giovedì 31 gennaio 2019

Vino ed export. Lugana: la denominazione Lombardo-Veneta conquista i mercati e la critica internazionale

Un vitigno nobile e antico il Lugana, in grado di produrre un bianco ricco di sfumature e personalità. Un microclima ideale unito alla fertilità del suolo di matrice argillosa donano ai vini un patrimonio organolettico unico che oggi conquista i mercati e la critica internazionale. 





Da sempre identificato con una delle riviere più belle del mondo, il Lugana è riuscito a tradurre questo considerevole appeal turistico in una lungimirante e consistente attività di esportazione. Una “culla climatica” perfetta quella del Lago di Garda che accudisce e valorizza le peculiarità di questo vitigno autoctono a bacca bianca, coltivato da secoli in questo territorio. 

Il Lugana ha una doppia appartenenza regionale, la denominazione è di fatto Lombardo-Veneta con una predominanza della parte lombarda sia quantitativa: ben quattro comuni su cinque ricadono nella provincia di Brescia (Desenzano, Sirmione, Pozzolengo e Lonato), sia in termini di ettari vitati (ben 750 dei 1000 attuali sono coltivati nel Bresciano). Quella veneta invece annovera il solo comune di Peschiera del Garda, ma di fatto detiene il primato del volume commerciale, visto che il 60% dell’imbottigliato (circa 9 milioni di pezzi all’anno) è gestito da produttori veronesi.

Il Lugana anche denominato Turbiana è parente stretto del Trebbiano di Soave (e citato come tale nel disciplinare di produzione). Geograficamente non lontano, il Soave dimora però in un altro tipo di habitat (vecchie pergole su colline vulcaniche). Il Lugana fa parte della variegata famiglia dei trebbiani, molto diffusi anche nel centro Italia e presenta, in termini genetici, alcune similitudini con il verdicchio ma che se ne distanzierebbe dal punto di vista fenologico, agronomico ed enologico. Per meglio definire l’identità di questa particolare varietà di trebbiano, dal profilo aromatico più spiccato e intenso, il Consorzio Tutela del Lugana sta portando avanti un progetto di selezione clonale, per identificare le specificità delle cultivar presenti sul territorio.

Grazie ad una continua attività di promozione internazionale i bilanci sono molto positivi per il Lugana DOC, che chiude il 2018 con un deciso segno “più” registrando un trend di crescita che va oltre l’8,6% rispetto all’anno precedente, per un totale di bottiglie prodotte pari a 17.578.533. Numeri da capogiro che riconfermano il successo del bianco Lugana nei mercati internazionali, per un fatturato che strizza l’occhio all’estero con un 70% di export, trainato da Nord Europa e USA. 

Grande apprezzamento anche da parte della critica: Kerin O’Keefe, penna dell’autorevole review americana Wine Enthusiast, ha premiato la regione gardesana e i suoi vini, posizionandola tra le prime dieci mete enoturistiche di tutto il mondo da visitare nel 2019.

E il 2019 si apre proprio all’insegna del consolidamento e del posizionamento della Denominazione nei mercati mondiali, con un ricco programma di attività promozionali che si svilupperà nel corso dell’anno e che verrà inaugurato già a metà febbraio con Wine Paris (11-13 febbraio, Parigi). “Sull’onda della crescita considerevole di numeri e risultati della DOC, siamo alla costante ricerca di nuove sfide e nuovi mercati, tra i quali quello francese” dichiara il Direttore del Consorzio di Tutela Carlo Veronese e continua “È la prima volta, infatti, che la DOC prende parte ad attività promozionali a Parigi, in particolare con la partecipazione a Wine Paris, una fiera inedita che metterà in evidenza la ricchezza dei territori viticoli mondiali”. Non solo Parigi, il Consorzio intende rafforzare il suo ruolo-guida per garantire ai produttori, ma anche ai consumatori, un’offerta promozionale efficace, partecipando a eventi e a manifestazioni di richiamo internazionale, che rappresentano importanti occasioni di incontro e di confronto con un pubblico specializzato di buyer, stampa e professionisti del settore.

Il Consorzio del Lugana volerà quindi a marzo negli USA – con lo Slow Wine USA Tour 2019, che toccherà le città di San Francisco, Portland, Denver, New York e Boston – e a Düsseldorf per il consueto appuntamento con ProWein (17-19 marzo 2019). E ancora, Verona (Vinitaly, 7-10 aprile 2019), Milano (Best Wine Star, 4-6 maggio 2019) e Londra, per la attesa London Wine Fair (20-22 maggio), tappe fieristiche che si alterneranno a masterclass in Europa e alla nuova edizione di “Armonie senza Tempo”.

martedì 29 gennaio 2019

Palinsesto Mediaset. HITLER contro PICASSO e gli altri L’ossessione nazista per l’arte

In programma stasera su canale 5 "HITLER contro PICASSO e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte". Un documentario che ci guida per la prima volta alla scoperta del Dossier Gurlitt, di rari materiali d’archivio, dei tesori segreti del Führer e di Goering. Con la partecipazione straordinaria di Toni Servillo.

James Ensor, La morte e le maschere, 1897

In due modi il nazismo mise le mani sull’arte: tentando di distruggere ogni traccia delle opere classificate come ‘degenerate’ e attuando in tutta Europa un sistematico saccheggio di arte antica e moderna.


Uscito in anteprima mondiale nei cinema italiani lo scorso 13 e 14 marzo e a seguire sugli schermi di altri 50 paesi del mondo il documentario ci guida per la prima volta alla scoperta del Dossier Gurlitt, di rari materiali d’archivio, dei tesori segreti del Führer e di Goering.

HITLER contro PICASSO e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte, documentario prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, con la partecipazione di Sky Arte HD, viene riproposto all'interno del palinsesto Mediaset e trasmesso stasera su canale 5 alle ore 23:26 circa. “Com’è possibile essere indifferenti agli altri uomini?  La pittura non è fatta per decorare appartamenti. È uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico”. Così Pablo Picasso nei suoi Scritti dove mette a nudo se stesso e racconta la sua arte.

Chagall, Monet, Picasso, Matisse, Klee, Kokoschka, Otto Dix, El Lissitzky, tutti artisti messi al bando, disprezzati, condannati eppure anche trafugati, sottratti, scomparsi. Sono trascorsi 80 anni da quando il regime nazista bandì la cosiddetta “arte degenerata”, organizzando, nel 1937 a Monaco, un’esposizione pubblica per condannarla e deriderla e, contemporaneamente, una mostra per esaltare la “pura arte ariana”, con “La Grande Esposizione di Arte Germanica”. Proprio in quegli stessi giorni cominciò la razzia, nei musei dei territori occupati e nelle case di collezionisti e ebrei, di capolavori destinati a occupare gli spazi di quello che Hitler immaginava come il Louvre di Linz (rimasto poi solo sulla carta) e di Carinhall, la residenza privata di Goering, l’altro grande protagonista del saccheggio dell’Europa. Si calcola che le opere sequestrate nei Musei tedeschi siano state oltre 16.000 e oltre 5 milioni in tutta Europa. Tra gli artisti all’indice Max Beckmann, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Otto Dix, Marc Chagall, El Lissitzky. Sui muri le frasi di commento: “Incompetenti e ciarlatani”, “Un insulto agli eroi tedeschi della Grande Guerra”, “Decadenza sfruttata per scopi letterari e commerciali”. La mostra sull’”arte degenerata” fu portata in tour come esempio in 12 città tra Austria e Germania e la visitarono circa 2 milioni di persone.

Proprio per raccontare alcune delle infinite storie che presero il via in quei giorni, a distanza di 80 anni arriva oggi sul grande schermo un documentario-evento con la partecipazione straordinaria di Toni Servillo e la colonna sonora originale firmata da Remo Anzovino.

Il documentario ci guida tra Parigi, New York, l’Olanda e la Germania raccogliendo testimonianze dirette sulle storie che prendono il via da quattro grandi esposizioni che in questi ultimi mesi hanno fatto il punto sull’arte trafugata, tra protagonisti di quegli anni, ultime restituzioni e preziosi materiali d’archivio.

Si parte da  “21 rue La Boétie”, la mostra parigina nata dalla volontà di esporre parte di un prezioso patrimonio recuperato, la collezione di Paul Rosenberg, uno dei più grandi collezionisti e mercanti d’arte di inizio ‘900, con quadri da Picasso a Matisse; e si passa  a “Looted Art”, alla mostra di Deventer, in Olanda, che espone i quadri provenienti dai depositi statali olandesi e dalle collezioni razziate dai nazisti; si esplora poi “Dossier Gurlitt”, la doppia esposizione di Berna e Bonn che per la prima volta espone la collezione segreta di Cornelius Gurlitt, figlio di uno dei collezionisti e mercanti d’arte che collaborarono coi nazisti, fermato per caso dalla polizia doganale su un treno per Monaco nel 2010. Tra le tele della collezione trafugata capolavori di Chagall, Monet, Picasso e Matisse.

Tra i protagonisti del film anche Simon Goodman (che in scatoloni pieni di vecchie carte e documenti ha scoperto la storia della sua famiglia e della sua magnifica collezione d’arte, che comprendeva opere di Degas, Renoir, Botticelli, nonché il cinquecentesco “Orologio di Orfeo”. Larga parte della collezione era finita nelle mani di Hitler e Goering), Edgar Feuchtwanger (che nel 1929 fu il vicino di casa di Adolph Hitler, qualche anno prima che suo padre fosse deportato a Dachau, mentre dalla loro casa venivano sottratti mobili e libri preziosi) e Tom Selldorff (che è riuscito a recuperare quattordici opere appartenute alla sua famiglia cui furono sottratte negli anni ’30).

All’interno di Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte, troveranno inoltre spazio gli autorevoli interventi di Pierre Assouline, giornalista e scrittore, Jean-Marc Dreyfus, storico e autore del libro Il Catalogo di Goering, , Timothy Garton Ash, storico, Berthold Hinz, storico dell’arte,  Meike Hoffmann, esperta di arte degenerata e della vicenda Gurlitt, autrice principale della biografia di Hildebrand Gurlitt Il mercante d’arte di Hitler, Eva Kleeman e Daaf Ledeboer, storici dell’arte e ideatori della mostra Looted Art di Deventer, Markus Krischer, giornalista di Focus che ha seguito l’inchiesta su Cornelius Gurlitt,  Agnieszka Lulińska, storica dell’arte e co-curatrice della mostra su Gurlitt a Bonn, Bernhard Maaz, direttore generale delle Bayerische Gemäldesammlungen, Christopher A. Marinello, mediatore nel recupero di opere d’arte, Art Recovery International, Inge Reist, direttrice del Frick Collection’s Center for the History of Collecting presso la Frick Art Reference Library, New York, Elizabeth Royer, gallerista parigina, esperta di restituzioni, Marei e Charlene von Saher, eredi del gallerista Jacques Goudstikker, Cynthia Saltzmann, storica dell’arte e autrice del libro Ritratto del dottor Gachet. Storia e avventure del capolavoro di Van Gogh, Tom Selldorff, erede, Christina Thomson, storica dell’arte e co-curatrice della mostra su Rudolph Belling, Anne Webber, cofondatrice e condirettrice Commition for Looted Art in Europe, Rein Wolfs, a guida della Bundeskunsthalle di Bonn e co-curatore della mostra su Gurlitt a Bonn, Nina Zimmer, direttrice del Kunstmuseum Bern – Zentrum Paul Klee e co-curatrice della mostra su Gurlitt a Berna.

Diretto da Claudio Poli su soggetto di Didi Gnocchi e sceneggiatura di Sabina Fedeli e Arianna Marelli, con musiche di Remo Anzovino, Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte è prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con la partecipazione di Sky Arte HD ed è distribuito nell’ambito del progetto della Grande Arte al Cinema con i media partner Radio DEEJAY, MYmovies.it e ARTE.IT. L’evento al cinema è patrocinato dalla Comunità Ebraica di Milano.

domenica 27 gennaio 2019

Mostre. Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione. La rappresentazione femminile attraverso la storia

Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma cento opere in mostra che tracciano l’evoluzione dell’immagine femminile, protagonista della creatività dalla fine dell’Ottocento alla contemporaneità. 


Giacomo Balla, Il Dubbio (dettaglio), 1907-1908



Da oggetto da ammirare, in veste di angelo o di tentatrice, a soggetto misterioso che s’interroga sulla propria identità fino alla nuova immagine nata dalla contestazione degli anni sessanta: la mostra Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione - alla Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 13 ottobre 2019 - è una riflessione sulla figura femminile attraverso la visione di artisti che hanno rappresentato e celebrato le donne nelle diverse correnti artistiche e temperie culturali tra fine Ottocento, lungo tutto il Novecento e fino ai giorni nostri.

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Cineteca di Bologna, Istituto Luce-Cinecittà, la mostra presenta circa 100 opere, tra dipinti, sculture, grafica, fotografia e video, di cui alcune mai esposte prima o non esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, a documentazione di come l’universo femminile sia stato sempre oggetto prediletto dell’attenzione artistica. Per i possessori della MIC Card l’ingresso alla mostra è gratuito.

“Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” – si domandava in maniera provocatoria lo slogan di uno dei più famosi collettivi di artiste femministe americane. L’interrogativo rifletteva su una verità incontrovertibile. Per secoli l’immagine femminile è stata, infatti, protagonista della creatività: il nudo femminile come forma da studiare, modello di bellezza, di erotismo o di ludibrio, mentre la modella diventava, alternativamente, la musa ispiratrice, la fonte di ogni peccato, l’esempio di doti domestiche e di virginale maternità.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del XX secolo la rappresentazione della donna è incardinata in un ossimoro che ne mostra l’ambivalenza: da una parte immagine angelica, figura impalpabile ed eterea, puro spirito immateriale, dall’altra minaccia tentatrice, fonte di peccato e perdizione.

Da Le Vergini savie e le vergini stolte di Giulio Aristide Sartorio, alle modelle discinte in pose provocanti dei pittori divisionisti (Camillo Innocenti, La Sultana) passando a L’angelo dei crisantemi di Angelo Carosi, la donna vive sospesa tra il suo essere allo stesso tempo ninfa gentile e crudele seduttrice, Musa e Sfinge, analogamente a quanto avveniva nella contemporanea letteratura simbolista e decadente di D’Annunzio e dei poeti d’oltralpe e nelle stupefacenti pellicole cinematografiche che facevano vivere sullo schermo le prime dive dell’epoca moderna.

I profondi cambiamenti sociali, politici che seguirono la fine della Grande Guerra con la messa in crisi dei valori tradizionali, determinarono anche la prima grande rottura di quell’immaginario consolidato.

Di pari passo all’emancipazione sociale delle donne – dai primi movimenti delle suffragette in Europa alla prepotente entrata nel mondo del lavoro a causa delle contingenze storiche - anche la raffigurazione dell’immagine femminile nelle arti visive risentì delle contraddizioni di una società che stava cambiando. Alla trasformazione delle dinamiche sociali si aggiunse l’impatto che su tutta la cultura occidentale del Novecento ebbero le teorie freudiane (L’interpretazione dei sogni è del 1900) che scardinarono per sempre l’immagine armonica della famiglia tradizionale, ora descritta come coacervo di pulsioni e conflitti.

Nella serie dei ritratti esposti al secondo piano della mostra spicca, tra gli altri, il volto di Elisa, la moglie di Giacomo Balla, ritratta mentre si volta per guardare qualcosa o qualcuno dietro di sé. Il valore iconico dell’immagine è racchiuso nello sguardo che muta lo stupore in seduzione e curiosità trasformando il ritratto della giovane donna da oggetto da ammirare a soggetto misterioso. Figure allo specchio si interrogano sulla propria identità, volti enigmatici restano ermetici allo sguardo, realistici nudi espressionisti si alternano a visioni di un’umanità felice in uno spazio senza tempo.

Il forte richiamo alla famiglia italica tradizionale propagandata dal Fascismo, insieme al decremento dell’occupazione femminile, al fine di sottolineare e riaffermare l’esclusivo ruolo della donna come madre, trovò riscontro in molte delle espressioni artistiche coeve. Eppure quel modello, fatto proprio da molta arte degli anni Trenta e Quaranta, viene spesso disatteso pur nella ripresa di un analogo soggetto in cui l’intimità delle mura domestiche diventa un luogo e un universo segnati da indecifrabili solitudini esistenziali (Antonietta Raphaël, Riflesso allo specchio; Luigi Trifoglio, Maternità; Mario Mafai, Donne che si spogliano; Baccio Maria Bacci , Vecchie carte).

Il voto delle donne nel 1946, conquista ottenuta anche grazie alla partecipazione femminile alla guerra di liberazione, rappresentò una svolta radicale nella storia italiana. Fu solo a partire dalla fine degli anni Sessanta, però, che le lotte per il raggiungimento della parità di diritti produssero, nelle donne, un profondo cambiamento nella percezione di sé, delle proprie possibilità e potenzialità nei più vari ambiti compreso quello dell’arte.

Contemporaneamente alla contestazione sociale dei modelli patriarcali, la consapevolezza di una nuova identità femminile fu al centro della ricerca di molte artiste (Tomaso Binga, Bacio indelebile; Giosetta Fioroni, L’altra ego) ed anche il ruolo predestinato di “madre”, passando dalla condizione di scelta obbligata, divenne il fulcro del dibattito sulle libertà della donna e sulla riappropriazione del proprio corpo (Sissi, Nidi).

Il percorso espositivo sarà accompagnato da videoinstallazioni, documenti fotografici e filmici tratti da opere cinematografiche e cinegiornali provenienti dalla Cineteca di Bologna e dall’Archivio dell’Istituto Luce-Cinecittà che ne hanno curato la realizzazione. In una sala della mostra sarà proiettato il film, prodotto dall’Istituto Luce, Bellissima (2004) di Giovanna Gagliardi che attraverso documenti storici dell'Archivio Luce, spezzoni di film, canzoni popolari e intervisteracconta per immagini il cammino delle donne nel ventesimo secolo.

L’ultima sezione della mostra, dedicata alle dinamiche e le relazioni tra gli sviluppi dell’arte contemporanea, l’emancipazione femminile e le lotte femministe, presenta materiale documentario proveniente da ARCHIVIA – Archivi Biblioteche Centri Documentazione delle Donne - e testimonianze di performance e film d’artista di alcune protagoniste di quella stagione fondamentale provenienti da collezioni private, importanti Musei e istituzioni pubbliche (Museo di Roma in Trastevere; Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale; Galleria Civica d'Arte Moderna Torino; MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna; MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto - Archivio Tullia Denza).

Per tutta la durata della mostra il percorso sarà arricchito da nuove opere presentate al pubblico con incontri inseriti nel ciclo L’opera del mese secondo un calendario in corso di programmazione che partirà da marzo prossimo.

Saranno anche organizzate, fra aprile e ottobre 2019, una serie di iniziative culturali nel segno dell’interdisciplinarietà – incontri, letture, performances, presentazioni, proiezioni, serate musicali e a tema – sulle tematiche affrontate dalla mostra. La GAM Galleria d'Arte Moderna dalla primavera 2019 lancerà, attraverso il suo sito e i social network, anche il contest #donneGAM tramite il quale inviterà il pubblico a postare fotografie di donne protagoniste della propria storia familiare. Immagini di nonne, madri, sorelle, compagne, ritratte al lavoro, a scuola, in casa o in altri luoghi di vita, di attività e di impegno per documentare le tante storie di donne di ieri e di oggi.

Tutte le fotografie saranno trasmesse in mostra, tramite un monitor, in un'area appositamente allestita.

Fino alla fine di febbraio nelle sale della Galleria sarà presente anche un focus sull’opera di Fausto Pirandello grazie al prestito speciale del Museo del Novecento di Milano del dipinto Il remo e la pala (1933), esposto insieme ad altre opere della GAM Galleria d’Arte moderna dello stesso autore.


Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione
Galleria d’Arte Moderna di Roma
Via Francesco Crispi, 24
Dal 24 gennaio al 13 ottobre 2019
Da martedì a domenica ore 10.00 - 18.30

venerdì 25 gennaio 2019

Vino e ricerca, nuove tecnologie e genome editing al centro del Forum nazionale vitivinicolo

Le possibili applicazioni del genome editing e le tecniche di miglioramento varietale per innovare la viticoltura italiana in termini ambientali, economici e sociali. Questi i temi dell’annuale Forum nazionale vitivinicolo organizzato da Cia-Agricoltori Italiani ed in partnership con l’Accademia dei Georgofili. 





Il settore vinicolo è uno dei più rilevanti nel tessuto produttivo italiano e motore trainante dell’agricoltura, anche se i vincoli imposti alla coltivazione della vite dal cambiamento climatico mettono a rischio il futuro del vino. Occorrono strategie alternative e le nuove tecniche molecolari, insieme alla conoscenza della sequenza del genoma della vite, hanno regalato agli agronomi una ricchezza di informazioni senza eguali.

Al Forum hanno partecipato i maggiori esperti del settore che ne hanno analizzato aspetti tecnici, produttivi e legislativi al fine di tracciare un percorso di continuità fra tradizione enologica italiana e innovazione, per mantenere competitività nel mercato globale. All’apertura dei lavori, il presidente dell’Accademia dei Georgofili, Massimo Vincenzini, ha evidenziato che l’attenzione dei Georgofili nei confronti delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di viticoltura risale ai tempi della fondazione dell’Accademia stessa: “L’appuntamento odierno aggiunge un altro tassello alla nostra conoscenza, e già solo per questo è importante -ha detto-.

Nel merito, poi, grande è l’interesse verso vitigni resistenti a malattie, non solo come mezzo per ridurre l’impatto ambientale dei trattamenti fitosanitari, ma anche come strumento utile a mantenere le nostre produzioni di qualità in un settore economicamente molto importante per il Paese, quale è il settore enologico. Non si deve poi dimenticare che i cambiamenti climatici in atto stanno mettendo a serio rischio alcune nostre colture tradizionali, tra le quali è inclusa la vite”. Come punto di partenza del Forum, Cia ha sottolineato le sfide dell’ecosostenibilità e dell’innovazione da cogliere con tempestività per migliorare gli strumenti e le prospettive della viticoltura. “I recenti approcci agronomici -ha spiegato Riccardo Velasco, direttore del Centro di Viticoltura ed Enologia del CREA- possono diminuire il numero di trattamenti e già da una decina di anni processi di miglioramento genetico della vite sono presenti in alcune regioni italiane. Accanto a questo, si inseriscono nuove opportunità come il genome editing”. Per continuare nella strada della ricerca, secondo Cia, è necessario evitare ogni possibile confusione fra le potenzialità delle nuove tecnologie.

Il termine genome editing o cisgenesi è utilizzato per indicare la biotecnologia capace di selezionare le caratteristiche migliorative della pianta senza ricorrere al trasferimento di geni tipico degli Ogm. Nei prodotti cisgenici si opera solo sui geni interni senza l'impiego di materiale genetico esterno al Dna della pianta che rimane immutato. Questo può garantire la continuità delle caratteristiche organolettiche del nostro vino, che ha conquistato ampiamente l’apprezzamento dei consumatori.

Per Cia, quindi, non è più rinviabile una revisione normativa sul tema. Come confermato anche dall’intervento del professor Michele Morgante dell’Università degli Studi di Udine: “L’Italia è all’avanguardia nella ricerca -ha sottolineato- ma soffriamo per colpa di una normativa che non consente l’adozione tempestiva delle innovazioni prodotte attraverso le tradizionali tecniche di miglioramento varietale”. Un problema, ha continuato, che “non è solo italiano ma anche europeo, dopo lo stop al genome editing del Consiglio di Stato francese da cui esce sconfitta tutta la comunità scientifica, agricoltori e consumatori”. “Il legislatore Ue -ha ribadito anche Antonio Rossi del Servizio Giuridico Normativo dell’Unione Italiana Vini- dovrà fare la sua parte per accompagnare queste innovazioni scientifiche in modo laico e senza pregiudizi”. Nelle conclusioni del Forum, il presidente nazionale Cia, Dino Scanavino, ha evidenziato come “l’innovazione non è solo nuova conoscenza, ma anche trasferimento e diffusione di tecniche elaborate in questi anni, finora non collaudate in campo e non implementate nei processi aziendali. Bisogna sviluppare nuove relazioni tra pubblico e privato e interazioni più strette tra mondo dell’impresa e mondo della ricerca. In questo senso, è necessario rilanciare moderni sistemi di formazione e consulenza d’impresa, adeguati ai nuovi scenari, capaci di mettere in rete i sistemi regionali, con i centri di eccellenza a livello nazionale ed anche europeo”.

giovedì 24 gennaio 2019

OIV. Ruolo e sfide delle nuove tecnologie e delle nuove forme di comunicazione del settore vinicolo

Una nuova fase per il settore vinicolo quella che si è aperta con il nuovo anno e che coincide con la recente elezione di Pau Roca a direttore generale dell'OIV. Incarico conferitogli in occasione della 16ª Assemblea generale dell'OIV. Il mandato avrà la durata di cinque anni. Il 2019 vedrà l'elaborazione del nuovo Piano strategico, il 42º Congresso mondiale della vigna e del vino in Svizzera ed il ruolo delle donne nel settore vitivinicolo.




L'incarico nella direzione dell'Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino rappresenta "una nuova fase" nella quale Pau Roca ha affermato di sentirsi responsabile di tutta la squadra e di ciascuno dei paesi dell'OIV, sottolineando che il ruolo delle nuove tecnologie e delle nuove forme di comunicazione avanzerà con un'accelerazione costante e che né il settore vinicolo né l'Organizzazione stessa possono assistere a questi fenomeni senza lasciarsi coinvolgere profondamente e integrare queste innovazioni e questi nuovi strumenti. L'universalizzazione dell'impiego di queste tecnologie modificherà radicalmente l'economia e i rapporti giuridici. Nuove forme di crittografia, di conservazione e di trasmissione delle informazioni, di convalida dell'autorità e di protezione e diffusione dei database e dei metadati modificheranno in modo considerevole il nostro ambiente.

Pau Roca 

E' stato delegato della Spagna presso l'OIV dal 1992 e presidente del Gruppo di esperti "Diritto e informazione del consumatore" (DROCON) dal 2010 al 2016, è stato inoltre vicepresidente del Gruppo di esperti "Sviluppo sostenibile e cambiamento climatico" dal 2016 al 2018. Parla correntemente il francese e l'inglese e possiede una specifica e profonda conoscenza del settore vitivinicolo mondiale, nonché l'esperienza acquisita alla guida della Federazione spagnola del vino (FEV), che ha diretto per oltre venti anni. Il nuovo direttore generale ha inoltre avuto una carriera professionale diversificata, che è iniziata con la ricerca scientifica oceanografica ed è passata anche dal settore oleicolo. 

Il Piano strategico dell'OIV

Con oltre 100 milioni di ettolitri di vino esportati, per un valore di oltre 30 miliardi di euro, la quota degli scambi transfrontalieri rispetto alla produzione rappresenta un successo del settore vitivinicolo. In tal senso, Pau Roca ha ricordato la missione dell'OIV per il rafforzamento e il mantenimento dell'equilibrio tra i mercati dei consumatori e dei produttori. A questo fine, l'Organizzazione dovrà vigilare affinché "la regolamentazione non diventi mai un pretesto per innalzare barriere o generare conflitti, ma che, al contrario, sia al servizio dei consumatori e degli interessi dei produttori, in una catena di valore equilibrata e condivisa, volta a conservare il pluralismo e la maggior diversità possibile."

Il prossimo piano quinquennale dell'OIV dovrà rispondere alle sfide del settore. Il 2019 sarà l'anno dell'elaborazione del prossimo Piano strategico dell'Organizzazione. Pau Roca desidera proporre agli Stati membri dell'OIV una strategia centrata su alcune linee prioritarie, quali: contribuire agli sforzi di orientamento per garantire la sostenibilità ambientale, sociale, economica e culturale del nostro settore, essere pronti a adeguarsi alla digitalizzazione del settore e dei relativi sistemi di informazione con sufficiente rapidità, identificando tutti i processi che potrebbero essere interessati da un'evoluzione, proporre un servizio agli Stati membri dell'OIV per assicurare lo sviluppo economico della produzione e del commercio suggerendo buone pratiche normative e amministrative. Infine, il direttore generale dell'OIV ha invitato tutti i governi a comporre le proprie delegazioni con numerose personalità di rilievo per partecipare alle riunioni dei gruppi di esperti delle prossime riunioni di aprile e per contribuire attivamente a questa condivisione di competenze collettive che costituisce le fondamenta dell'OIV.

Il ruolo delle donne nel settore vitivinicolo

Anche la presidente dell’OIV, Regina Vanderlinde, si è augurata che il 2019 porti un avanzamento dei dossier attualmente allo studio degli esperti dell'OIV e si è rallegrata del fatto che la presidenza dell'OIV sia stata affidata per la terza volta consecutiva a una donna: "Ritengo che la mia posizione mi imponga di rappresentare le donne in un settore altrimenti prevalentemente maschile. Durante il passato Congresso dell'OIV, tenutosi in Uruguay, ho ricevuto numerose parole di ringraziamento e di apprezzamento da parte di giovani studentesse e donne del settore" e ha aggiunto, "sono fiera di poter essere la portavoce dell'OIV per la valorizzazione della presenza femminile in questo settore".

42º Congresso mondiale della vigna e del vino

Il 2019 vedrà inoltre il Congresso mondiale della vigna e del vino e l'Assemblea generale dell'OIV svolgersi in Svizzera, a Ginevra, dal 15 al 19 luglio 2019. Preservare e innovare saranno le parole chiave del prossimo Congresso, un'occasione annuale di incontro di esperti di livello mondiale della viticoltura che si concluderà con un evento unico, che si tiene ogni 20 anni ed è iscritto nella Lista del Patrimonio culturale immateriale dell'Unesco: la Fête des Vignerons di Vevey.

mercoledì 23 gennaio 2019

OIV. La sostenibilità al centro del 42º Congresso Mondiale della Vigna e del Vino

Preservare e innovare: aspettative ambientali, economiche e sociali, questi i temi affrontati al prossimo Congresso dell'OIV. I contributi scientifici potranno essere presentati online attraverso piattaforma dedicata. La scadenza del termine per l'invio degli abstract è il 3 marzo 2019.





Il 2019 vedrà il Congresso mondiale della vigna e del vino e l'Assemblea generale dell'OIV svolgersi in Svizzera, a Ginevra, dal 15 al 19 luglio 2019. Preservare e innovare saranno le parole chiave del prossimo Congresso, un'occasione annuale di incontro di esperti di livello mondiale della viticoltura che si concluderà con un evento unico, che si tiene ogni 20 anni ed è iscritto nella Lista del Patrimonio culturale immateriale dell'Unesco: la Fête des Vignerons di Vevey.

La macchina organizzativa ha iniziato a muoversi ed in occasione della loro prima visita insieme, la presidente dell'OIV, Regina Vanderlinde, il direttore generale, Pau Roca e l'assistente al direttore generale, Yann Juban, hanno partecipato alle riunioni di lavoro per l'avvio delle prime fasi logistiche con la visita al Centro internazionale di conferenze di Ginevra (CICG), che accoglierà esperti e delegati che parteciperanno al prossimo Congresso dell'OIV.

I dirigenti dell'OIV sono stati accolti dal Comitato organizzativo svizzero, guidato dalla presidente Simone de Montmollin, dal vicepresidente Dominique Maigre, dal presidente del Comitato scientifico François Murisier e dal capo della delegazione svizzera presso l'OIV Pierre Schauenberg.

Il prossimo Congresso dell'OIV affronterà le questioni relative alla sostenibilità con il titolo: "Preservare e innovare: aspettative ambientali, economiche e sociali". I contributi scientifici potranno essere presentati online attraverso la piattaforma dedicata del Congresso. La scadenza del termine per l'invio degli abstract è il 3 marzo 2019.

Un'occasione eccezionale per i partecipanti al Congresso sarà la sera di venerdì 19 luglio 2019 in cui si svolgerà la Fête des Vignerons: una celebrazione delle centenarie tradizioni vitivinicole di un'intera regione con uno spettacolo organizzato dalla Confrérie des Vignerons. Un evento unico al mondo che si tiene una volta ogni generazione a Vevey, una cittadina sita nel cuore dei vigneti di Lavaux, nel Canton Vaud, iscritta nella Lista del Patrimonio culturale immateriale dell'UNESCO.

Iscrivendosi al Congresso si avrà diritto a uno sconto tra il 40 e il 50% sul biglietto d'ingresso a questo spettacolo serale. Dato il numero limitato di posti a sedere, si raccomanda di iscriversi qui il prima possibile per non perdere questa occasione. Il biglietto comprende il trasporto A/R tra Ginevra e Vevey.

lunedì 21 gennaio 2019

Vino e ricerca. Varietà resistenti: difesa della biodiversità e valorizzazione della tipicità vitivinicola

Cresce l'interesse delle aziende private e dei consorzi sull'utilizzo di nuove varietà di vite resistenti a malattie come peronospora ed oidio per una migliore sostenibilità ambientale e convenienza economica nel rispetto della tipicità vitivinicola. Dalla ricerca nascono i primi vini che hanno fatto della resilienza il proprio carattere distintivo. Il progetto dell'azienda agricola Le Carline.



I temi della sostenibilità ambientale e della tutela della salute degli operatori, dei consumatori e dei cittadini in generale, stanno diventando prioritari soprattutto per quelle colture che, come la vite, necessitano di un gran numero di trattamenti per ottenere una produzione di qualità. Le normative europee sono sempre più stringenti in fatto di utilizzo di presidi fitosanitari, tanto che l’obiettivo è di dimezzarne l’uso entro il 2025. Per tali motivi l’interesse verso queste varietà di nuova generazione è cresciuto in termini esponenziali in tutti i Paesi viticoli e a buon ragione cominciano ad essere prese in considerazione da parte degli organi delle amministrazioni, che in futuro, saranno deputate a legiferare in materia.

Delle varietà resistenti in Italia se ne parla ormai da alcuni anni: si tratta delle viti di origine tedesca, austriaca e svizzera che hanno evidenziato una resistenza particolare agli attacchi di oidio e peronospora. Bisogna sottolineare che non stiamo parlando di viti transgeniche, ovvero ottenute mediante manipolazioni genetiche, bensì di piante ottenute dall’impollinazione della vitis vinifera attraverso il polline delle viti portatrici del gene di resistenza.

Queste viti, identificate dall’acronimo PIWI (Pilzwiderstandfӓhig), letteralmente varietà resistenti alle crittogame, derivanti da incroci interspecifici effettuati tra le varietà di vite da vino e le varietà di vite americane resistenti alle malattie fungine. Una lunga storia, quella di PIWI, che inizia nel secolo scorso in Germania, all’università di Friburgo e che continua, poi, in Italia grazie alle ricerche condotte in diverse regioni del nord Italia. Una attenta ricerca con uno sguardo al futuro ha portato alla nascita di Bronner, Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Gamaret, Helios, Muscaris, Johanniter, Prior, Regent e Solaris, che sono oggi i nomi dei vitigni PIWI più diffusi.

Tra gli attori principali è doveroso ricordare i Vivai Cooperativi Rauscedo che nel 2006 hanno contribuito, come soci finanziatori, alla costituzione dell’Istituto di Genomica Applicata di Udine ed hanno dato corso ad una stretta collaborazione con l’Università di Udine per la valutazione dei vitigni resistenti già ottenuti e alla creazione di nuovi incroci ad uva da vino e da tavola. In forza di tanto, i Vivai Cooperativi Rauscedo sono i licenziatari esclusivi delle nuove varietà, con l’impegno di diffonderle in tutti i Paesi viticoli ed in primis in Italia. Attualmente sono stati iscritti al Registro Nazionale Italiano delle varietà di vite e protetti da brevetto 10 nuovi vitigni: Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus e Julius. Queste nuove varietà presentano resistenza alla peronospora, all’oidio e in taluni casi anche alle basse temperature.

Il progetto dell'azienda agricola Le Carline. Oltre il BIOlogico: Resiliens, i vini del futuro

L’Azienda Agricola “Le Carline” di Daniele Piccinin si trova nel cuore della zona DOC Lison-Pramaggiore e DOC Venezia, e da oltre 30 anni produce vini biologici, vegani e senza solfiti aggiunti. Da diversi anni l’azienda è impegnata nella sperimentazione, collaborando con più Università e Regione Veneto - Veneto Agricoltura, realizzando progetti sulle varietà antiche e autoctone del territorio. Importante segnalare in tal senso il "Campo di conservazione del germoplasma/biotipi di cultivar di viti per uva da vino dell'area del veneto orientale": una collezione di circa 7 mila piantine di vite delle varietà Refosco dal peduncolo rosso, Carmenere, Malbech, Turchetta e Recantina pecolo scuro, Tocai friuliano, Verduzzo trevigiano, Grapariol. Un impianto a carattere sperimentale, come ha fatto presente alla presentazione del progetto l'assessore all'agricoltura Franco Manzato, realizzato per confrontare nello stesso vigneto le caratteristiche viticole ed enologiche dei biotipi delle varietà di vite tipiche della zona del Veneto Orientale, raccolte e moltiplicate da Veneto Agricoltura, con quelle dei principali cloni attualmente utilizzati a livello nazionale. L'obiettivo ambientale è di conservare in un unico luogo una parte significativa della base ampelografica della zona, salvaguardando le peculiarità produttive di alcune varietà che rappresentano il patrimonio viticolo storico di questa area vocata. Ma c'è anche un importante risvolto economico: l'iniziativa punta infatti a sostenere la competitività delle aziende viticole del comparto agroalimentare, valorizzando la qualità del prodotto finale in modo da contrastare la crescente omologazione del gusto e delle varietà. Nello stesso tempo, la diversificazione e la tipicità vengono sostenute per assecondare i gusti dei consumatori, giustamente sempre più esigenti.

Quattro anni fa l’azienda ha aderito al nuovo progetto della Regione Veneto messo in pratica dall’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario, volto a valutare e valorizzare dal punto di vista qualitativo i prodotti ottenuti sia da vitigni autoctoni sia proveniente dalle varietà resistenti alle principali patologie, nell’ottica di una viticoltura maggiormente sostenibile. Il campo sperimentale ospita 26 varietà differenti di vite, alcune già iscritte all’Albo Nazionale delle Varietà, altre ancora in fase di sperimentazione. L’azienda oltre a mettere a disposizione il terreno coordina anche le attività cui hanno preso parte a vario titolo ed in momenti diversi i Vivai Cooperativi di Rauscedo, alcuni vivaisti di Friburgo, l’Università di Udine e Regione Veneto tramite Veneto Agricoltura. L’obiettivo cui azienda ed enti tendono con l’allevamento di tali vitigni è la valutazione della sostenibilità ambientale mediante l’utilizzo di soli zolfo e rame e le potenzialità enologiche espresse attraverso microvinificazioni in purezza. Trascorsi tre anni dalla messa a dimora del vigneto, l’annata 2017 rappresenta un importante punto di arrivo, che vede finalmente la nascita dei vini frutto di questi studi e sperimentazioni.

Con la linea Resiliens, il cui nome racchiude in sé un significato molto profondo e la natura stessa di questi vini che hanno fatto della resilienza il proprio carattere distintivo, l'azienda agricola Le Carline mette in commercio il Rosso Resiliens ed il Bianco Resiliens, entrambi vincitori all'International PIWI Wine Award 2018.

Ma vediamoli nel dettaglio: il Rosso così come il Bianco sono entrambi dell'annata 2017, anche se quest'ultima non è riportata in etichetta in quanto informazione facoltativa per particolari vini come questi, secondo il Reg. Ce 607/2009. 

Il Rosso Resiliens nasce da uve Prior, Cabernet Cortis, Cabernet Carbon, Cabernet Volos, Roesler, Merlot Kanthus, Merlot Khorus e Cabernet Eidos. 

Vinificazione con macerazione dinamica delle bucce, fermentazione a temperatura controllata ed affinamento a contatto per alcuni mesi con la propria feccia fine attivata. 

Il vino si presenta di colore rosso rubino intenso. Al naso si concentra in un insieme di profumi di piccoli frutti di bosco e note speziate. Al palato conferma la ricchezza dei profumi e la sua particolare freschezza.



Il Bianco Resiliens nasce da uve Aromera, Muscaris, Johanniter, Sauvignon Rytos, Sauvignon Nepis, Souvignier Gris, Fleurtai e Soreli, leggermente sovramature.

Vinificazione con macerazione dinamica delle bucce, fermentazione a temperatura controllata ed affinamento a contatto per alcuni mesi con la propria feccia fine attivata. 

Il vino si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli. Al naso si evidenzia con profumi floreali e fruttati; è sapido con una leggera scia minerale. All'assaggio regala freschezza e sapidità in buon equilibrio su note di frutta gialla.

“Grazie alle varietà resistenti – afferma Daniele Piccinin – abbiamo creato vigneti che oltre all’alto livello qualitativo, consentono anche un’elevata sostenibilità ambientale, tema da sempre al centro della nostra missione aziendale. Questi vitigni infatti sono resistenti principalmente alla peronospora e all’oidio, le due malattie della vite più temute dai viticoltori e necessitano quindi solo di pochi trattamenti. Per questo motivo possiamo affermare che questi vini non hanno residui di sostanze chimiche.” 

Studio e ricerca vanno dunque portati avanti con l’obiettivo della salvaguardia dell’ambiente e dell’aiuto alle piante in termini di difesa dai patogeni, anche in considerazione dei cambiamenti climatici degli ultimi anni. I vitigni PIWI non dovranno sostituire le viti presenti nei vigneti, ma essere un valido aiuto a titolo di esempio nelle bordature, lungo i confini dove la vite è maggiormente suscettibile ad attacchi da parte dei patogeni.

www.lecarline.com/

venerdì 18 gennaio 2019

Formazione. Manager del paesaggio agrario, al via il primo corso internazionale di alta formazione in Agricultural Heritage Systems

Prende il via il primo corso internazionale di alta formazione in Agricultural Heritage Systems per futuri Manager del paesaggio agrario. La presentazione a Firenze presso la sede della Regione Toscana con FAO, Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed esperti mondiali del patrimonio agricolo.



L’alta formazione alla base della conoscenza dei territori agricoli e della loro preservazione; questo l’intento del primo Master dedicato ai patrimoni agricoli di rilevanza mondiale GIAHS, supportato dalla FAO, Regione Toscana, Convention on Biological Diversity, World Bank, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e Università di Firenze. La presentazione ufficiale del primo corso internazionale di alta formazione in Agricultural Heritage Systems e del progetto dell’Italia sui sistemi agricoli del patrimonio mondiale, nell'ambito di una conferenza-evento che ha fatto il punto sui sistemi di governance, tutela e promozione del patrimonio agricolo mondiale con particolare riguardo ai paesi in via di sviluppo. 

Alla tavola rotonda internazionale si sono confrontati il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, il sottosegretario di Stato al Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo Alessandra Pesce, Stefano Pisotti della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il coordinatore del programma FAO GIAHS Yoshihide Endo e il presidente del comitato scientifico GIAHS e coordinatore del progetto professor Mauro Agnoletti della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze.

Sono 25 gli studenti, provenienti da diciotto paesi del mondo, tra cui Etiopia, Kenya, Senegal, Somalia, Iran, Bolivia, Cuba, Birmania, Libano, Tunisia, oltre a paesi europei (per citarne solo alcuni), selezionati per accedere al master, le cui lezioni si terranno a Prato per una durata di sei mesi. Diventeranno “manager del paesaggio agrario”, ovvero capaci di rispondere in maniera sostenibile alle criticità del presente e del futuro, dalla sicurezza alimentare al Global warming, dai problemi di sviluppo dei paesi del sud del mondo fino al rischio idrogeologico, con una visione che integra economia, società, ambiente e cultura. Un percorso importante per acquisire gli strumenti per creare modelli di sviluppo agricolo sostenibile dei territori rurali che, secondo il programma FAO, devono diventare un esempio di come l’ambiente agricolo si possa integrare con la vita delle comunità assicurando reddito e nel contempo mantenere la biodiversità e l’equilibrio ambientale.

Ricordo che dal 2015 GIAHS è il programma mondiale della FAO per l’individuazione, la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione di sistemi agricoli ritenuti patrimonio dell’umanità, capaci di coniugare qualità agroalimentare, biodiversità, valori culturali e paesaggistici, proponendo un nuovo modello di sviluppo per aree agricole di particolare valore. Attualmente sono 57 i siti GIAHS in 26 paesi del mondo, l’Italia ne conta due: la fascia degli oliveti da Assisi a Spoleto e i vigneti tradizionali del Soave, iscritti nel corso del 2018. Il programma FAO GIAHS è quello più specificamente dedicato alla salvaguardia e alla promozione dei siti agricoli fra quelli delle Nazioni Unite.

Il progetto, come dichiarato dal professor Mauro Agnoletti, pone l’Italia fra i paesi più importanti del mondo che sostengono il programma FAO GIAHS e la nuova visione dello sviluppo delle aree rurali che propone. Nello specifico il master formerà i futuri esperti, che saranno in grado di ideare modelli gestionali del territorio agricolo e di progettare strategie che implementano pratiche sostenibili, che preservano i prodotti agricoli di alta qualità, i valori bioculturali legati al paesaggio, promuovendo sistemi a basso input energetico in grado di mitigare il riscaldamento climatico, le conoscenze delle popolazioni locali per l’adattamento ai cambiamenti climatici e minimizzare il rischio idrogeologico. Inoltre, avranno le competenze per migliorare le condizioni economiche delle comunità rurali: la conservazione dinamica del paesaggio agricolo tradizionale associato alla produzione di prodotti alimentari di alta qualità, rappresenta un valore aggiunto, non riproducibile, cioè che non può essere replicato da un concorrente, con ricadute positive sui flussi turistici

La gestione del patrimonio agricolo è, e diventerà sempre di più, una disciplina chiave per un modello auspicabile di sviluppo globale: i sistemi GIAHS, attraverso un’ottica sostenibile, preservano il paesaggio, la diversità biologica e culturale, migliorando la qualità del suolo e delle acque, proprio perché fanno riferimento a sistemi tradizionali resilienti, che si sono sviluppati nel corso dei secoli. Sono cinque i criteri che un paesaggio deve rispettare per poter essere certificato patrimonio mondiale della FAO e, quindi, diventare un sito GIAHS: fornire cibo e sostentamento per le comunità locali; conservare l’agrobiodiversità, come parte della diversità bioculturale (così come definita dalla dichiarazione di Firenze UNESCO-CBD del 2014; mantenere le conoscenze tradizionali; valorizzare la cultura locale e l’organizzazione sociale; rappresentare paesaggi terrestri e marini di particolare valore.

Il master è stato istituito sulla base di un protocollo d’intesa tra FAO e Governo Italiano, grazie anche alle esperienze dell’Osservatorio nazionale del paesaggio rurale che ha stilato il Registro nazionale del paesaggio storico rurale e delle pratiche agricole tradizionali. Il corso fa parte di un più ampio progetto triennale finanziato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per istituire a Firenze un polo di alta formazione per la gestione dei sistemi agricoli del patrimonio mondiale e per l’identificazione di siti potenziali al livello mondiale da inserire nel programma GIAHS. Il progetto è gestito dal Laboratorio per il paesaggio e i beni culturali (CULTLAB) della Scuola di Agraria dell'Università degli Studi di Firenze. Il CULTLAB svolge il ruolo di segreteria tecnico-scientifica per l’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale e del Registro nazionale del paesaggio storico rurale e delle pratiche agricole tradizionali, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. I siti Italiani iscritti nel Registro Nazionale, che conta già 15 paesaggi iscritti, fra i quali tre della Regione Toscana, possono accedere al programma GIAHS.

Il Soave fa scuola

Il master prevede inoltre una importante tappa formativa tra i vigneti tradizionali del Soave, entrato recentemente nei 57 siti mondiali riconosciuti come Patrimonio agricolo di rilevanza mondiale. Nel mese di aprile i 25 studenti, scopriranno assieme a Aldo Lorenzoni e Chiara Mattiello, autori della candidatura, come la viticoltura locale sia un chiaro esempio di mantenimento dell’equilibrio tra tradizione e innovazione. Un sistema che vede un’intera comunità di viticoltori intenti a mantenere un’agricoltura eroica sulle colline del Soave, assicurando un reddito che permetta di prosperare.


Sarà incentrata sul riconoscimento a Patrimonio agricolo per l’umanità la Soave Preview 2019, che si terrà a Soave il 17 e il 18 maggio, un’occasione unica di sensibilizzazione e conoscenza delle future opportunità e delle sfide che dovrà affrontare il territorio nei prossimi anni.

Sito del progetto: https://www.agriculturalheritage.com/

giovedì 17 gennaio 2019

Vino in cifre, ecco i numeri che illustrano l’evoluzione del settore a livello mondiale, europeo e italiano

Il Corriere Vinicolo presenta la nona edizione dell’annuario Vino in Cifre, edito da Unione Italiana Vini in partnership con l’Osservatorio del Vino e in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier. 




In 72 pagine di tabelle, grafici ed elaborazioni esclusive, viene illustrata l’evoluzione del settore vitivinicolo a livello mondiale, europeo e italiano: dal potenziale produttivo ai consumi, dal commercio ai prezzi e la riconferma della sezione “Vino in Cifre Bio”, dedicata al segmento dei vini biologici.

In estrema sintesi, tali elaborazioni consentono di affermare che l’anno appena trascorso ci lascia in eredità numeri che permettono solo una moderata soddisfazione. Infatti, a una ripresa dei consumi sul mercato interno, confermata dalla positiva chiusura natalizia, fa da contraltare un trend del mercato internazionale dove il nostro Paese non sempre gioca da primattore, ma in qualche caso da comprimario, in particolar modo sui vini fermi.

Inoltre, le incertezze legate alla Brexit, al rallentamento dell’economia cinese e alle dispute commerciali in atto tra Pechino e Washington, non sono sicuramente presupposti rassicuranti con cui cominciare questo 2019. Negli USA, poi, lo shutdown sta iniziando a creare i primi problemi amministrativi, avendo bloccato le attività del TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau), con ripercussioni che, probabilmente, non tarderanno a riverberarsi sul nostro settore. Un settore che, dopo le altalenanti vicissitudini della vendemmia 2018, con sensibili riduzioni dei prezzi all’origine e tentativi speculativi messi in atto da più parti, necessita di ritrovare coesione e unità d’intenti.

Negli ultimi 10 anni, la geografia mondiale del vino è profondamente cambiata: l’Unione Europea oggi ha ridotto il suo peso sul totale commercio dal 70% al 57%, mentre il continente asiatico ha guadagnato 13 punti percentuali, attestandosi oggi al 20%. La Cina da sola conta oggi per il 10% sul totale degli scambi mondiali di vino confezionato, a 3 punti dagli Usa, ed è un mercato sui cui si è accesa una fortissima competizione: basti pensare che tra i primi 11 Paesi produttori di vino, ben 7 hanno Pechino tra le prime 5 destinazioni, mentre solo 10 anni fa erano solo un paio. Per l’Italia purtroppo la Cina è, e resta, una destinazione marginale, anche se il grande lavoro fatto dal tavolo congiunto MISE-ICE-UIV sta cominciando a dare i primi frutti.

Vino in Cifre 2019 è liberamente scaricabile in formato PDF a questo link.

Agricoltura italiana, arrivano segnali positivi per crescita export, diversificazione e ripresa degli investimenti

CREA: presentato oggi a Roma  l’Annuario dell’agricoltura italiana 2017, le informazioni mostrano segnali positivi per il settore agricolo, confermandone, ancora una volta, il ruolo di componente chiave dell’economia italiana.


Con la sua settantunesima edizione, l’Annuario dell’agricoltura italiana torna ancora una volta a fotografare il sistema agro-alimentare italiano nell’anno 2017, il cui valore informativo è il frutto di un costante e attento processo di ricostruzione e lettura ragionata dei dati e delle informazioni disponibili a livello nazionale. Grazie ad una fitta rete di relazioni e di competenze, l’Annuario del CREA si conferma, ancora dopo settant’anni, uno dei più efficaci strumenti di conoscenza del nostro patrimonio agro-alimentare.



Nel 2017, la produzione del comparto agricoltura ha superato i 54,6 miliardi di euro con un aumento del 3,1% a valori correnti, trainato dalla crescita dei prezzi dei prodotti venduti. Le produzioni vegetali, rappresentano circa il 50% del valore totale, seguite per importanza dal comparto delle produzioni animali (30%). La componente più dinamica, tuttavia, si conferma quella costituita dall’insieme delle attività secondarie e di supporto all’agricoltura, che spiegano il rimanente 20%, con una crescita, pari rispettivamente a 4,9% e 1,2%. Da segnalare anche la sempre maggiore diffusione di queste attività, che coinvolgono circa l’8% delle aziende agricole italiane, con uno sviluppo maggiore di quelle legate alla trasformazione dei prodotti agricoli, all’agriturismo e alla produzione di energie rinnovabili.

Va sottolineato, inoltre, come l’ampio processo di ristrutturazione del settore, abbia portato con sé, da un lato, una diminuzione del numero di aziende agricole nell’ultimo triennio (pari a -22,1%), il cui numero si attesta a 1.145mila unità. Dall’altro, in contro tendenza rispetto ai periodi precedenti, si registra un aumento della SAU (+1,4%), che sfiora i 12,6 milioni di ettari, contribuendo a un accrescimento della dimensione media aziendale, che raggiunge così gli 11 ettari. Il numero degli occupati segna una tendenziale riduzione, ma al contempo si evidenzia una maggiore professionalizzazione e specializzazione, caratterizzate dalla contrazione dell’apporto di lavoro familiare e dall’incremento (+8,2%) del numero dei conduttori con laurea o diploma universitario ad indirizzo agrario.

A testimoniare lo stato di salute del settore nel 2017 si riscontrano, sia la ripresa degli investimenti (+3,9%), indice di un ritrovato clima di fiducia sulle prospettive economiche di medio e lungo periodo, sia i segnali di un timido risveglio di interesse per i beni fondiari, che vedono un aumento in valori correnti dell’indice del prezzo della terra, attestatosi poco oltre i 20.000 euro/ha, sebbene con un’ampia forbice fra Nord (40.000) e il Mezzogiorno (8.000/13.000).

In miglioramento anche tutti i principali indicatori del commercio con l’estero di prodotti agro-alimentari, grazie anche ad un aumento delle esportazioni pari al 5,7%, che si associa al sempre più evidente riconoscimento della centralità del Made in Italy, il cui peso supera il 73% dell’export totale del settore.

Il fatturato della bioeconomia nella sua accezione più ampia - che include la branca ASP, la produzione industriale di prodotti agro-alimentari, bevande, tabacco, carta e derivati, industria forestale, biocarbuanti, tessile, plastica e chimica bio-based – ammonta in Italia a oltre 300 miliardi di euro, confermando la posizione di leadership dell’Italia in Europa. Si segnala, inoltre, il primato del nostro paese per numero di impianti di produzione di biomateriali, prodotti chimici e farmaceutici di origine biologica.

Per quanto riguarda il settore della pesca, nonostante il progressivo ridimensionamento della flotta, si registra un incremento del valore del pescato. Inoltre, l’Italia vanta un significativo aumento della qualità della produzione, testimoniata dall’incremento delle aziende con certificazione ISO, dalla crescita dell’acquacoltura biologica, la presenza di 2 DOP e 3 IGP, a cui si uniscono in ambito nazionale oltre 150 prodotti agro-alimentari tradizionali (3% del totale).

Il patrimonio forestale nazionale registra un importante aumento dell’area boscata, che raggiunge 11,7 milioni di ettari (il 39% della superficie totale nazionale), con un incremento di oltre 3 milioni in 30 anni. Al crescere di tale estensione, il paese ha risposto con il varo del Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali, che fornisce indirizzi e linee guida necessari ad avviare il settore sul sentiero della gestione forestale sostenibile.

Nell’anno il sostegno pubblico agli agricoltori è di circa 11 miliardi di euro con una riduzione del -6,4%, legata alla diminuzione sia della componente dei trasferimenti di politica agraria (-26%) che delle agevolazioni fiscali (-8%). Resta cruciale il ruolo della politica agricola comune (PAC), al centro di un importante processo di revisione ancora in corso.

«La pubblicazione del volume – ha spiegato Salvatore Parlato, Presidente del CREA – costituisce un fondamentale strumento di conoscenza che, grazie anche alla presenza dell’ISTAT, consente di avere un’approfondita lettura di insieme, che ci restituisce un quadro dell’agricoltura italiana come di un settore vivace e vitale non ancorato alle sole componenti tradizionali. L’affermarsi delle attività produttive legate alle risorse rinnovabili, in grado di favorire una crescita più sostenibile del nostro sistema economico, o la multifunzionalità che continua a caratterizzare sempre più la nostra agricoltura, con uno stretto interscambio con la società civile e una crescente offerta di servizi aggiuntivi rivolti alla collettività, delineano sempre più un percorso evolutivo di carattere innovativo per la nostra agricoltura».

lunedì 14 gennaio 2019

Vino e sostenibilità, costruzione e corretto impiego delle macchine irroratrici per una distribuzione sostenibile degli agrofarmaci

La distribuzione sostenibile degli agrofarmaci nel vigneto passa attraverso il corretto impiego di macchine irroratrici costruite con criteri che rispettino parametri di funzionalità con diretta influenza sulla potenziale contaminazione dell'ambiente.




La distribuzione degli agrofarmaci attraverso macchine irroratrici è un problema non di poco conto e che va affrontato seriamente. Basti pensare che il consumo annuo di prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura in Italia ammonta ad oltre 100.000 tonnellate. Quantità rilevanti di sostanze tossiche possono essere disperse nell'ambiente se la distribuzione non è effettuata correttamente.

Già a partire dal 2000 l'evoluzione tecnologica delle macchine irroratrici per il vigneto ha avuto come obiettivi la possibilità di adeguare in modo sempre più preciso la quantità di miscela fitoiatrica alle caratteristiche del bersaglio da trattare, limitandone al minimo la dispersione nell'ambiente. Oggi per rispondere alle nuove esigenze di mercato, il produttore si deve affidare a costruttori di macchine irroratrici che concentrino sempre più la propria attenzione su una serie di parametri costruttivi e funzionali che hanno diretta influenza sulla potenziale contaminazione dell'ambiente.

Le macchine di nuova generazione dovranno consentire una gestione dell'attrezzatura sempre più sicura sia per l'operatore che per l'ambiente in tutte le fasi di utilizzo (prima, durante e dopo l'applicazione della miscela fitoiatrica) e, grazie alle nuove conoscenze nel campo dell'elettronica e dell'informatica, di registrare tutti i parametri relativi alla distribuzione degli agrofarmaci che sono significativi ai fini della tracciabilità del prodotto. 

L'emanazione della Direttiva Europea (128/ 2009 CE) sull'uso sostenibile degli agrofarmaci ed il contemporaneo emendamento della Direttiva Macchine (127/ 2009/ EC), ha indirizzato i costruttori a progettare e realizzare macchine irroratrici tali da garantire la massima salvaguardia ambientale durante il loro utilizzo e limitare contaminazioni sia di tipo diffuso, come il ruscellamento (drenaggio sottosuperficiale) e la deriva, ovvero il movimento del fitofarmaco nell'atmosfera dall'area trattata verso qualsivoglia sito non bersaglio, nel momento in cui viene operata la distribuzione, sia da contaminazioni di tipo puntiforme. Queste ultime possono in particolare verificarsi nelle fasi di riempimento dell'irroratrice ed al termine del trattamento, quando si deve operare la pulizia dell'attrezzatura. A tal fine è, ad esempio, fondamentale poter ridurre al minimo i residui di miscela fitoiatrica nell'irroratrice a fine trattamento e disporre di efficienti sistemi di lavaggio interno ed esterno della macchina. Si stima che circa il 50% della contaminazione delle acque superficiali è dovuta proprio ad una non corretta gestione dei prodotti reflui del trattamento.

La direttiva 2009/128/CE, recepita con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150 ha inoltre istituito un "quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi". Per l’attuazione di tale direttiva sono stati definiti Piani di Azione Nazionali (PAN) per stabilire gli obbiettivi, le misure, i tempi e gli indicatori per la riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall’utilizzo dei prodotti fitosanitari.

Il Piano di Azione, adottato in Italia con Decreto Interministeriale 22 gennaio 2014, promuove di fatto pratiche di utilizzo dei prodotti fitosanitari maggiormente sostenibili e fornisce indicazioni per ridurre l’impatto dei prodotti fitosanitari nelle aree agricole, in quelle extra agricole (aree verdi urbane, strade, ferrovie, ecc..) e nelle aree naturali protette. Per approfondimenti: Testo del Piano Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari

La Comunità Europea ha inoltre finanziato il progetto TOPPS (Train Operators to prevent Pollution from Point Sources) con lo scopo di fornire linee guida (BMP = Best Management Practices) per la corretta gestione degli agrofarmaci, a cui ha aderito ad esempio il Consorzio Vini Collio, di cui scrissi quì.

Sulla tecniche di contenimento della deriva, in particolare, ho segnalato quì un workshop presso il Centro di Sperimentazione Laimburg, dove oltre 50, tra rappresentanti del settore della ricerca, della consulenza, cooperative di produttori, associazioni bio e produttori di atomizzatori hanno condiviso esperienze e scambiato opinioni sulle tecniche da adottare.

Nel campo della meccanica agricola è d'obbligo fare riferimento a Fieragricola, questa importante fiera veronese da 120 anni mette in scena lo stato dell'arte della ricerca con tutte le tecnologie più innovative e fortemente orientate verso una viticoltura sempre più sostenibile. Non bisogna dimenticare che la meccanica agricola è considerato uno dei comparti trainanti dell'agricoltura che in questa fase sta accompagnando il mondo agricolo verso la rivoluzione digitale, attraverso l’agricoltura di precisione e l’analisi dei big data e, non ultimo una maggiore consapevolezza della tutela del suolo e della protezione dell’ambiente. 

venerdì 11 gennaio 2019

Vino e scienza, Blockchain: le prime bottiglie di vino verificate con My Story

Presentati a Roma i primi tre produttori che hanno adottato My Story, la nuova soluzione di DNV GL.





Ricodate My Story? Ne ho parlato quì. In sostanza My Story è un app che vuole essere sinonimo di trasparenza e tracciabilità, dall'uva al bicchiere. DNV GL società operante nel settore della certificazione per la sicurezza e sostenibilità alimentare e l’esperto di blockchain VeChain, lo scorso aprile hanno lanciato questa applicazione decentrata per il settore vitivinicolo che utilizza Internet of Things e tecnologia blockchain, reinventando il processo di garanzia.

Primi ad adottare My Story nel settore vitivinicolo italiano sono stati i vini di tre cantine d’eccellenza distribuite lungo lo Stivale: il Santella del Gröm Curtefranca Rosso DOC 2013 della cantina Ricci Curbastro, il Riserva Ducale Oro Chianti Classico Gran Selezione DOCG 2014 della cantina toscana Ruffino e il Veritas Castel del Monte Bombino Nero Rosato DOCG 2017 della cantina pugliese Torrevento.

Valorizzare il costante impegno delle eccellenze produttive italiane nel garantire l’origine e le specificità dei loro prodotti utilizzando la blockchain unitamente alla consolidata esperienza del mondo della certificazione. Se ne è discusso ieri a Roma in occasione della presentazione delle prime applicazioni di My Story™, la soluzione dell’ente di certificazione internazionale DNV GL per narrare passo passo la storia vera del prodotto.

“My Story™ fornisce ai consumatori una quantità di informazioni sul prodotto senza precedenti con un grado di accuratezza mai stata possibile prima. La trasparenza e l’immediatezza garantite dalla blockchain, unitamente alle verifiche di My Story™ e ai controlli già in essere effettuati da Valoritalia, contribuiscono a far chiarezza sui prodotti e sulle relative filiere” ha spiegato ieri Luca Crisciotti, CEO di DNV GL – Business Assurance. ”Sfruttando la blockchain stiamo rivoluzionando il mondo della certificazione, portando i risultati delle attività di verifica direttamente al consumatore.”

My Story™ è una soluzione basata su una serie di controlli di filiera e di prodotto. I dati raccolti sul campo, i risultati delle verifiche svolte da DNV GL e da altri enti di controllo confluiscono in un vero e proprio racconto, dal grappolo d’uva alla bottiglia, a cui i consumatori potranno facilmente accedere attraverso un QR-code posto in etichetta.

Inquadrando il codice su una bottiglia di Santella del Gröm, ad esempio, tra le altre informazioni si può immediatamente leggere che la bottiglia è una delle 6.580 imbottigliate il 29 dicembre 2016. O ancora che l’energia utilizzata nei processi produttivi è al 100% proveniente da pannelli fotovoltaici. Allo stesso modo scansionando l’etichetta presente sul Veritas, si può scoprire che si tratta dell’unico rosato in Italia al quale è stata riconosciuta la denominazione DOCG, mentre dal QR code presente sulla bottiglia del Riserva Ducale Oro 2014 si scopre che ha ottenuto il riconoscimento “Tre Bicchieri” dal Gambero Rosso.

“Siamo partiti da un prodotto iconico come il vino, che più degli altri è scelto per la sua storia: cantina, anno di vendemmia, metodo produttivo fanno la differenza per il consumatore. Tuttavia, si tratta solo della prima applicazione di My Story™: sono in corso altri progetti che coinvolgono realtà del mondo della moda e del settore agroalimentare. Attraverso My Story™ e la digitalizzazione delle filiere, siamo convinti di poter offrire un contributo significativo nella valorizzazione del made in Italy e nella tutela dell’autenticità del prodotto” ha aggiunto Renato Grottola, M&A and Digital Transformation Director di DNV GL - Business Assurance.

Con My Story™ DNV GL intende costruire un ecosistema di ‘digital assurance’ che vede il coinvolgimento di attori diversi: dalle realtà multinazionali, alle start up italiane attive nel mondo blockchain, associazioni di categoria ed altri organismi di certificazione.

Storia dell'Arte Veneta. Mistero Giorgione, la Tempesta: un enigmatico omaggio alla natura di un pittore mito del nostro Rinascimento

La Tempesta è uno dei dipinti più misteriosi dell’arte, tanto che gli storici, nel corso del tempo, hanno sviluppato almeno 30 interpretazioni differenti, ma ancora oggi è oggetto di analisi.

Giorgione, La tempesta, 1505 ca



"Giorgione" un soprannome legato molto probabilmente alla sua alta statura fisica. Dal carattere sfuggente, inafferrabile e misterioso, il maestro di Castelfranco così viene descritto nel Fuoco di Gabriele D'Annunzio: “Egli appare piuttosto come un mito che come un uomo. Nessun destino di poeta è comparabile al suo, in terra. Tutto, o quasi di lui s’ignora, e taluno giunge a negare la sua esistenza. Il suo nome non è scritto in alcuna opera; e taluno non gli riconosce alcuna opera certa . . .”

Poco si sa della vita di Giorgione, primo grande pittore veneto del Cinquecento. Ma aldilà del velo di mistero che contraddistingue le sue opere e la sua figura, Giorgione non è né un mito, né una figura da leggenda.

Egli fu comunque un personaggio autentico, vissuto tra la fine del secolo XV e il primo decennio di quello successivo. Partecipe di quel particolare momento storico, anzi uno dei protagonisti del rinnovamento della civiltà veneta in senso umanistico e rinascimentale, sta alla pittura veneta come Raffaello o Michelangelo a quella dell'Italia centrale: affrontò cioè il problema dell'arte attraverso la ricerca di una verità interiore del tutto soggettiva, pur nella consapevolezza che l'individuo è elemento di un tutto, al quale rimane legato indissolubilmente. Uomo, natura, universo: ecco la tematica giorgionesca.

II dipinto noto col titolo La tempesta, realizzato entro il 1505 da Giorgione, è conservato a Venezia, alla Galleria dell'Accademia è uno dei rari dipinti che la critica ha sempre e unanimemente accolto come autografo. Assai discordi invece le opinioni sull'iconografia e sulla datazione. E' stato dipinto direttamente con il colore, senza disegno preparatorio, ed è uno dei quadri più celebri del nostro Rinascimento.

Una prova del procedimento pittorico adottato dal Giorgione, si è rivelata soprattutto ad un'esame ai raggi x, che ha evidenziato alcuni "ripensamenti" in corso d'opera, e in particolare, la sostituzione di una precedente figura femminile nuda in basso a destra, con quella definitiva del giovane in abiti rinascimentali.

La prima notizia che abbiamo del dipinto risale al 1530: esso è attestato da Marcantonio Michiel nella casa del nobile Gabriele Vendramin (che possedeva di Giorgione anche il Ritratto di vecchia e forse Le tre età dell'uomo) ed è definito "paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana ("zingara") et soldato".

Il soggetto, quasi incomprensibile, ha stimolato le più diverse interpretazioni. Protagonista è il paesaggio aperto su una natura magica e misteriosa in cui si manifestano poeticamente la sua forza e i suoi fenomeni. Nella scena le figure umane si inseriscono come elementi secondari e accidentali.

Tutta l'immagine si concentra nell'attimo dello scoppio del fulmine, che trascolora e trasforma ogni elemento visibile. Ogni cosa assume un colore e un aspetto strano, irreale: l'acqua si oscura al passaggio dei nuvoloni densi di pioggia, gli edifici della città sullo sfondo s'illuminano nel bagliore improvviso e i muri emanano particolari riflessi.

Le chiome degli alberi più lontani brillano come se la pioggia fosse già arrivata, bagnando le foglie.
In primo piano, alberi, foglie, persino i sassi, perdono la loro consistenza, avvolti dalle ombre che s'insinuano per via del cielo improvvisamente oscurato. In quell'attimo tutto si trasforma in un'immagine di grande suggestione.

Bene ebbe a dire fin dal 1913 L. Venturi: "Il soggetto è la natura: uomo, donna e bambino sono soltanto elementi - non i principali - della natura". La quale è qui esaltata nelle sue forze primordiali, nei fenomeni più profondi e misteriosi. Il cielo tempestoso, solcato dall'improvviso balenio della folgore; la purissima figura della donna che stringe a sé la propria creatura; il giovane in piedi, a sinistra; e il ruscello, le rovine, che alludono al tempo che trascorre e alle glorie che crollano; il fondo con le mura e gli alberi: tutto fa parte di un'unità che allude alla vita nel suo perpetuo divenire.

Tale esaltazione delle forze naturali è resa con una pittura veramente sinfonica, dove la luce avvolge ogni elemento in un'atmosfera dorata e tremolante per la continua partecipazione a ogni vicenda figurale, dalle carni al cielo, dalle architetture alle fronde dolcemente mosse sotto l'incombere della burrasca estiva; dove ogni cosa sembra perdere la propria plastica consistenza e divenire pura espressione d'arte.

La tempesta appartiene al genere dei cosiddetti "paesetti con figure", opere di destinazione privata molto apprezzate dalla colta committenza veneziana. Si tratta di dipinti di piccolo formato, nei quali i temi, profani o sacri, sono solo un pretesto per ampie raffigurazioni paesaggistiche, interpretate in modo lirico e malinconico, grazie alle pennellate vibranti della pittura tonale.

In queste tele si fondono gli interessi eruditi, filosofici, letterari e archeologici dei collezionisti, che determinavano la scelta dei soggetti. Ma dietro alla rappresentazione si nascondevano spesso significati allegorici o allusioni a vicende private o specifiche legate agli stessi committenti.

giovedì 10 gennaio 2019

Vino e sostenibilità. Prosecco: al via sperimentazioni con 7000 piantine di Glera resistente

Prosecco sostenibile, partono le sperimentazioni con 7000 piantine di Glera resistente alle principali malattie della vite.




Le sperimentazioni, di cui ne dà notizia Confagricoltura Treviso, fanno capo al progetto quinquennale "Glera resistente", che prevede la realizzazione e valutazione di selezioni di glera resistenti a peronospera e oidio con il principale obbiettivo di abbattere del 70% l’uso di fitofarmaci. Finanziato da Confagricoltura Treviso e da alcuni dei maggiori produttori di Prosecco, il progetto ha l’obiettivo di sviluppare pratiche vitivinicole sostenibili che portino a una drastica riduzione dei trattamenti. L'iniziativa da una convenzione siglata con il "Crea-Ve" (Centro di ricerca, viticoltura ed enologia) coinvolgerà 17 tra le maggiori cantine delle terre del Prosecco.

Inizialmente, nella seconda metà del 2017, la varietà Glera è stata incrociata con tre diversi parentali resistenti di ultima generazione, portatori di una o due fonti di resistenza a peronospora e oidio. Dai grappoli sono stati estratti circa 5 mila vinaccioli da cui sono state ottenute 2.900 piante da seme. Successivamente, nl maggio 2018, sono stati operati nuovi incroci usando parentali diversi, con resistenze a peronospora, iodio e botrite, ricavando circa 7.000 piantine.

Le nuove varietà, spiega Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto e Treviso, sono resistenti alle principali malattie della vite e potranno ridurre le perdite produttive in modo sostenibile e diminuire i costi di gestione del vigneto. Il miglioramento genetico è indispensabile per un settore come la viticoltura e il progetto "Glera resistente" permetterà di arrivare a un Prosecco davvero biosostenibile, con l'utilizzo di minori trattamenti. Il disciplinare regionale, di fatto, già suggerisce per i nuovi impianti di privilegiare varietà resistenti o tolleranti alle principali fitopatie come peronospora e oidio, malattie che attualmente impongono una media di 10 trattamenti annui con fitofarmaci.

venerdì 4 gennaio 2019

MiBAC, oltre 1800 attività per conoscere il patrimonio culturale italiano

Il MiBAC pubblica online l’offerta formativa 2018 - 2019.




Con oltre 1800 attività il Ministero per i beni e le attività culturali presenta l’offerta 2019 di educazione al patrimonio culturale per i cittadini di ogni età. Si tratta di attività – laboratori, visite guidate, concerti e spettacoli, giochi, ‘esperimenti’ con la realtà aumentata, stage e tirocini per imparare a catalogare opere o a restaurare documenti – diffuse su tutto il territorio nazionale nelle sedi degli istituti del dicastero, ossia musei, parchi e aree archeologiche, archivi di Stato, Biblioteche Nazionali. L’Offerta Formativa 2018-2019, realizzata dalla Direzione Generale Educazione e Ricerca - Centro per i servizi educativi del museo e del territorio del Mibac con la collaborazione della Rete nazionale dei Servizi educativi, è consultabile sul sito internet www.sed.beniculturali.it.

“Il diritto alla cultura – dichiara il Ministro Alberto Bonisoli - si afferma anche attraverso l’offerta formativa, costituita da sempre più numerose iniziative completamente gratuite che il Ministero e i propri istituti periferici, con la collaborazione anche degli enti locali, organizzano in tutta Italia. Un lavoro che merita di essere valorizzato nell’obiettivo di crescere un pubblico consapevole e rispettoso del patrimonio culturale del Paese”.

Le attività - Le attività dell’Offerta Formativa del MiBAC sono rivolte a tutti, ma in particolare a studenti, famiglie e personale docente; consentono di ‘fare esperienza’ diretta del patrimonio culturale, magari cimentandosi nell’inventariazione e catalogazione delle opere come accade per la collezione permanente di Castel Sant'Elmo e del Museo Novecento a Napoli (tirocinio) oppure nelle ricerche archivistiche e nella schedatura di documenti, simulando di prove tecniche di restauro e digitalizzazione (alternanza scuola lavoro, Archivio di Stato di Campobasso). Si può partecipare alle visite guidate come quelle al sito di Capo di Bove, al IV e V miglio dell'Appia Antica e all'Antiquarium di Lucrezia Romana accompagnati dal personale del Parco Archeologico dell’Appia Antica così come a incontri tematici. I docenti potranno usufruire di corsi di aggiornamento professionale su vari ambiti, come il metodo dell’indagine archeologica (Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio dell’Abruzzo). E per i più piccini l’offerta didattica diventa un gioco divertente: al Museo delle Civiltà, a Roma, ad esempio, i bambini saranno assistenti speciali di un importante studioso, in partenza per una missione archeologica in Asia. Dovranno aiutare il professore a portare il materiale per scavare e per documentare tutte le cose che vede dei popoli che visiterà. I ragazzi saranno così coinvolti in una visita attraverso l'Iran, l'India, per arrivare fino al lontano Giappone per approfondire altre culture.

Sul portale www.sed.beniculturali.it sono scaricabili anche i pieghevoli delle iniziative offerte in ogni singola regione.