Banquet of the Senses, Monteverdi secondo The Consort of Musicke: una rilettura dei Madrigali erotici e spirituali ambientata a Palazzo Te
Banquet of the Senses è un film musicale girato nel 1992 a Palazzo Te di Mantova, frutto della collaborazione tra il regista Derek Jarman, il liutista Anthony Rooley e il celebre ensemble The Consort of Musicke. Al centro dell’opera, i Madrigali guerrieri et amorosi di Claudio Monteverdi, eseguiti in forma scenica con un forte impianto visivo e filologico. Il progetto rappresenta una pietra miliare nella storia delle esecuzioni storicamente informate, un lavoro meditato che coniuga prassi esecutiva, riflessione estetica e audacia drammaturgica, offrendo una lettura sensuale e spirituale del madrigale monteverdiano.
Il film, prodotto dalla BBC e successivamente pubblicato da Opus Arte e Brilliant Classics, mette in scena i Madrigali guerrieri et amorosi (1638) di Claudio Monteverdi, eseguiti da uno degli ensemble più rappresentativi del movimento delle esecuzioni storicamente informate. Nel cuore manierista di Palazzo Te di Mantova, antica dimora di svaghi e simboli, prende vita un esperimento visionario che fonde musica, architettura e teatro. Il progetto nasce nel 1992 dalla collaborazione tra Anthony Rooley, direttore e liutista tra i più influenti della scena della musica antica, e il regista Derek Jarman, in un’operazione che va ben oltre la registrazione concertistica.
Fondato nel 1969 da Rooley stesso, The Consort of Musicke ha contribuito in maniera decisiva al recupero del repertorio madrigalistico e della sensibilità vocale rinascimentale e barocca, con particolare attenzione alla pronuncia e al ritmo della parola. Emma Kirkby, Evelyn Tubb, Mary Nichols, Joseph Cornwell, Andrew King e Simon Grant, costituiscono il nucleo vocale di un ensemble che ha saputo coniugare rigore filologico e teatralità, elaborando negli anni un linguaggio espressivo divenuto un punto di riferimento per generazioni di interpreti.
Nel film i madrigali di Monteverdi vengono presentati in forma visiva e drammatizzata: le cantanti si muovono in abiti semitrasparenti tra affreschi e colonne, interpretando, con gesti e sguardi, testi che oscillano tra l’erotismo esplicito e l’elevazione spirituale. Ambientazione d'eccezione sono le sale affrescate da Giulio Romano (allievo di Raffaello); la Sala dei Giganti e la Sala di Amore e Psiche diventano privilegiate scenografie naturali: gli stucchi grotteschi e i cicli mitologici rispecchiano con efficacia visiva la tensione tra eros e thanatos propria dei madrigali monteverdiani. Rooley utilizza strumenti originali (viola da gamba bassa, chitarrone) e un’accordatura a 415 Hz, adattando le dinamiche proprio agli spazi architettonici di Palazzo Te.
Le esecuzioni vengono alternate con brevi commenti storico-musicali che guidano l’ascoltatore nella comprensione dei brani e della loro poetica. Particolarmente significativa è la scelta di affiancare ai madrigali erotici le loro versioni contrafattuali latine, realizzate nel Seicento per usi religiosi o devozionali. Faccio presente che la pratica del contrafactum - ovvero la sostituzione del testo originale di una composizione musicale con un nuovo testo, mantenendo invariata la musica - era largamente diffusa tra Medioevo e Barocco, e svolgeva un ruolo cruciale nella circolazione e nella rifunzionalizzazione del repertorio. Particolarmente significativa era la trasformazione di brani profani in componimenti religiosi: i madrigali amorosi, spesso molto noti e musicalmente accattivanti, venivano adattati con testi in latino per usi devozionali o liturgici. Questo processo non si limitava a una semplice traduzione, ma implicava una riscrittura che reinterpretava in chiave spirituale le passioni umane del testo originario.
In Banquet of the Senses, la scelta di affiancare ai madrigali erotici di Monteverdi le loro versioni contrafattuali quindi, evidenzia con forza questa duplice natura del repertorio: da un lato la sensualità della parola profana, dall’altro la sua elevazione simbolica in ambito sacro. Il celebre Armato il cor, ad esempio, diventa Heu bone vir, e il combattimento amoroso si trasfigura in lotta interiore contro il peccato; allo stesso modo, Io mi son giovanetta, giocoso madrigale di sapore popolare, trova un suo doppio spirituale in Rutilante in nocte, dove la figura femminile viene sublimata in visione angelica.
Questo gioco di specchi non è solo una curiosità filologica, ma una chiave di lettura fondamentale per comprendere la poetica di Monteverdi e la cultura musicale del Seicento, in cui il confine tra eros e sacro era permeabile, mobile, continuamente ridefinito. Nel contesto del film, la compresenza delle due versioni genera una tensione drammaturgica profonda, che invita lo spettatore a percepire la musica come spazio di ambiguità e rivelazione, capace di parlare tanto al corpo quanto all’anima.
Tra i brani spicca "Parlo, misero" che si impone come una scena madre di sensualità dolorosa e introspezione teatrale. Il testo, un lamento amoroso carico di tensione e doppiezza, trova nel gesto vocale di Emma Kirkby e Evelyn Tubb una risonanza fisica e mentale: le due soprano si muovono lente, in abiti diafani che non nascondono ma trasfigurano, mentre la linea melodica si increspa in un continuo oscillare tra trattenimento e slancio. Qui il marmo e gli affreschi del Palazzo Te non fanno solo da sfondo, ma amplificano il tormento del personaggio, ne fanno un’eco muta e tangibile. Rooley, nel breve commento introduttivo, suggerisce che questo madrigale potrebbe essere stato originariamente cantato da cortigiane colte, consapevoli di incarnare con la propria voce e il proprio corpo non solo un testo, ma un rito erotico e intellettuale. L’esecuzione è asciutta, tesa, priva di orpelli ma gravida di senso: le dissonanze non vengono smussate, ma offerte come ferite aperte.
Di tono opposto, seppur non meno teatrale, è l’interpretazione di "Zefiro torna", madrigale celeberrimo, ma qui sottratto a ogni lettura bucolica superficiale. La gioia apparente del testo - il ritorno della primavera, i fiori, il canto degli uccelli - viene filtrata attraverso una gestualità elegante ma contenuta, come se la leggerezza della scena fosse costantemente trattenuta da un sottofondo malinconico. È proprio questa ambiguità a renderne l’esecuzione memorabile: il tempo non è mai semplicemente allegro, il moto delle voci non è mai puro ornamento, ma tensione in equilibrio, come il sorriso enigmatico di una maschera antica. Il paesaggio sonoro che ne risulta è raffinato, stratificato, consapevole: Zefiro torna, sì, ma torna su un palcoscenico di ombre.
Ancora più potente è la sequenza costruita attorno a "Ohimè, se tanto amate", dove la passione si converte in preghiera, e il madrigale secolare sembra trasfigurarsi in una meditazione sul desiderio come forza divina. Palazzo Te, con le sue architetture aperte e i suoi giochi di luce, si presta a questa rappresentazione che definirei quasi mistica: le voci si fondono in un impasto compatto, le cadenze sospese diventano respiro collettivo. E' forse proprio in questo momento che The Consort of Musicke raggiunge una verticalità spirituale rara, dove l’interiorità individuale si dissolve nell’atto comune del canto. Non è più solo Monteverdi a essere evocato, ma un’intera visione del mondo: quella rinascimentale, in cui corpo e anima, eros e ascesi, convivono nella parola musicale.
Attraverso questi brani, il dvd non solo mette in scena l’eccellenza interpretativa dell'ensemble, ma restituisce ai madrigali la loro funzione originaria: non mero repertorio concertistico, ma linguaggio incarnato, esperimento poetico, atto teatrale. L’arte si fa carne, e la carne si fa voce: un banchetto, davvero, per i sensi.
La regia di Jarman, già noto per il suo cinema anticonvenzionale e per l’interesse verso l’estetica queer e la dimensione allegorica, interviene con discrezione ma intensità: la macchina da presa indugia sui dettagli degli affreschi, sull’oro delle cornici, sullo sguardo delle interpreti, trasformando ogni madrigale in un tableau vivant in cui l’eros e il sacro si intrecciano, restituendo allo spettatore la natura complessa, ambigua e performativa della musica di Monteverdi.
Banquet of the Senses non è quindi solo un esperimento artistico, ma anche una testimonianza esemplare di come la prassi esecutiva possa farsi racconto, e di come la musica antica, come sostengo ormai sempre più convintamente, lungi dall’essere un reperto museale, sappia ancora parlare al presente con voce viva e necessaria. The Consort of Musicke, nel pieno della sua maturità artistica, dimostra in questo progetto una coesione vocale e un’intelligenza drammaturgica che l’avvicina a una compagnia teatrale, quella capace di trasmettere attraverso il suono, non solo stile e retorica, ma anche emozione, desiderio e stupore.
All’uscita del dvd nel 1995, The Independent colse l’essenza visionaria del progetto definendolo "un film-saggio sul desiderio rinascimentale", sottolineando come Derek Jarman avesse trasfigurato i madrigali di Monteverdi in un dialogo tra corpo, architettura e suono. Le sequenze nella Sala di Amore e Psiche - dove i gesti dei cantanti si intrecciano agli affreschi di Giulio Romano - trasformarono il testo poetico ("Altri canti d’Amor") in una performance sinestetica, dove la musica diveniva materia pittorica.
Certo non mancarono le polemiche: alcuni puristi, come riportò Early Music Today, contestarono "le libertà registiche" di Jarman, giudicando le inquadrature oblique e i controluce un tradimento della fedeltà filologica. Eppure, la stessa rivista riconobbe poi, ravvedendosi, che proprio quelle scelte audaci crearono "la più vivida esplorazione del madrigale come teatro", restituendo la carnalità dei testi monteverdiani (si pensi al Lamento della Ninfa con Kirkby, il cui pianto vocale sembra sgorgare dalle fessure degli stucchi).
L’eredità di questo lavoro si rivelò profonda: William Kentridge, nel suo Return of Ulysses (Glyndebourne, 1998), riprese l’idea di usare proiezioni e architetture come partner drammaturgici, mentre ensemble come L’Arpeggiata, gruppo europeo di musica antica guidato da Christina Pluhar, trasse ispirazione per progetti, come questo, site-specific. Ancora oggi, Banquet of the Senses rimane un caso studio imprescindibile per chi esplora la musica antica in contesti non convenzionali, dimostrando che la fedeltà storica può coesistere con una rilettura visionaria - purché radicata, come scrisse Rooley nel booklet, "nell’ascolto ossessivo delle parole e dei silenzi tra le note".
Il film si conclude con una riflessione implicita ma potente sulla funzione del madrigale: genere composito e "sperimentale", in bilico tra polifonia e monodia, parola e musica, corpo e spirito. Monteverdi ne è il sommo alchimista, Rooley il suo interprete moderno più audace, e il Consort of Musicke ne ha restituito l’intensità con rara coerenza.
Questo il link per la visione di Banquet of the Senses: https://archive.org/details/monteverdi-banquet-of-the-senses-vcd
Commenti
Posta un commento