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Accentus musicalis, la grammatica dell'anima: alle radici della pronuncia. L'eredità musicale del De accentibus di Reuchlin

Il De accentibus et orthographia linguae Hebraicae di Johannes Reuchlin (1518) rappresenta una delle più precoci e audaci incursioni rinascimentali nella fonetica ebraica, offrendo una visione tripartita degli accenti grammaticali, retorici e musicali. Nello specifico è soprattutto il terzo libro - dedicato specificamente all'accentus musicalis - a rivelare l’orizzonte sonoro che informa il suo pensiero. Il presente articolo intende esplorare di fatto, il significato musicale della trattazione di Reuchlin, il suo impatto sulla prassi liturgica e le sue risonanze nella cultura umanistica e controriformata, delineando una grammatica fonico-spirituale in cui l’accento diventa gesto sonoro e atto interpretativo. Lo studio, rivolto non solo ai filologi ma anche ai musicologi, ha l'obiettivo di rivelare la profonda connessione tra suono, scrittura e sacralità nella lingua ebraica. 


Nel cuore del Rinascimento, quando le lingue antiche tornavano a risuonare nella filologia, nella filosofia e nella musica, Johannes Reuchlin (1455–1522), giurista, umanista e cabalista cristiano, concepì uno dei più ambiziosi trattati dedicati allo studio dell’ebraico: il De accentibus et orthographia linguae Hebraicae (Hagenau, 1518). Ben più di un esercizio grammaticale, l’opera, articolata in tre libri, si offre oggi come una lente preziosa per comprendere l’intima musicalità insita nell’articolazione delle parole sacre, e il ruolo centrale della prosodia nel mondo liturgico e musicale del primo Cinquecento.

Reuchlin struttura il suo studio secondo una visione tripartita dell’accento: grammaticale, retorico e musicale. È soprattutto il terzo libro - dedicato specificamente all'accentus musicalis - a rivelare l’orizzonte sonoro che informa il suo pensiero: ogni parola ebraica, dice, possiede un ritmo proprio, una tensione interiore tra vocalizzazione e significato che può essere restituita solo grazie a una corretta pronuncia melodica, secondo la tradizione masoretica, che appunto la contempla. La scrittura si fa così partitura, e la grammatica, arte dell’ordine, si trasforma in arte dell’ascolto.

In Reuchlin, il segno grafico e l’accento fonetico non sono mai semplici strumenti ortografici, ma autentiche vie d’accesso alla verità spirituale del testo. Il suo approccio, profondamente radicato nella tradizione cabalistica e nella riflessione umanistica, è insieme teologico e musicale. Secondo il principio della lingua adamica - la lingua originaria dell’umanità, parlata da Adamo nel giardino dell’Eden, anteriore a Babele e carica di energia simbolica e spirituale - ogni lettera dell’ebraico sacro custodisce un potere fonico intrinseco. Se pronunciata secondo le regole dell’accentazione, essa può dischiudere all’ascoltatore i misteri più profondi delle Scritture. La fedeltà alla vocalizzazione, osserva Reuchlin, è condizione necessaria non solo per una corretta comprensione filologica, ma anche per un’interpretazione musicale autentica dei testi liturgici ebraici e, in prospettiva cristiana, della Bibbia nella sua dimensione più viva e sonora.

Non è un caso che molti teorici e compositori del Rinascimento - tra cui Erasmo, Glareano, e in parte lo stesso Gaffurio - guardassero con rinnovato interesse alla pronuncia originale delle lingue sacre, nel tentativo di ricostruire una "musica delle origini", capace di unire scienza dei suoni e verità della parola. In questo contesto, Reuchlin si pone come figura-ponte tra lo studio delle lingue antiche e la tradizione cantillatoria ebraica, offrendo ai musicisti e teorici dell’epoca strumenti per comprendere e forse anche reinterpretare i modelli di recitazione salmodica, i melismi della Torah e le formule cantillate della sinagoga.

Una conferma di questa influenza si ritrova, in epoca leggermente successiva, nei trattati di musica liturgica che cercavano di trascrivere i toni biblici secondo le regole della notazione occidentale, come nell'opera di Guillaume-Gabriel Nivers (Traité de la psalmodie, Parigi 1670), che discute della psalmodia ebraica e latina in termini di equivalenza modale. Già nel Cinquecento, inoltre, alcune scuole cristiane - in particolare quelle protestanti - si interrogavano sulla possibilità di restituire alla lettura della Scrittura la forza evocativa dei toni ebraici, in linea con la ricerca filologica inaugurata da Reuchlin e da chi, come Sebastian Münster, ne proseguì il progetto linguistico.

La nozione di accentus musicus e la sua distinzione dall'accentus grammaticalis e rhetoricus riecheggia infine nel pensiero musicale controriformato, soprattutto laddove si trattava di distinguere tra lettura solenne (cantus planus) e declamazione espressiva del testo liturgico. Le implicazioni teoriche del De accentibus furono avvertite anche nella pratica: il recupero del testo ebraico nei salmi di David, spesso tradotti e musicati, come nel caso di Claude Goudimel o Jean Calvin, presupponeva una riflessione sugli accenti originali per evitare la perdita del senso sacro nella versificazione metrica e polifonica.

Oggi l’opera di Reuchlin, disponibile anche in edizione digitale presso Google Books e in numerose biblioteche accademiche (es. Bayerische Staatsbibliothek, BSB München), si impone come una risorsa imprescindibile non solo per storici della lingua e della cultura ebraica, ma per musicologi che vogliano comprendere le radici foniche della parola sacra e la loro traduzione nel mondo sonoro della liturgia cristiana. La grammatica ebraica non è dunque, in Reuchlin, un sistema astratto: è piuttosto una grammatica dell’anima, il primo passo per udire, con orecchie rinnovate, la voce profonda del testo sacro.

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