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Il Latino e la sua eredità, un viaggio vivo e affascinante attraverso storia, retorica, letteratura e identità

Esce in open access, Il Latino e la sua eredità, un volume necessario che imprevedibilmente, di questi tempi, accompagna il lettore in un viaggio affascinante attraverso i secoli per riscoprire la vitalità di una lingua che, spesso considerata “morta”, continua invece a parlarci con sorprendente attualità. Non un cimelio del passato quindi, ma come una presenza viva e operante, capace di attraversare i secoli e giungere fino a noi con tutta la sua forza formativa e culturale. 


Il Latino e la sua eredità, pubblicato da Basilicata University Press nel 2025 e curato da Carmelo Nicolò Benvenuto, Raffaella Cantore, Chiara Telesca (Chia Retta), si presenta come un’opera corale e ambiziosa, capace di restituire la complessità e la vitalità di una lingua che, più che “morta”, appare qui profondamente trasformata, rimodulata nei secoli, ancora fertile di senso. I saggi raccolti, firmati da studiosi e studiose di primo piano - tra cui Michele Bandini, Jean-Pierre Caillet, Teofilo De Angelis, Donatella Violante, Fabio Stok e Aldo Corcella - disegnano una mappa articolata dell’eredità latina, dove testi, contesti e pratiche culturali si intrecciano con straordinaria densità.

I contributi raccolti - tra analisi filologiche, riflessioni storiche e aperture interdisciplinari - mostrano come il latino continui a essere un veicolo privilegiato per comprendere il mondo, leggere la complessità e allenare la mente al rigore. Uno degli assi portanti dell’opera è il rapporto tra lingua e formazione: il latino emerge come scuola di pensiero prima ancora che di parola. È proprio questa la chiave metodologica più profonda del volume: lo studio del latino come disciplina dello sguardo, della logica, della sintassi mentale. Ne sono prova i contributi che mostrano come la lingua latina abbia plasmato - e continui a plasmare - la capacità di ordinare il pensiero, di articolare concetti, di costruire gerarchie semantiche. 

Per quanti, come me, appartenenti a una generazione che ha avuto il privilegio di incontrare il latino fin dalle scuole medie - quando ancora si poteva scegliere tra questa lingua e le cosiddette “applicazioni tecniche” - il latino è rimasto ben più di una materia scolastica: è stato, ed è tuttora, un esercizio di precisione intellettuale. Studiare latino in buona sostanza, significa imparare a pensare con chiarezza, a dare forma ai concetti, a riconoscere le strutture profonde che sorreggono il discorso: il nesso tra soggetto e predicato, tra logica e stile, tra pensiero e parola.

È un addestramento silenzioso ma efficace all’ordine, alla sintesi, alla sensibilità semantica. Il latino, infatti, non insegna solo a tradurre: insegna a costruire. E a comprendere. La sua forza educativa risiede proprio nella capacità di connettere la parola al pensiero, secondo quel principio classico in cui rem tene, verba sequentur, che ci insegna a padroneggiare prima le idee, poi il linguaggio. È un principio di sorprendente attualità. 

In un’epoca in cui il linguaggio è materia prima per le intelligenze artificiali, e in cui gran parte delle interazioni con questi strumenti si gioca attraverso la qualità delle istruzioni fornite - i cosiddetti prompt - anche il latino torna a dire qualcosa di essenziale. Perché senza una solida architettura logico-linguistica, senza la consapevolezza del valore semantico, sintattico e retorico delle parole, neppure la più avanzata tecnologia può essere utilizzata in modo critico. L’illusione che basti “parlare” a una macchina per ottenere una risposta utile si infrange proprio su questo punto: occorre saper pensare, per saper chiedere. E il latino, con la sua grammatica esigente e la sua logica ferrea, allena da secoli a questa forma di consapevolezza.

Il volume tocca ambiti apparentemente lontani ma profondamente intrecciati: dalle pratiche idroterapiche e dalla terminologia della psiche nella medicina medievale, alla fortuna di Ovidio, Virgilio, Terenzio e Catullo nel plasmare idee e stili legati all’esilio, alla politica, alla famiglia e alla guerra. Ampio spazio è dedicato all’evoluzione della retorica latina, dalla limpidezza classica alla densità concettuale del XIII secolo, con incursioni tra favole, epistolografia e prassi diplomatica. Particolarmente suggestiva è l’indagine sulla presenza del latino nelle iscrizioni funerarie delle comunità ebraiche dell’Italia meridionale: qui, la lingua si fa specchio identitario, segno di appartenenza e di dialogo con la cultura dominante.

Attraverso voci autorevoli e prospettive complementari, Il Latino e la sua eredità dimostra che questa lingua, ripeto, non è affatto spenta, ma pulsa ancora sotto la superficie della nostra comunicazione, del nostro diritto, della nostra cultura. Comprendere il latino significa in fondo comprendere noi stessi. E, in definitiva, il futuro a cui vogliamo dare voce.

Il libro si apre a una pluralità di ambiti disciplinari. Nell’ambito della medicina medievale, ad esempio, l’analisi della terminologia legata all’idroterapia e alla sfera psichica mostra un lessico sorprendentemente raffinato, dove la lingua latina si rivela adatta non solo alla descrizione dei corpi, ma anche alla rappresentazione delle emozioni e dei disturbi mentali. È una medicina che parla latino non per erudizione, ma per necessità: per dare nome e forma al dolore, alla cura, al disagio.

Ampio spazio è dedicato anche alla letteratura classica, e in particolare alla sua ricezione. Ovidio, Virgilio, Catullo e Terenzio sono letti non come autori chiusi nel canone, ma come interlocutori vivi e attuali, che parlano dell’esilio, del potere, della guerra civile, delle tensioni familiari. I testi antichi diventano strumenti di riflessione politica e morale, oltre che modelli stilistici: un punto di vista che si rivela fondamentale anche per capire le manipolazioni e gli adattamenti che essi subiranno nei secoli successivi.

Uno dei capitoli più suggestivi è quello dedicato all’evoluzione della retorica latina, soprattutto nei secoli centrali e tardi del Medioevo. Qui il latino diventa lingua della cancelleria, del potere, della propaganda imperiale. Il caso di Pier della Vigna, epistolografo di Federico II, è emblematico: nelle sue lettere si intrecciano precisione logica, eleganza formale e una carica ideologica potente. La lingua è lo strumento con cui si combatte la battaglia delle idee. Si pensi allo scontro tra la cancelleria imperiale e quella papale, dove il latino è al tempo stesso arma e campo di battaglia: uno stile, quello imperiale, che non arretra di fronte alla violenza verbale, ma la modula con sapienza e magniloquenza, secondo un gusto che anticipa la retorica barocca.

Altrettanto rilevante è l’indagine su un ambito meno esplorato, ma di grande valore documentario e simbolico: l’uso del latino nelle iscrizioni funerarie delle comunità ebraiche, in particolare a Venosa tra V e VI secolo. Lungi dall’essere una semplice scelta linguistica, l’adozione del latino da parte dell’élite ebraica locale diventa un atto identitario: non una rinuncia alle proprie radici, ma un gesto di dialogo, o meglio, di visibilità sociale. Il latino è qui lingua della memoria, della genealogia, del prestigio: non lingua "altra", ma lingua inclusiva, capace di trasmettere continuità familiare e appartenenza civica.

Un ultimo punto di forza del volume è il suo equilibrio tra rigore accademico e accessibilità. Sebbene si tratti di un’opera scientifica, ogni contributo è scritto con attenzione alla leggibilità e alla chiarezza. La struttura del volume, ordinata e ben curata, consente anche al lettore non specialista di muoversi tra i saggi seguendo interessi tematici differenti, senza mai perdere il senso dell’insieme.

In definitiva, Il Latino e la sua eredità non è soltanto una raccolta di studi: è un invito a riconsiderare il latino come lingua ancora necessaria. Non per nostalgia, ma per comprensione. Perché è proprio in una lingua così antica che si cela, ancora oggi, una delle chiavi più potenti per leggere criticamente il presente. Non è un caso se, nel libro, il latino appare sempre come strumento di precisione, di consapevolezza, e sì, di libertà. E forse è proprio questa, più di ogni altra, la sua vera eredità.

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