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Calici in transizione, Gen Z e baby boomer: il vino tra sostenibilità, nuovi stili di vita e un futuro da riscrivere

Il mondo del vino italiano si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: riconnettersi con le nuove generazioni, sempre più distanti dal consumo abituale e attratte da valori come sostenibilità, salute e convivialità informale. A partire dai dati più recenti di Nomisma Wine Monitor, ho cercato di esplorare le profonde differenze tra i comportamenti di consumo della Gen Z e quelli dei baby boomer, mettendo in luce come le variabili anagrafiche non bastino più a spiegare i cambiamenti in atto. In un contesto segnato dall’inverno demografico e da una crescente attenzione al benessere individuale, il vino è chiamato a ripensare linguaggi, formati e modalità di relazione con il pubblico per riscrivere il proprio futuro.



Nel mondo del vino si discute da anni di un fenomeno tanto evidente quanto difficile da inquadrare con lucidità: la progressiva disaffezione delle nuove generazioni nei confronti del nettare di bacco. Non si tratta solo di una preferenza per cocktail o bevande analcoliche, ma di una trasformazione più profonda, che riguarda i valori, gli stili di vita e la relazione che il consumatore stabilisce con ciò che beve. A segnalare con chiarezza questa tendenza è l’ultimo report di Nomisma Wine Monitor, che evidenzia come la Gen Z (under 28) consumi vino in modo sporadico, prevalentemente in contesti conviviali, privilegiando spumanti e bianchi leggeri, mentre il consumo quotidiano resta prerogativa quasi esclusiva delle generazioni più mature.

Il confronto con i baby boomer (60 anni e oltre) è emblematico: se tra i giovani solo il 10% consuma vino ogni giorno, tra i senior la percentuale sale al 35%. Analogamente, il consumo durante i pasti interessa il 46% della Gen Z, contro il 66% dei boomer. Una distanza non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa: i più anziani cercano l’origine territoriale (50%) o il vitigno (17%) al momento dell’acquisto, mentre i giovani si affidano più volentieri al consiglio di amici, alla comunicazione digitale e mostrano una sensibilità spiccata verso le tematiche di sostenibilità e salute.

Questa nuova attenzione all’ambiente e al benessere fisico non è un dettaglio, ma uno dei motori principali della transizione in atto. Se un tempo si riteneva che con l’avanzare dell’età si diventasse "naturalmente" bevitori più regolari, oggi questo percorso sembra meno scontato. Secondo Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine Monitor, il legame tra età e consumo è stato alterato da fattori strutturali: in primis, la crescente diffusione di atteggiamenti salutisti, che interessano trasversalmente tutte le generazioni, anche se con motivazioni differenti. Per i giovani si tratta di una scelta etica e culturale, per i più anziani spesso di un’esigenza medica o preventiva. In entrambi i casi, l’effetto è lo stesso: si beve meno, e si sceglie di più.

A complicare ulteriormente lo scenario è il cosiddetto "inverno demografico". Entro il 2050, un terzo degli italiani avrà più di 65 anni, con un inevitabile impatto sull’intero comparto vitivinicolo. La riduzione numerica della popolazione, unita al cambiamento degli stili di consumo, impone una riflessione profonda. Perché se è vero che alcuni comportamenti tendono a consolidarsi con l’età - come la preferenza per il vino a tavola - è altrettanto vero che i giovani di oggi crescono in un mondo molto diverso da quello che ha formato i gusti delle generazioni precedenti. Non è quindi scontato che "invecchiando" diventeranno automaticamente consumatori assidui di vino.

Tuttavia, il quadro non è privo di segnali incoraggianti. A livello internazionale, proprio i giovani stanno trainando alcuni nuovi trend: il successo dei vini a bassa gradazione o dealcolati, l’interesse per le produzioni naturali, biologiche e artigianali, il ritorno al territorio non come marchio di denominazione, ma come esperienza sensoriale e culturale da vivere sul posto. In questo senso, l’enoturismo e il racconto emozionale del vino stanno dimostrando una capacità di attrazione che va oltre la bottiglia, intercettando il desiderio di esperienze autentiche e immersive.

Il futuro del vino italiano, dunque, non può basarsi solo sul mantenimento dei consumi consolidati. Serve una nuova grammatica comunicativa, capace di parlare alle generazioni digitali senza rinunciare all’identità e alla qualità. Un vino che si racconta attraverso la trasparenza, l’etica, l’inclusività, ma anche attraverso il piacere, la convivialità e la bellezza. Solo così sarà possibile trasformare l’attuale distanza in un’opportunità di rinnovamento.

Come dimostra l’analisi di Nomisma, i cambiamenti sono già in corso. Il compito ora è non subirli, ma intercettarli con intelligenza e visione, affiancando all’eredità enologica italiana un linguaggio capace di coinvolgere le nuove generazioni in modo autentico. Perché se i calici sono in transizione, è il momento di alzare lo sguardo oltre il bordo.

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