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Acqua e Viticoltura: la sfida del cambiamento climatico in Italia. Il caso studio della Campania

L'Italia, con il suo patrimonio di oltre 500 vitigni autoctoni, si trova oggi ad affrontare una delle sfide più complesse per il futuro della sua viticoltura: la gestione sostenibile dell'acqua in un contesto di cambiamento climatico sempre più evidente. Secondo i dati elaborati dal CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria), la situazione attuale mostra un quadro in evoluzione che richiede interventi mirati e innovativi.


Il futuro della viticoltura italiana si gioca sempre più sul filo dell’acqua. In un Paese che vanta una biodiversità viticola senza eguali al mondo, con oltre 500 vitigni autoctoni e una tradizione millenaria, la gestione delle risorse idriche sta diventando la vera cartina di tornasole della sostenibilità e della qualità. Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha imposto nuove regole del gioco: le ondate di calore, la siccità e l’irregolarità delle piogge stanno mettendo a dura prova anche le regioni storicamente meno esposte a questi fenomeni, come la Campania. Qui, la quasi totalità delle aziende viticole ancora oggi non utilizza sistemi di irrigazione, affidandosi quasi esclusivamente alle precipitazioni naturali. Eppure, proprio in questa regione si sta assistendo a una sorprendente crescita di aziende che puntano decisamente sull’eccellenza, con un numero di produttori di vini di qualità triplicato nell’ultimo decennio.

La sfida, dunque, è duplice: da un lato, garantire la resilienza dei vigneti e la produttività delle uve in un contesto climatico sempre più incerto; dall’altro, innovare senza tradire l’identità dei territori e delle denominazioni. La risposta passa attraverso tecniche irrigue sempre più sofisticate, una ricerca scientifica all’avanguardia e una normativa attenta a bilanciare esigenze produttive e tutela ambientale. In questo scenario, la Campania si propone come laboratorio di sperimentazione, dove la tradizione incontra l’innovazione e dove la gestione sostenibile dell’acqua può diventare il vero motore di una nuova stagione per il vino italiano.

Il panorama nazionale vede circa 225.000 ettari di vigneti irrigati, rappresentando il 9,5% delle superfici irrigate totali in Italia (su 2,5 milioni di ettari complessivi). Il fabbisogno idrico medio della vite si attesta intorno ai 4.000 m³ per ettaro a stagione, con variazioni significative in base al sistema di coltivazione e alle varietà. Attualmente, le tecniche irrigue più diffuse nel Paese sono la microirrigazione a goccia (21,5%), l'aspersione (38%), e metodi tradizionali come scorrimento superficiale, infiltrazione laterale e sommersione (40,5%).

La Campania rappresenta un caso di studio particolarmente interessante. L'analisi dei dati ISTAT 2020 elaborati dal CREA-PB mostra che solo l'1,17% delle superfici vitate regionali è irrigato, evidenziando un approccio estremamente selettivo e mirato all'uso dell'acqua. Circa il 99% delle aziende viticole campane dipende ancora esclusivamente dalle precipitazioni naturali. Nonostante questo, si registra una crescita significativa delle aziende produttrici di vini di qualità, passate da 267 nel 2010 a 817 nel 2020, con incrementi particolarmente marcati nelle province di Benevento (da 111 a 344) e Avellino (da 57 a 257).

Il quadro normativo attuale, definito dalla Legge 238/2016 (art. 35), vieta l'irrigazione forzata ma consente quella di soccorso, rendendo necessario lo sviluppo di strategie irrigue efficaci che rispettino sia i disciplinari di produzione che le esigenze di sostenibilità. Le tecniche principali si dividono in due categorie: soprachioma (aspersione a pioggia), economicamente più accessibile ma con maggiori rischi fitosanitari, e sottochioma (gocciolante e subirrigazione), più efficiente ma con costi iniziali più elevati.

Una frontiera promettente per la viticoltura del futuro è rappresentata dal Deficit Idrico Controllato (RDI), una tecnica che mira a gestire lo stress idrico in modo moderato per migliorare la qualità dell'uva ottimizzando al contempo l'uso dell'acqua. Questo approccio richiede un monitoraggio preciso delle condizioni idriche, preferibilmente attraverso indicatori fisiologici come il potenziale idrico del fusto e la conduttanza stomatica, piuttosto che semplici indicatori del suolo.

Il cambiamento climatico sta trasformando profondamente le regioni vitivinicole mediterranee, con siccità più frequenti e ondate di calore che minacciano non solo la produttività ma anche l'identità stessa dei territori viticoli italiani. Il bacino del Mediterraneo, considerato un hot spot climatico, mostra già effetti evidenti sulla fisiologia della vite e sulla qualità delle uve.

In questo contesto, la recente Legge Regionale Campania n. 7 del 15 maggio 2024, che ha introdotto una disciplina organica per l'enoturismo, rappresenta un ulteriore strumento per la valorizzazione del patrimonio vitivinicolo e lo sviluppo sostenibile delle aree rurali, integrando la dimensione produttiva con quella turistica e culturale.

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