domenica 31 ottobre 2021

Mostre. Raffaello giovane e il suo sguardo, il racconto di come l'artista diventa maestro

A Città di Castello in mostra le opere della maturazione dell’artista urbinate tornano per la prima volta in città, alcune sottoposte a restauro. La mostra Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo ripercorre gli anni della prima formazione dell’artista dal 1499 al 1504, anno della sua ultima opera in città. Pinacoteca comunale dal 30 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022.




Ospitata nelle sale del piano nobile della Pinacoteca comunale di Città di Castello la mostra analizza le tappe dell’attività del maestro urbinate in città quando, appena diciassettenne, poté entrare in contatto con un ambiente ricco di stimoli, legati innanzitutto al soggiorno di Luca Signorelli. Oltre al confronto con Signorelli, una particolare attenzione verrà dedicata agli artisti fondamentali per la formazione di Raffaello come suo padre Giovanni Santi, Pietro Perugino e Pinturicchio.

Tra le opere in mostra si segnalano alcuni frammenti della Pala Baronci di Raffaello, prima opera documentata dell’artista, provenienti da Napoli (Museo e Real Bosco di Capodimonte) e Brescia (Pinacoteca Tosio Martinengo). I frammenti napoletani sono stati per l’occasione restaurati grazie all’intervento del comune di Città di Castello. Fulcro dell’esposizione sarà il Gonfalone della Santissima Trinità, unica opera mobile del maestro conservata in Umbria, che, proprio in vista della mostra, è stato sottoposto ad un eccezionale intervento di restauro curato dall’ICR. L’intervento ha permesso di colmare alcune delle lacune presenti e lasciate ‘a vista’, consentendone una migliore lettura.

Grazie all’ausilio di installazioni multimediali e ricostruzioni a grandezza naturale, verrà riproposto il contesto originario di alcune delle opere di Raffaello a Città di Castello come l’Incoronazione di San Nicola da Tolentino e lo Sposalizio della Vergine.

L’incontro impossibile tra Raffaello e Signorelli sarà uno dei molti motivi per cui visitare la mostra “Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo”, promossa nell’ambito del Cinquecentenario nella Pinacoteca comunale. Un percorso che racconta gli anni di Raffaello a Città di Castello in cui diventa maestro autonomo, attraverso alcune importanti opere come quella di esordio, l’Incoronazione di san Nicola da Tolentino (1500) e il Gonfalone della SS. Trinità, dense di ricordi acerbi e riassuntivi della tradizione urbinate accanto a rielaborazioni della tradizione peruginesca, fino ad arrivare alla fine del suo periodo umbro con lo Sposalizio della Vergine (1504), ultima opera realizzata dall’artista in città in cui raggiunge traguardi di impressionante modernità e il punto di svolta che segnerà il compimento della sua giovinezza creativa, proiettandolo verso le nuove sfide di Firenze e di Roma. 

Promossa da Comitato regionale umbro per le celebrazioni raffaellesche, Comune di Città di Castello e Regione Umbria, e inserita nel calendario delle manifestazioni approvate dal Comitato nazionale per le celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio, presieduto dal prof. Antonio Paolucci dal 2018 al 2021 e dalla prof.ssa Michela di Macco dal 2021, la mostra è curata da Marica Mercalli, già Soprintendente dell’Umbria e ora direttore generale per la sicurezza del Patrimonio culturale del MiC, e Laura Teza, professore associato di Storia dell'Arte moderna dell'Università degli Studi di Perugia.

Cuore dell’esposizione è il gonfalone della Santissima Trinità di Raffaello, unica opera mobile del maestro rimasta in Umbria, conservata nella Pinacoteca e considerata dalla critica uno dei suoi primi dipinti. Le altre opere di Raffaello in mostra tornano a Città di Castello per la prima volta in questa occasione. “Il gonfalone – spiegano le curatrici – testimonia il processo graduale di affrancamento di Raffaello dal suo maestro Pietro Vannucci detto il Perugino e il confronto diretto con Luca Signorelli”, uno degli artisti più studiati dall’urbinate negli anni della sua giovinezza. L’opera, sottoposta a un nuovo, importante restauro da parte dell’Istituto Centrale del Restauro (ICR), rimarrà in modo permanente nella Pinacoteca in una sala in cui è stato trasferito anche il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli, verso il quale Raffaello ha nutrito grande interesse. Testimonianza di questo si riscontra in due disegni, ora all'Ashmolean Museum di Oxford (WA 1846.145, and WA 1846.147). 

I due dipinti d’ora in poi, Gonfalone e Martirio, verranno mostrati fianco a fianco nella stessa sala, a testimonianza dello sguardo di Raffaello che li ha legati insieme per sempre.

Il rapporto di Raffaello con Signorelli, fenomeno cruciale della sua crescita del 1502-1503, è invece documentato dalla presenza della Madonna della Pace di San Severino Marche.

Tra le opere in mostra anche i dipinti l’Eterno e la Vergine, conservati al Museo nazionale di Capodimonte a Napoli e sottoposti a restauro nell’ambito di questa esposizione, e la testa di Angelo alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. I frammenti del quadro che vede Raffaello esordire come magister, a soli 17 anni: la grande tavola con l'Incoronazione di san Nicola da Tolentino, che tornano nel luogo dove furono dipinti per la prima volta. Di quest’opera, danneggiata dal terremoto del 1789, sarà presentata durante la mostra tifernate una ricostruzione virtuale che diventerà installazione permanente nella Pinacoteca. Grazie all’utilizzo di video, tradotti in varie lingue, si ricostruirà il contesto ambientale anche delle altre opere di Raffaello eseguite a Città di Castello e ora conservate altrove. A chiudere il percorso espositivo sarà lo Sposalizio della Vergine (1504), il dipinto che segna la svolta nella carriera di Raffaello e la cui impostazione si misura, in un confronto voluto e serrato, con l’analogo soggetto che Pietro Perugino stava preparando per il Duomo di Perugia. Allo Sposalizio il maestro Stefano Lazzari della Bottega Artigiana Tifernate dedicherà una riproduzione fedele che rimarrà nella Pinacoteca comunale e prenderà forma, giorno dopo giorno, durante la mostra. 

I visitatori potranno seguire le fasi compositive, gli accorgimenti prospettici, le procedure tecniche che una bottega pittorica del Rinascimento attuava nel dipingere un quadro. A fare da corredo alla mostra il catalogo, che contiene una sezione dedicata all’edizione critica dei documenti relativi alla presenza di Raffaello a Città di Castello, curato da Laura Teza e Marica Mercalli, e pubblicato da Silvana Editoriale. Composto di oltre 200 pagine, contiene un ricco apparato iconografico e 17 saggi, a cura di alcuni tra i più importanti studiosi di Raffaello nel panorama internazionale, in cui si analizza l'attività giovanile dell'artista urbinate negli anni trascorsi nella città umbra tra 1499 e 1504.

Per visitare la mostra è consigliata la prenotazione: cultura@ilpoliedro.org, 075 8554202

sabato 30 ottobre 2021

Arte contemporanea, Rome Art Week: termina oggi la settimana dell'arte romana

Ultimo appuntamento con la Rome Art Week, settimana dedicata all'arte romana che ha animato la capitale con un ricco calendario di mostre personali e collettive, open studio, performance, talk, visite guidate gratuite, eventi e appuntamenti virtuali. In evidenza da oggi e fino al 5 novembre al Mitreo la mostra Eros e Thanatos.




Ultima imperdibile giornata con la Rome Art Week, manifestazione dedicata all'arte romana organizzata dal circuito RAW che rappresenta una vera e propria novità nel settore dell’arte contemporanea nazionale: un evento diffuso e “orizzontale”, un sofisticato network che ha l’obiettivo di costruire una rete tra tutti gli operatori del settore e il pubblico. 

Protagonisti musei, gallerie, spazi espositivi, curatori, artisti, associazioni, fondazioni e tutti gli stakeholders dell’arte contemporanea romana, uniti in una manifestazione gratuita e democratica con loscopo di sviluppare e sostenere la conoscenza e la diffusione dell’arte a più livelli e promuovere un nuovo turismo nella Capitale legato al contemporaneo.

Oltre 500 le partecipazioni suddivise in 142 gallerie e istituzioni con sede a Roma, 339 artisti e 58 curatori che lavorano nella Capitale propongono oltre 376 eventi tra esposizioni, incontri e open studio sparsi in tutti e 35 quartieri di Roma.

Tra le grandi novità della sesta edizione di RAW, l’adesione di diverse realtà internazionali, tra gallerie, istituzioni e fondazioni, che hanno scelto la cornice di Rome Art Week per presentare al pubblico la loro attività. Tra queste l'Academia Belgica, la Casa Argentina, il Forum Austriaco di Cultura, la Real Academia de España, la Temple University Rome, l’AAIE Contemporary Art Center, la Galleria Bulgaria, l’IILA – Istituto Italo Latino Americano, solo per citarne alcune. 

Numerosi anche gli artisti stranieri chiamati ad esporre i propri lavori in occasione di RAW 2021, provenienti da 22 paesi: Israele, Brasile, San Salvador, Maryland, Sri Lanka, Francia, Grecia, Palestina, Regno Unito, Cina, Polonia, Hawaii, Russia, Montana, Nepal, Germania, Venezuela, Olanda, Siberia, Svizzera, Tailandia, Colombia.

Rome Art Week rappresenta un viaggio a 360° gradi nelle fucine dell’arte contemporanea romana: il pubblico potrà infatti immergersi da vicino nel lavoro degli artisti partecipando ai numerosi open studio presenti nel programma. I visitatori e gli addetti ai lavori grazie alla stimolante esperienza della visita negli open studio potranno conoscere le novità del mercato dell’arte romana e gli ultimi lavori degli oltre 300 artisti che Rome Art Week ha accolto nel suo network. 

Nel ricco calendario di mostre di RAW 2021 che potrete trovare a questo link: romeartweek.com/it/calendario/, consiglio una visita al Mitreo con la mostra/evento Eros e Thanatos, che si inserisce all'interno della manifestazione. 

Da oggi fino al 5 novembre la mostra ad accesso libero vuol essere una opportunità per gli artisti di considerare e narrare, con i linguaggi propri dell’arte, ciò che spesso l’essere umano  divide. Facce di una stessa medaglia che nel Taoismo viene indicata come unione di Yin e Yang, mentre in alchimia è rappresentato come Matrimonio Mistico.

Lao Tze scriveva che quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. Di fatto viviamo tempi in cui tutto ci invita a riconoscere la sofferenza e l’inefficacia generata da contrapposizioni conflittuali e la necessaria integrazione degli opposti. Pulsioni, emozioni, “stati interiori” dell’uomo, esperienze di vita, relazioni, sistemi sociali, economici, politici e modelli di credenze, troppo spesso si rivelano inadeguate rispetto al cambiamento globale che coinvolge tutti e tutto. Amore ed odio, vita e morte, luce ed ombra, giorno e notte, coraggio e paura, bianco e nero, femminile e maschile, caldo e freddo, cielo e terra o ciò che Freud definisce la tensione dell’umano verso la vita, la felicità, la soddisfazione, l’amore, l’amicizia, … (Eros) ed il suo opposto, che generalmente tendiamo a nascondere ovvero l’odio, la rabbia, la discordia, la “distruzione” (Thanatos), non possono essere catalogati  come giusto o sbagliato, bello o brutto, buono o cattivo, ma principi appartenenti alle sfere più sottili, e per questo invisibili, che governano e rendono possibile la vita. La vita è infatti continuamente, costantemente e contemporaneamente, coesistenza di contrazione ed espansione. Due moti necessari al vivere, come il respiro e i battiti del cuore, o come il susseguirsi dei cicli e delle stagioni in natura. Dimenticarsi o aver paura di uno dei due aspetti, relegandolo negli angoli recessi della vita come “brutto” o “sbagliato”, significa non riuscire a vivere pienamente nessuno dei due. Senza Thanatos non c’è Eros. Senza morte non c’è vita. L’invito per tutti è quindi di guardare ai cambiamenti in atto senza opporvi resistenza o percepirlo come fine, ma come preludio ad un ineluttabile e naturale rinnovamento al fine di viverne pienamente l’esperienza di pace del suo fluire. Il bruco/essere umano è ormai pronto. Ha concluso alcune fasi importanti della sua esperienza evolutiva ed ora, aprendo le ali, può aspirare a vivere un nuovo mondo, elevato e divino e in cui bellezza, leggerezza, libertà e capacità di generare meraviglia e gioia di vivere, proprie della farfalla e dell’arte, saranno le sue migliori qualità.



Il Mitreo Arte Contemporanea si trova in una prestigiosa location di 800mq, prima spazio abbandonato da oltre vent’anni e oggi riqualificato con l'obiettivo di rilanciare il territorio di Corviale, già conosciuto e studiato da tutte le università del mondo per la sua architettura ispirata a Le Corbusier, ponendolo all’attenzione della città di Roma, con l’ambizione di una espansione internazionale. Spazio polivalente e polifunzionale ospita quotidianamente corsi e laboratori dei vari linguaggi dell’arte per bambini e adulti dai 3 ai 90 anni (arti visive, danza classica, contemporanea, popolare, teatro, artiterapie, canto, ecc. e migliaia di ore offerte gratuitamente a soggetti svantaggiati affinché abbiano pari opportunità), è nato con  l’intento di contribuire a rimettere al centro della contemporaneità il valore sociale e propulsivo dell’arte. Si è contraddistinto nel tempo per aver attratto e messo in rete le risorse creative, culturali ed economiche del territorio municipale e cittadino tanto da realizzare, in sinergia con altre associazioni, singoli professionisti e strutture pubbliche e private circa 500 eventi (di cui quasi 100 esposizioni d’arte personali e collettive; concerti, spettacoli, intrattenimento, convegni e conferenze, presentazione di libri, e molto altro) e di cui più del 50% ad ingresso libero e gratuito. E’ divenuto negli anni un importante punto di aggregazione e riferimento culturale anche grazie alla risposte degli artisti: oltre 3000, di provenienza e livello anche internazionale, lo hanno scelto per dare visibilità alle loro opere/esibizioni. romeartweek.com/it/Mitreo

venerdì 29 ottobre 2021

Nutrizione del vigneto, al via una ricerca per aggiornare le linee guida sui fertilizzanti

Un team di ricerca del dipartimento di Viticoltura ed Enologia della Washington State University (WSU) ha dato il via ad uno studio per aggiornare le linee guida sulla nutrizione dei vigneti ormai vecchie di decenni. 





La fertilizzazione del vigneto è un processo fondamentale per ottenere uva sana e dai requisiti ottimali nella produzione di vino. Partendo dal fatto che un appezzamento non è un sistema omogeneo e spesso con zone non in perfetto equilibrio; in molti casi i terreni infatti si differiscono per giacitura collinare, zone di erosione, prevalentemente situate nella parte alta e zone di accumulo situate nella parte bassa. Questo insieme di fattori si manifesta a livello colturale nelle risposte vegeto-produttive del vigneto. L'osservazione diretta da parte del viticoltore è molto utile nell'annotare le specifiche zone da trattare. Ad esempio quelle di erosione manifestano le loro carenze nutrizionali attraverso una vegetazione stentata, con visibili giallumi e grappoli piccoli e di scarsa qualità; nelle zone di accumulo, invece, c’è un eccessivo rigoglio vegetativo, ma l’uva matura in ritardo ed anche in questo caso in maniera non ottimale. Queste sono le situazioni da correggere mentre, se constatiamo negli anni una risposta vegeto-produttiva del vigneto buona, servirà solo conservare questa situazione di equilibrio.

I terreni del vigneto richiedono quindi nutrienti adeguati a seconda delle loro specifiche. Per ottimizzare questa gestione attualmente si provvede a fare il test per i nutrienti. Questo processo richiede l'invio di campioni di tessuto di foglie o frutti a un laboratorio. I risultati possono richiedere settimane, momento in cui spesso è troppo tardi per modificare l'apporto di nutrienti per l'attuale stagione di crescita. Il presente lavoro, di grande rilevanza, ha ricevuto una sovvenzione USDA-NIFA della Specialty Crop Research Initiative (SCRI) di 4,75 milioni di dollari che servirà a finanziare la ricerca.

Il prof. Markus Keller, leader del progetto, ha affermato che le linee guida sui fertilizzanti, sviluppate 50 anni fa, sono ormai obsolete e l'industria del vino deve rendersi conto che fare affidamento su queste vecchie linee guida non darà loro il miglior ritorno sull'investimento. 

L'High Resolution Vineyard Nutrient Management Project Team comprende 14 scienziati provenienti da sette istituzioni negli Stati Uniti e da Mendoza, in Argentina. I ricercatori della WSU coinvolti nel progetto includono Qin Zhang, professore di automazione agricola, Manoj Karkee, professore associato di sistemi agricoli di precisione, Jim Harbertson, professore associato di Enologia e il project manager Thomas Groenveld.

Gli obiettivi del team includono piani per costruire sensori remoti in grado di valutare lo stato dei nutrienti delle piante e la creazione di nuove linee guida su come misurare e regolare lo stato dei nutrienti delle viti.

I sensori delle telecamere montati su un trattore che guida su e giù tra i filari o su un drone che sorvola il vigneto, potrebbero fornire ai coltivatori dati quasi in tempo reale. Ciò consentirebbe decisioni più informate su quali nutrienti hanno bisogno le loro viti e dove in un vigneto sono più necessari, piuttosto che campionare solo una pianta o una sezione di un grande appezzamento di vigneto. Concimare l'intero vigneto porta ad uno squilibrio nella fertilizzazione che potrebbe danneggiare le colture o finire per inquinare le acque sotterranee locali. L'obiettivo è anche ridurre al minimo l'impatto ambientale migliorando la qualità dell'uva.

Il focus group di scienze sociali e di estensione del progetto ha inviato un sondaggio alle parti interessate dell'industria dell'uva a livello nazionale per vedere cosa stanno facendo attualmente i coltivatori per la nutrizione dei vigneti. Nonostante meno del 10% dei loro budget annuali venga speso per la nutrizione dei vigneti, il 75% degli oltre 300 intervistati ha affermato che la nutrizione del suolo è "estremamente" o "molto" importante" per la resa e la qualità del vino e dei prodotti dell'uva.

Pierre Davadant, studente di dottorato presso la WSU e assistente di ricerca per il laboratorio di Markus Keller ha affermato che i macronutrienti che consentono la crescita e lo sviluppo della vite, come ad esempio potassio e azoto, sono difficili da misurare, in quanto le loro quantità possono cambiare durante la stagione.

Il team sta fertilizzando e osservando appezzamenti coltivati a Sauvignon Blanc, Syrah e Chardonnay  dall'inverno fino alla vendemmia. Le uve fermenteranno presso il WSU Wine Science Center per studiare come le differenze nello stato dei nutrienti della vite influenzino la qualità del vino.

Per saperne di più sul progetto di nutrizione del vigneto: High Resolution Vineyard Nutrient Management  

Teatro, Io lavoro con la morte

In scena questo week end al Teatro del Lido Io lavoro con la morte, uno spettacolo privato, costellato di sogni, sui movimenti del pensiero in solitudine, su di un lessico famigliare divertente e dissacrante, che gioca a declinare un tabù dei nostri tempi: la morte. 




Presentato da Monstera in collaborazione con Le vie dei Festival, arriva al Teatro del Lido sabato 30 e domenica 31 ottobre Io lavoro per la morte di Nicola Russo, protagonista dello spettacolo con Sandra Toffolatti. Con un lessico famigliare divertente e dissacrante, Io lavoro per la morte gioca a declinare un tabù dei nostri tempi, in un’atmosfera intima, privata, costellata di sogni e di movimenti di pensiero

In questo spettacolo - grande successo di pubblico e critica nell’edizione 2017 de Le vie dei Festival - Russo parte dal ricordo di sua madre. «Mia madre» scrive l’autore «è stata una donna molto forte con un carattere di ferro, direi quasi inscalfibile. Gli ultimi anni della sua vita, per problemi di salute e per una strana avversione al mondo, si è chiusa in casa, in una solitudine ricercata e custodita con ostinazione. Ho sempre pensato che la vita di una persona così solitaria non fosse neanche una vita, ma avevo torto: il pensiero di chi vive in solitudine è una delle cose più vivaci che si possano immaginare».

Attraverso una scrittura intima in cui ricordi e invenzioni convivono, Russo ha lavorato su un originale dialogo con una madre non più in vita, ma decisamente presente, per raccontare come l’assenza di una persona possa essere più ingombrante della sua presenza.

Un dialogo impossibile, una riflessione su quel che resta dopo la morte, su come a volte solo l’assenza di una persona riesca a farci comunicare, grazie alla traccia indelebile del carattere, che ritorna sempre, forte e nitido.

Dopo il poetico e commovente Vecchi per niente, che gettava uno sguardo insolito sulla vecchiaia raccontata con ironica leggerezza, Nicola Russo porta in scena, con altrettanta finezza, un lavoro sulla morte e sulla maternità, sul lavoro quotidiano e rumoroso per restare in vita anche quando in qualche modo si è già morti.

Teatro del Lido di Ostia via delle Sirene, 22 00121 Ostia (Roma)

info 060608 | 06.5646962 | promozione@teatrodellido.it

www.teatrodellido.it | www.teatriincomune.roma.it

L'accesso al teatro è condizionato dalle misure anti covid 19 in ottemperanza alle disposizioni e ai protocolli attualmente in vigore. L’accesso è possibile solo per un numero limitato di spettatori ed è richiesta l’esibizione del green pass. Il protocollo di sicurezza anticontagio – covid19, è consultabile sul sito www.teatrodellido.it

giovedì 28 ottobre 2021

Sport, il doodle di Google celebra Kano Jigoro, papà del judo

Il doodle interattivo di Google per la ricorrenza della nascita di Kano Jigoro, il papà del judo. Nato in Giappone il 28 ottobre 1860, fondò questa disciplina sportiva e fu il primo componente del Comitato Olimpico Internazionale Asiatico. 



Con il doodle di oggi Google celebra il professor Kanō Jigorō in occasione del suo 161° compleanno. Sportivo e insegnante di educazione fisica è considerato il fondatore del judo. Fu il primo componente asiatico ad entrare nel Cio nel 1909. Il nome judo significa "via gentile" ed è una disciplina sportiva basata su principi come giustizia, cortesia, sicurezza e modestia.

Kanō Jigorō nacque il 28 ottobre 1860 a Mikage, un villaggio di mare vicino a Kōbe, in Giappone. Amante delle arti marziali, Jigoro inventò il Judo, che trae le sue origini da un’arte marziale più antica, il jujitsu, disciplina molto praticata nel periodo feudale in Giappone, e della quale iniziò a dedicarsi sotto la guida di un ex samurai.

L'idea del judo gli venne durante un incontro nel quale Kanō Jigorō usò una mossa di arti marziali occidentali per mandare al tappeto un avversario molto più prestante di lui. Così pensò di eliminare le tecniche più pericolose del jujutsu, creando di fatto il "judo", uno sport sicuro e cooperativo basato sulla filosofia personale del "massimo uso efficiente dell'energia" (Seiryoku-Zeny) e della "reciproca prosperità di sé e degli altri" (Jita-Kyoei) i cui principi ritroviamo espressi dalle parole stesse del suo fondatore.

"Sarei felice di vedere applicati in futuro i principi del judo a tutte le forme di comportamento umano e di sapere che su tale argomento vengono condotte delle ricerche".

"La via inizia con il dare e prosegue nello stare insieme per crescere e progredire"

"La collaborazione tra l'allievo e  l'insegnante e tra i praticanti durante lo studio delle tecniche, va in una direzione che, attraverso il reciproco aiuto ed il mutuo rispetto, porta al miglioramento delle capacità di relazioni personali, sociali e morali; questo, se assimilato interiormente, può essere applicato anche nella società in cui viviamo, migliorandola".

La prima palestra di addestramento di judo moderno, il dojo, fu organizzata da Jigoro Kano secondo i principi dell’atletica modificando le regole originali per permettere di atterrare e combattere corpo a corpo sul tappeto, mentre è vietato colpire o calciare il proprio avversario. Di sicuro il judo è lo sport giapponese più popolare all’estero. Dal 1964 è stato introdotto come disciplina olimpica maschile e in seguito anche per le donne. Oggi sono circa 5 milioni i judo-ka in tutto il mondo.

Covid-19, le api bioindicatori con BeeNet

Studio CREA ha dimostrato per la prima volta la possibilità di utilizzare le colonie di api nel monitoraggio di patogeni umani aerodispersi.





Le api, ormai sentinelle riconosciute della salute ambientale, sono risultate in grado di intercettare il virus SARS-COV-2, agente della COVID-19, durante la loro attività di volo. Questo è quanto emerso dallo studio pubblicato sulla rivista “Science of the Total Environment” e realizzato nell’ambito del progetto BeeNet, coordinato da CREA Agricoltura e Ambiente e finanziato dal Mipaaf.

Il contesto di partenza 

Da tempo, la capacità di esplorazione ambientale delle colonie di api mellifere supporta la rilevazione di contaminanti e, più in generale, il monitoraggio della salute dell’ecosistema. In qualche caso le api hanno dimostrato anche efficacia nell’individuazione di fitopatogeni. Studi pubblicati nelle fasi di pandemia da COVID-19 hanno identificato concentrazioni misurabili del virus SARS-COV-2 nelle polveri sottili aerodisperse, ottenute da campionatori automatici.

Le azioni condotte 

Osservando localmente la coincidenza fra le elevate concentrazioni di polveri sottili nell’aria e circolazione virale durante il terzo picco pandemico nazionale, si è concretizzata l’idea di utilizzare le api anche per il monitoraggio di patogeni umani aerodispersi.

La prova è stata condotta in una giornata soleggiata di fine inverno, nell’apiario della sede di Bologna del Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA. Sono stati realizzati dispositivi atti alla cattura di particelle trasportate dalle api e mantenuti davanti all’ingresso di volo di dieci alveari per tutta l’attività giornaliera delle api bottinatrici. Quindi, le colonie sono state aperte per prelevare campioni dalla superficie dei favi e di “pane d’api”, cioè le masse di polline compresso e immagazzinato nelle celle.

I risultati 

Tutti i campioni prelevati all’ingresso degli alveari sono risultati positivi per SARS-COV-2, indicando la capacità delle api bottinatrici di intercettare il virus durante la loro attività di volo.

Ogni alveare possiede migliaia di queste api operaie con il compito di esplorare l’ambiente alla ricerca di risorse da trasportare al nido. In una giornata di attività, il loro insieme può entrare in contatto con centinaia di metri cubi d’aria, trattenendo particelle aerodisperse grazie al corpo densamente ricoperto di peli.

Al contrario, nessuno dei campioni interni ha mostrato presenza dell’agente infettivo di COVID-19, elemento che esclude le api stesse e i loro prodotti da un’eventuale trasmissione di SARS-COV-2. I dati rilevati, quindi, non segnalano rischi per gli apicoltori in seguito alla manipolazione di api, favi e altri elementi costitutivi del nido, né per i consumatori dei prodotti dell’alveare, come miele e polline.

“Questo studio sperimentale ha dimostrato per la prima volta la possibilità di utilizzare le colonie di api nel monitoraggio di patogeni umani aerodispersi. I risultati incoraggiano a proseguire questa ricerca, che può essere rilevante per la salute pubblica, contribuendo a migliorare la nostra capacità di prevedere ondate epidemiche anche meno gravi di quella di COVID-19, come quelle della comune influenza stagionale – spiega Antonio Nanetti, ricercatore CREA Agricoltura e Ambiente e coordinatore dello studio – Occorre però individuare i limiti di sensibilità di questo metodo nei confronti di vari patogeni aerodispersi, anche in rapporto alle variabili ambientali”.

La proposta 

Le evidenze ottenute suggeriscono la possibilità di costituire reti di monitoraggio basate sulle api e finalizzate alla sorveglianza epidemiologica. Il loro utilizzo, infatti, a differenza dei campionatori automatici impiegati nella rilevazione delle polveri sottili, è flessibile poiché non richiede infrastrutture specifiche e può essere facilmente replicato, adattandolo alle diverse caratteristiche del territorio.

Link all’articolo originale: www.sciencedirect.com/

Musica corale, torna il Concorso Polifonico Nazionale Guido D’Arezzo

Torna ad Arezzo il Concorso Polifonico Nazionale Guido D’Arezzo. Nuova location presso l'auditorium di Via Spallanzani, al Centro Affari. In gara sei cori provenienti da tutta Itaia. Dal 5 al 7 novembre sarà di scena la 38esima edizione della rassegna che porterà ancora una volta il meglio della polifonica nazionale.





Il Concorso Polifonico Nazionale Guido D’Arezzo si avvia a tornare verso la normalità, dopo lo stop a causa della pandemia, segnando un altro passo in avanti della coralità italiana. Come preannunciato dal direttore artistico della manifestazione Lorenzo Donati, le iniziative partiranno con i colori e i suoni dei dialetti delle regioni del centro Italia nel festival nazionale di canto popolare, per poi proseguire con il concerto finale della masterclass del maestro Fabio Lombardo affiancata agli esami finali di cinque allievi che chiudono il loro percorso triennale di studi della direzione di coro. Prestigiosa è anche la partecipazione ai concerti del sabato di due cori giovanili rappresentanti delle regioni Toscana e Abruzzo. Oltre agli esami degli studenti della scuola superiore per direttori di coro la domenica invece ci presenterà il concorso nazionale con cori e gruppi vocali provenienti da vare regioni d’Italia.

Molti gli appuntamenti aperti al pubblico come i concerti serali del 5 e 6 novembre alle ore 21: il primo con il Coro Giovanile Abruzzese diretto da Serena Marino, il Coro Fathan di Marzabotto da Elide Melchioni, il Coro Lunigiana di Fivizzano da Primo Ceccarelli e quello del Gran Sasso di L’Aquila da Carlo Mantini; mentre per il secondo appuntamento, nella Chiesa di Santa Maria della Pieve, ci sarà il concerto della Masterclass del maestro Fabio Lombardo e a seguire il Coro Giovanile Abruzzese diretto da Serena Marino e quello Toscano da Elisa Pasquini.

A chiudere la kermesse il momento più atteso e aperto totalmente al pubblico, quello del Concorso Nazionale che vedrà in lizza sei cori provenienti da tutta Italia:

A.N.I.M.A. Vocalensemble, direttore Carlo Senatore, Novara (Piemonte).

Ensemble Coraux, direttore Caroline Vojant, Saint Vincent (Valle d'Aosta).

Coro Polifonico Sturm Und Drang, direttore Salvatore Coniglio, Catania (Sicilia).

Coro Città su Brenta, direttore Paolo Piana, Padova (Veneto).

Coro Academia Alma Vox, direttore Alberto De Sanctis, Roma (Lazio).

Ensemble InContrà, direttore Roberto Brisotto, Pordenone (Friuli Venezia Giulia).

Il programma:

Venerdì 5 novembre ore 21
Auditorium (via Spallanzani, Arezzo)
Coro Giovanile Abruzzese diretto da Serena Marino
Coro Farthan di Marzabotto diretto da Elide Melchioni,
Coro Lunigiana di Fivizzano da Primo Ceccarelli
Coro Gran Sasso di L’Aquila da Carlo Mantini

Sabato 6 novembre ore 21
Chiesa di Santa Maria della Pieve
Concerto della Masterclass del M° Fabio Lombardo 
Coro laboratorio Insieme Vocale Vox Cordis 
e a seguire 
Coro Giovanile Abruzzese diretto da Serena Marino
Coro Giovanile Toscano da Elisa Pasquini 
Domenica 7 novembre ore 10.30
Auditorium (via Spallanzani, Arezzo)
A.N.I.M.A. Vocalensemble, categorie 3 e 5
direttore Carlo Senatore, Novara (Piemonte)
Ensemble Coraux, categorie 3 e 5
direttore Caroline Voyat, Saint Vincent (Valle d'Aosta)
Coro Polifonico Sturm Und Drang, categoria 1
direttore Salvatore Coniglio, Catania (Sicilia)
Coro Città su Brenta, categorie 1 e 3
direttore Paolo Piana, Padova (Veneto)
Coro Academia Alma Vox, categoria 1
direttore Alberto de Sanctis, Roma (Lazio)
Ensemble InContrà, categoria 3
direttore Roberto Brisotto, Pordenone (Friuli Venezia Giulia)

Domenica 7 novembre ore 15
Auditorium (via Spallanzani, Arezzo)
Concerto/Esame 
Allievi della Scuola Superiore per Direttori di Coro 
Cori laboratorio
Effetti Sonori di Foiano della Chiana 
Insieme Vocale Vox Cordis di Arezzo
Libercabtus Ensemble di Perugia
a seguire 
Coro di Voci Bianche Celestino Eccher,
Cles (Trentino Alto Adige), direttore Marcella Endrizzi
a seguire
Gran Premio Guido d'Arezzo 
Premiazione 

La giuria è formata da: Luigi Azzolini, Fabrizio Barchi,  Mateja Černic,  Fabio Lombardo, Maurizio Sacquegna,

Il concorso potrà essere seguito anche in forma online attraverso il canale youtube della Fondazione Guido d'Arezzo

giovedì 21 ottobre 2021

Uomini e musica, il mondo del jazz saluta Franco Cerri

Lutto nel mondo della musica, si è spento all'età di 94 anni il chitarrista jazz più famoso d'Italia. Interprete originale e dallo stile unico, Cerri visse in prima persona i mutamenti del linguaggio jazzistico portandolo a suonare con i più grandi jazzisti internazionali.




Addio al mitico Franco Cerri, chitarrista jazz tra i più affermati. Nato il 29 gennaio del 1926 a Milano, nel corso della sua carriera aveva suonato con delle 'leggende' della musica come Dizzy Gillespie, Gorni Kramer, Chet Baker, Billie Holiday. A  dare la notizia della scomparsa è stato il figlio Nicholas, in un post su Facebook: ''Le sette note e le tre chitarre salutano con tanto affetto Franco Cerri, grande musicista e grande uomo. Fai buon viaggio, babbo''.

Chitarrista e docente è stato considerato tra i più grandi e autorevoli chitarristi italiani nel campo del jazz. La sua passione per la musica prende corpo a cavallo della seconda guerra mondiale e, dopo aver ricevuto in dono dal papà Mario la desideratissima chitarra, matura grazie al sodalizio con l’amico e pianista Giampiero Boneschi con il quale inizia ad approfondire la conoscenza del jazz. Comincia la sua carriera al fianco di Gorni Kramer con Bruno Martelli, Franco Mojoli, Carlo Zeme e il Quartetto Cetra fino a ritrovarsi a suonare con Django Reinhardt e poi con moltissimi altri di fama mondiale. E’ intervenuto in più di 750 trasmissioni televisive e ha condotto alcuni programmi della Rai tra i quali: "Fine serata da Franco Cerri", "Jazz in Italia", "Jazz in Europa", "di Jazz in Jazz" e "Jazz primo amore". Dagli anni '70 ha cominciato a sviluppare il lavoro di arrangiamento, riflettendo sulla partitura, le peculiarità del suo stile. Nel 1980 ha inaugurato il sodalizio con il pianista e compositore Enrico Intra con il quale ha fondato e dirige i Civici Corsi di Jazz di Milano organizzando anche rassegne concertistiche.

Sul versante didattico, ha realizzato nel 1982 (con Mario Gangi, per quanto riguarda la chitarra classica) per il gruppo editoriale Fabbri, un corso di chitarra in sessanta lezioni arrivato alla quinta edizione e diversi metodi di jazz tra i quali spicca "Chitarra Jazz – sviluppi – approcci – esperienze", scritto con Paolo Cattaneo e Giovanni Monteforte e pubblicato in prima edizione da Ricordi nel 1993.

Due dei più importanti critici di jazz al mondo, gli americani Ira Gitler e Leonard Feather, lo inseriscono nella loro imponente enciclopedia biografica (GITLER IRA, FEATHER LEONARD, The Biographical Enciclopedia of Jazz, Oxford University, 2007), così come compare nell’opera, d’altrettanto valore internazionale, di B.D. Kernfeld (KERNFELD, B.D., The New Grove Dictonary of Jazz, Macmillan, 2002).

Nel 2009 gli fu conferito l'Honorary Award con la seguente motivazione: "Caposcuola dell'interpretazione e dell'arrangiamento jazz, oltre 60 anni di carriera che lo hanno visto suonare con i più famosi jazzisti italiani e stranieri da Chet Baker e Dizzy Gillepsie a George Benson, da Billie Holiday e Barney Kessel a Lee Konitz. La sua formidabile natura ritmica lo porta ad eseguire i suoi lavori con un innato gusto sopraffino."

Hanno scritto di lui: ...quel suo stile così personale e riconoscibile che ha portato nell’uso comune l’espressione "alla Cerri" per indicare quel modo così caratteristico di suonare. Quello stile maturato vivendo in prima persona i mutamenti del linguaggio jazzistico, non passivamente, ma al fianco e tramite un confronto diretto con gli innovatori stessi della musica afroamericana. Un percorso che lo ha portato ad essere stimato dai più grandi musicisti al mondo come Barney Kessel o Quincy Jones. Un grande fra i grandi del jazz. Un caposcuola dell'interpretazione Jazz e dell'armonizzazione in particolare. Cerri, di formazione totalmente autodidatta, è stato il classico esempio di artista che si costruisce la propria tecnica non 'in astratto' ma sulla base delle proprie necessità espressive, come del resto è sempre avvenuto nel jazz tra gli artisti più creativi. Si è formato jazzisticamente con il be-bop, la cui frenesia angosciosa è stata temperata nel tempo dalla ricerca di armonie morbide e suadenti. Ne deriva un fraseggiare costruito sui contrasti, sulla successione di segmenti melodici anche eterogenei e frutto di un'ispirazione feconda, basata sul feeling del momento, mai precostituita o infarcita di cliché. Un senso del colore che si applica anche al parametro armonico, da lui padroneggiato con naturalezza, elaborato con accostamenti inusuali ma sempre compatibili con la tonalità del pezzo che sta suonando, dove si evidenzia il suo gusto melodico nella rara capacità di "far cantare" le progressioni di accordi. Sia negli assolo, sia nel lavoro di accompagnamento, svolto con gusto sopraffino, emerge quella che forse è la sua qualità più preziosa: una formidabile natura ritmica, spontaneamente portata verso lo swing più esplicito e coinvolgente, che si estende anche alla pronuncia delle frasi, al loro respiro interno, al modo stesso in cui vengono attaccate le note.

Coronavirus, il comparto vitivinicolo nazionale tiene nel periodo più difficile dal dopoguerra

Il comparto vitivinicolo nazionale tiene nel periodo più difficile dal dopoguerra. Presentato a Roma l’Annual Report di Valoritalia. Sempre più importante il valore aggiunto costituito dalle certificazioni. Per l’Osservatorio Nomisma-Valoritalia, 9 aziende su 10 hanno intenzione di adottare almeno una nuova certificazione entro i prossimi 2 anni, vino sostenibile quello su cui ricade maggior interesse.




Molte conferme e alcune sorprese positive. È quanto emerge dal Rapporto Annuale di Valoritalia, presentato a Roma nel corso di un incontro con media e operatori del settore vitivinicolo, che ha offerto una fotografia nitida di uno dei più importanti comparti del Made in Italy.

Uno studio dettagliato da parte dell’ente più grande e radicato tra quanti operano nel settore, in grado di certificare il 43% della totalità delle DO nazionali, il 57% della produzione interna, pari a oltre 19 milioni di ettolitri. Il tutto per un totale di quasi 2 miliardi di bottiglie certificate, 8 miliardi di valore, circa 100mila operatori inseriti nel sistema di controllo.

Il dato più evidente è stato quello della tenuta del settore in uno dei periodi più complessi della storia recente. Nell’insieme la viticoltura nazionale ha reagito bene al lockdown; pur nelle difficoltà dettate dalle restrizioni sui movimenti e dalla lunghissima chiusura dei canali HORECA, anche a livello internazionale, l’imbottigliato complessivo registrato nel 2020 ha mostrato una crescita dell’1%.

“Sono numeri che vanno letti con estrema soddisfazione – ha dichiarato Francesco Liantonio, Presidente Valoritalia – perché testimoniano della bontà del lavoro svolto per far fronte a una crisi senza precedenti. Un risultato positivo, agevolato dalla tempestività con la quale le Istituzioni hanno affrontato l’emergenza. E sostenuto dalla capacità di enti come i nostri e dall’operato dei player dell’intero mondo produttivo di mantenere saldo il timone, pur di fronte a una tempesta di portata mondiale”.

Altra chiave di lettura, evidenziata dall’Annual Report, è come Valoritalia, pur nelle oggettive difficoltà di questi lunghi mesi, non abbia mai cessato le proprie attività di controllo e certificazione. Solo nel 2020 le posizioni gestite dall’ente sono state oltre 124mila. Quasi 11mila le visite ispettive, delle quali il 68% in campo e il 32% in cantina. Hanno superato quota 1 miliardo i contrassegni distribuiti, 229 le denominazioni gestite, 5mila le tipologie di vino, 729.601 i movimenti di prodotto registrati e tracciati.

“Un lavoro capillare – ha sottolineato Giuseppe Liberatore, Direttore Generale Valoritalia – che ha contribuito a tenere in linea di galleggiamento l’intero settore. La nostra presenza sul territorio costituisce un valore che viene riconosciuto dal sistema delle DO e che, al contempo, offre al sistema stesso un contributo fondamentale tanto sul mercato interno che su quelli esteri. Le proiezioni sulle tendenze del 2021, assolutamente positive, non fanno che confermare la validità della strada intrapresa”.

L’incontro romano ha inoltre offerto la possibilità di presentare i dati della ricerca effettuata dall’Osservatorio Nomisma-Valoritalia sul valore delle certificazioni nel percepito di produttori e consumatori. Uno studio che ha visto coinvolte oltre 100 imprese vitivinicole e 1000 consumatori di vino tra i 18 e i 65 anni in due diversi step di indagine, realizzati a distanza di un anno l’uno dall’altro (a settembre 2020 e 2021). Ne emerge una sempre crescente attenzione nei confronti delle certificazioni. Sia da parte dei consumatori, che mostrano particolare fiducia nei confronti dei prodotti certificati, che sul versante delle imprese, consapevoli del quid plus rappresentato dalle certificazioni stesse.

“La ricerca di Nomisma Wine Monitor – ha commentato Riccardo Ricci Curbastro, Presidente Equalitas – definisce scenari in costante evoluzione, dove concetti come quello della sostenibilità, declinato nelle sue diverse accezioni, offrono importanti impulsi alle trasformazioni dei mercati e alle richieste degli stessi. Questo sia dal lato della domanda che sul fronte dell’offerta. Il caso Equalitas, il cui standard in pochi anni ha ottenuto concreti riconoscimenti da parte dei principali organismi internazionali e dei più importanti monopoli del Nord Europa, ne è un felice esempio. La direzione è segnata e fa piacere vedere come grandi imprese vitivinicole italiane ci seguano in questo percorso sul quale siamo stati tra i primi a muoverci”.

Il saluto finale delle istituzioni è stato portato da Filippo Gallinella, Presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati. Il quale, nel sottolineare l’attenzione con la quale il Mipaf segue il percorso legato alla sostenibilità, ha ribadito che mai come ora l’Italia del vino deve essere pronta a soddisfare le richieste del mercato interno e di quelli internazionali.

“La sfida – ha concluso Gallinella – è ora quella di ottenere il giusto compenso per gli sforzi che le aziende compiono nella ricerca costante della qualità sostenibile. Del resto nel mondo c’è da molti anni voglia di Made in Italy; adesso c’è una straordinaria voglia di Made in Italy sostenibile. Sta a noi continuare a giocare nel migliore dei modi questa partita”.

Step di indagine, realizzati a distanza di un anno l’uno dall’altro (a settembre 2020 e 2021). Ne emerge una sempre crescente attenzione nei confronti delle certificazioni. Sia da parte dei consumatori, che mostrano particolare fiducia nei confronti dei prodotti certificati, che sul versante delle imprese, consapevoli del quid plus rappresentato dalle certificazioni stesse.

“Origine, sostenibilità e attenzione alla salute rappresentano le tre direttrici principali nella scelta di consumo degli italiani in questo “new normal” che coinvolgono necessariamente anche il vino - ha dichiarato Denis Pantini, responsabile agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma. La gran parte delle imprese intervistate ritiene infatti che i vini biologici, sostenibili e a basso contenuto alcolico saranno quelli che guideranno i trend di mercato del prossimo futuro e per intercettare queste opportunità, il ruolo delle certificazioni diventa sempre più importante, in particolare per eliminare quella discrasia esistente nel consumatore tra richiesta di un attributo e acquisto effettivo del vino che lo rappresenta".

Sanità, nuove professioni e tecnologie abilitanti: come cambia il futuro della medicina e dei giovani. Al via la seconda edizione di “Health4U”

Fondazione Johnson & Johnson e Fondazione Mondo Digitale danno il via alla seconda edizione di “Health4U” per orientare 2000 studenti di tutta Italia a percorsi di studio e carriere in ambito clinico e biomedico. Un programma per avvicinare gli studenti alle opportunità formative e professionali aperte dalla trasformazione digitale in ambito salute.




Diffondere informazioni rigorose in ambito sanitario e appassionare gli studenti e le studentesse agli studi universitari e alle professioni di questo settore. È il duplice obiettivo di Health4U, il programma di formazione e orientamento alle carriere universitarie e al mondo del lavoro, promosso dalla Fondazione Johnson&Johnson, con un focus dedicato all’area della salute, del benessere e delle scienze della vita.

Attraverso collegamenti in tempo reale con medici e infermieri dagli ospedali e anche dalle sale operatorie, ragazze e ragazzi potranno confrontarsi con i professionisti del settore, assistere a interventi di chirurgia e scoprire le diverse applicazioni della tecnologia a servizio della medicina.

H4U nasce nel 2017 nell’ambito dell’iniziativa globale di Johnson & Johnson “Bridge to Employment” per ispirare i giovani al proseguimento degli studi come via per la costruzione di solide fondamenta per il futuro. L’anno scorso, in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale, si è svolta la prima edizione digitale del programma, che ha coinvolto 1.400 giovani, prossimi ad affacciarsi agli studi universitari e nel mercato del lavoro in diverse regioni italiane, attraverso una serie di incontri con 26 professionisti della salute. Per la seconda edizione del programma digitale, il progetto si rinnova con l’obiettivo di coinvolgere almeno 2mila studentesse e studenti italiani di scuole secondarie di II grado di tutta Italia nei Webinar in diretta e raggiungerne ulteriori 20mila in modo indiretto attraverso le scuole.

Durante la crisi pandemica, infatti, è emerso chiaramente il bisogno di sensibilizzare la società sull’importanza di una corretta informazione in ambito sanitario. Con H4U, Fondazione Johnson&Johnson e Fondazione Mondo Digitale, hanno deciso di puntare sui più giovani per renderli artefici del cambiamento.  Per questo verranno coinvolti in un ciclo di 17 moduli online in modalità webinar, che si sviluppano in due filoni principali: da un lato l’orientamento universitario e professionale in ambito clinico e biomedico; dall’altro una serie di focus specifici su prevenzione e promozione della salute.

Dallo studio delle epidemie all’importanza dei vaccini, dalla prevenzione delle dipendenze alla trasformazione digitale del settore della salute; sono solo alcuni dei temi che verranno trattati da esperti del Gruppo Johnson&Johnson e dei tanti partner del progetto: Anlaids, Susan G. Komen Italia Onlus, Villa Maraini Onlus, Croce Rossa Italiana, Un respiro per la vita Onlus, Never Give Up Onlus, Università Campus Bio-Medico di Roma, Centro Integrato di Senologia-Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.

La seconda edizione del progetto è stata presentata oggi, 21 ottobre 2021, con un evento di lancio in diretta Zoom. Si è aperto con i saluti istituzionali di Massimo Scaccabarozzi, presidente della Fondazione Johnson&Johnson, Mirta Michilli, direttore generale di Fondazione Mondo Digitale, e Paola Testori Coggi, Special Advisor del Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita ALISEI,e Chair T20 Task Force Global Health and Covid-19 e Former Director General Health and Consumers of the European Commission. È seguita la presentazione del programma completo di H4U e la condivisione degli obiettivi del progetto, affidata a Barbara Saba, direttore generale della Fondazione Johnson&Johnson. La diretta si è conclusa con un primo panel di esperti dei partner del progetto.

“Nonostante la pandemia abbia messo a dura prova la nostra quotidianità e abbia in particolar modo sfidato la tenuta del nostro Sistema sanitario nazionale, ci ha trasmesso allo stesso tempo anche tanti insegnamenti: in primis, ci ha donato una rinnovata percezione del valore della salute. Questa nuova consapevolezza è ciò che ci può dare ora la forza di ripartire, rendendo l’emergenza che abbiamo vissuto un’occasione per costruire le basi della sanità del futuro. Per farlo, però, è necessario investire sulle persone e in particolar modo sui giovani, la cui formazione è uno dei principali driver di crescita” - ha dichiarato Massimo Scaccabarozzi, Presidente della Fondazione della Fondazione Johnson & Johnson Italia e di Janssen Italia. “Siamo lieti, dunque, di lanciare oggi la nuova edizione di Health4U, per accompagnare migliaia di studentesse e studenti alla scoperta di un settore in continuo cambiamento e di professioni che regalano vita!” 

“Il mondo della Sanità è in continua evoluzione e si aprono nuove sfide per garantire sostenibilità, accesso, equità e gestione delle emergenze. La Task force Global Health and Covid-19 del T20  ha evidenziato le priorità nell’ambito dei sistemi sanitari, della strategia One Health, della sanità digitale e della prevenzione. C’è un grande spazio per i giovani che si affacciano a questo mondo per partecipare a questo nuovo capitolo dell’Healthcare e della Global Health: credo che un programma come questo possa aiutarli ad orientarsi ed a comprendere il mondo della Salute e le professioni che offre “ ha sottolineato Paola Testori Coggi.

“Il lancio della nuova edizione di Health4U ci rende molto orgogliosi e il successo dell’edizione passata ci ha dato grande soddisfazione: crediamo che educare ed informare le ragazze e i ragazzi sull’importanza e sulle opportunità del mondo della Sanità in questo momento di grande innovazione e trasformazione sia fondamentale anche per costruire il futuro dell’healthcare nel nostro Paese” ha commentato Barbara Saba

“Con l’emergenza sanitaria abbiamo capito quanto sia urgente che i giovani medici sviluppino capacità multidisciplinari per affrontare sfide sanitarie sempre più complesse. Ora aiutiamo la scuola a comprendere e raccontare la trasformazione digitale del settore della salute, perché i giovani possano essere protagonisti di questo cambiamento. Con Health4U cominciamo a costruire insieme una sanità One Health Digital” ha dichiarato Mirta Michilli.

Il percorso, che prevede due incontri formativi al mese, inizia oggi e coinvolgerà gli studenti e le studentesse fino a giugno 2022.

mercoledì 20 ottobre 2021

Libri, Il vino nella Bibbia di Jabier Marquinez. Uno sguardo laico sul primo e più antico trattato di viticultura ed enologia al mondo

“Il vino nella Bibbia” edito da Ampelos, casa editrice specializzata nel settore vitivinicolo, presenta questo manuale che ogni appassionato winelover dovrebbe avere nella sua personale raccolta. Il libro scritto da Jabier Marquinez, enologo spagnolo ed esperto laico e privo di pregiudizi, ci indica nuove strade per imparare a conoscere questa bevanda, così indispensabile e preziosa fin dall’antichità.



La Bibbia è non solo la raccolta delle Sacre Scritture per gli Ebrei e i Cristiani, ma anche il primo e il più antico trattato di viticultura ed enologia al mondo. Contiene centinaia di cenni al vino, alla vite, all'uva e alle tecniche di lavorazione, solo i richiami all'acqua e al pane ricorrono più frequentemente.

Quest'analisi “enologica” del Sacro Testo, alternativa ed interessante, emerge dall'opera “Il vino nella Bibbia”. L'autore è Jabier Marquinez, un enologo spagnolo affascinato a tal punto dalla sfera  umana, sociale e culturale del vino ed in particolare dallo stretto connubio con la religione, che ha scritto un volume pensando al prelibato nettare come filo conduttore. Marquinez si esime dall'approccio teologico, individua una nuova chiave di lettura, scopre un libro nel libro per approfondire e analizzare il sacro testo, svelando l'enorme significato simbolico e religioso del vino. Per evitare di cadere in errore, non trascura i riscontri con i grandi scrittori classici come Catone il Vecchio, Plinio il Vecchio, Virgilio e Tito Flavio Giuseppe.

«Quella che era iniziata come una semplice curiosità si è poi trasformata in una specie di ossessione quando ho iniziato a raccogliere i riferimenti biblici al vino e all'uva ed ho cercato di comprenderne il vero significato - scrive Jabier Marquinez - con crescente sorpresa ed emozione continuavo a trovare argomenti che ritenevo sempre più moderni».

Dalla vigna alla coppa: così i capitoli si susseguono, sempre più coinvolgenti e nel rispetto dell'iter produttivo; i passi sono pedissequamente citati. I brani selezionati contengono informazioni tecniche e culturali, ad eccezione dell'ultimo capitolo dedicato all'amore; non mancano le raccomandazioni per godere dei piaceri del vino ed evitare i pericoli dell'abuso. Si affrontano ques tioni attuali come icontratti di lavoro, le tecniche di innesto, le malattie della pianta, i processi di invecchiamento e vinificazione, gli aspetti legali, economici e politici dell'epoca. 

I dubbi e le perplessità trovano una risposta. Ai tempi della Bibbia come si sceglievano le varietà da impiantare? Nella sezione dedicata alle viti il mistero è svelato: saprete come si abbinava la varietà al contesto pedoclimatico.

L'edizione italiana è di particolare pregio, arricchita con circa quaranta iconografie attentamente selezionate dallo studioso Cristian Ispir che ha scritto anche una delle prefazioni, mentre l’altra è stata affidata al Cardinale Vicario Angelo De Donatis.

«Il vino era un elemento fondamentale della liturgia sia giudaica sia cristiana. Per il Nuovo Testamento cristiano, il vino era, mi si perdoni l’espressione, intriso di molteplici significati. Nei Vangeli Gesù disse: “Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,1). A Cana Gesù trasformò l’acqua in vino. Durante l’Ultima Cena, il vino divenne la base della nuova Alleanza. È stato così che la forza allegorica, tropologica e metafisica della metafora del vino si è diffusa in tutto il mondo. L’iconografia dei manoscritti medievali assorbiva con foga il succo che sgorgava dalla vite cristiana e lo riversava in molti t esti».

Foliage: come promuovere le risorse ambientali per un turismo sostenibile tra vini, sapori e colori del territorio abruzzese

“Foliage d’Abruzzo”, al via l'evento per promuovere le risorse ambientali per un turismo sostenibile che sviluppi anche l’enoturismo. Prende il via il 24 ottobre una passeggiata tra vigneti come incontro sulla promozione delle esperienze enoturistiche nel periodo autunnale.




Si svolgerà in Abruzzo “Foliage d’Abruzzo”, l’iniziativa tra vini, sapori e colori del territorio organizzata da D’Abruzzo Turismo Cultura Ambiente e dal Movimento Turismo del Vino Abruzzo. La giornata programmata per il giorno 24 ottobre a Crecchio inizierà alle 9:30 e sarà organizzata in due momenti: un incontro sulla promozione delle esperienze enoturistiche nel periodo autunnale, nell’Auditorium della chiesa di Santa Maria da Piedi, e una passeggiata tra i vigneti nella valle dei mulini con degustazione finale di piatti tipici, vino e olio a Palazzo Monaco, a cura del Movimento Turismo Vino Abruzzo e Movimento Turismo Olio Abruzzo. 

Il foliage è quel fenomeno spontaneo per cui alcune specie di alberi nella stagione autunnale cambiano il colore delle loro foglie che cadono poi a terra ricoprendo prati e sentieri. Boschi e vigneti con vibrazioni di gialli, aranci e oro, diventano percorsi esperienziali dai primi di ottobre alla seconda metà di novembre, un periodo dell’anno spesso trascurato e invece pieno di risorse attrattive quali la magnificenza dei paesaggi colorati, i profumi, i prodotti della terra, i vigneti, i castagneti, le faggete e le feste. La pandemia ha ulteriormente portato a guardare alla natura e ai paesaggi con un rinnovato interesse, come si è potuto registrare nell’estate appena passata.

L’Abruzzo vanta dal punto di vista naturalistico un ruolo di primo piano nel contesto dell’intero territorio europeo per la straordinaria ricchezza biologica di specie vegetali. Alcune di queste specie offrono colorate e affascinanti fioriture: le gialle faggete squarciate dagli aceri rossi, i castagneti della valle Roveto, Bosco Martese, i boschi di Val Fondillo e della valle Cervaro di Villavallelonga, la più antica foresta di faggio in Europa. I paesaggi agrari, ed in particolare vigneti delle terre d’eccellenza del Montepulciano d’Abruzzo, si caratterizzano dalle ondulazioni del territorio collinare con le foglie che degradano dai toni del giallo all’arancio acceso.

“Abbiamo organizzato questa giornata per offrire un punto di vista nuovo sul paesaggio agrario abruzzese” – afferma Gaetano Basti direttore di D’Abruzzo – “così come da tempo nel nord America il foliage è sinonimo di immersione nei colori dei boschi autunnali, anche nelle nostre montagne, colline e vigneti possiamo assistere a questo suggestivo fenomeno autunnale da valorizzare in tutti gli aspetti. Credo, infatti, che anche in Abruzzo sia possibile destagionalizzare l’offerta turistica in favore di un turismo lento proprio perché abbiamo un paesaggio da godere e far conoscere”.

“Dopo le fortunate edizioni del Cammino dei Vignandanti che abbiamo organizzato negli anni scorsi – spiega Nicola D’Auria Presidente del Movimento Turismo Vino – quest'anno raccogliendo l'invito degli amici di D'Abruzzo abbiamo voluto dare questa specifica declinazione sul Foliage al classico evento associativo autunnale. Come MTV Abruzzo siamo convinti che questa chiave di lettura del periodo autunnale abbia un enorme potenziale dal punto di vista turistico per la nostra regione anche grazie alla bellezza dei vigneti delle colline abruzzesi”.

L’incontro si terrà nella mattina e, dopo i saluti istituzionali del Sindaco di Crecchio Nicolino di Paolo, dell’Assessore Daniele D’Amario alle Attività Produttive (Industria, Commercio, Artigianato) Turismo, Beni e Attività Culturali e di Spettacolo, di Gaetano Basti, (direttore della Rivista D’Abruzzo), di Nicola D’Auria (Presidente Movimento Turismo Vino) e Piercarmine Tilli (Presidente Movimento Turismo Olio Abruzzo),  seguiranno gli interventi del prof. Ernesto Di Renzo (Docente di Antropologia del Gusto e di Turismo Enogastronomico Università di Roma Tor Vergata) Dall’esperienza dei luoghi all’esperienza dei sensi per un turismo integrato della destinazione Abruzzo, del prof. Aurelio Manzi (naturalista, biologo e docente nella Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali di Teramo) Le trasformazioni del paesaggio frentano attraverso le stagioni, di Mimmo D’Alessio (Vice Presidente Vicario Accademia Italiana Della Cucina) Tra il ribollir dei vini e spiedi scoppiettanti...i sapori dell’autunno.

Per partecipare all’evento è necessaria la prenotazione a: abruzzo@movimentoturismovino.it

MIAOHAUS, al via il progetto che ruota attorno al tema dei processi creativi dedicato ai bambini

MIAOHAUS - spazio ai più piccoli: al Teatro del Lido prende il via il progetto dedicato dal Teatro del Lido al pubblico dei bambini. Il 22 ottobre, 27 novembre, 10 e 17 dicembre. Laboratori gratuiti. Iscrizioni: promozione@teatrodellido.it.




Dal 22 ottobre e fino al 17 dicembre il Teatro del Lido di Ostia apre ai più piccoli i laboratori gratuiti dello Spazio MIAOHAUS per imparare e per giocare con l’arte, lo storytelling, la letteratura per l’infanzia, per un pubblico dai 4 anni. 

MIAOHAUS, è un progetto cura di Magazzino dei Semi. Cinque laboratori dedicati ai più piccoli di varie fasce di età che nasce per dare una risposta alla carenza di spazi espositivi e di espressione, dedicati ai giovanissimi, sul territorio di Ostia, 

Allo spazio MIAOHAUS si arriva salendo sulla terrazza che si affaccia sul mare. Si raggiunge un piccolo scrigno, uno spazio di ricerca in ambito artistico, dedicato ai bambini e alle bambine. Un luogo dove si realizzano mostre, laboratori ed eventi che ruotano attorno al tema dei processi creativi. Uno spazio in cui bambine e bambini possono entrare in contatto con vari linguaggi artistici e vivere esperienze creative, accompagnati da formatori e artisti che li conducono a scoprire e sperimentare il mondo delle arti visive e della creatività.

Si parte venerdì 22 ottobre con Mi faccio casa a cura di Cristiana Pezzetta, dell’associazione Semi di Carta, un laboratorio per 10 partecipanti, dagli 8 anni in su, che stimolati dalla lettura di albi illustrati, verranno condotti a trovare immagini e parole che possano costruire la propria ‘casa interiore’, per poi realizzarla in forma di ‘libro-casa’, scegliendo le parole che ne costruiscano l’identità.

Il 27 novembre, una giornata dedicata al progetto CartAE, ideato del Collettivo AE, presente al Teatro del Lido anche con la mostra a ingresso gratuito CartAE - cartografia estetica,(dal 5 al 28 novembre).

Due i laboratori per i più piccoli. Alle 11.30 Carta E... a cura di Luisella Zambon, per bambini e bambine dai 4 agli 8 anni: un laboratorio artistico, uno spazio di gioco e creatività, a partire dagli stimoli prodotti proprio dalla mostra CartAE. «Scegli una carta, mettila dove vuoi ed esplora, attraverso i disegni, tutto il mondo possibile».

Alle 16.30 è la volta di CARTAE per narrare e disegnare rotte, a cura di Giancarlo Chirico, un laboratorio di storytelling, per bambini dagli 8 anni in su, che verranno condotti a immaginare ‘nuove rotte’ che parlino di loro stessi. «Entra nel cerchio delle storie, pesca una carta: dove ti porterà? Un laboratorio di storytelling per immaginare nuove rotte che parlano di noi».

CartAE è un mazzo di carte illustrato da 40 artisti diversi, un progetto polifonico e relazionale che racconta 40 stili e visioni del mondo. 40 possibilità per il giocatore, chiamato a osservare, interpretare, re-inventare. Un mazzo di carte versatile e stimolante in mano ai genitori, ai librai, ai bibliotecari, agli insegnanti, per inventare storie, rafforzare l’interazione ludica e la co-costruzione narrativa in giochi di ruolo o collettivi, per stimolare la riflessione e il pensiero critico. L’incontro è rivolto ai ragazzi dai 13 anni in su e propone alcune pratiche narrative e di storytelling: a partire dal lavoro sulle immagini, verranno tracciate nuove rotte semantiche, giocando e immaginando possibilità inedite e sempre diverse, imparando a raccontare se stessi e il mondo intorno.

Infine chiude il primo trimestre di programmazione il 10 e il 17 dicembre, Libro Circense a cura di Fernanda Pessolano per Bianco Teatro e Ti con Zero, un laboratorio di costruzione del libro d’arte, ispirato da “Il leone dalla barba bianca” di Tonino Guerra, riservato a bambini e bambine dagli 8 agli 11 anni. Un’opportunità per imparare a costruire un libro collettivo, un circo di carta, prendendo le mosse dal racconto di Tonino Guerra.

Storia di un circo, di un sognatore e di un leone. Un finale felliniano tra malinconia e bizzarria, realtà e sogno. Una storia, una opportunità per imparare a costruire un libro collettivo, un circo di carta. Dal cartamodello alla composizione, dalla storia alla drammaturgia, dai personaggi alle marionette di carta, dalla trama al canovaccio.

Si sperimenteranno tecniche di costruzione e semplificazione dei cartamodelli.

Dopo aver sperimentato la tecnica di montaggio e prendendo spunto dai cartamodelli antichi, i bambini progetteranno e costruiranno un libro collettivo dedicato alla favola di Tonino Guerra.

lunedì 18 ottobre 2021

Il favoloso Gianni, al Teatro del Lido la mostra con i testi più famosi di Gianni Rodari illustrati da Paola Rodari

Al Teatro del Lido è di scena la mostra Il favoloso Gianni con una raccolta di pannelli contenenti alcuni degli scritti più famosi di Rodari accompagnati dalle illustrazioni della figlia Paola messi a disposizione dal Comitato Rodari 100 e dalla casa editrice EL. Fino al 31 ottobre, ingresso gratuito.




La mostra che celebra il grande scrittore per ragazzi è stata realizzata originariamente negli anni ’80 dal Coordinamento Genitori Democratici (ONLUS fondata nel 1976 da Marisa Musu e Gianni Rodari, sull’onda dei movimenti di partecipazione e di rinnovamento democratico delle istituzioni tradizionali), con testi di Rodari e disegni di Paola Rodari. Un ringraziamento particolare va al Coordinamento Genitori Democratici e Paola Rodari per averla messa a disposizione. 

Bambini e adulti insieme potranno così conoscere la figura di questo grande maestro della parola e della fantasia. Gianni Rodari è stato uno scrittore, pedagogista, giornalista e poeta, specializzato in testi per bambini e ragazzi e tradotto in moltissime lingue. Vincitore del prestigioso Premio Hans Christian Andersen (edizione 1970), fu uno tra i maggiori interpreti del tema "fantastico" nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, sua opera principale, uno fra i principali teorici dell'arte di inventare storie.

Famoso per l'originalità dei suoi racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per ragazzi, Rodari ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi. Tra le sue opere maggiori si ricordano Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli errori, Favole al telefono, Il gioco dei quattro cantoni, C'era due volte il barone Lamberto. 

Dal suo libro La freccia azzurra è stato tratto un omonimo film d'animazione nel 1996. Nel 1961 in Unione Sovietica uscì anche un cartone animato su Cipollino, recentemente tradotto e diffuso in Italia per il mercato home video.

venerdì 15 ottobre 2021

Alimentazione, quanto la conoscenza influenza le scelte e le abitudini?

In occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione uno studio, pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in Nutrition, ha analizzato quanto le nostre scelte alimentari sono influenzate dalle conoscenze nutrizionali in nostro possesso e quanto pregiudizi e convinzioni personali comportano abitudini alimentari non sane.




La consapevolezza nutrizionale degli individui e la conoscenza e la percezione soggettive dell'importanza di una dieta equilibrata sono fattori determinanti che influenzano le scelte alimentari, il comportamento dei consumatori e l'apporto nutrizionale molto più della conoscenza oggettiva, consolidata e acquisita da fonti qualificate senza interpretazione personale. E’ quanto emerge nello studio Relationship Between Nutrition Knowledge and Dietary Intake: An Assessment Among a Sample of Italian Adults (Relazione tra conoscenza nutrizionale e apporto dietetico: una valutazione tra un campione di adulti italiani) effettuato dal CREA, con il suo centro di Alimenti e Nutrizione, appena pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in Nutrition.

Lo studio

Dopo aver somministrato un questionario ad un campione di 591 genitori di alunni della scuola primaria, reclutati nel comune di Roma (contesto urbano) e provincia (contesto rurale) ed aver costruito, sulla base dei loro consumi alimentari, un indice di aderenza alle raccomandazioni nutrizionali, sono state valutate le loro conoscenze nutrizionali oggettive, in relazione al loro grado percepito di conoscenza nutrizionale. È stato effettuato, inoltre, un confronto con le abitudini alimentari e l’aderenza alle raccomandazioni indicate nelle line guida per una sana alimentazione. Lo scopo di questo studio, infatti, è stato di misurare il livello di conoscenze nutrizionali, utilizzando un approccio innovativo in grado di combinare quelle oggettive e soggettive con i profili dietetici e di profilare anche i segmenti della popolazione più bisognosi di interventi. L’ipotesi avvalorata è che tali conoscenze abbiano un impatto sull'aderenza alle raccomandazioni nutrizionali.

I risultati 

Meno della metà dei soggetti studiati (46%) ha fornito risposte corrette, dimostrando di conoscere le tematiche di nutrizione. Il questionario è stato articolato in tre ambiti conoscitivi: le raccomandazioni degli esperti, la composizione degli alimenti e la relazione tra alimentazione e patologie, con il primo che ha ottenuto la percentuale più alta (59%) di risposte corrette.

La maggioranza degli intervistati (66%) ritiene di avere un elevato livello di conoscenza nutrizionale, che, però, solo nel 37% dei casi corrisponde effettivamente al vero.

Il 40% del campione ha mostrato abitudini alimentari congruenti con il grado informativo dimostrato, con la massima aderenza alle raccomandazioni nutrizionali, almeno per alimenti selezionati come frutta, verdura e grassi. Da evidenziare, infine, come la componente socioeconomica - ad esempio vivere in aree rurali, essere giovani e avere un basso livello di istruzione scolastica - sia risultata un fattore associato a una bassa alfabetizzazione nutrizionale o / e ad abitudini alimentari malsane.

«La conoscenza nutrizionale – dichiara Laura Rossi, nutrizionista e ricercatrice del CREA, coordinatrice dello studio - rappresenta uno strumento fondamentale per valutare il livello di consapevolezza sui temi della nutrizione, soprattutto per i gruppi vulnerabili di popolazione, avvalorando l’ipotesi dell’esistenza di una relazione tra apporto dietetico e conoscenza nutrizionale. Quest’ultima, quindi, può essere funzionale sia alla scelta di un’alimentazione sana e sia alla valutazione dell’aderenza alle linee guida alimentari». 

Lo studio è disponibile al seguente link: www.frontiersin.org/articles/

giovedì 14 ottobre 2021

La musica di Verdi raccontata dai cartoon. Dalla serie a cartoni animati "Oto e la musica"

Al via su Rai Scuola la serie in 12 puntate Oto e la musica. Prima puntata dedicata a Giuseppe Verdi e alle sue opere più famose: l'Aida, La traviata, Rigoletto e Nabucco. Prossime puntate dedicate a Bach, Beethoven, Listz, Rossini, Chopin, Schumann, Vivaldi, Schubert, Mozart, Strauss e Corelli.


 


Oto e la musica (2013 Giappone), per la regia di Fusako Yusaki, prende il via su Rai Scuola la serie giapponese in 12 puntate Oto e la musica. La serie, pensata per trasmettere la conoscenza dei grandi compositori del passato ai giovanissimi, dedica la prima puntata a Giuseppe Verdi (10 ottobre 1813 - 27 gennaio 1901) e alle sue opere più famose: l'Aida, La traviata, Rigoletto e Nabucco. Il polipo rosso protagonista della serie, incontra Verdi e nasce una lezione di storia della musica. 

Oto è un piccolo polpo rosso di plastilina dai grandi occhi spalancati e un impertinente naso a trombetta multifunzionale. Non parla, ma si esprime benissimo col movimento e la variabilità delle sue espressioni e ha la capacità di assumere qualsiasi natura, genere e forma. Vive in un mare d'onde musicali, perché la sua passione è proprio la musica e i suoi specialissimi incontri/metamorfosi avvengono con grandi musicisti e correnti musicali che, attraverso la loro arte, hanno regalato al mondo emozioni, atmosfere e sentimenti, passando direttamente dalle orecchie al cuore. E proprio grazie alla sua sensibilità, Oto sa interpretare e riproporre sentimenti ed emozioni espresse dalla musica e dai grandi musicisti che incontra.

Ogni incontro è una scoperta, un gioco. Ad esempio può rubare la parrucca a Bach e farsi rincorrere lungo le scale mirabili delle sue fughe perfette, diventa la penna con cui Verdi scrive le sue opere, come OTO-Mozart si rimpinza di squisiti baci di dama viennesi, ma sa vibrare di struggente malinconia passando dal violino al pianoforte, dal flauto al clavicembalo.

OTO vive e fa vivere avventure e incontri tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del mondo, sfogliando in leggerezza i secoli della musica.

Le sue trasformazioni impreviste e sorprendenti, l’animazione giocosa di divertenti siparietti impossibili, le apparizioni oniriche di stupita poesia giocano a rendere visibile e concreta l’anima astratta della musica.

Fusako Yusaki, Artist, Designer, Animator, nasce in Giappone il 17 Dicembre 1937. Si laurea in Design Creativo. Dopo gli studi si è specializzata nell’animazione con la tecnica della plastilina. Nel 1964 si è stabilita a Milano e nel 1971 ha vinto il Bagatto d’oro con gli short pubblicitari del Fernet Branca per Carosello. Sua la notissima sigla dell’Albero Azzurro, il programma per ragazzi della Rai. Ha collaborato con la Rai, laTSI , la NHK, con lo IED utilizzando la sua caratteristica di ricerca della metamorfosi della materia. Suoi sono vari cortometraggi e miniserie sempre con la tecnica del passo uno con la plastilina. Ha ricevuto il titolo di Donna Artista dalla Fondazione culturale Avon, il Premio alla Carriera del Pulcinella Award e del Short Express, il Diploma Onoris Causa del Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino. 

mercoledì 13 ottobre 2021

Prima, donna. Margaret Bourke-White

Al Museo di Roma in Trastevere una mostra dedicata a Margaret Bourke-White, una tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo. Dal 21/09/2021 al 27/02/2022.



È dedicata a Margaret Bourke-White, una tra le figure più rappresentative ed emblematiche del fotogiornalismo, la mostra retrospettiva che documenta attraverso oltre 100 immagini la visione e la vita controcorrente della fotografa statunitense.

Pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate più importanti come Fortune e Life; dalle cronache visive del secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi (conosciuto durante il reportage sulla nascita della nuova India e ritratto poco prima della sua morte); dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.

Oltre 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 gruppi tematici che, in una visione cronologica, rintracciano il filo del percorso esistenziale di Margaret Bourke-White e mostrano la sua capacità visionaria e insieme narrativa, in grado di comporre “storie” fotografiche dense e folgoranti.

Sezioni della mostra:

- prima sezione, L’incanto delle acciaierie, mostra i primi lavori industriali di Margaret;

- seconda sezione, Conca di polvere, documenta il lavoro sociale realizzato dalla fotografa negli anni della Grande Depressione nel Sud degli USA;

- terza sezione, LIFE, dedicata alla lunga collaborazione con la leggendaria rivista americana LIFE;

- quarta sezione, Sguardi sulla Russia, vi è inquadrato il periodo in cui Margaret Bourke-White documentò le fasi del piano quinquennale in Unione Sovietica;

- quinta sezione, Sul fronte dimenticato: gli anni della guerra, racconta quando per lei fu disegnata la prima divisa militare per una donna corrispondente di guerra;

- sesta sezione, Nei Campi, vi è testimoniato l’orrore al momento della liberazione del Campo di concentramento di Buchenwald (1945);

- settima sezione, L'India, raccoglie il lungo reportage compiuto dalla fotografa al momento dell’indipendenza dell’India e della sua separazione con il Pakistan;

- ottava sezione, Sud Africa, offre una documentazione del grande paese africano durante l’Apartheid;

- nona sezione, Voci del Sud bianco, vi si trova il lavoro a colori del 1956 dedicato al tema del segregazionismo del Sud degli USA;

- decima sezione, In alto e a casa, raccoglie alcune tra le più significative immagini aeree realizzate dalla fotografa nel corso della sua vita;

- undicesima sezione, La mia misteriosa malattia, una serie di immagini che documentano la sua ultima, strenua lotta, quello contro il morbo di Parkinson.

L’esposizione è accompagnata da Storie di fotografe e di immagini: ciclo di incontri e di approfondimenti aperti al pubblico intorno ai temi della fotografia e dell’identità femminile.

Adolfo Porry-Pastorel. L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia

 Al Museo di Roma fino al 24 ottobre la prima grande personale dedicata al padre dei fotoreporter italiani. Un pioniere dell’immagine politica, di costume, della società. La nascita del nostro modo di guardare nella notizia.




Quando parliamo di attualità, di ultim’ora, di inchieste e testimonianze su realtà scomode, e di gossip, scoop, retroscena, cronache nere o rosa, difficilmente sappiamo che questi termini per noi scontati hanno in realtà origini e atti di nascita ben più antichi di quanto immaginiamo.

Ora una grande mostra fotografica e multimediale a Roma ci racconta in che modo sia nata, in Italia, l’arte della notizia per immagini, ossia il modo più comune con cui quotidianamente ci aggiorniamo e conosciamo l’attualità che ci circonda.

Ospitata dal 2 luglio al 24 ottobre 2021 al Museo di Roma a Palazzo Braschi, Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia è la prima esposizione personale dedicata al ‘padre’ dei fotoreporter italiani, nonché al progenitore dei ‘paparazzi’. Il pioniere di un mestiere e un’arte grazie a cui da più di un secolo l’opinione pubblica vede ‘quello che succede’, fatti, avvenimenti, personaggi, partecipando alla vita sociale del Paese.

Un evento espositivo che regala la scoperta di un fotografo, giornalista, testimone di immenso talento, che ha forgiato un modo di raccontare il nostro tempo.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Oltre 80 scatti, provenienti dall’Archivio storico Luce (che conserva 1700 negativi di Pastorel e più di 180.000 immagini della sua Agenzia fotografica VEDO) e da altri importanti fondi, come l'Archivio Fotografico Storico del Museo di Roma, e gli archivi Farabola, Vania Colasanti, Fondazione Turati, illustrano, in un percorso cronologico e creativo, arricchito da preziosi filmati d’archivio, stampe originali, documenti inediti e oggetti personali, la vita, gli scatti, i rapporti e le diverse passioni di Adolfo Porry-Pastorel. Fotografo, giornalista, reporter, dagli anni Dieci ai Quaranta del Novecento con la sua macchina fotografica e alla guida della sua agenzia VEDO riuscì a essere ovunque, dando vita, con le immagini inviate a giornali e rotocalchi, a un racconto inedito e sorprendente della storia d'Italia.

Classe 1888, professionista fotografo a 20 anni prima al ‘Messaggero’ poi al ‘Giornale d’Italia’ e ‘La Voce’, sperimentatore ardito di tecniche di stampa e trasmissione delle immagini, e di stratagemmi infiniti per procacciarsi eventi e scoop, tra le due guerre Pastorel è riuscito a passare per ‘il fotografo di Mussolini’ e contemporaneamente per un fastidioso scrutatore del regime. Ha avuto accesso alle stanze più intime del governo e del potere ed è stato attenzionato dalla censura fascista. Ha dato a milioni di italiani la cronaca viva di grandi eventi storici e politici, e ha raccontato come pochi il costume, la leggerezza del tempo libero, le nuove abitudini degli italiani. Ha posto le basi del fotogiornalismo, narrando il dietro le quinte della politica e del quotidiano.

Nel 1908 a soli 20 anni fonda la sua agenzia, dal nome programmatico: V.E.D.O. – Visioni Editoriali Diffuse Ovunque. Un acronimo per comunicare la sua velocissima ubiquità. Inventore di proto-marketing, il biglietto da visita di Pastorel era uno specchio da borsetta per signore, con sul retro il telefono dell’agenzia da chiamare subito in caso di avvenimenti di cronaca. La variante maschile, un orologio da tasca, era data in regalo ai vigili urbani.

Le foto in mostra ci raccontano la doppia anima dello sguardo di Pastorel: da un lato l’attento, fulminante cronista di costume popolare, dall’altro la cronaca del potere politico. Che tra gli anni Venti e Quaranta in Italia ha un solo protagonista, Benito Mussolini. Col duce, Porry-Pastorel intrattiene un rapporto dialettico, fatto di scambio e profonde diffidenze. Era di Pastorel lo scatto celeberrimo di Mussolini arrestato nel 1915 e malamente portato via durante una manifestazione interventista, una foto che il futuro dittatore non gli perdonerà mai (e che sarà però al tempo stesso una sorta di trofeo per lui da esibire). Uno scambio di battute tra i due dà la misura: ‘Sempre il solito fotografo’ – ‘Sempre il solito Presidente del Consiglio’. Ma Pastorel consegna alle tipografie alcune foto che diventano emblemi della rappresentazione mussoliniana: come quelle del duce impegnato a torso nudo nella trebbiatura, durante la Campagna per il Grano, note a noi ancora oggi, oppure con il figlio Romano issato sulle spalle, iconografia pura di una propaganda familista. Il fotografo ha una tale familiarità col capo del governo da accedere nei suoi soggiorni in vacanza, o da permettersi quanto di più proibito: fotografare il duce di spalle, addirittura inquadrando con malizia il palchetto che ne solleva la statura. Oppure mostrando Mussolini che ride. Un’immagine del tutto irrituale, rarissima, che questa esposizione ci regala.

Ma Pastorel è anche l’autore di un epocale reportage sul ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti, il più grave caso di omicidio politico della prima metà del ‘900 in Italia, massimo momento di crisi per il fascismo. Sono immagini di una precisione comunicativa straordinaria, da maestro del reportage.

O ancora fondamentali sono gli scatti della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo, grazie ai quali oggi osserviamo il formarsi degli schemi comunicativi e dei riti della dittatura.

Il fotografo è presente di persona e con i collaboratori della VEDO nelle occasioni ufficiali e ufficiose che contano. Un aneddoto sulla sua capacità di penetrazione è la presenza durante la storica la visita di Hitler in Italia nel 1938, con l’esibizione a Napoli di una flotta non così numerosa come Mussolini diede a vedere all’alleato. Nell’occasione Pastorel perfeziona un audace sistema di trasmissione delle immagini all’agenzia di Roma: i piccioni viaggiatori.

Pastorel mostra le contraddizioni del regime senza riserve: smonta i trionfalismi, celebrando però i ‘backstage’. Immortala le risate dei gerarchi, la bassa statura del Re, il conformismo oceanico delle adunate di piazza, rompe il cerimoniale riprendendo i protagonisti in pose più disinvolte e inaspettate. La sua foto non giudica, ma nessun altro fa in quegli anni un tale uso di ironia, inquadrature inusuali, composizioni irrituali. Le foto in mostra ci regalano puro giornalismo, racconto vivo e scattante dello spirito dell’epoca.

Altrettanto eccezionali e vivaci sono le foto di Pastorel dedicate al costume, alla gente comune. È un’Italia non ingessata nella posa del regime, spesso in movimento, colta di sorpresa: ai bagni al mare, nei caffè, nelle inaugurazioni di gala, nelle cerimonie pubbliche, i comizi, matrimoni, funerali; il varo di un dirigibile, al circo, sul set di un film, nelle passeggiate, nelle nozze di sposini autarchici che vanno in chiesa in bici. Un filo sembra legare le foto politiche a quelle popolari, i ritratti di Primo Carnera in pantaloncini, di Mussolini

e Ciano in spiaggia in costume, delle signore al mare. Nelle foto di Pastorel con sottile sovvertimento, il potere si dissacra, mentre la vita quotidiana si fa rito. Messinscena curata, sacra e laica.

Come la tipica immagine dell’Istituto Luce tendeva a mettere in posa i concittadini, mostrando propagandisticamente come il Fascismo e Mussolini fossero dovunque, in ogni aspetto della vita e della società, in maniera simile le foto di Pastorel e dell’agenzia VEDO comunicano che il fotografo è ovunque, pronto a ritrarre il paese in contropiede. Mentre il Luce costruisce la storia, Pastorel compone una controstoria. Una versione indiscreta, viva, rivelatoria dell’Italia.

Con la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, e soprattutto con la perdita dell’amato figlio Alberto, anche lui fotografo, inviato nella tragica campagna di Russia da cui non tornerà più, Adolfo Pastorel subisce un contraccolpo. L’ambito in cui si è mosso a grande velocità è mutato, un’epoca che lui ha fissato con la macchina è conclusa. Appende la macchina al chiodo, restando tuttavia a gestire l’agenzia Vedo e i suoi collaboratori, allievi divenuti in alcuni casi affermati professionisti.

L’ultima parte della mostra ci racconta di una nuova vita di Pastorel, nel felice ritiro di Castel San Pietro Romano, borgo di cui diverrà sindaco e promotore per il cinema. È qui infatti che Pastorel consiglierà a Vittorio De Sica, protagonista del film con Gina Lollobrigida, di far girare Pane, amore e fantasia. Il successo epocale della pellicola farà tornare troupe per altri titoli celebri. Il ritratto insieme a De Sica racconta di un amore non secondario di Pastorel per il mezzo cinematografico, figlio della fotografia.

Mentre l’ultimo scatto in mostra è un testamento. La foto è di Pierluigi Praturlon, grande fotografo di scena, e ritrae Pastorel, con alle spalle e macchina alla mano Tazio Secchiaroli, altro grandissimo dell’obiettivo e prototipo del paparazzo, nonché allievo del nostro fotografo. È un passaggio di consegne avvenuto al Congresso dei Fotoreporter del 1958, categoria di cui Pastorel è in quel momento presidente. Cinquant’anni prima aveva fondato la sua agenzia, e una nuova generazione di geniali reporter, paparazzi e poi grandissimi fotografi sociali, che hanno dato immagine alla seconda parte del secolo, rendeva omaggio a un loro capostipite.

Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia regala a pubblico, appassionati e studiosi la prima personale di un artista che sia per attitudine personale, che per ragioni storiografiche non ha ancora avuto l’attenzione e il peso che la sua opera e la sua influenza meritano. Negli scatti dell’esposizione troviamo i primi passi di una comunicazione di massa, sviluppata nei quotidiani e nei periodici di grande tiratura degli anni Venti e Trenta, quella della fotografia che racconta autonomamente un fatto senza necessariamente bisogno dell’accompagnamento di un testo, che è diventata primaria nei nostri anni. Si pensi solo ai social media. E regala l’arte della notizia, della rapidità dell’informazione, del raccontare un evento mentre sta accadendo. Infine, nel riportare a Roma un centro del reportage, mentre solitamente la si considera il luogo del servizio leggero, mondano e scandalistico dei paparazzi, l’esposizione salda il ruolo di un cronista a tutto tondo, che riesce a coprire tanto il piano del racconto politico e civile, quanto quello più popolare e di intrattenimento. Pastorel diventa così un grande narratore del suo e del nostro tempo, agile, intuitivo, visionario, senza steccati di genere. Le sue foto, alcune delle quali hanno più di 100 anni, così eccentriche, brillanti, interessanti, corrispondono incredibilmente a quanto noi cerchiamo oggi dall’informazione globalizzata: rapidità, visione, incisività. Le foto di Pastorel, antiche di decenni, risultano straordinariamente attuali, perché il canone della nostra attualità ha tra i suoi fondatori proprio questo meraviglioso reporter.

Completa il percorso espositivo una scelta di filmati storici dell’Archivio Luce, appositamente realizzati per la mostra, che danno il contesto storico e visuale degli anni di Pastorel.

E una preziosa collezione di documenti originali e oggetti appartenuti al fotografo. Tra questi spiccano una lettera di ‘segnalazione’ anonima di Pastorel come fotografo non gradito ad alcuni uffici del regime, una serie di album rilegati con fotografie selezionate da

lui stesso, sia professionali che intime, e uno degli specchietti per signora usati come gadget pubblicitari.

IL CATALOGO

Correda la mostra-evento un catalogo, edito da Electa e Luce-Cinecittà, che non si limita a illustrare iconograficamente con tutte le foto presenti in mostra l’opera di Porry-Pastorel, ma attraverso saggi e testimonianze rappresenta il primo studio organico sul fotografo e sulla stagione che vide la nascita del fotogiornalismo in Italia, e le analogie con il contesto europeo e americano. Curato come la mostra da Enrico Menduni, uno dei nostri massimi esperti di media, il volume raccoglie i testi di studiosi ed esperti di fotografia e della figura di Pastorel, un indice bibliografico e un fondamentale regesto delle foto.