dagli stessi operatori che prestano servizio negli ospedali e sono costantemente in contatto con i pazienti. Il migliaio di questionari che giungono dalle mense della Città della salute e della scienza di Torino suggeriscono pasta integrale che tiene meglio la cottura e ha, inoltre, proprietà nutritive maggiori; e un più ampio impiego di carne bianca, pesce e legumi per ovviare la scarsa varietà dei secondi. Dallo studio emerge, ed è un dato molto interessante, la richiesta di valorizzare la stagionalità di frutta e verdura. Il 79,5%, inoltre, ritiene importante l’uso di prodotti bio e a basso impatto ambientale. Comunque l’83,7% presenta un occhio di riguardo per la scelta delle materie prime contro un 39,3% che pone l’accento sull’importanza della quantità delle porzioni.
Filippo Denaropapa, dirigente responsabile f.f. S.I.A.N. (Igiene degli alimenti e della nutrizione) ASL TO1, propone il progetto Cook & Chill nella ristorazione sanitaria e scolastica. L’espressione – che in italiano significa cuoci e raffredda – indica un sistema di confezionamento dei pasti che consente, oltre che di ridurre i costi, di mantenere pressoché inalterate le caratteristiche qualitative, organolettiche e igieniche, proprie del cibo appena cucinato.
Non manca neanche l’attenzione agli snack proposti dai distributori automatici che spesso nutrono non solo i famigliari dei pazienti, ma anche gli stessi malati, che tentano di trovare un’alternativa al pasto insoddisfacente. A tal proposito Lelio Morricone, Co-fondatore e responsabile scientifico del Progetto EAT – Alimentazione Sostenibile, spiega i criteri di selezione di questi prodotti nell’ambito del Progetto EAT, un programma di rieducazione destinato a scuole e ospedali, che mira a insegnare e stimolare le persone verso uno stile di vita corretto e un’alimentazione sostenibile. Tra i criteri: la drastica riduzione di zuccheri aggiunti e sale, l’aumento del contenuto di fibra, la presenza di alimenti di origine vegetale come frutta e verdura freschi e, tra le bevande, solo acqua e succhi senza zuccheri aggiunti.
Perché, come sostiene Storchi, il rapporto tra cibo e salute non deve limitarsi solo ai giorni di degenza ma si riferisce piuttosto a un discorso a lungo termine. L’ospedale, quindi, ha anche una responsabilità educativa sui pazienti e deve indirizzarli verso uno stile di vita e un’alimentazione più sana nel quotidiano. E per far questo «non basta limitarsi a quanto si è già conquistato. – suggerisce Pezzana. – Non ci si può fermare al bilanciamento dei nutrienti, ma è necessario un nuovo approccio professionale che coinvolga esperti di nutrizione e igienicosanitari, il provveditorato, per disporre percorsi d’acquisto intelligenti e la rappresentanza dei pazienti e delle famiglie. Un occhio al passato, quindi, per capire cosa abbiamo imparato, e uno sguardo al futuro verso l’innovazione. Questa è la soluzione».
giovedì 20 settembre 2018
Alimentazione. La pratica dell’alpeggio migliora il microbiota del latte. Presentato il progetto FEM “TrentinCLA”
Oggi a Trento il 6° congresso AITEL in collaborazione con FEM, CONCAST, Allevatori e PAT.
La pratica dell’alpeggio migliora il microbiota di latte e formaggio in quanto consente di aumentare le specie “probiotiche” utili a mantenere in salute il nostro intestino. E’ quanto emerge dal progetto TrentinCla coordinato dalla Fondazione Edmund Mach e finanziato dalla Fondazione Caritro che ha analizzato 180 campioni di latte, rumine e formaggio nell’ambito attività di ricerca svolta tra Malga Juribello e i laboratori del campus di San Michele all’Adige.
Il progetto è stato illustrato oggi, alla Sala della Cooperazione, nell’ambito del sesto Congresso Lattiero-Caseario “Latte e derivati: ricerca, innovazione e valorizzazione”, organizzato dall’Associazione Italiana Tecnici del Latte (Aitel), in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach, il Concast - Consorzio dei caseifici sociali e produttori latte trentini, l’Ufficio agricoltura della Provincia Autonoma di Trento e la Federazione provinciale allevatori Trento.
In apertura il Direttore generale FEM, Sergio Menapace, intervenuto con il Presidente Aitel, Andrea Summer, il direttore del Concast Trentingrana, Andrea Merz, Luciano Negri della FIL-IDF Italia e il direttore della Fondazione CariTro, Filippo Manfredi, ha illustrato l’impegno FEM nel comparto lattiero-caseario. “Per la Fondazione Mach - ha sottolineato Sergio Menapace – è fondamentale la partnership con il mondo produttivo, proprio per trasferire innovazione in questo comparto attraverso le attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico. FEM ha rinsaldato su questo settore la volontà di costruire nuove progettualità. In particolare, dal punto di vista del trasferimento tecnologico sono in corso attività innovative in sinergia col mondo zootecnico e con il consorzio di difesa oltre ad una attività di supporto e consulenza”.
Per citarne alcuni progetti: dalle pratiche gestionali innovative e strategie di promozione dei prodotti lattiero caseario di alpeggio alla valorizzazione del formaggio di malga, dal supporto alle decisioni per la gestione sostenibile della zootecnia alpina agli interventi a supporto della qualità del Trentingrana per arrivare alla tutela delle redditività delle coltivazioni prative.
Lo scopo del progetto TrentinCla era valutare l’influenza dell’alpeggio sul microbiota di rumine, latte e formaggio e comprendere come questa pratica tradizionale possa aumentare il livello di produzione di acidi linoleici coniugati (CLA) nel latte. Nel corso di questo progetto sono stati analizzati due gruppi di vacche Brown Swiss, allevate in stalla: il primo gruppo è stato trasferito da luglio a settembre 2017 a Malga Juribello mentre il secondo è rimasto nella stalla permanente a valle. Ogni mese, da giugno a ottobre, sono stati prelevati campioni di latte e rumine individuale per un totale di 120 campioni, e sono stati prodotti in laboratorio all’università di Padova 60 formaggelle.
Dal progetto è emerso un quadro dell’ecologia microbica del latte influenzato in maniera positiva dall’alpeggio. Infatti, si è visto che durante l’alpeggio il latte è caratterizzato da una flora costituita principalmente da batteri desiderati per le loro buone proprietà tecnologiche casearie; inoltre erano presenti molte specie batteriche note come probiotiche che potrebbero avere interessanti proprietà salutistiche, tra cui la capacità di produrre CLA (acido linoleico coniugato) e la stimolazione del sistema immunitario. In particolare alcune di queste specie riuscivano a sopravvivere al processo di caseificazione e venivano ritrovate anche nel formaggio dopo 3 mesi di stagionatura. Quindi la pratica dell’alpeggio è da valorizzare e tutelare poiché permette di ottenere una materia prima di qualità che può mantenere le sue prerogative anche dopo la caseificazione.
Il congresso, confinanziato dal progetto europeo MassTwin, si è articolato in tre sessioni: produzione e qualità del latte, trasformazione e tecnologia lattiero-casearia, valorizzazione dei prodotti lattiero-caseari. Per FEM è intervenuta anche Federica Camin sul tema della tracciabilità e la difesa dei formaggi DOP nazionali. FEM infatti a partire dal 2010 sta sviluppando modelli statistici utilizzabili per determinare l'autenticità di alimenti DOP e IGP. Questo modelli sono basati sull'analisi del profilo minerale e dei rapporti tra isotopi stabili di bioelementi, tecnologia all'avanguardia per la quale FEM rappresenta un riferimento a livello nazionale.
La pratica dell’alpeggio migliora il microbiota di latte e formaggio in quanto consente di aumentare le specie “probiotiche” utili a mantenere in salute il nostro intestino. E’ quanto emerge dal progetto TrentinCla coordinato dalla Fondazione Edmund Mach e finanziato dalla Fondazione Caritro che ha analizzato 180 campioni di latte, rumine e formaggio nell’ambito attività di ricerca svolta tra Malga Juribello e i laboratori del campus di San Michele all’Adige.
Il progetto è stato illustrato oggi, alla Sala della Cooperazione, nell’ambito del sesto Congresso Lattiero-Caseario “Latte e derivati: ricerca, innovazione e valorizzazione”, organizzato dall’Associazione Italiana Tecnici del Latte (Aitel), in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach, il Concast - Consorzio dei caseifici sociali e produttori latte trentini, l’Ufficio agricoltura della Provincia Autonoma di Trento e la Federazione provinciale allevatori Trento.
In apertura il Direttore generale FEM, Sergio Menapace, intervenuto con il Presidente Aitel, Andrea Summer, il direttore del Concast Trentingrana, Andrea Merz, Luciano Negri della FIL-IDF Italia e il direttore della Fondazione CariTro, Filippo Manfredi, ha illustrato l’impegno FEM nel comparto lattiero-caseario. “Per la Fondazione Mach - ha sottolineato Sergio Menapace – è fondamentale la partnership con il mondo produttivo, proprio per trasferire innovazione in questo comparto attraverso le attività di formazione, ricerca e trasferimento tecnologico. FEM ha rinsaldato su questo settore la volontà di costruire nuove progettualità. In particolare, dal punto di vista del trasferimento tecnologico sono in corso attività innovative in sinergia col mondo zootecnico e con il consorzio di difesa oltre ad una attività di supporto e consulenza”.
Per citarne alcuni progetti: dalle pratiche gestionali innovative e strategie di promozione dei prodotti lattiero caseario di alpeggio alla valorizzazione del formaggio di malga, dal supporto alle decisioni per la gestione sostenibile della zootecnia alpina agli interventi a supporto della qualità del Trentingrana per arrivare alla tutela delle redditività delle coltivazioni prative.
Lo scopo del progetto TrentinCla era valutare l’influenza dell’alpeggio sul microbiota di rumine, latte e formaggio e comprendere come questa pratica tradizionale possa aumentare il livello di produzione di acidi linoleici coniugati (CLA) nel latte. Nel corso di questo progetto sono stati analizzati due gruppi di vacche Brown Swiss, allevate in stalla: il primo gruppo è stato trasferito da luglio a settembre 2017 a Malga Juribello mentre il secondo è rimasto nella stalla permanente a valle. Ogni mese, da giugno a ottobre, sono stati prelevati campioni di latte e rumine individuale per un totale di 120 campioni, e sono stati prodotti in laboratorio all’università di Padova 60 formaggelle.
Dal progetto è emerso un quadro dell’ecologia microbica del latte influenzato in maniera positiva dall’alpeggio. Infatti, si è visto che durante l’alpeggio il latte è caratterizzato da una flora costituita principalmente da batteri desiderati per le loro buone proprietà tecnologiche casearie; inoltre erano presenti molte specie batteriche note come probiotiche che potrebbero avere interessanti proprietà salutistiche, tra cui la capacità di produrre CLA (acido linoleico coniugato) e la stimolazione del sistema immunitario. In particolare alcune di queste specie riuscivano a sopravvivere al processo di caseificazione e venivano ritrovate anche nel formaggio dopo 3 mesi di stagionatura. Quindi la pratica dell’alpeggio è da valorizzare e tutelare poiché permette di ottenere una materia prima di qualità che può mantenere le sue prerogative anche dopo la caseificazione.
Il congresso, confinanziato dal progetto europeo MassTwin, si è articolato in tre sessioni: produzione e qualità del latte, trasformazione e tecnologia lattiero-casearia, valorizzazione dei prodotti lattiero-caseari. Per FEM è intervenuta anche Federica Camin sul tema della tracciabilità e la difesa dei formaggi DOP nazionali. FEM infatti a partire dal 2010 sta sviluppando modelli statistici utilizzabili per determinare l'autenticità di alimenti DOP e IGP. Questo modelli sono basati sull'analisi del profilo minerale e dei rapporti tra isotopi stabili di bioelementi, tecnologia all'avanguardia per la quale FEM rappresenta un riferimento a livello nazionale.
Dal lievito di birra individuate possibili cause di malattie neurodegenerative
Uno studio, al quale ha collaborato l’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr, ha individuato tre geni la cui mancanza o difetto potrebbe essere all’origine di patologie quali l’Alzheimer e il Parkinson. La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports”.
Uno studio interdisciplinare effettuato su lievito di birra Saccharomyces cerevisiae (S. cerevisiae) ha condotto alla scoperta di tre geni che portano l’informazione genetica necessaria alla fabbricazione di altrettante proteine, la cui mancanza o difetto potrebbe essere la causa di malattie neurodegenerative nell’uomo. Alla ricerca, che ha utilizzato come strumento d’indagine il Tellurito di potassio, un composto la cui tossicità è collegata a malattie quali l’Alzheimer e il Parkinson, hanno partecipato tra l’altro ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbr) e del gruppo di ricerca dell’Università del Salento diretto da Pietro Alifano. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.
“Le nostre indagini, condotte anche con l’utilizzo di tecniche di genomica e di biologia molecolare sul lievito S. cerevisiae quale sistema modello, sono partite dallo studio della Fratassina, una proteina collocata nei mitocondri, organelli cellulari presenti nell’uomo, nelle piante e nei funghi, la cui funzione è la produzione dell’energia necessaria per la vita della cellula”, spiega Luigi Del Giudice del Cnr-Ibbr. “Un difetto o l’assenza della Fratassina nei mitocondri causa nell’uomo la malattia neurodegenerativa conosciuta come atassia di Friedreich (Frda). Essendo stata trovata anche nel lievito S. cerevisiae, la Fratassina ha stimolato la nostra ricerca, nella quale abbiamo utilizzato come strumento di indagine proprio il composto del Tellurio. L’importanza dello studio sta nell’avere individuato un punto intermedio, tre proteine del ribosoma mitocondriale, nel percorso che associa i geni danneggiati alla malattia neurodegenerativa nell’uomo”.
I risultati ottenuti sono molto significativi in ambito scientifico. “Quanto da noi individuato costituisce un passo avanti nelle conoscenze scientifiche relative allo studio delle tre proteine ribosomiali mitocondriali coinvolte nella resistenza al Tellurito di potassio nel lievito S. cerevisiae, e al loro possibile ruolo nelle disfunzioni neurodegenerative”, conclude il ricercatore del Cnr-Ibbr. “La scoperta dei tre geni del Dna nucleare è poi legata alla possibile produzione di farmaci con potenziale terapeutico per la cura di tali malattie”.
Lo studio è stato condotto grazie ai finanziamenti della Compagnia di San Paolo, del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) e del Cnr.
Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche-Uos Portici (Na) Identificazione di tre geni nucleari che codificano per la fabbricazione di tre proteine del ribosoma mitocondriale la cui mancanza o difetto potrebbe costituire la causa di malattie neurodegenerative nell’uomo www.nature.com/articles/s41598-018-30479-6
Uno studio interdisciplinare effettuato su lievito di birra Saccharomyces cerevisiae (S. cerevisiae) ha condotto alla scoperta di tre geni che portano l’informazione genetica necessaria alla fabbricazione di altrettante proteine, la cui mancanza o difetto potrebbe essere la causa di malattie neurodegenerative nell’uomo. Alla ricerca, che ha utilizzato come strumento d’indagine il Tellurito di potassio, un composto la cui tossicità è collegata a malattie quali l’Alzheimer e il Parkinson, hanno partecipato tra l’altro ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibbr) e del gruppo di ricerca dell’Università del Salento diretto da Pietro Alifano. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports.
“Le nostre indagini, condotte anche con l’utilizzo di tecniche di genomica e di biologia molecolare sul lievito S. cerevisiae quale sistema modello, sono partite dallo studio della Fratassina, una proteina collocata nei mitocondri, organelli cellulari presenti nell’uomo, nelle piante e nei funghi, la cui funzione è la produzione dell’energia necessaria per la vita della cellula”, spiega Luigi Del Giudice del Cnr-Ibbr. “Un difetto o l’assenza della Fratassina nei mitocondri causa nell’uomo la malattia neurodegenerativa conosciuta come atassia di Friedreich (Frda). Essendo stata trovata anche nel lievito S. cerevisiae, la Fratassina ha stimolato la nostra ricerca, nella quale abbiamo utilizzato come strumento di indagine proprio il composto del Tellurio. L’importanza dello studio sta nell’avere individuato un punto intermedio, tre proteine del ribosoma mitocondriale, nel percorso che associa i geni danneggiati alla malattia neurodegenerativa nell’uomo”.
I risultati ottenuti sono molto significativi in ambito scientifico. “Quanto da noi individuato costituisce un passo avanti nelle conoscenze scientifiche relative allo studio delle tre proteine ribosomiali mitocondriali coinvolte nella resistenza al Tellurito di potassio nel lievito S. cerevisiae, e al loro possibile ruolo nelle disfunzioni neurodegenerative”, conclude il ricercatore del Cnr-Ibbr. “La scoperta dei tre geni del Dna nucleare è poi legata alla possibile produzione di farmaci con potenziale terapeutico per la cura di tali malattie”.
Lo studio è stato condotto grazie ai finanziamenti della Compagnia di San Paolo, del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) e del Cnr.
Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche-Uos Portici (Na) Identificazione di tre geni nucleari che codificano per la fabbricazione di tre proteine del ribosoma mitocondriale la cui mancanza o difetto potrebbe costituire la causa di malattie neurodegenerative nell’uomo www.nature.com/articles/s41598-018-30479-6
Cori di Nero Buono. L’Arte e la Musica nel Lazio delle Meraviglie, al via il progetto con protagonista il vitigno autoctono locale
Il progetto che vede protagonista il vitigno autoctono locale è stato presentato dall’ente lepino alla Regione Lazio in risposta al bando per l’ottenimento dei contributi per la realizzazione di eventi, feste, manifestazioni e iniziative turistico – culturali.
In risposta al bando “Lazio delle Meraviglie”, il Comune di Cori (LT) ha presentato alla Regione Lazio il progetto inerente la manifestazione “Cori di Nero Buono”, che ha come protagonista l’antico vitigno autoctono coltivato quasi esclusivamente nel suo territorio, di cui ne rappresenta l’identità vinicola, recuperato e rilanciato dalle tre cantine coresi che lo trasformano in vini rossi di qualità certificata dai marchi DOC e IGT.
Nella proposta redatta dall’Assessorato all’Agricoltura dell’ente lepino insieme allo Sportello Unico per le Attività Agricole, l’iniziativa – sostenibile, perché aderente alla campagna Plastic Free – dovrebbe svolgersi il 6 e 7 Ottobre. Con la partecipazione di altri operatori locali, la kermesse enologica arriverebbe a coinvolgere anche gli altri prodotti tipici e il patrimonio culturale della Città d’Arte.
L’idea è sviluppare percorsi di visita, anche guidata, a partire da tre epicentri di degustazione - piazza del Tempio d’Ercole, sagrato della Chiesa di Santa Maria della Pietà, chiostro del Complesso Monumentale di Sant’Oliva. La due giorni prevede poi un convegno con esperti del settore e un concerto finale. Probabile cornice le esibizioni dell’arte del maneggiar l’insegna, le musiche e i balli rinascimentali, la polifonia sacra e profana.
“L’evento si inserisce in un disegno più ampio dell’attuale Amministrazione comunale, finalizzato a rafforzare, tutelare e valorizzare il processo di apertura e fruizione turistica fidelizzata del paese – spiegano il Sindaco Mauro De Lillis e l’Assessore Simonetta Imperia – tutto ciò a partire dalle nostre risorse agroalimentari, da mettere a sistema e integrare sia con le altre eccellenze nostrane che con le diverse istituzioni e i territori limitrofi.”
In risposta al bando “Lazio delle Meraviglie”, il Comune di Cori (LT) ha presentato alla Regione Lazio il progetto inerente la manifestazione “Cori di Nero Buono”, che ha come protagonista l’antico vitigno autoctono coltivato quasi esclusivamente nel suo territorio, di cui ne rappresenta l’identità vinicola, recuperato e rilanciato dalle tre cantine coresi che lo trasformano in vini rossi di qualità certificata dai marchi DOC e IGT.
Nella proposta redatta dall’Assessorato all’Agricoltura dell’ente lepino insieme allo Sportello Unico per le Attività Agricole, l’iniziativa – sostenibile, perché aderente alla campagna Plastic Free – dovrebbe svolgersi il 6 e 7 Ottobre. Con la partecipazione di altri operatori locali, la kermesse enologica arriverebbe a coinvolgere anche gli altri prodotti tipici e il patrimonio culturale della Città d’Arte.
L’idea è sviluppare percorsi di visita, anche guidata, a partire da tre epicentri di degustazione - piazza del Tempio d’Ercole, sagrato della Chiesa di Santa Maria della Pietà, chiostro del Complesso Monumentale di Sant’Oliva. La due giorni prevede poi un convegno con esperti del settore e un concerto finale. Probabile cornice le esibizioni dell’arte del maneggiar l’insegna, le musiche e i balli rinascimentali, la polifonia sacra e profana.
“L’evento si inserisce in un disegno più ampio dell’attuale Amministrazione comunale, finalizzato a rafforzare, tutelare e valorizzare il processo di apertura e fruizione turistica fidelizzata del paese – spiegano il Sindaco Mauro De Lillis e l’Assessore Simonetta Imperia – tutto ciò a partire dalle nostre risorse agroalimentari, da mettere a sistema e integrare sia con le altre eccellenze nostrane che con le diverse istituzioni e i territori limitrofi.”
Primitivo di Manduria, amato dalla generazione X: cresce il Docg dolce naturale e il Riserva Dop
Il Primitivo di Manduria è la doc pugliese che rientra nella Top five dei vini più esportati ed amata soprattutto dalla generazione X (37 – 57 anni). Secondo i dati effettivi 2017 aumenta anche il Dop. In totale quasi 13 milioni di litri per 17 milioni di bottiglie.
Cresce il Primitivo di Manduria e cresce in tutte le sue varianti: Primitivo di Manduria Dop, Primitivo di Manduria Riserva Dop e Primitivo di Manduria dolce naturale Docg.
Quasi 13 milioni di litri che equivalgono a poco più di 17 milioni di bottiglie, di cui il 70% prende la via dell’esportazione, per circa 100 milioni di euro di valore stimato (consumo interno di circa 30 milioni di euro ed estero di circa 70 milioni euro). Un aumento del 13.87% rispetto al 2016 che conferma ancora una volta il primato della grande doc nei maggiori mercati del mondo.
Sono questi i numeri effettivi dell’anno 2017 per Primitivo di Manduria. In particolare il Dop rappresenta il 91.2% dell’intero imbottigliato, il Riserva l’8.1% ed il dolce naturale Docg lo 0.7%.
La novità riguarda l’incremento per il Docg (primo Docg in Puglia) e per il Riserva.
Nel 2017 sono stati imbottigliati circa 95 mila litri di Docg equivalenti a circa 127 mila bottiglie con un incremento del 33.45% rispetto all’anno precedente.
Nel comparto Primitivo di Manduria Riserva Dop si è registrata una crescita settoriale del 24.27% rispetto al 2016 per un totale di poco più di un milione di litri equivalenti a quasi un milione e mezzo di bottiglie. Dati che avvalorano il processo di “premiumizzazione” del Primitivo di Manduria, cioè i consumatori tendono a preferire bottiglie più costose percepite come di maggiore qualità.
Cresce anche il Primitivo di Manduria Dop del 12.90% per un totale di quasi 12 milioni di litri pari a circa 16 milioni di bottiglie.
“Il Primitivo di Manduria non è più una novità, ma una colonna portante del comparto enoico non solo pugliese ma anche italiano. – afferma soddisfatto Roberto Erario, presidente del Consorzio di tutela del Primitivo di Manduria - E’ un vino che non conosce crisi, soprattutto all’estero con un exploit importante su tutti i mercati”.
“Abbiamo conquistato nuovi soci, – continua Erario - il Consorzio attualmente vanta 46 aziende che vinificano ed imbottigliano e oltre 900 soci viticoltori. Si stanno rivelando fondamentali i progetti di promozione e comunicazione per far conoscere all’estero i nostri vini ed il territorio che li esprime. Tra poco partirà per esempio la macchina del grande progetto Primitivo Taste Experience - Il Primitivo di Manduria nei calici cinesi e americaniideato da noi che consiste in attività di incoming e in partecipazione a fiere estere. Una bella scommessa sulla nostra identità che oggi rappresenta sempre più un elemento distintivo del brand Puglia. Il nostro è un territorio ricco, florido e in crescita e vorrei ringraziare tutte le aziende, sia le grandi che le piccole, che con sacrificio e passione producono questa meravigliosa doc”.
Ma chi beve il Primitivo di Manduria?
Il Primitivo di Manduria è la doc pugliese che rientra nella Top five dei vini più esportati con volume d’affari intorno 100 milioni di euro, amata soprattutto dalla generazione X (37 – 57 anni). Presente in tutto il mondo.
Il consumatore finale del Primitivo di Manduria in generale è un uomo in carriera, colto e raffinato che ama consumare il vino pugliese ispirandosi dai comportamenti del “lusso”. Lo beve durante una cena di lavoro importante, per festeggiare un anniversario o durante una proposta di matrimonio. Normalmente lo sceglie per la perfetta armonia tra il corpo e il sapore.
Il 46% dei consumatori è donna. Si stima che quasi la metà del fatturato ottenuto dalla vendita del prodotto in Italia e all’estero sia dato proprio dal mercato femminile. Lo sceglie per il suo bouquet inconfondibile: ricco, complesso, ampio e fruttato, con note di macchia mediterranea.
I sensi sono esacerbati e molto sensibili al minimo effluvio e il palato femminile scopre finezze che quello degli uomini ignora. Le donne bevono poco ma bene, meno quantità ma più qualità quindi scelgono il Primitivo di Manduria.
Cresce il Primitivo di Manduria e cresce in tutte le sue varianti: Primitivo di Manduria Dop, Primitivo di Manduria Riserva Dop e Primitivo di Manduria dolce naturale Docg.
Quasi 13 milioni di litri che equivalgono a poco più di 17 milioni di bottiglie, di cui il 70% prende la via dell’esportazione, per circa 100 milioni di euro di valore stimato (consumo interno di circa 30 milioni di euro ed estero di circa 70 milioni euro). Un aumento del 13.87% rispetto al 2016 che conferma ancora una volta il primato della grande doc nei maggiori mercati del mondo.
Sono questi i numeri effettivi dell’anno 2017 per Primitivo di Manduria. In particolare il Dop rappresenta il 91.2% dell’intero imbottigliato, il Riserva l’8.1% ed il dolce naturale Docg lo 0.7%.
La novità riguarda l’incremento per il Docg (primo Docg in Puglia) e per il Riserva.
Nel 2017 sono stati imbottigliati circa 95 mila litri di Docg equivalenti a circa 127 mila bottiglie con un incremento del 33.45% rispetto all’anno precedente.
Nel comparto Primitivo di Manduria Riserva Dop si è registrata una crescita settoriale del 24.27% rispetto al 2016 per un totale di poco più di un milione di litri equivalenti a quasi un milione e mezzo di bottiglie. Dati che avvalorano il processo di “premiumizzazione” del Primitivo di Manduria, cioè i consumatori tendono a preferire bottiglie più costose percepite come di maggiore qualità.
Cresce anche il Primitivo di Manduria Dop del 12.90% per un totale di quasi 12 milioni di litri pari a circa 16 milioni di bottiglie.
“Il Primitivo di Manduria non è più una novità, ma una colonna portante del comparto enoico non solo pugliese ma anche italiano. – afferma soddisfatto Roberto Erario, presidente del Consorzio di tutela del Primitivo di Manduria - E’ un vino che non conosce crisi, soprattutto all’estero con un exploit importante su tutti i mercati”.
“Abbiamo conquistato nuovi soci, – continua Erario - il Consorzio attualmente vanta 46 aziende che vinificano ed imbottigliano e oltre 900 soci viticoltori. Si stanno rivelando fondamentali i progetti di promozione e comunicazione per far conoscere all’estero i nostri vini ed il territorio che li esprime. Tra poco partirà per esempio la macchina del grande progetto Primitivo Taste Experience - Il Primitivo di Manduria nei calici cinesi e americaniideato da noi che consiste in attività di incoming e in partecipazione a fiere estere. Una bella scommessa sulla nostra identità che oggi rappresenta sempre più un elemento distintivo del brand Puglia. Il nostro è un territorio ricco, florido e in crescita e vorrei ringraziare tutte le aziende, sia le grandi che le piccole, che con sacrificio e passione producono questa meravigliosa doc”.
Ma chi beve il Primitivo di Manduria?
Il Primitivo di Manduria è la doc pugliese che rientra nella Top five dei vini più esportati con volume d’affari intorno 100 milioni di euro, amata soprattutto dalla generazione X (37 – 57 anni). Presente in tutto il mondo.
Il consumatore finale del Primitivo di Manduria in generale è un uomo in carriera, colto e raffinato che ama consumare il vino pugliese ispirandosi dai comportamenti del “lusso”. Lo beve durante una cena di lavoro importante, per festeggiare un anniversario o durante una proposta di matrimonio. Normalmente lo sceglie per la perfetta armonia tra il corpo e il sapore.
Il 46% dei consumatori è donna. Si stima che quasi la metà del fatturato ottenuto dalla vendita del prodotto in Italia e all’estero sia dato proprio dal mercato femminile. Lo sceglie per il suo bouquet inconfondibile: ricco, complesso, ampio e fruttato, con note di macchia mediterranea.
I sensi sono esacerbati e molto sensibili al minimo effluvio e il palato femminile scopre finezze che quello degli uomini ignora. Le donne bevono poco ma bene, meno quantità ma più qualità quindi scelgono il Primitivo di Manduria.
Vino&Mercati, fino al 2020 Italia tra i paesi d’origine con maggior tasso di crescita di vendite
Pubblicata indagine internazionale sul mercato vinicolo condotta dal Gruppo Sopexa. L’Italia, secondo lo studio, è tra i paesi d’origine le cui vendite progrediranno di più nei prossimi due anni.
Sopexa, agenzia specializzata nel Food & Drink a livello internazionale, presenta i risultati del Wine Trade Monitor 2018, lo studio internazionale dedicato ai vini che delinea le prospettive future e che quest’anno include per la prima volta i vini frizzanti.
Il metodo Sopexa è esclusivo: interrogare gli operatori locali, veri intermediari tra i brand e i consumatori, per raccogliere le loro percezioni e così comprendere e anticipare i trend che si profilano per i prossimi due anni.
Nel 2018, il Wine Trade Monitor si concentra su sei paesi chiave: Belgio, Stati Uniti, Canada, Cina, Hong Kong e Giappone. Un totale di 781 professionisti (importatori, agenti, grossisti, distributori e pure player dell’E-commerce), di cui il 77% rappresentato da decisori chiave (AD, Sales Managers, Buyers), hanno risposto alla nostra indagine online.
Di seguito le principali conclusioni dello studio:
Referenziamento: quali vini troviamo in quali paesi?
* I vini francesi restano imprescindibili per 9 professionisti interrogati su 10. Seguono i vini italiani (76%) e spagnoli (71%). Parallelamente, acquistano importanza alcuni competitor, indicati dal 45 al 56% degli operatori, guidati da Cile, Australia e Stati Uniti.
Evoluzione delle vendite
I vini italiani guadagnano terreno e l’Italia viene indicata dal 41% degli operatori tra i Paesi d’origine le cui vendite progrediranno maggiormente da oggi al 2020.
Ciononostante, per un operatore su due, nel 2017 e per i prossimi due anni, la Francia mantiene ancora il suo vantaggio in particolare negli Stati Uniti, Hong-Kong e Belgio. L’indagine mostra però anche una relativa fragilità dei vini francesi sui mercati cinesi e canadesi dove saranno sempre più messi in difficoltà dai vini italiani.
È in Canada che questi ultimi ottengono infatti il miglior risultato: il 56% degli operatori gli attribuisce un posto nella top 3 delle origini che incrementeranno maggiormente. I vini italiani, secondo quanto indicato dal 42% degli intervistati, guadagnano in termini di visibilità anche in Cina dove fanno la loro entrata tra i tre migliori aumenti di vendite previste da oggi al 2020.
Immagine & reputazione dei vini in base alla loro origine
* In generale, e per il 64% dei partecipanti all’indagine, è ancora l’origine Francia che riporta la migliore performance, distanziandosi nettamente dai suoi concorrenti.
Si rileva però una perdita di valore dell’immagine francese in Cina e in Canada.
* La Spagna e il Cile si distinguono per quanto riguarda i parametri de «l’attrattività dei prezzi» e de «i vini per tutti i giorni», davanti all’Italia che, invece, sembra riportare buoni risultati nell’ambito «innovazione».
Evoluzione dei formati & packagings
* I paesi asiatici restano particolarmente legati al vino in bottiglia e il 66% degli operatori asiatici prevede la più alta crescita per i formati mezza bottiglia e altri piccoli formati.
* Formati alternativi aumenteranno in Nord America: più del 40% punta sul Bag in Box e sulle lattine.
* Ben accolte nei Paesi asiatici, i packaging e le etichette smart non convincono l’America del Nord
Il 75 % dei professionisti giapponesi intervistati e il 54% dei cinesi indicano che sono una risorsa per rassicurare il consumatore iperconnesso sull’autenticità e la tracciabilità del prodotto.
Le categorie vincitrici
* I vini bio per la prima volta sono nella top 3 delle categorie più promettenti per oltre il 35% degli operatori (escluse Cina e Hong Kong)!
* «La denominazione regionale» fa vendere e resta globalmente il criterio di valorizzazione maggiore previsto da oggi al 2020.
* La categoria Rosé continua a crescere in Nord America per più di un professionista americano su 4 e più di un canadese su 2.
Regioni: la gamma delle performance future
* 4 regioni francesi leader per il vino rosso: Bordeaux, Languedoc, Côtes du Rhône e Borgogna
* I vini bianchi di Marlborough (Nuova Zelanda) si impongono ovunque, eccetto in Belgio, nella top 2 dei più promettenti, ma la Loira ha conquistato gli americani
* Ottimi risultati per i vini rosé della Provenza e della Corsica che il 63% degli operatori indica nella top 3 delle vendite future dei rosé!
* Prosecco e Cava sono i vini frizzanti più attesi su tutti i mercati
Dinamica dei vitigni
Se la classifica dei 4 vitigni classici rimane stabile (Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero, Merlot), il successo dello Chenin Blanc negli Stati Uniti potrebbe essere l’elemento di punta di una nuova tendenza da monitorare.
Sopexa, agenzia specializzata nel Food & Drink a livello internazionale, presenta i risultati del Wine Trade Monitor 2018, lo studio internazionale dedicato ai vini che delinea le prospettive future e che quest’anno include per la prima volta i vini frizzanti.
Il metodo Sopexa è esclusivo: interrogare gli operatori locali, veri intermediari tra i brand e i consumatori, per raccogliere le loro percezioni e così comprendere e anticipare i trend che si profilano per i prossimi due anni.
Nel 2018, il Wine Trade Monitor si concentra su sei paesi chiave: Belgio, Stati Uniti, Canada, Cina, Hong Kong e Giappone. Un totale di 781 professionisti (importatori, agenti, grossisti, distributori e pure player dell’E-commerce), di cui il 77% rappresentato da decisori chiave (AD, Sales Managers, Buyers), hanno risposto alla nostra indagine online.
Di seguito le principali conclusioni dello studio:
Referenziamento: quali vini troviamo in quali paesi?
* I vini francesi restano imprescindibili per 9 professionisti interrogati su 10. Seguono i vini italiani (76%) e spagnoli (71%). Parallelamente, acquistano importanza alcuni competitor, indicati dal 45 al 56% degli operatori, guidati da Cile, Australia e Stati Uniti.
Evoluzione delle vendite
I vini italiani guadagnano terreno e l’Italia viene indicata dal 41% degli operatori tra i Paesi d’origine le cui vendite progrediranno maggiormente da oggi al 2020.
Ciononostante, per un operatore su due, nel 2017 e per i prossimi due anni, la Francia mantiene ancora il suo vantaggio in particolare negli Stati Uniti, Hong-Kong e Belgio. L’indagine mostra però anche una relativa fragilità dei vini francesi sui mercati cinesi e canadesi dove saranno sempre più messi in difficoltà dai vini italiani.
È in Canada che questi ultimi ottengono infatti il miglior risultato: il 56% degli operatori gli attribuisce un posto nella top 3 delle origini che incrementeranno maggiormente. I vini italiani, secondo quanto indicato dal 42% degli intervistati, guadagnano in termini di visibilità anche in Cina dove fanno la loro entrata tra i tre migliori aumenti di vendite previste da oggi al 2020.
Immagine & reputazione dei vini in base alla loro origine
* In generale, e per il 64% dei partecipanti all’indagine, è ancora l’origine Francia che riporta la migliore performance, distanziandosi nettamente dai suoi concorrenti.
Si rileva però una perdita di valore dell’immagine francese in Cina e in Canada.
* La Spagna e il Cile si distinguono per quanto riguarda i parametri de «l’attrattività dei prezzi» e de «i vini per tutti i giorni», davanti all’Italia che, invece, sembra riportare buoni risultati nell’ambito «innovazione».
Evoluzione dei formati & packagings
* I paesi asiatici restano particolarmente legati al vino in bottiglia e il 66% degli operatori asiatici prevede la più alta crescita per i formati mezza bottiglia e altri piccoli formati.
* Formati alternativi aumenteranno in Nord America: più del 40% punta sul Bag in Box e sulle lattine.
* Ben accolte nei Paesi asiatici, i packaging e le etichette smart non convincono l’America del Nord
Il 75 % dei professionisti giapponesi intervistati e il 54% dei cinesi indicano che sono una risorsa per rassicurare il consumatore iperconnesso sull’autenticità e la tracciabilità del prodotto.
Le categorie vincitrici
* I vini bio per la prima volta sono nella top 3 delle categorie più promettenti per oltre il 35% degli operatori (escluse Cina e Hong Kong)!
* «La denominazione regionale» fa vendere e resta globalmente il criterio di valorizzazione maggiore previsto da oggi al 2020.
* La categoria Rosé continua a crescere in Nord America per più di un professionista americano su 4 e più di un canadese su 2.
Regioni: la gamma delle performance future
* 4 regioni francesi leader per il vino rosso: Bordeaux, Languedoc, Côtes du Rhône e Borgogna
* I vini bianchi di Marlborough (Nuova Zelanda) si impongono ovunque, eccetto in Belgio, nella top 2 dei più promettenti, ma la Loira ha conquistato gli americani
* Ottimi risultati per i vini rosé della Provenza e della Corsica che il 63% degli operatori indica nella top 3 delle vendite future dei rosé!
* Prosecco e Cava sono i vini frizzanti più attesi su tutti i mercati
Dinamica dei vitigni
Se la classifica dei 4 vitigni classici rimane stabile (Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero, Merlot), il successo dello Chenin Blanc negli Stati Uniti potrebbe essere l’elemento di punta di una nuova tendenza da monitorare.
martedì 18 settembre 2018
Da Klimt a Hausner a Wurm, a Capena l’arte austriaca nella Collezione Würth
Da Gustav Klimt, a Oskar Kokoschka, da Rudolf Ribarz, a Carl Fahringer, passando per la vasta produzione artistica austriaca del XX secolo: a Capena presso l’Art Forum Würth, è di scena la mostra “A.E.I.O.U. Da Klimt a Hausner a Wurm – L’arte austriaca nella Collezione Würth”. Fino al 26.1.2019
In esposizione un’ampia scelta tra dipinti, opere grafiche e sculture di più di trenta artisti, iniziando da Gustav Klimt, Oskar Kokoschka, Rudolf Ribarz, Carl Fahringer, passando per la vasta produzione artistica austriaca del XX secolo, con figure quali Friedensreich Hundertwasser, Rudolf Hausner, Hermann Nitsch, Arnulf Rainer, Alfred Haberpointner, Alfred Hridlicka, Peter Pongratz, fino ad arrivare agli esponenti più giovani come Erwin Wurm, Markus Redl e Markus Hofer.
L’arte austriaca gode di una posizione privilegiata all’interno della Collezione Würth, rappresentando ad oggi la raccolta più vasta di opere di artisti austriaci al di fuori dell’Austria custodita da una collezione privata. Particolare è anche il rapporto che lega il Prof. Dr. h. c. mult. Reinhold Würth a Salisburgo, luogo eletto come sua seconda residenza e che nel 2015 gli ha conferito il “Ring” (anello), come riconoscimento per le numerose attività culturali lì sostenute, tra cui il “Walk of Modern Art”, un percorso di sculture esposte in vari punti della città (tra cui opere di Kiefer, Mario Merz, Abramovic, Balkenhol, Plensa, Cragg e Wurm) e il parco di sculture presso Schloβ Arenberg, sede della AAF (The American Austrian Foundation).
Inoltre, uno degli spazi espositivi del Gruppo, l’Art Room Würth Austria, è presente dal 1999 a Böheimkirchen, alle porte di Vienna. Il titolo della mostra “A.E.I.O.U” strizza l’occhio al motto mistico, che l’imperatore Federico III nel XV secolo fece inserire nel suo stemma, nelle iscrizioni, negli inventari ed edifici da lui commissionati.
Un’interpretazione recente lo traduce così: ”Austria Europae Imago, Onus, Unio” (L’Austria come immagine, onere e unione dell’Europa) e la descrizione del Paese d’oltralpe come specchio dell’Europa può ben riflettersi nell’arte, basti pensare all’enorme contributo offerto alla modernità dalle specificità del sentire mitteleuropeo nell’ambito delle arti visive, della letteratura, della musica e della psicoanalisi. Un motto misterioso e mai chiarito del tutto, che punta l’attenzione su un Paese che ha avuto spesso un ruolo centrale nella storia europea, come confermato dalle recenti elezioni presidenziali.
Nonostante la sua posizione autonoma, l’evoluzione dell’arte austriaca è da vedere sempre in relazione alle principali tendenze internazionali. All’inizio del XX secolo la Secessione viennese, influenzata dalle correnti artistiche europee del tempo e puntando a uno sviluppo autonomo dello Jugendstil, aspirava a un rinnovamento della concezione artistica tradizionale.
Inoltre l’impressionismo francese influenzò molti artisti come ad esempio Eugen Jettel, Rudolf Ribarz e Otto von Thoren. Anche in Austria la seconda guerra mondiale ebbe come conseguenza la nascita di un nuovo orientamento artistico. Lo scultore Wotruba lasciò un’impronta importante nella scultura austriaca e nella sua scuola si sono formati Hoflehner e Hridlicka. L’Art Club di Vienna divenne istituzione di riferimento nel secondo dopoguerra e luogo di scambio per gli artisti dal movimento surrealista fino all’arte astratta.
Tra le esperienze dei primi anni ’60 suscitarono scandalo e forti reazioni le ricerche dei pionieri dell’azionismo viennese Brus, Nitsch, Muehl e Schwarzkogler, le cui performance furono spesso ritenute oscene o illegali dalle forze dell’ordine.
Nel 1968 artisti quali Pongratz, Ringel e Kocherscheidt si presentarono al pubblico sotto il nome di “Wirklichkeiten” (le realtà). Condussero il linguaggio della pittura austriaca a una nuova fioritura, che negli anni ’80 raggiunse il suo apice nel “trionfo della pittura” (Dieter Ronte) con i nuovi selvaggi austriaci.
Ad alcuni artisti presenti in mostra, tra cui Damisch, Haberpointner, Rudolf Hausner, Xenia Hausner, Hridlicka, Hundertwasser e Rainer, la Collezione Würth ha dedicato nelle sue sedi mostre monografiche.
Diverse le partecipazioni a varie edizioni della Biennale di Venezia (ad esempio Fronius, Anzinger, Rainer, Wurm e Zitko), come importanti sono i punti di contatto con l’Italia, a cui è molto legato ad esempio Hermann Nitsch. Per volontà del suo storico gallerista Giuseppe Morra, nel 2008 è stato inaugurato a Napoli il Museo Nitsch e non lontano da Capena a Torrita Tiberina la Fondazione
Mario & Maria Pia Serpone nel 2012 ha costruito ex novo la Cappella Nitsch, che custodisce alcune opere dell’artista.
Hradil, presente in mostra con due dipinti, vinse nel 1963 una borsa di studio del Forum Austriaco di Cultura a Roma e gli scultori Hoflehner (scomparso nel 1955) e Redl, attratti dalla tradizione plastica toscana, hanno entrambi scelto la regione come una delle sedi dei loro atelier, rispettivamente a Colle Val D’Elsa e Carrara.
Art Forum Würth Capena
Fino al 26.1.2019
Orario di apertura al pubblico:
lunedì – sabato 10.00 – 17.00
domenica e festivi chiuso
Ingresso gratuito
Rudolf Hausner, Il piccolo cappello del folle, 1963
In esposizione un’ampia scelta tra dipinti, opere grafiche e sculture di più di trenta artisti, iniziando da Gustav Klimt, Oskar Kokoschka, Rudolf Ribarz, Carl Fahringer, passando per la vasta produzione artistica austriaca del XX secolo, con figure quali Friedensreich Hundertwasser, Rudolf Hausner, Hermann Nitsch, Arnulf Rainer, Alfred Haberpointner, Alfred Hridlicka, Peter Pongratz, fino ad arrivare agli esponenti più giovani come Erwin Wurm, Markus Redl e Markus Hofer.
L’arte austriaca gode di una posizione privilegiata all’interno della Collezione Würth, rappresentando ad oggi la raccolta più vasta di opere di artisti austriaci al di fuori dell’Austria custodita da una collezione privata. Particolare è anche il rapporto che lega il Prof. Dr. h. c. mult. Reinhold Würth a Salisburgo, luogo eletto come sua seconda residenza e che nel 2015 gli ha conferito il “Ring” (anello), come riconoscimento per le numerose attività culturali lì sostenute, tra cui il “Walk of Modern Art”, un percorso di sculture esposte in vari punti della città (tra cui opere di Kiefer, Mario Merz, Abramovic, Balkenhol, Plensa, Cragg e Wurm) e il parco di sculture presso Schloβ Arenberg, sede della AAF (The American Austrian Foundation).
Inoltre, uno degli spazi espositivi del Gruppo, l’Art Room Würth Austria, è presente dal 1999 a Böheimkirchen, alle porte di Vienna. Il titolo della mostra “A.E.I.O.U” strizza l’occhio al motto mistico, che l’imperatore Federico III nel XV secolo fece inserire nel suo stemma, nelle iscrizioni, negli inventari ed edifici da lui commissionati.
Un’interpretazione recente lo traduce così: ”Austria Europae Imago, Onus, Unio” (L’Austria come immagine, onere e unione dell’Europa) e la descrizione del Paese d’oltralpe come specchio dell’Europa può ben riflettersi nell’arte, basti pensare all’enorme contributo offerto alla modernità dalle specificità del sentire mitteleuropeo nell’ambito delle arti visive, della letteratura, della musica e della psicoanalisi. Un motto misterioso e mai chiarito del tutto, che punta l’attenzione su un Paese che ha avuto spesso un ruolo centrale nella storia europea, come confermato dalle recenti elezioni presidenziali.
Nonostante la sua posizione autonoma, l’evoluzione dell’arte austriaca è da vedere sempre in relazione alle principali tendenze internazionali. All’inizio del XX secolo la Secessione viennese, influenzata dalle correnti artistiche europee del tempo e puntando a uno sviluppo autonomo dello Jugendstil, aspirava a un rinnovamento della concezione artistica tradizionale.
Inoltre l’impressionismo francese influenzò molti artisti come ad esempio Eugen Jettel, Rudolf Ribarz e Otto von Thoren. Anche in Austria la seconda guerra mondiale ebbe come conseguenza la nascita di un nuovo orientamento artistico. Lo scultore Wotruba lasciò un’impronta importante nella scultura austriaca e nella sua scuola si sono formati Hoflehner e Hridlicka. L’Art Club di Vienna divenne istituzione di riferimento nel secondo dopoguerra e luogo di scambio per gli artisti dal movimento surrealista fino all’arte astratta.
Tra le esperienze dei primi anni ’60 suscitarono scandalo e forti reazioni le ricerche dei pionieri dell’azionismo viennese Brus, Nitsch, Muehl e Schwarzkogler, le cui performance furono spesso ritenute oscene o illegali dalle forze dell’ordine.
Nel 1968 artisti quali Pongratz, Ringel e Kocherscheidt si presentarono al pubblico sotto il nome di “Wirklichkeiten” (le realtà). Condussero il linguaggio della pittura austriaca a una nuova fioritura, che negli anni ’80 raggiunse il suo apice nel “trionfo della pittura” (Dieter Ronte) con i nuovi selvaggi austriaci.
Ad alcuni artisti presenti in mostra, tra cui Damisch, Haberpointner, Rudolf Hausner, Xenia Hausner, Hridlicka, Hundertwasser e Rainer, la Collezione Würth ha dedicato nelle sue sedi mostre monografiche.
Diverse le partecipazioni a varie edizioni della Biennale di Venezia (ad esempio Fronius, Anzinger, Rainer, Wurm e Zitko), come importanti sono i punti di contatto con l’Italia, a cui è molto legato ad esempio Hermann Nitsch. Per volontà del suo storico gallerista Giuseppe Morra, nel 2008 è stato inaugurato a Napoli il Museo Nitsch e non lontano da Capena a Torrita Tiberina la Fondazione
Mario & Maria Pia Serpone nel 2012 ha costruito ex novo la Cappella Nitsch, che custodisce alcune opere dell’artista.
Hradil, presente in mostra con due dipinti, vinse nel 1963 una borsa di studio del Forum Austriaco di Cultura a Roma e gli scultori Hoflehner (scomparso nel 1955) e Redl, attratti dalla tradizione plastica toscana, hanno entrambi scelto la regione come una delle sedi dei loro atelier, rispettivamente a Colle Val D’Elsa e Carrara.
Art Forum Würth Capena
Fino al 26.1.2019
Orario di apertura al pubblico:
lunedì – sabato 10.00 – 17.00
domenica e festivi chiuso
Ingresso gratuito
domenica 16 settembre 2018
Vedi i suoni, ascolta le immagini, al Palazzo delle Esposizioni al via il Live Cinema Festival 2018
Al Palazzo delle Esposizioni di Roma prende il via la quinta edizione del festival dedicato al “Live Cinema”, la tecnica narrativa sperimentale applicata al video performativo che dà vita alla creazione simultanea di suoni e immagini in tempo reale. 10 nazioni coinvolte, live cinema performance, screenings e workshop. Dal 20 al 23 settembre 2018.
LCF 2018 arriva per la prima volta al Palazzo delle Esposizioni con la Sala 9 appositamente allestita per la doppia proiezione di 18 metri e un sound system in quadrifonia. 10 nazioni coinvolte, live cinema performance, screenings e workshop per un festival che riflette lo spirito della nostra epoca in cui la tecnologia ha invaso ogni aspetto della nostra vita: “Live Cinema Festival”, la manifestazione internazionale incentrata sulle più innovative performance di spettacoli audio-visual dal vivo.
Tutti gli artisti internazionali invitati quest'anno si esibiranno eccezionalmente con performance inedite e presentate per la prima volta in Italia realizzate in real-time per un’esperienza sinestetica e ipersensoriale.
“Live Cinema Festival 2018” è parte del programma dell’Estate Romana promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e realizzata in collaborazione con SIAE ed è una delle iniziative dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018.
Ad arricchire la programmazione del Festival, il 20 settembre parte anche il workshop della durata di 4 giorni per 8 ore complessive sul Digital Storytelling. Incentrato su questa nuova tecnica nel contesto artistico-performativo e curato da Emanuele Tarducci, Architetto e Interaction Designer che vive e lavora a Roma, insegnante presso la RUFA Design University e Visual Artist, il workshop mira a dare gli strumenti sia di conoscenza che di tecniche e tecnologie per la realizzazione di una performance Audio Video di Live Cinema.
Tutti gli spettacoli sono a ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.
Puoi prenotare il tuo ticket qui: livecinemafestival.com/editions/2018-rome/tickets/
#LCF2018
LCF 2018 arriva per la prima volta al Palazzo delle Esposizioni con la Sala 9 appositamente allestita per la doppia proiezione di 18 metri e un sound system in quadrifonia. 10 nazioni coinvolte, live cinema performance, screenings e workshop per un festival che riflette lo spirito della nostra epoca in cui la tecnologia ha invaso ogni aspetto della nostra vita: “Live Cinema Festival”, la manifestazione internazionale incentrata sulle più innovative performance di spettacoli audio-visual dal vivo.
Tutti gli artisti internazionali invitati quest'anno si esibiranno eccezionalmente con performance inedite e presentate per la prima volta in Italia realizzate in real-time per un’esperienza sinestetica e ipersensoriale.
“Live Cinema Festival 2018” è parte del programma dell’Estate Romana promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e realizzata in collaborazione con SIAE ed è una delle iniziative dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018.
Ad arricchire la programmazione del Festival, il 20 settembre parte anche il workshop della durata di 4 giorni per 8 ore complessive sul Digital Storytelling. Incentrato su questa nuova tecnica nel contesto artistico-performativo e curato da Emanuele Tarducci, Architetto e Interaction Designer che vive e lavora a Roma, insegnante presso la RUFA Design University e Visual Artist, il workshop mira a dare gli strumenti sia di conoscenza che di tecniche e tecnologie per la realizzazione di una performance Audio Video di Live Cinema.
Tutti gli spettacoli sono a ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.
Puoi prenotare il tuo ticket qui: livecinemafestival.com/editions/2018-rome/tickets/
#LCF2018
venerdì 14 settembre 2018
TRAIANO. Costruire l’Impero, creare l’Europa. La mostra in proroga fino al 18 novembre
Prosegue fino al 18 novembre ai Mercati di Traiano la mostra “TRAIANO. Costruire l’Impero, creare l’Europa”. Oltre due mesi ancora per conoscere da vicino la storia dell’optimus princeps. Dal 25 settembre al via anche i nuovi appuntamenti con i Martedì di Traiano.
Sull'onda del successo ottenuto, con oltre 120.000 visitatori accorsi dall'inaugurazione del 29 novembre 2017, l’Assessorato alla Crescita Culturale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali hanno deciso, con la collaborazione di tutti gli Enti prestatori, di prorogare la durata dell’esposizione “Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa” ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali fino al 18 novembre 2018.
Il vasto pubblico appartenente ai più diversi target ha già premiato l’iniziativa, cogliendo l’intento dei curatori e dei tanti che l’hanno resa possibile: raccontare la figura dell’imperatore e soprattutto la sua azione a 360° nel vasto Impero Romano, giunto con lui alla massima espansione. Un racconto chiaro e diretto, sviluppato anche attraverso tecnologie innovative, che illustra in 7 sezioni le tematiche della mostra attraverso una precisa scelta delle opere esposte.
Il prolungamento di oltre due mesi consentirà al pubblico, favorito anche dall’ingresso gratuito previsto per i possessori della MIC Card, di apprezzare le 208 opere d’arte antica provenienti dai musei della Sovrintendenza Capitolina, da molti musei e spazi archeologici italiani, e alcuni importanti musei stranieri.
La mostra promossa e prodotta da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con i servizi di Zètema Progetto Cultura, curata da Claudio Parisi Presicce, Marina Milella, Simone Pastor e Lucrezia Ungaro, è stata ideata in occasione dei 1900 anni della morte dell’imperatore Traiano e allestita nel complesso monumentale da lui stesso voluto insieme al grandioso Foro sottostante.
Dal 25 settembre, inoltre, ripartiranno nella sala conferenze del museo gli appuntamenti con i Martedì di Traiano, giornate di studi, convegni, conferenze su tematiche legate alla figura dell’Optimus Princeps e non solo, tenuti da curatori e colleghi provenienti da Musei e Università nazionali e internazionali. In questo nuovo ciclo si toccheranno argomenti di attualità come la tutela, la valorizzazione e la comunicazione del Patrimonio culturale. Primo appuntamento, martedì 25 settembre ore 15.45 con il convegno dal titolo La sfera del sacro: culti e religiosità nelle province danubiane a cura di Lucia Cianciulli.
Secondo appuntamento con il convegno di lunedì 1 ottobre ore 15.45 intitolato Nell’anno del Patrimonio: Rinnovamento, comunicazione e prospettive associazionistiche dei Musei Archeologici. Interverranno, tra i relatori esterni, Trinidad Nogales Basarrate, Marta Novello, Valentino Nizzo, e Cristina Loglio.
Ricordo che acquistando la nuova MIC Card al costo di 5 euro, chi vive e studia a Roma può accedere illimitatamente per 12 mesi nei Musei in Comune e nei siti storico artistici e archeologici della Sovrintendenza. Si potranno ammirare le collezioni permanenti, visitare le mostre temporanee, partecipare gratuitamente agli eventi, alle visite guidate e alle attività didattiche incluse nel costo del biglietto di ingresso al museo.
Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali
Via Quattro Novembre 94 - 00187 Roma - Tel. 060608
Tutti i giorni 9.30-19.30
24 e 31 dicembre ore 9.30-14.00
La biglietteria chiude un'ora prima
www.mercatiditraiano.it | www.traianus.it
E-mail: info@mercatiditraiano.it
Sull'onda del successo ottenuto, con oltre 120.000 visitatori accorsi dall'inaugurazione del 29 novembre 2017, l’Assessorato alla Crescita Culturale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali hanno deciso, con la collaborazione di tutti gli Enti prestatori, di prorogare la durata dell’esposizione “Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa” ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali fino al 18 novembre 2018.
Il vasto pubblico appartenente ai più diversi target ha già premiato l’iniziativa, cogliendo l’intento dei curatori e dei tanti che l’hanno resa possibile: raccontare la figura dell’imperatore e soprattutto la sua azione a 360° nel vasto Impero Romano, giunto con lui alla massima espansione. Un racconto chiaro e diretto, sviluppato anche attraverso tecnologie innovative, che illustra in 7 sezioni le tematiche della mostra attraverso una precisa scelta delle opere esposte.
Il prolungamento di oltre due mesi consentirà al pubblico, favorito anche dall’ingresso gratuito previsto per i possessori della MIC Card, di apprezzare le 208 opere d’arte antica provenienti dai musei della Sovrintendenza Capitolina, da molti musei e spazi archeologici italiani, e alcuni importanti musei stranieri.
La mostra promossa e prodotta da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con i servizi di Zètema Progetto Cultura, curata da Claudio Parisi Presicce, Marina Milella, Simone Pastor e Lucrezia Ungaro, è stata ideata in occasione dei 1900 anni della morte dell’imperatore Traiano e allestita nel complesso monumentale da lui stesso voluto insieme al grandioso Foro sottostante.
Dal 25 settembre, inoltre, ripartiranno nella sala conferenze del museo gli appuntamenti con i Martedì di Traiano, giornate di studi, convegni, conferenze su tematiche legate alla figura dell’Optimus Princeps e non solo, tenuti da curatori e colleghi provenienti da Musei e Università nazionali e internazionali. In questo nuovo ciclo si toccheranno argomenti di attualità come la tutela, la valorizzazione e la comunicazione del Patrimonio culturale. Primo appuntamento, martedì 25 settembre ore 15.45 con il convegno dal titolo La sfera del sacro: culti e religiosità nelle province danubiane a cura di Lucia Cianciulli.
Secondo appuntamento con il convegno di lunedì 1 ottobre ore 15.45 intitolato Nell’anno del Patrimonio: Rinnovamento, comunicazione e prospettive associazionistiche dei Musei Archeologici. Interverranno, tra i relatori esterni, Trinidad Nogales Basarrate, Marta Novello, Valentino Nizzo, e Cristina Loglio.
Ricordo che acquistando la nuova MIC Card al costo di 5 euro, chi vive e studia a Roma può accedere illimitatamente per 12 mesi nei Musei in Comune e nei siti storico artistici e archeologici della Sovrintendenza. Si potranno ammirare le collezioni permanenti, visitare le mostre temporanee, partecipare gratuitamente agli eventi, alle visite guidate e alle attività didattiche incluse nel costo del biglietto di ingresso al museo.
Mercati di Traiano - Museo dei Fori Imperiali
Via Quattro Novembre 94 - 00187 Roma - Tel. 060608
Tutti i giorni 9.30-19.30
24 e 31 dicembre ore 9.30-14.00
La biglietteria chiude un'ora prima
www.mercatiditraiano.it | www.traianus.it
E-mail: info@mercatiditraiano.it
giovedì 13 settembre 2018
Brunello di Montalcino, Col d'Orcia nuovo membro dell'Istituto Grandi Marchi
Col d'Orcia, storica azienda tra le più rappresentative del territorio di produzione del Brunello di Montalcino, entra nell’Istituto del Vino Italiano di Qualità - Grandi Marchi.
Col d’Orcia entra a far parte dell’Istituto Grandi Marchi a rappresentare una denominazione ed un territorio, il Brunello di Montalcino, tra le più conosciute, apprezzate e rappresentative dell’enologia italiana sui mercati internazionali.
Col d’Orcia ha iniziato a produrre il Brunello di Montalcino oltre 100 anni fa e, a partire dal 1973, la famiglia Marone Cinzano ha contribuito allo sviluppo e al successo di Montalcino e del suo Brunello in tutto il mondo. La tenuta si estende per oltre 520 ettari di cui 140 sono vitati e 108 destinati alla produzione di Brunello. Dal 1992 Col d’Orcia è presieduta dal Conte Francesco Marone Cinzano il quale, in continuità con la grande attenzione all’ambiente naturale che ha sempre caratterizzato l’azienda, ha guidato e supervisionato una graduale conversione di tutta l’azienda all’agricoltura biodinamica avviando il processo di certificazione organica che costituisce un aspetto molto importante e distintivo del proprio metodo di coltivazione.
Nel corso degli anni, inoltre, Col d’Orcia ha collezionato più di 50.000 bottiglie di vecchie annate di Brunello di Montalcino, attentamente conservate e perfettamente custodite che rappresentano un tesoro unico e inestimabile.
Piero Mastroberardino, Presidente dell’Istituto Grandi Marchi dice " Sono lieto di poter annunciare, a nome di tutti gli amici soci dell'Istituto Grandi Marchi, l'ingresso di un'altra famiglia di grande prestigio nella nostra compagine. Ci unisce all'amico Francesco Marone Cinzano e alla sua azienda l'affinità di vedute sulla viticoltura di pregio e sulla sua espressione in chiave territoriale, sulla rilevanza dei valori familiari in quanto catalizzatori di processi virtuosi di sviluppo dei nostri territori a custodia dei legami con le antiche e possenti radici culturali. Sono certo che tale innesto sarà foriero di ulteriori opportunità di crescita del nostro sodalizio, che si fa da sempre portatore di un messaggio di valore delle produzioni viticole, a beneficio dell'intero movimento del vino italiano di pregio."
Da parte sua il Conte Francesco Marone Cinzano dichiara “siamo felici ed onorati di far parte di questo gruppo prestigioso, con l’intenzione di poter contribuire alla continua crescita e diffusione dei vini italiani nel mondo”.
Col d’Orcia subentra alla Società Agricola Greppo - Biondi Santi che, in seguito ai nuovi assetti societari, ha deciso di lasciare l’Istituto nei mesi scorsi.
Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi: Alois Lageder, Argiolas, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Col d’Orcia, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi.
Col d’Orcia entra a far parte dell’Istituto Grandi Marchi a rappresentare una denominazione ed un territorio, il Brunello di Montalcino, tra le più conosciute, apprezzate e rappresentative dell’enologia italiana sui mercati internazionali.
Col d’Orcia ha iniziato a produrre il Brunello di Montalcino oltre 100 anni fa e, a partire dal 1973, la famiglia Marone Cinzano ha contribuito allo sviluppo e al successo di Montalcino e del suo Brunello in tutto il mondo. La tenuta si estende per oltre 520 ettari di cui 140 sono vitati e 108 destinati alla produzione di Brunello. Dal 1992 Col d’Orcia è presieduta dal Conte Francesco Marone Cinzano il quale, in continuità con la grande attenzione all’ambiente naturale che ha sempre caratterizzato l’azienda, ha guidato e supervisionato una graduale conversione di tutta l’azienda all’agricoltura biodinamica avviando il processo di certificazione organica che costituisce un aspetto molto importante e distintivo del proprio metodo di coltivazione.
Nel corso degli anni, inoltre, Col d’Orcia ha collezionato più di 50.000 bottiglie di vecchie annate di Brunello di Montalcino, attentamente conservate e perfettamente custodite che rappresentano un tesoro unico e inestimabile.
Piero Mastroberardino, Presidente dell’Istituto Grandi Marchi dice " Sono lieto di poter annunciare, a nome di tutti gli amici soci dell'Istituto Grandi Marchi, l'ingresso di un'altra famiglia di grande prestigio nella nostra compagine. Ci unisce all'amico Francesco Marone Cinzano e alla sua azienda l'affinità di vedute sulla viticoltura di pregio e sulla sua espressione in chiave territoriale, sulla rilevanza dei valori familiari in quanto catalizzatori di processi virtuosi di sviluppo dei nostri territori a custodia dei legami con le antiche e possenti radici culturali. Sono certo che tale innesto sarà foriero di ulteriori opportunità di crescita del nostro sodalizio, che si fa da sempre portatore di un messaggio di valore delle produzioni viticole, a beneficio dell'intero movimento del vino italiano di pregio."
Da parte sua il Conte Francesco Marone Cinzano dichiara “siamo felici ed onorati di far parte di questo gruppo prestigioso, con l’intenzione di poter contribuire alla continua crescita e diffusione dei vini italiani nel mondo”.
Col d’Orcia subentra alla Società Agricola Greppo - Biondi Santi che, in seguito ai nuovi assetti societari, ha deciso di lasciare l’Istituto nei mesi scorsi.
Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi: Alois Lageder, Argiolas, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Col d’Orcia, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi.
Tutela e promozione delle indicazioni geografiche: Federdoc aderisce ad oriGIn
Nuove sfide per le indicazioni geografiche a livello mondiale, Federdoc (Confederazione Nazionale dei Consorzi volontari per la tutela delle denominazioni dei vini italiani) aderisce a oriGIn.
Federdoc entra a far parte di oriGIn, la coalizione mondiale delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche. oriGIn, che conta tra i suoi soci 600 associazioni da 50 paesi, è un attore di primo livello sulla scena internazionale nel campo della tutela e della promozione delle indicazioni geografiche.
La scelta di Federdoc avviene in una fase cruciale per il settore, sia a livello europeo che internazionale. Da un lato, infatti, l’Unione europea (UE) è impegnata nel negoziato di accordi bilaterali con mercati strategici per i vini italiani a denominazione, come il Mercosur, l’Australia e la Nuova Zelanda, e nella riforma della Politica Agricola Comune (PAC). Dall’altro, a livello mondiale, numerose sfide attendono le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche, come il dibattito sullo sviluppo sostenibile, i rischi concreti di un ritorno di politiche protezionistiche e la protezione su Internet.
“Federdoc continua nel suo impegno internazionale a difesa delle Denominazioni d’Origine italiane - ha commentato Riccardo Ricci Curbastro, Presidente di Federdoc - e dopo aver fondato EFOW, European Federation of Origin Wines, con la quale continua la stretta e preziosa collaborazione, allarga ora il proprio orizzonte con l’ambizione di portare la propria esperienza su consorzi dei produttori, i sistemi di certificazione e la sostenibilità a confronto con le esperienze mondiali in continua crescita. Anche in quest’ambito crediamo che Federdoc possa essere un fattore di crescita”.
“Siamo entusiasti di questa nuova adesione - ha aggiunto il Presidente di oriGIn, Claude Vermot-Desroches -. La presenza di un’associazione prestigiosa come Federdoc rafforza la voce di oriGIn presso le istituzioni regionali e internazionali come l’UE, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) e l’ICANN, le cui decisioni hanno un impatto importante sul futuro delle indicazioni geografiche. Arricchisce, inoltre, il dibattito e lo scambio di esperienze all’interno della nostra rete mondiale”.
“Il tema della sostenibilità, declinata nelle componenti economica, sociale e ambientale e dei relativi adeguamenti che questa impone a tutti gli attori economici, rappresenta una sfida cruciale per i prossimi decenni. L’esperienza di Federdoc - ha concluso il Direttore di oriGIn, Massimo Vittori - in questo settore è sicuramente uno stimolo per oriGIn a continuare il percorso intrapreso in questo campo, volto a sensibilizzare gli operatori del settore delle indicazioni geografiche sull’urgenza di non farsi trovare impreparati rispetto alle sfide della sostenibilità”.
Federdoc entra a far parte di oriGIn, la coalizione mondiale delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche. oriGIn, che conta tra i suoi soci 600 associazioni da 50 paesi, è un attore di primo livello sulla scena internazionale nel campo della tutela e della promozione delle indicazioni geografiche.
La scelta di Federdoc avviene in una fase cruciale per il settore, sia a livello europeo che internazionale. Da un lato, infatti, l’Unione europea (UE) è impegnata nel negoziato di accordi bilaterali con mercati strategici per i vini italiani a denominazione, come il Mercosur, l’Australia e la Nuova Zelanda, e nella riforma della Politica Agricola Comune (PAC). Dall’altro, a livello mondiale, numerose sfide attendono le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche, come il dibattito sullo sviluppo sostenibile, i rischi concreti di un ritorno di politiche protezionistiche e la protezione su Internet.
“Federdoc continua nel suo impegno internazionale a difesa delle Denominazioni d’Origine italiane - ha commentato Riccardo Ricci Curbastro, Presidente di Federdoc - e dopo aver fondato EFOW, European Federation of Origin Wines, con la quale continua la stretta e preziosa collaborazione, allarga ora il proprio orizzonte con l’ambizione di portare la propria esperienza su consorzi dei produttori, i sistemi di certificazione e la sostenibilità a confronto con le esperienze mondiali in continua crescita. Anche in quest’ambito crediamo che Federdoc possa essere un fattore di crescita”.
“Siamo entusiasti di questa nuova adesione - ha aggiunto il Presidente di oriGIn, Claude Vermot-Desroches -. La presenza di un’associazione prestigiosa come Federdoc rafforza la voce di oriGIn presso le istituzioni regionali e internazionali come l’UE, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) e l’ICANN, le cui decisioni hanno un impatto importante sul futuro delle indicazioni geografiche. Arricchisce, inoltre, il dibattito e lo scambio di esperienze all’interno della nostra rete mondiale”.
“Il tema della sostenibilità, declinata nelle componenti economica, sociale e ambientale e dei relativi adeguamenti che questa impone a tutti gli attori economici, rappresenta una sfida cruciale per i prossimi decenni. L’esperienza di Federdoc - ha concluso il Direttore di oriGIn, Massimo Vittori - in questo settore è sicuramente uno stimolo per oriGIn a continuare il percorso intrapreso in questo campo, volto a sensibilizzare gli operatori del settore delle indicazioni geografiche sull’urgenza di non farsi trovare impreparati rispetto alle sfide della sostenibilità”.
mercoledì 12 settembre 2018
Al Teatro del Lido la Petite messe solennelle di Gioachino Rossini. Ingresso gratuito
Una serata evento, un omaggio a Gioachino Rossini a 150 anni dalla morte. In programma presso il teatro del Lido l’esecuzione della Petite messe solennelle da parte del Coro del Teatro dell’Opera di Roma e dei talenti di Fabbrica Young Artist Program.
Si svolgerà domenica 16 settembre alle ore 18 presso il Teatro del Lido la Petite messe solennelle a cura del Coro del Teatro dell’Opera di Roma e dei talenti di Fabbrica Young Artist Program.Il concerto è un omaggio a Gioachino Rossini a 150 anni dalla morte e prevede l’esecuzione della “Petite messe solennelle” da parte del coro del Teatro dell’Opera di Roma e dei talenti di “Fabbrica” Young Artist.
Composta nel 1863, la “Petite messe solennelle” è stata scritta 5 anni prima che Rossini morisse ed è per questo che può considerarsi il suo testamento spirituale. Rossini capì di essere legato ad un genere operistico classico e tuttavia aveva slanci visionari. Ecco perché la “Petite messe” si staglia come un enigmatico brano fondamentale per un passaggio in avanti che non ha voluto fare. Da allora infatti «si limitò a scrivere pezzi scherzosi. Egli stesso, con ironia annotò sulla partitura originale della “Petite messe”, riferendosi alla presenza di 12 cantori: “Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena, chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno giusto e con amore le tue lodi”».
Gli interpreti Coro del Teatro dell’Opera di Roma e i talenti di Fabbrica Young Artist Program:
Louise Kwong soprano, Sara Rocchi mezzosoprano, Domenico Pellicola tenore, Andrii Ganchuk baritono, Susanna Piermartiri, Elena Burova pianoforte, Lochlan James Brown harmonium
direzione Sergio La Stella.
Ingresso gratuito
www.teatriincomune.roma.it/teatro-del-lido-di-ostia/
Si svolgerà domenica 16 settembre alle ore 18 presso il Teatro del Lido la Petite messe solennelle a cura del Coro del Teatro dell’Opera di Roma e dei talenti di Fabbrica Young Artist Program.Il concerto è un omaggio a Gioachino Rossini a 150 anni dalla morte e prevede l’esecuzione della “Petite messe solennelle” da parte del coro del Teatro dell’Opera di Roma e dei talenti di “Fabbrica” Young Artist.
Composta nel 1863, la “Petite messe solennelle” è stata scritta 5 anni prima che Rossini morisse ed è per questo che può considerarsi il suo testamento spirituale. Rossini capì di essere legato ad un genere operistico classico e tuttavia aveva slanci visionari. Ecco perché la “Petite messe” si staglia come un enigmatico brano fondamentale per un passaggio in avanti che non ha voluto fare. Da allora infatti «si limitò a scrivere pezzi scherzosi. Egli stesso, con ironia annotò sulla partitura originale della “Petite messe”, riferendosi alla presenza di 12 cantori: “Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena, chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno giusto e con amore le tue lodi”».
Gli interpreti Coro del Teatro dell’Opera di Roma e i talenti di Fabbrica Young Artist Program:
Louise Kwong soprano, Sara Rocchi mezzosoprano, Domenico Pellicola tenore, Andrii Ganchuk baritono, Susanna Piermartiri, Elena Burova pianoforte, Lochlan James Brown harmonium
direzione Sergio La Stella.
Ingresso gratuito
www.teatriincomune.roma.it/teatro-del-lido-di-ostia/
martedì 11 settembre 2018
VENDEMMIA 2018: L’ITALIA SI CONFERMA PRIMO PRODUTTORE AL MONDO
L’Osservatorio del Vino ha presentato le previsioni vendemmiali 2018.
“Una buona vendemmia che permetterà al settore vitivinicolo italiano di riprendersi dopo un anno difficile. La produzione è stimata in 49 milioni di ettolitri, con un incremento del 15% rispetto ai 42,5 milioni dello scorso anno, che riavvicina l’Italia alle medie pre-2017. Una crescita produttiva rilevante che delinea un quadro nel complesso positivo seppur con qualche criticità, in particolare al Sud, influenzato da un’estate segnata dalla piovosità consistente che ha messo in difficoltà i produttori di alcune regioni. La viticoltura italiana, in larga parte, ha saputo affrontare questo bizzarro andamento stagionale con attenzione, tempestività e professionalità, consentendo al nostro Paese di confermare anche quest’anno la propria leadership produttiva a livello mondiale”.
Con queste parole Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini, è intervenuto durante la conferenza stampa di presentazione delle previsioni vendemmiali, elaborati da Unione Italiana Vini e Ismea per l’Osservatorio del Vino, organizzata presso il Mipaaft, alla presenza di Gian Marco Centinaio (Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo), Raffaele Borriello (direttore generale di ISMEA), Fabio Del Bravo (dirigente ISMEA) e Ignacio Sanchez Recarte (segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins). Ha moderato l’incontro Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini.
“L’attuale quadro della vendemmia 2018 presenta una tendenza produttiva che fa ben sperare per l’intero comparto del vino. - ha dichiarato Gian Marco Centinaio, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo - Per poter sfruttare tutte le potenzialità del mercato occorre incentivare la crescita del settore investendo su ricerca, innovazione e puntando sulla semplificazione per rendere le nostre aziende sempre più competitive sui mercati internazionali. Il vino è un prodotto con un forte appeal a livello internazionale, ambasciatore del Made in Italy nel mondo, veicolo e simbolo dell’ideale di qualità e unicità dei prodotti italiani. Proprio per questo, il Mipaaft ha sbloccato il bando per la promozione Ocm Vino e ha costituito il Comitato nazionale vini Dop e Igp. Vogliamo costruire una nuova strategia di settore, perché per andare sui mercati internazionali la promozione è fondamentale. La strada è lunga - ha concluso - e la vera sfida del prossimo futuro sarà quella di creare e far proprio il differenziale positivo di valore legato alla distintività del vino italiano, investendo sulla differenziazione dell'offerta e sulla qualità, due elementi che rendono uniche le nostre realtà vitivinicole”.
“L’incremento produttivo della campagna in corso è un’importante notizia per le cantine italiane e consentirà di recuperare gli effetti negativi derivati dalla forte riduzione registrata nel 2017, soprattutto sul fronte delle esportazioni – ha dichiarato Raffaele Borriello, direttore generale dell’ISMEA. La minore disponibilità di prodotto dell’anno passato, associata ad un aumento consistente dei prezzi, ha determinato infatti nei primi 5 mesi del 2018 una riduzione del 10% dei volumi di vino esportati in tutto il mondo. Di rilievo il calo di prodotto italiano importato dalla Germania e dal Regno Unito e la conferma, a meno di clamorose sorprese, del sorpasso da parte della Francia nel mercato statunitense. Riteniamo comunque che l’incremento di produzione del 2018 avrà un effetto positivo sulla ripresa delle esportazioni italiane nei mercati internazionali, con la prospettiva di superare la soglia dei 6 miliardi di euro a fine anno”.
“A livello europeo – ha aggiunto Ignacio Sanchez Recarte, segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins – prevediamo una buona vendemmia 2018, con livelli di produzione più legati al reale potenziale di produzione dell'UE, che aiuteranno a dimenticare le perdite del 2017”.
“Una buona vendemmia che permetterà al settore vitivinicolo italiano di riprendersi dopo un anno difficile. La produzione è stimata in 49 milioni di ettolitri, con un incremento del 15% rispetto ai 42,5 milioni dello scorso anno, che riavvicina l’Italia alle medie pre-2017. Una crescita produttiva rilevante che delinea un quadro nel complesso positivo seppur con qualche criticità, in particolare al Sud, influenzato da un’estate segnata dalla piovosità consistente che ha messo in difficoltà i produttori di alcune regioni. La viticoltura italiana, in larga parte, ha saputo affrontare questo bizzarro andamento stagionale con attenzione, tempestività e professionalità, consentendo al nostro Paese di confermare anche quest’anno la propria leadership produttiva a livello mondiale”.
Con queste parole Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini, è intervenuto durante la conferenza stampa di presentazione delle previsioni vendemmiali, elaborati da Unione Italiana Vini e Ismea per l’Osservatorio del Vino, organizzata presso il Mipaaft, alla presenza di Gian Marco Centinaio (Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo), Raffaele Borriello (direttore generale di ISMEA), Fabio Del Bravo (dirigente ISMEA) e Ignacio Sanchez Recarte (segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins). Ha moderato l’incontro Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini.
“L’attuale quadro della vendemmia 2018 presenta una tendenza produttiva che fa ben sperare per l’intero comparto del vino. - ha dichiarato Gian Marco Centinaio, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo - Per poter sfruttare tutte le potenzialità del mercato occorre incentivare la crescita del settore investendo su ricerca, innovazione e puntando sulla semplificazione per rendere le nostre aziende sempre più competitive sui mercati internazionali. Il vino è un prodotto con un forte appeal a livello internazionale, ambasciatore del Made in Italy nel mondo, veicolo e simbolo dell’ideale di qualità e unicità dei prodotti italiani. Proprio per questo, il Mipaaft ha sbloccato il bando per la promozione Ocm Vino e ha costituito il Comitato nazionale vini Dop e Igp. Vogliamo costruire una nuova strategia di settore, perché per andare sui mercati internazionali la promozione è fondamentale. La strada è lunga - ha concluso - e la vera sfida del prossimo futuro sarà quella di creare e far proprio il differenziale positivo di valore legato alla distintività del vino italiano, investendo sulla differenziazione dell'offerta e sulla qualità, due elementi che rendono uniche le nostre realtà vitivinicole”.
“L’incremento produttivo della campagna in corso è un’importante notizia per le cantine italiane e consentirà di recuperare gli effetti negativi derivati dalla forte riduzione registrata nel 2017, soprattutto sul fronte delle esportazioni – ha dichiarato Raffaele Borriello, direttore generale dell’ISMEA. La minore disponibilità di prodotto dell’anno passato, associata ad un aumento consistente dei prezzi, ha determinato infatti nei primi 5 mesi del 2018 una riduzione del 10% dei volumi di vino esportati in tutto il mondo. Di rilievo il calo di prodotto italiano importato dalla Germania e dal Regno Unito e la conferma, a meno di clamorose sorprese, del sorpasso da parte della Francia nel mercato statunitense. Riteniamo comunque che l’incremento di produzione del 2018 avrà un effetto positivo sulla ripresa delle esportazioni italiane nei mercati internazionali, con la prospettiva di superare la soglia dei 6 miliardi di euro a fine anno”.
“A livello europeo – ha aggiunto Ignacio Sanchez Recarte, segretario generale del Comité Européen des Entreprises Vins – prevediamo una buona vendemmia 2018, con livelli di produzione più legati al reale potenziale di produzione dell'UE, che aiuteranno a dimenticare le perdite del 2017”.
Ricerca, alla scoperta dell’uva pugliese che verrà
Per l’uva pugliese, regina indiscussa della produzione italiana, il futuro all’insegna dell’innovazione è già iniziato. Presentato oggi alla Fiera del del Levante l'accordo CREA Nu.Va.U.T.
CREA, il più importante ente italiano di ricerca agroalimentare, e il Consorzio produttori Nu.Va.U.T hanno presentato oggi, alla Fiera del Levante di Bari, l’accordo per mettere a punto varietà interamente italiane di uve da tavola, con l’intento di rendere sempre più competitivo un prodotto - e un territorio di produzione - già leader di mercato, ai primi posti in Europa e nel mondo.
“Si tratta – ha dichiarato il presidente CREA, Salvatore Parlato - del primo esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato per l’uva da tavola, che mette a fattore comune risorse e competenze della ricerca pubblica e dei produttori privati, nell’interesse di un made in Italy “integrale”, dalla ricerca al prodotto finale, sempre più autentico e competitivo, che confidiamo di esportare anche ad altre importanti filiere del settore agroalimentare”.
“I ricercatori del CREA Viticoltura ed Enologia – ha spiegato il direttore del Centro, Riccardo Velasco – stanno studiando da anni nuove varietà, con e senza semi, caratterizzate da spiccata croccantezza, ottima resa e resistenza alle malattie. Ed entro il 2021 i primi grappoli saranno sugli scaffali. Ma – conclude – non è finita qui. Successivamente, sempre attraverso il miglioramento genetico, si potrà intervenire anche su altri aspetti quali forma e dimensione degli acini, aromi e tenore degli zuccheri”.
La posta in gioco è la preferenza del consumatore, da perseguire attraverso l’offerta di un prodotto italiano al 100%, sempre più diversificato e originale, in grado di competere su un mercato agguerrito e globalizzato: una sfida ambiziosa, soprattutto per produttori medi e piccoli.
“Questo accordo – ha affermato Giacomo Suglia, amministratore unico del Consorzio Nu.Va.U.T (Nuove Varietà di Uva da Tavola) che raccoglie gli imprenditori coinvolti nel progetto - favorisce l’innovazione e la rende più accessibile alle imprese. Infatti, le prime 12 nuove varietà messe a punto dal CREA saranno portate nelle aziende del Consorzio per poter meglio studiare le tecniche di produzione, il tutto con la collaborazione tecnica dei ricercatori del CREA e degli agronomi Nu.Va.U.T. ”.
CREA, il più importante ente italiano di ricerca agroalimentare, e il Consorzio produttori Nu.Va.U.T hanno presentato oggi, alla Fiera del Levante di Bari, l’accordo per mettere a punto varietà interamente italiane di uve da tavola, con l’intento di rendere sempre più competitivo un prodotto - e un territorio di produzione - già leader di mercato, ai primi posti in Europa e nel mondo.
“Si tratta – ha dichiarato il presidente CREA, Salvatore Parlato - del primo esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato per l’uva da tavola, che mette a fattore comune risorse e competenze della ricerca pubblica e dei produttori privati, nell’interesse di un made in Italy “integrale”, dalla ricerca al prodotto finale, sempre più autentico e competitivo, che confidiamo di esportare anche ad altre importanti filiere del settore agroalimentare”.
“I ricercatori del CREA Viticoltura ed Enologia – ha spiegato il direttore del Centro, Riccardo Velasco – stanno studiando da anni nuove varietà, con e senza semi, caratterizzate da spiccata croccantezza, ottima resa e resistenza alle malattie. Ed entro il 2021 i primi grappoli saranno sugli scaffali. Ma – conclude – non è finita qui. Successivamente, sempre attraverso il miglioramento genetico, si potrà intervenire anche su altri aspetti quali forma e dimensione degli acini, aromi e tenore degli zuccheri”.
La posta in gioco è la preferenza del consumatore, da perseguire attraverso l’offerta di un prodotto italiano al 100%, sempre più diversificato e originale, in grado di competere su un mercato agguerrito e globalizzato: una sfida ambiziosa, soprattutto per produttori medi e piccoli.
“Questo accordo – ha affermato Giacomo Suglia, amministratore unico del Consorzio Nu.Va.U.T (Nuove Varietà di Uva da Tavola) che raccoglie gli imprenditori coinvolti nel progetto - favorisce l’innovazione e la rende più accessibile alle imprese. Infatti, le prime 12 nuove varietà messe a punto dal CREA saranno portate nelle aziende del Consorzio per poter meglio studiare le tecniche di produzione, il tutto con la collaborazione tecnica dei ricercatori del CREA e degli agronomi Nu.Va.U.T. ”.
lunedì 10 settembre 2018
Cantine Cooperative d’Italia, secondo Weinwirtschaft la migliore è Cavit
Cavit eletta “Migliore Cantina Cooperativa d’Italia 2018” dalla celebre rivista tedesca Weinwirtschaft.
Si è tenuta a Deidesheim in Germania la Premiazione del prestigioso concorso indetto ogni anno dalla storica testata enologica Weinwirtschaft, che ha riconosciuto a Cavit il 1° posto della Classifica ‘Top 20 Cooperative e Cantine Sociali Italiane’.
La rinomata testata di settore tedesca ha effettuato una comparazione qualitativa su una selezione di vini delle più importanti cooperative e cantine sociali italiane, assegnando a Cavit il punteggio totale massimo: 443.
Con una media di 88,6 punti, i vini premiati sono tre bianchi e due rossi: Pinot Grigio, Chardonnay e Merlot della linea Bottega Vinai, i Trentini Superiori Doc ultimi nati Brusafer Pinot Nero e Rulendis Pinot Grigio e il Vino Santo Arèle 2001 che, in particolare, ha raggiunto il punteggio più alto del concorso (94 punti).
Questo importante riconoscimento, ha commentato Enrico Zanoni Direttore Generale Cavit, testimonia l’elevata qualità della nostra produzione, raggiunta grazie all’impegno e passione dei nostri 4500 viticoltori e alle competenze del nostro Team agronomico ed enologico, confermando la capacità di Cavit di generare qualità nelle diverse fasce di mercato.
A proposito di Cavit
Nome di punta del comparto vitivinicolo italiano, Cavit è una realtà esemplare di consorzio di secondo grado. Situata a Ravina di Trento, Cavit riunisce dieci cantine sociali, collegate ad oltre 4.500 viticoltori distribuiti su tutto il territorio trentino, dalle quali riceve e seleziona le materie prime prodotte, controllando ogni fase – dalla raccolta, fino alla commercializzazione. Con una produzione che rappresenta oltre il 60% di tutto il vino del Trentino, Cavit è un esempio unico in Italia di know-how delle più avanzate tecniche di viticoltura e di ricerca enologica d’avanguardia. Cavit firma un’ampia gamma di vini e spumanti ai quali assicura uno sviluppo commerciale e promozionale nei canali della grande distribuzione e del settore horeca in tutto il mondo. on un fatturato di oltre 182,5 milioni di euro, Cavit si posiziona tra i principali protagonisti del settore in Italia ed eccelle sui mercati internazionali con una quota export che raggiunge l’80% dell’intera produzione.
Si è tenuta a Deidesheim in Germania la Premiazione del prestigioso concorso indetto ogni anno dalla storica testata enologica Weinwirtschaft, che ha riconosciuto a Cavit il 1° posto della Classifica ‘Top 20 Cooperative e Cantine Sociali Italiane’.
La rinomata testata di settore tedesca ha effettuato una comparazione qualitativa su una selezione di vini delle più importanti cooperative e cantine sociali italiane, assegnando a Cavit il punteggio totale massimo: 443.
Con una media di 88,6 punti, i vini premiati sono tre bianchi e due rossi: Pinot Grigio, Chardonnay e Merlot della linea Bottega Vinai, i Trentini Superiori Doc ultimi nati Brusafer Pinot Nero e Rulendis Pinot Grigio e il Vino Santo Arèle 2001 che, in particolare, ha raggiunto il punteggio più alto del concorso (94 punti).
Questo importante riconoscimento, ha commentato Enrico Zanoni Direttore Generale Cavit, testimonia l’elevata qualità della nostra produzione, raggiunta grazie all’impegno e passione dei nostri 4500 viticoltori e alle competenze del nostro Team agronomico ed enologico, confermando la capacità di Cavit di generare qualità nelle diverse fasce di mercato.
A proposito di Cavit
Nome di punta del comparto vitivinicolo italiano, Cavit è una realtà esemplare di consorzio di secondo grado. Situata a Ravina di Trento, Cavit riunisce dieci cantine sociali, collegate ad oltre 4.500 viticoltori distribuiti su tutto il territorio trentino, dalle quali riceve e seleziona le materie prime prodotte, controllando ogni fase – dalla raccolta, fino alla commercializzazione. Con una produzione che rappresenta oltre il 60% di tutto il vino del Trentino, Cavit è un esempio unico in Italia di know-how delle più avanzate tecniche di viticoltura e di ricerca enologica d’avanguardia. Cavit firma un’ampia gamma di vini e spumanti ai quali assicura uno sviluppo commerciale e promozionale nei canali della grande distribuzione e del settore horeca in tutto il mondo. on un fatturato di oltre 182,5 milioni di euro, Cavit si posiziona tra i principali protagonisti del settore in Italia ed eccelle sui mercati internazionali con una quota export che raggiunge l’80% dell’intera produzione.
Scienza, monitorare acque di laghi e fiumi nelle Alpi con tecnologie ultramoderne. FEM coordina il progetto Eco Alps Water
Partito il progetto europeo di ricerca ambientale e sistemi innovativi di monitoraggio degli ambienti lacustri Eco Alps Water coordinato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.
Monitorare la qualità delle acque lacustri e fluviali della regione alpina con nuovi sistemi di analisi all’avanguardia, basati sull’utilizzo di tecniche di metagenomica ambientale. E’ l’obiettivo del progetto europeo Eco Alps Water coordinato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, appena partito, che consentirà di effettuare uno dei più estesi censimenti della biodiversità lacustre e fluviale della regione alpina.
Saranno studiati oltre 50 laghi e fiumi. In Trentino l’analisi sarà svolta con la collaborazione dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell'Ambiente, il Servizio Foreste e Fauna, la Comunità Alto Garda e Ledro e l’Autorità di bacino distrettuale delle Alpi Orientali. Le indagini saranno focalizzate sui principali corpi d’acqua, tra cui spiccano il Garda e l’Adige.
Eco-AlpsWater è co-finanziato dall’European Regional Development Fund attraverso il programma Interreg Spazio Alpino. Il progetto durerà tre anni e coinvolge 12 partner appartenenti ad Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera. Oltre alla FEM, che funge da coordinatore, per l’Italia sono presenti ARPA Veneto e ISPRA di Roma.
Il progetto Eco Alps Water, spiega Nico Salmaso, responsabile dell’Unità Idrobiologia del Centro Ricerca e Innovazione FEM, anticipa la rotta nella messa a punto dei sistemi di monitoraggio delle acque di nuova generazione in ambito europeo. Laghi e fiumi stanno affrontando gravi minacce sotto la pressione di impatti antropici, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e invasione di specie esotiche. Questi cambiamenti sono valutati con criteri tradizionali, che includono approcci dispendiosi in termini di tempo e costosi (per esempio basati esclusivamente sull'identificazione classica delle specie acquatiche con tecniche di microscopia ottica). Il progetto Eco-AlpsWater integrerà i tradizionali approcci di monitoraggio definiti nella direttiva EU Water Framework Directive con tecnologie avanzate e innovative, fornendo conoscenze solide per un qualificato e ulteriore supporto ai piani di gestione delle risorse idriche.
Nuove tecniche di monitoraggio. Si utilizzeranno tecniche di Next Generation Sequencing (NGS) per analizzare il DNA ambientale estratto da campioni di acqua raccolti in laghi e fiumi. Queste nuove tecniche, basate sull’amplificazione e analisi di milioni di sequenze di DNA e sull’utilizzo di tecnologie smart (automazione nell'elaborazione e archiviazione dei dati e recupero delle informazioni), consentono un’identificazione rapida e a basso costo degli organismi acquatici, dai batteri fino ai pesci.
Censimento della biodiversità lacustre. L’implementazione delle nuove tecnologie di monitoraggio consentirà di effettuare uno dei più estesi censimenti della biodiversità lacustre e fluviale della regione alpina basato sull’analisi di centinaia di campioni raccolti in oltre 50 corpi d’acqua. I dati permetteranno di identificare le zone maggiormente a rischio per la presenza di cianobatteri tossici, batteri patogeni, e organismi invasivi o potenzialmente invasivi. L’approccio adottato sarà implementato in stretto coordinamento con l’agenda EUSALP che, per il settore acque (Action Group 6), sta attivamente promuovendo politiche finalizzate alla soluzione di problematiche relative alla qualità dei laghi e dei fiumi in ambito alpino.
Monitorare la qualità delle acque lacustri e fluviali della regione alpina con nuovi sistemi di analisi all’avanguardia, basati sull’utilizzo di tecniche di metagenomica ambientale. E’ l’obiettivo del progetto europeo Eco Alps Water coordinato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, appena partito, che consentirà di effettuare uno dei più estesi censimenti della biodiversità lacustre e fluviale della regione alpina.
Saranno studiati oltre 50 laghi e fiumi. In Trentino l’analisi sarà svolta con la collaborazione dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell'Ambiente, il Servizio Foreste e Fauna, la Comunità Alto Garda e Ledro e l’Autorità di bacino distrettuale delle Alpi Orientali. Le indagini saranno focalizzate sui principali corpi d’acqua, tra cui spiccano il Garda e l’Adige.
Eco-AlpsWater è co-finanziato dall’European Regional Development Fund attraverso il programma Interreg Spazio Alpino. Il progetto durerà tre anni e coinvolge 12 partner appartenenti ad Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera. Oltre alla FEM, che funge da coordinatore, per l’Italia sono presenti ARPA Veneto e ISPRA di Roma.
Il progetto Eco Alps Water, spiega Nico Salmaso, responsabile dell’Unità Idrobiologia del Centro Ricerca e Innovazione FEM, anticipa la rotta nella messa a punto dei sistemi di monitoraggio delle acque di nuova generazione in ambito europeo. Laghi e fiumi stanno affrontando gravi minacce sotto la pressione di impatti antropici, cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e invasione di specie esotiche. Questi cambiamenti sono valutati con criteri tradizionali, che includono approcci dispendiosi in termini di tempo e costosi (per esempio basati esclusivamente sull'identificazione classica delle specie acquatiche con tecniche di microscopia ottica). Il progetto Eco-AlpsWater integrerà i tradizionali approcci di monitoraggio definiti nella direttiva EU Water Framework Directive con tecnologie avanzate e innovative, fornendo conoscenze solide per un qualificato e ulteriore supporto ai piani di gestione delle risorse idriche.
Nuove tecniche di monitoraggio. Si utilizzeranno tecniche di Next Generation Sequencing (NGS) per analizzare il DNA ambientale estratto da campioni di acqua raccolti in laghi e fiumi. Queste nuove tecniche, basate sull’amplificazione e analisi di milioni di sequenze di DNA e sull’utilizzo di tecnologie smart (automazione nell'elaborazione e archiviazione dei dati e recupero delle informazioni), consentono un’identificazione rapida e a basso costo degli organismi acquatici, dai batteri fino ai pesci.
Censimento della biodiversità lacustre. L’implementazione delle nuove tecnologie di monitoraggio consentirà di effettuare uno dei più estesi censimenti della biodiversità lacustre e fluviale della regione alpina basato sull’analisi di centinaia di campioni raccolti in oltre 50 corpi d’acqua. I dati permetteranno di identificare le zone maggiormente a rischio per la presenza di cianobatteri tossici, batteri patogeni, e organismi invasivi o potenzialmente invasivi. L’approccio adottato sarà implementato in stretto coordinamento con l’agenda EUSALP che, per il settore acque (Action Group 6), sta attivamente promuovendo politiche finalizzate alla soluzione di problematiche relative alla qualità dei laghi e dei fiumi in ambito alpino.
Iscriviti a:
Post (Atom)