Pubblicato nel 1600, il Primo Libro di Madrigali a cinque voci di Salomone Rossi rappresenta un momento cruciale nella storia della musica occidentale. Al suo interno, le intavolature per chitarrone offrono una testimonianza precoce e straordinaria di scrittura accompagnata, non più limitata a raddoppiare le voci del tessuto polifonico, ma già orientata verso un linguaggio autonomo e idiomatico. In un’epoca di profonda trasformazione, in cui la tradizione del madrigale rinascimentale cede progressivamente il passo alla nuova estetica espressiva del Seicento, Rossi si inserisce come figura chiave nel delineare quella che diventerà la monodia accompagnata. La sua opera, per molti versi pionieristica, anticipa le soluzioni armoniche e strutturali che segneranno la nascita del basso continuo e contribuisce in modo originale alla definizione della prassi esecutiva barocca.

Tra le testimonianze più significative del passaggio dalla polifonia rinascimentale alle nuove forme espressive del primo Seicento, le intavolature per chitarrone del Primo Libro di Madrigali a cinque voci (1600) di Salomone Rossi occupano un posto di rilievo. In esse si coglie una concezione già moderna dell’accompagnamento strumentale: non più semplice sostegno o raddoppio delle voci, ma un vero principio di scrittura autonoma, capace di dialogare con il tessuto vocale e di prefigurare le strutture del basso continuo. L’opera di Rossi si colloca così in una fase di profonda trasformazione del linguaggio musicale, anticipando in modo originale alcune delle soluzioni che diventeranno caratteristiche fondanti della monodia accompagnata e dell’estetica barocca.
Uno studio condotto da Fiorella Gallelli del Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila mette in luce l’originalità delle intavolature per chitarrone di Salomone Rossi, le quali non si limitano a una mera trasposizione del basso risultante dalla scrittura polifonica, ma configurano un vero e proprio principio di basso continuo, autonomo e idiomatico. La studiosa analizza nel dettaglio la scrittura chitarristica, evidenziando l’uso di accordi ribattuti, l’inserimento di cadenze non presenti nella tessitura vocale, la presenza di passaggi ornamentali e l’omissione mirata di alcune linee, scelte tutte orientate a esaltare l’efficacia espressiva dell’insieme. Questi tratti rivelano una sintassi musicale già proiettata verso la seconda pratica, pur conservando un saldo legame con la retorica contrappuntistica di ascendenza rinascimentale.
Il valore pionieristico delle intavolature per chitarrone risiede nella loro capacità di esplorare appieno le risorse idiomatiche di uno strumento allora recente, innovativo tanto nella struttura quanto nella funzione. Salomone Rossi ne padroneggia con lucidità le caratteristiche tecniche - dall’accordatura rientrante ai bordoni gravi non tastati - e ne intuisce le potenzialità espressive, dando vita a una scrittura che non si limita a sostenere la voce, ma instaura con essa un dialogo dinamico. Ne risulta un accompagnamento autonomo, plastico, che contribuisce in modo decisivo a definire il profilo nascente della monodia accompagnata, ben prima che questa venisse formalizzata in termini teorici.
Questa prassi anticipa quella che, solo due anni più tardi, Lodovico Viadana avrebbe sistematizzato nei Cento concerti ecclesiastici (1602), ma le sue radici affondano nella tradizione improvvisativa del tardo Cinquecento, quando strumenti a pizzico come il liuto e la chitarra erano impiegati per accompagnare il canto, spesso supplendo a linee vocali mancanti o incomplete. L’intavolatura, con il suo sistema di notazione pratico e funzionale alle esigenze esecutive degli strumenti cordofoni, ne ha favorito la diffusione sia in ambito professionale sia in quello dilettantesco. Già nel 1509 Franciscus Bossinensis forniva esempi di accompagnamento semi-recitativo, mentre Vincenzo Galilei, nel pieno della riflessione estetica sulla musica vocale, teorizzava la monodia, ponendo l’accento sulla comprensibilità del testo e sulla superiorità dell’espressione solistica rispetto alla complessità della polifonia. La chitarra barocca, con gli apporti fondamentali di compositori come Giovanni Paolo Foscarini, Girolamo Montesardo e Amat, sviluppò un linguaggio idiomatico autonomo, che avrebbe influenzato anche le forme e le tecniche della scrittura per chitarrone.
Nato tra il 1586 e il 1589, verosimilmente in occasione degli Intermedi per La Pellegrina - evento celebrativo legato alle nozze medicee del 1589 - il chitarrone si afferma rapidamente come strumento privilegiato per l’accompagnamento nel nuovo stile concertato. Apprezzato per l’ampia estensione e la ricchezza timbrica, unisce la profondità dei bordoni alla duttilità dell’intavolatura, configurandosi come strumento ideale per l’esecuzione del basso continuo. La sua presenza nelle opere di Giulio Caccini, Jacopo Peri, Emilio de’ Cavalieri, Claudio Monteverdi e Marco da Gagliano testimonia di fatto la centralità acquisita nelle prime esperienze della monodia accompagnata e dell’opera in musica.
Salomone Rossi, attivo alla corte dei Gonzaga a Mantova, incarna un punto di convergenza nella complessa geografia culturale del primo Seicento: ebreo per identità e formazione, ma perfettamente integrato nella produzione musicale cristiana, attraversa mondi sonori e religiosi eterogenei, ricombinandoli in una sintesi personale e innovativa. I suoi madrigali intavolati costituiscono una delle prime testimonianze concrete di accompagnamento idiomatico per strumento armonico, segnando un passaggio decisivo verso la scrittura accompagnata. Le sue raccolte, che spaziano dai Madrigali alle Sinfonie e Gagliarde, fino all’Hashirim Asher Lish’lomo - la prima stampa di musica sinagogale polifonica - esprimono una tensione costante verso la modernità, testimoniando un’estetica in equilibrio tra tradizione e sperimentazione, tra appartenenza identitaria e dialogo interconfessionale.
Il Primo Libro de’ Madrigali a quattro voci di Salomone Rossi, pubblicato a Venezia nel 1614 da Ricciardo Amadino, raccoglie composizioni probabilmente risalenti alla fine del Cinquecento, come suggeriscono sia lo stile musicale sia la dicitura <novamente posti in luce> riportata sul frontespizio. La dedica a Don Alfonso d’Este, principe di Modena e Reggio, conferma, come anticipato, il legame del compositore con la corte estense, già documentato dalla dedica del secondo libro delle sue opere strumentali al padre di Alfonso.
Il volume, che si affianca alla prima edizione a cinque voci del 1600, godette di ampia diffusione in Europa, come testimoniano le numerose ristampe e l’inclusione dei madrigali in diverse antologie straniere. Particolarmente rilevanti sono le sei arie a voce sola "per cantar nel chitarrone", che rappresentano una delle prime testimonianze di accompagnamento idiomatico per strumento armonico, segnando un passaggio fondamentale verso la prassi del basso continuo. Recentemente, l’ensemble Ut Musica Poësis ha realizzato un’incisione integrale del Primo libro de’ madrigali, eseguita su strumenti d’epoca e pubblicata dall’etichetta Tactus.
Una breve analisi dei sei madrigali "per cantar nel chitarrone" evidenzia chiaramente, come l’accompagnamento non si limiti a raddoppiare meccanicamente il basso vocale, ma sviluppi un tessuto strumentale autonomo, caratterizzato da scelte ritmiche indipendenti, accordi spezzati, salti di ottava, cadenze e diminuzioni assenti nelle parti vocali. Notevole è anche la deliberata omissione di linee imitanti, pensata per migliorare la resa complessiva del brano. L’intelligenza idiomatica della scrittura evita il raddoppio del canto e gestisce con raffinatezza le dissonanze. Tuttavia, alcune trascrizioni storiche, come quella di Vincent d’Indy del 1877, non hanno sempre saputo cogliere questa originalità, trascurando aspetti fondamentali come l’accordatura rientrante e le specifiche convenzioni notazionali dell’epoca.
Questi madrigali, oggi riconosciuti come la prima documentazione nota di intavolatura per chitarrone impiegata a funzione di basso continuo, precedono di qualche anno le pubblicazioni di Caccini e Monteverdi, segnando un punto di svolta cruciale nella storia musicale. Il loro valore non risiede solo nella precocità, ma soprattutto nella visione compositiva di Rossi, che integra con maestria chiarezza testuale, intensità espressiva e profonda conoscenza delle potenzialità dello strumento.
Il contributo di Fiorella Gallelli si distingue per il rigore dell’analisi e per l’appendice conclusiva, che propone una nuova edizione critica dei sei madrigali intavolati. A differenza delle versioni ottocentesche, spesso imprecise e parziali, questa edizione restituisce pienamente la complessità della scrittura di Rossi, offrendo agli interpreti contemporanei uno strumento affidabile e fedele per avvicinarsi a questo repertorio.
Al centro di questa trasformazione vi è il chitarrone: non solo uno strumento "nuovo" per la sua costruzione, ma soprattutto per la sua funzione musicale. Rossi ne intuisce appieno le potenzialità, scrivendo non semplicemente per lo strumento, ma con lo strumento, rispettandone la logica interna e valorizzandone la voce caratteristica.
Lo studio, davvero stimolante, si inserisce con merito in un più ampio quadro di ricerche dedicate alla genesi del basso continuo, grazie ai riferimenti puntuali alle sperimentazioni liutistiche venete e toscane, alla formalizzazione operata da Viadana e alle innovazioni monodiche di Caccini e Monteverdi. In questo clima di fermento e trasformazione condivisa, emerge con chiarezza come l’esperienza di Rossi si distingua per la sua rara consapevolezza e raffinatezza: all’alba del Seicento è difficile trovare una scrittura così sapientemente calibrata sulle caratteristiche dello strumento e, al contempo, così autonoma rispetto alla linea vocale.
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