"Con grazia di note rivestirono i suoi versi”: ricezione musicale della poesia di Boccaccio tra Trecento e Cinquecento. La call for papers per le Giornate di studio "Intorno a Boccaccio-Boccaccio e dintorni"
La figura di Giovanni Boccaccio, celebrata soprattutto per l’invenzione narrativa del Decameron, ha conosciuto, sebbene più marginalmente, anche una significativa ricezione nel campo musicale, in particolare tra la fine del Trecento e il pieno Cinquecento. Se Dante e Petrarca vantano una lunga e celebre fortuna in musica - il primo come simbolo morale e retorico, il secondo come repertorio poetico d’elezione per madrigalisti e compositori rinascimentali - l’autore certaldese, più prosatore che lirico, ha trovato tuttavia interpreti raffinati tra i compositori del tardo Medioevo e del primo Rinascimento, affascinati dalla musicalità nascosta dei suoi versi.
Il presente articolo anticipa un mio intervento nell'ambito dell'edizione 2025 delle Giornate di studio "Intorno a Boccaccio-Boccaccio e dintorni" che si terranno a Certaldo Alta, presso la Casa Boccaccio, il 3 e 4 ottobre 2025. L'iniziativa promossa dall’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio ed organizzata in occasione del 650° anniversario della morte dell’autore, è rivolta in particolare ai giovani ricercatori, chiamati a presentare progetti di ricerca sul corpus boccaccesco e sul suo contesto storico-letterario, linguistico e artistico.
Il presente studio, si propone di indagare la ricezione musicale della poesia di Giovanni Boccaccio in età premoderna, con particolare attenzione al periodo compreso tra la piena Ars Nova fiorentina e il madrigale cinquecentesco. A fronte di una fortuna poetica meno "sonorizzata" rispetto a quella di Dante e Petrarca, i testi boccacceschi - in particolare le ballate e i madrigali - furono nondimeno oggetto di elaborazioni musicali significative.
Il mio contributo prende le mosse da alcune composizioni contenute nel Codice Squarcialupi (Firenze, BML, Pal. 87), dove maestri come Lorenzo da Firenze e Nicolao da Perugia misero in musica versi attribuibili al Certaldese (Come in sul fonte fu preso Narciso, Giustizia regin’al mondo freno, Non so qual io mi voglia), proponendo soluzioni formali che si distaccano dallo stile contrappuntistico liturgico a favore di una scrittura vocale più leggera, spesso monodica, volta a valorizzare la chiarezza espressiva e la musicalità insita nel testo poetico.
Il lavoro prende in esame anche la fortuna editoriale e musicale cinquecentesca delle canzoni conclusive del Decameron, scelte da compositori come Domenico Ferabosco, Gerolamo Scotto, Luzzasco Luzzaschi e Philippe de Monte per raccolte polifoniche destinate all’uso cortigiano e accademico. Il caso emblematico di Io mi son giovinetta e volentieri, più volte musicata e intavolata anche per strumenti, dimostra come Boccaccio abbia fornito un repertorio poetico duttile e pervasivo, capace di attraversare secoli e generi. L’indagine intende dunque riflettere sul rapporto fra parola e suono, tra autore e compositore, tra lirica vernacolare e pratica musicale, contribuendo a una rilettura intermediale della fortuna boccaccesca nella cultura letteraria e musicale europea.
Nel Trecento, Boccaccio visse immerso in un clima culturale nel quale la musica profana fiorentina stava conoscendo uno dei suoi apici espressivi. Accanto alla musica sacra e alle ardue elucubrazioni dei teorici, si affermava una prassi viva, conviviale, nutrita della lingua volgare e delle consuetudini cortesi. Le scene musicali disseminate nel Decameron - danze, ballate cantate, strumenti come il liuto, la viola, la ribeca o la cornamusa - documentano in modo diretto l’uso sociale e affettivo della musica nella Firenze del tempo. La musica accompagna momenti privati e pubblici, cene e giochi, corteggiamenti e riti comunitari. L’autore restituisce una società in cui la danza cantata (la caròla), le stampite, le ballate eseguite "con strumenti" o a voci sole sono testimonianze vive di una cultura musicale perfettamente integrata nel tessuto narrativo e affettivo della vita quotidiana.
Tuttavia, è nelle composizioni musicali ispirate ai suoi versi che emerge un ulteriore aspetto del legame tra Boccaccio e la musica. Contrariamente a quanto si è talvolta creduto, il poeta non fu affatto estraneo all’ambiente musicale del suo tempo. Già alcuni suoi contemporanei - in primis Lorenzo da Firenze, figura di rilievo dell’ars nova fiorentina - misero in musica testi di sua mano. Arnaldo Bonaventura ha identificato, nel Codice Squarcialupi, due composizioni su testi boccacceschi: una ballata monodica Non so qual io mi voglia e un madrigale a due voci Come in sul fonte fu preso Narciso. Quest’ultimo brano, elaborato con grande libertà melodica e attenzione espressiva, mostra un tentativo di rendere musicalmente il senso poetico del testo, evitando la rigida struttura contrappuntistica a favore di una vocalità più flessibile e lirica.
Accanto a Lorenzo, anche Nicolao da Perugia compose musica sui versi del Certaldese, come nel madrigale Giustizia regin’al mondo freno. Si tratta di esempi che attestano non solo la circolazione dei testi di Boccaccio tra i musicisti del tempo, ma anche la loro recezione come poesia degna d’essere "tradotta" in suono. Le caratteristiche di queste composizioni - uso moderato del contrappunto, forme binarie in luogo delle tradizionali ternarie, melodia fluente e accentuata vocalizzazione - mostrano una volontà consapevole di adeguare la scrittura musicale alla "grazia leggiadra" dei testi boccacceschi.
Nel Cinquecento, l’interesse per la poesia di Boccaccio conobbe una nuova stagione di fortuna. Diversi compositori rinascimentali - tra cui Gerolamo Scotto, Domenico Ferabosco, Giovanni Piero Manenti, Luzzasco Luzzaschi e Francesco Corteccia - scelsero alcune canzoni tratte dal Decameron per le loro raccolte di madrigali. Brani come Io mi son giovinetta e volentieri, Qual donna canterà, s'i' non cant'io e Io son sì vaga della mia bellezza, vennero spesso musicati a più voci, con stile contrappuntistico o imitativo, e godettero di ampia circolazione. La versione a quattro voci di Ferabosco, in particolare, ebbe tale fortuna da essere intavolata per liuto da Vincenzio Galilei nel suo Fronimo del 1584, segno della popolarità e della versatilità del testo anche in ambito strumentale.
Queste elaborazioni, pur collocandosi in epoche e contesti diversi, condividono un medesimo atteggiamento: riconoscere nella poesia di Boccaccio una musicalità interna, un ritmo, una cadenza del pensiero che ben si presta alla traduzione in linguaggio musicale. Se da un lato, come suggerisce una lettera di Petrarca, Boccaccio mostrava una certa riluttanza a lasciar circolare i propri versi attraverso esecutori non sempre qualificati, dall’altro la ricezione musicale delle sue rime mostra come musicisti di alto profilo abbiano saputo coglierne la raffinatezza, offrendo letture sonore di grande sensibilità.
In questa prospettiva di riscoperta e valorizzazione, come anticipato, si inserisce anche l’edizione 2025 delle Giornate di studio "Intorno a Boccaccio-Boccaccio e dintorni", promossa dall’Ente Nazionale Giovanni Boccaccio e in programma a Certaldo Alta, presso la Casa Boccaccio, il 3 e 4 ottobre 2025.
La call for papers, aperta fino ad oggi 4 luglio 2025, accoglie anche studi in fase di elaborazione, favorendo il confronto diretto tra dottorandi, studiosi e membri del Consiglio Scientifico dell’Ente. I contributi, come questo in via di presentazione, se selezionati, saranno sottoposti a peer review e pubblicati in forma cartacea ed elettronica. In tale cornice, anche il rapporto tra Boccaccio e la musica - finora oggetto di ricerche sporadiche ma ricche di potenziale critico - potrebbe trovare nuovo spazio di approfondimento, offrendo una chiave ulteriore per leggere la diffusione, la ricezione e la trasformazione sonora dei testi del Certaldese attraverso i secoli.
Commenti
Posta un commento