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Ristorazione ospedaliera, quale futuro? L'indagine sulla relazione tra cibo e salute e la direzione in cui si muove il cambiamento in quest’ambito

L'incontro che si è svolto oggi al Lingotto di Torino a cura di Slow Food ha indagato la relazione tra cibo e salute e la direzione in cui si muove il cambiamento in quest’ambito. Il cibo per il cambiamento, appunto. E l’area tematica #foodforchange Cibo e salute testimonia proprio l’attenzione della Chiocciola nei confronti della relazione tra quello che mangiamo e il nostro benessere.




L'80% del personale addetto alle mense richiede attenzione alle materie prime e alla stagionalità: l’ospedale ha anche una responsabilità educativa sui pazienti in quanto il cibo ha un’importanza enorme sul benessere del paziente e risulta ormai evidente la relazione tra la dieta e il percorso di cura di molte patologie. La malnutrizione ospedaliera è ormai riconosciuta in quanto vera e propria patologia che aggrava i motivi di ricovero e allunga il periodo di degenza. Investire su una nuova strategia per migliorare questo aspetto è non solo auspicabile, ma necessario. Per farlo bisogna tenere conto delle esigenze cliniche e culturali di ogni paziente. Il cibo è necessario per star bene e il convegno nasce proprio dall’esigenza di rinnovare il sistema e sensibilizzare gli addetti ai lavori sul tema dell’alimentazione come strumento di terapia ma anche di piacere e benessere del paziente.

Con queste parole Andrea Pezzana, direttore di Dietetica e Nutrizione Clinica ASL Città di Torino, ha dato oggi il via al convegno "L’alimentazione in ospedale, un nuovo approccio alla ristorazione ospedaliera. Quale futuro?", che si è tenuto nell’Aula Magna di Dental School della Città della salute e della scienza al Lingotto, nell’ambito di Terra Madre Salone del Gusto 2018, organizzato da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in corso fino al 24 settembre con eventi a Torino e in tutto il Piemonte.

«Mangiare bene è un diritto di tutti; e ancor di più di chi ha una patologia – ha evidenziato Marco Storchi - responsabile dei servizi di supporto alla persona AO Sant’Orsola Malpighi di Bologna nel suo intervento -. Per noi il cibo e la dieta hanno un prezioso ruolo di supporto alla cura, non possono sostituirsi a essa ma possono potenziare o depotenziare la terapia. Inoltre, è importante il significato simbolico che ha il cibo per le persone; anche questo incide sul benessere o malessere dei pazienti che se ben alimentati possono ridurre i tempi di degenza e tornare più in fretta alla loro vita».

Per questo motivo già nel 2013, appena arrivato al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, Storchi si è impegnato per valorizzare e ottimizzare la ristorazione attraverso una cucina interna che è diventata un vero e proprio laboratorio vivo in cui fare ricerca ogni gior. L’obiettivo? Una proposta buona, sana e sostenibile. In questa direzione va il progetto Crunch – che sta per Cucina e ristorazione uniti nella nutrizione clinica ospedaliera – in collaborazione con partner come Slow Food e l’Università di Scienze Gastronomiche, che vuole rappresentare un ponte fra clinica, settore dietetico, cucina interna, linee guida internazionali e partner esterni. Ma il lavoro non è semplice perché bisogna scardinare procedure di appalto, come le piattaforme di acquisto, o i vecchi modi di intendere il pasto in ospedale.

Un menu buono, pulito, giusto e sano è possibile anche in corsia quindi. Basta trovare soluzioni innovative e tecniche di cottura alternative. Secondo Lia Di Marco, responsabile SSD URP CDSS, spesso i pazienti e chi usufruisce delle mense ospedaliere lamentano (80,7%) cibi scotti e poca varietà nella proposta alimentare. Ma le soluzioni ci sono e arrivano dagli stessi operatori che prestano servizio negli ospedali e sono costantemente in contatto con i pazienti. Il migliaio di questionari che giungono dalle mense della Città della salute e della scienza di Torino suggeriscono pasta integrale che tiene meglio la cottura e ha, inoltre, proprietà nutritive maggiori; e un più ampio impiego di carne bianca, pesce e legumi per ovviare la scarsa varietà dei secondi. Dallo studio emerge, ed è un dato molto interessante, la richiesta di valorizzare la stagionalità di frutta e verdura. Il 79,5%, inoltre, ritiene importante l’uso di prodotti bio e a basso impatto ambientale. Comunque l’83,7% presenta un occhio di riguardo per la scelta delle materie prime contro un 39,3% che pone l’accento sull’importanza della quantità delle porzioni.

Filippo Denaropapa, dirigente responsabile f.f. S.I.A.N. (Igiene degli alimenti e della nutrizione) ASL TO1, propone il progetto Cook & Chill nella ristorazione sanitaria e scolastica. L’espressione – che in italiano significa cuoci e raffredda – indica un sistema di confezionamento dei pasti che consente, oltre che di ridurre i costi, di mantenere pressoché inalterate le caratteristiche qualitative, organolettiche e igieniche, proprie del cibo appena cucinato.

Non manca neanche l’attenzione agli snack proposti dai distributori automatici che spesso nutrono non solo i famigliari dei pazienti, ma anche gli stessi malati, che tentano di trovare un’alternativa al pasto insoddisfacente. A tal proposito Lelio Morricone, Co-fondatore e responsabile scientifico del Progetto EAT – Alimentazione Sostenibile, spiega i criteri di selezione di questi prodotti nell’ambito del Progetto EAT, un programma di rieducazione destinato a scuole e ospedali, che mira a insegnare e stimolare le persone verso uno stile di vita corretto e un’alimentazione sostenibile. Tra i criteri: la drastica riduzione di zuccheri aggiunti e sale, l’aumento del contenuto di fibra, la presenza di alimenti di origine vegetale come frutta e verdura freschi e, tra le bevande, solo acqua e succhi senza zuccheri aggiunti.

Perché, come sostiene Storchi, il rapporto tra cibo e salute non deve limitarsi solo ai giorni di degenza ma si riferisce piuttosto a un discorso a lungo termine. L’ospedale, quindi, ha anche una responsabilità educativa sui pazienti e deve indirizzarli verso uno stile di vita e un’alimentazione più sana nel quotidiano. E per far questo «non basta limitarsi a quanto si è già conquistato. – suggerisce Pezzana. – Non ci si può fermare al bilanciamento dei nutrienti, ma è necessario un nuovo approccio professionale che coinvolga esperti di nutrizione e igienicosanitari, il provveditorato, per disporre percorsi d’acquisto intelligenti e la rappresentanza dei pazienti e delle famiglie. Un occhio al passato, quindi, per capire cosa abbiamo imparato, e uno sguardo al futuro verso l’innovazione. Questa è la soluzione».

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