Permutazioni cortesi: la sestina come struttura combinatoria. Il lancio del dado tra azzardo poetico e invenzione musicale
La sestina è una delle forme metriche più complesse e longeve della tradizione lirica europea. Nata alla fine del XII secolo con Lo ferm voler qu’el cor m’intra di Arnaut Daniel, si basa su un principio di permutazione seriale delle parole-rima, radicato nella cultura cortese e nel gusto ludico dei trovatori. La sua struttura, concepita come un sistema combinatorio rigoroso, trova un possibile riferimento simbolico nella disposizione numerica delle facce del dado, ampiamente documentata nella cultura medievale. L’analisi delle fonti metriche e retoriche mette in luce la stretta relazione tra la rigidità formale del meccanismo permutativo e le potenzialità espressive della sestina, che nel Rinascimento venne rielaborata anche in ambito musicale da compositori sensibili alla tensione tra regola e invenzione.
<Bella foudatz e joc de datz>
(Giraut de Bornelh)
Tra le forme liriche fisse del canone occidentale, la sestina si distingue per la sua struttura singolarmente vincolante: sei strofe di sei versi ciascuna, seguite da un congedo (tornada) in tre versi, nelle quali le parole finali non rimano, ma ricorrono in ordine permutato secondo uno schema preciso: 6-1-5-2-4-3. Questa sequenza non è arbitraria, ma corrisponde esattamente alla disposizione delle facce di un dado tradizionale, dove le coppie opposte danno sempre somma sette (1-6, 2-5, 3-4). Tale analogia, attestata già nell’Antologia Palatina (XIV, 8) e nel Libro de los juegos di Alfonso X il Saggio (1251–1282), suggerisce che la sestina nasca come raffinata trasposizione poetica del principio ludico sotteso alla simbologia del dado.
Il fondatore di questa forma, il trovatore Arnaut Daniel, non si limita a inventare una novità metrica: porta all’estremo una tensione già presente nel trobar clus, la variante più intellettualizzata e criptica della lirica occitanica. La sua cansó Lo ferm voler qu’el cor m’intra rappresenta così l’atto inaugurale di una struttura "combinatoria", in cui il significato si genera per variazione, iterazione e slittamento semantico. La poesia diventa quindi un congegno mnemonico e retorico tanto più efficace quanto più regolato. In questo senso, il dado non è solo metafora ma anche matrice strutturale.
Nel saggio di Paolo Canettieri "Contrainte créatrice. La fortune littéraire de la sextine dans le temps et dans l’espace", ho potuto constatare con chiarezza come il meccanismo permutativo messo a punto da Arnaut Daniel risponda a una logica rigorosa e sistematica, destinata a lasciare un’impronta profonda nella lirica volgare italiana. A raccogliere per primo questa eredità è Dante, che nella sestina Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra (Rime CI) ne sperimenta la struttura nel contesto di una lingua poetica in via di definizione. Sarà poi Petrarca a stabilizzarla e consacrarla nel Canzoniere, dove compone nove sestine, contribuendo a fissarne lo statuto all’interno del sistema dei generi lirici. A partire da quel momento, la sestina entra stabilmente nel repertorio del petrarchismo quattrocentesco e cinquecentesco, influenzando l’opera di autori come Jacopo Sannazaro, Pietro Bembo e Leon Battista Alberti.
Ma è nel Rinascimento, soprattutto nella stagione manierista, che la sestina viene riscoperta come strumento di sperimentazione formale, e non solo nella poesia, ma anche nella musica. Se nel repertorio della frottola sono rari gli esempi di sestine intonate per intero, è nel madrigale - da Cipriano de Rore a Luca Marenzio - che si può cogliere una sensibilità affine. Il gioco regolato delle parole-rima trova un corrispettivo nella struttura imitativa, nella variazione tematica e nella ripresa ritmica delle voci. La sestina si trasforma così in un laboratorio sonoro, dove ogni ricorrenza lessicale viene rielaborata musicalmente, amplificando il senso di ciclicità e l’effetto di sospensione che la caratterizzano.
I madrigalisti erano particolarmente sensibili alla densità retorica delle parole-rima, alla loro ricorrenza e alla musicalità implicita che esse portavano con sé. Queste caratteristiche si prestavano in modo naturale a strategie compositive come il word painting, ovvero l’imitazione musicale del significato testuale, e all’elaborazione imitativa tra le voci. La tensione propria della sestina, tra la fissità lessicale delle parole finali e la mobilità sintattica dei versi, trovava un corrispettivo nelle tecniche musicali dell’epoca, come la ripetizione variata, la distribuzione delle voci su cellule testuali ricorrenti e il ricorso al cromatismo espressivo. Anche se raramente vennero intonate sestine nella loro forma canonica, i compositori seppero cogliere e rielaborare il principio che ne è alla base, trasformando la serialità poetica in un’organizzazione musicale altrettanto rigorosa quanto flessibile.
E' sorprendente, in termini di analogia strutturale, la Missa Di dadi di Josquin des Prez, composta nel raffinato ambiente della corte sforzesca milanese, dove il gioco aveva un ruolo culturale rilevante. In questa messa, ogni movimento principale si apre con la rappresentazione grafica di un lancio di dadi, la cui somma determina il rapporto proporzionale tra il cantus firmus e le altre voci. Il Kyrie adotta il rapporto 2 a 1, il Gloria 4 a 1, il Credo 6 a 1 e il Sanctus 5 a 1.
Pur in assenza di un legame diretto con la struttura metrica della sestina, la corrispondenza è evidente: entrambi i sistemi si fondano su una logica regolata in cui il caso, anziché opporsi all’ordine, ne diventa componente attiva. La rotazione delle parole-rima nella sestina e la variazione proporzionale nel tessuto musicale della messa rispondono a una medesima visione combinatoria, in cui l’elemento ludico viene assunto come principio generativo. In entrambe le forme, il vincolo non frena l’invenzione, ma la orienta, creando una tensione costante tra regola e creatività.
Come il poeta trobadorico fa della ripetizione variata il motore dell’invenzione, così Josquin utilizza la casualità apparente del dado come principio costruttivo. L’arte del vincolo si traduce così in libertà compositiva, in un gioco regolato dove il rigore non mortifica la creatività, anzi la esalta.
Vorrei concludere con una riflessione: la sestina non va letta semplicemente come un esercizio di virtuosismo formale, ma come espressione di un pensiero poetico che affonda le sue radici in un gesto ludico e, al tempo stesso, strutturante. Arnaut Daniel potrebbe aver considerato il dado non solo come simbolo astratto, ma come vero e proprio dispositivo creativo: un oggetto capace di generare ordine attraverso il caso. Il risultato del lancio, in questa prospettiva, non è decorativo né allusivo, ma determina concretamente la disposizione delle parole e la costruzione del testo, come mostrato da Paolo Canettieri. Si tratta dunque di un meccanismo di variazione fondato su regole antiche, strutturato e consapevole, che trasforma l'elemento aleatorio in principio ordinatore della parola poetica.
Commenti
Posta un commento