ANTONIO CAROCCIA (presidente ANDA)
L’Italia ha svolto e svolge un ruolo indiscusso nel panorama musicale; ciò nonostante, stupisce l’assenza, nei percorsi scolastici di un insegnamento fondamentale come la storia della musica. Accanto alla musica pratica, che si studia e si esegue e che quindi richiede un percorso specifico, esiste anche una musica intesa come disciplina storico-umanistica, strettamente legata a tutte le altre manifestazioni della nostra civiltà, non solo letterarie e artistiche, ma anche sociali ed economiche. La storia della musica è, dunque, ben altra cosa rispetto all’alfabetizzazione musicale e alla pratica esecutiva. E senza il suo studio qualunque analisi della nostra civiltà risulta inevitabilmente non solo incompleta, ma non pienamente comprensibile. In altre parole, senza la storia della musica tutta la nostra storia rimane sfocata, in alcuni casi addirittura rischiosamente esposta a travisamenti.3L’inserimento di questa disciplina nei percorsi scolastici rappresenterebbe, dunque, un tratto caratterizzante e ben radicato del sistema educativo, frutto di una sensibilità culturale moderna e lungimirante, secondo un modello già da tempo adottato da altri Paesi. La storia della musica può e deve instaurare con le altre discipline un fondamentale processo di interazione; un rapporto antico che affonda le radici nel pensiero classico. Ma la storia della musica è importante non solo per la sua complementarità con le altre discipline; l’assenza di questa disciplina dai percorsi scolastici ci priva infatti di un formidabile mezzo per comprendere in modo ad un tempo immediato e profondo il carattere, la Stimmung di tanti movimenti culturali, quali il Romanticismo, il Decadentismo, il Futurismo, eccetera. La storia della musica pertanto non dev’essere un optional, un di più che si frequenta ad libitum solamente per abbellire le nostre conoscenze; non è un contorno, ma un sostanzioso piatto di portata, soprattutto in una nazione come l’Italia, che di tanta musica è stata la culla, la palestra e la scuola. Con l’ascolto della musica è, inoltre, possibile formare il discente, aumentare le sue potenzialità. Lo studio della storia della musica è quindi un atto non solo fortemente emblematico, ma indispensabile per la conoscenza delle nostre radici e dei nostri valori, sanciti anche dall’articolo 9 della Carta costituzionale. Solo inserendo questa disciplina non già in una nicchia per speciali-sti ma in tutti i percorsi didattici si garantirebbe ai giovani una vera ricettività umanistica, assicurando per il futuro generazioni di studenti consapevolmente informati. L’attenzione al patrimonio storico-musicale nazionale e alla sua conoscenza costituisce infatti una componente essenziale dell’educazione alla cittadinanza e della maturazione culturale dei nostri giovani, per una consapevolezza d’identità nazionale che sia legata anche ai territori. Inoltre, la valenza formativa dell’educazione alla musica nella sua dimensione storico-culturale, oltre che creativa, è confermata anche da tutta la ricerca pedagogico-scientifica e dal Decreto legislativo n.60 del 13 aprile 2017, per la promozione della cultura umanistica e valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali. Giova qui ricordare anche la proposta di legge n.1553 (XVIII legislatura, Camera dei Deputati) dell’onorevole Michele Nitti (primo firmatario) dal titolo Delega al Governo per l’introduzione dell’insegnamento della storia della musica nella Scuola secondaria di secondo grado, presentata il 30 gennaio del 2019 e mai incardinata.
Fino a questo momento, dunque, l’insegnamento dell astoria della musica viene svolto esclusivamente nei Licei musicali per un totale di due sole ore settimanali dalla prima alla quinta classe; e nei licei coreutici un’ora settimanale, solo dalla terza alla quinta classe, per un totale di trentatré ore in un quinquennio. Troppo poco, o quasi nulla, per un Paese come l’Italia ove è nata e si è sviluppata tanta parte dell’identità musicale occidentale. Preoccupa in particolare l’assenza della disciplina in alcuni indirizzi caratterizzanti, negli altri ordini liceali e soprattutto nella Scuola secondaria di secondo grado. Pur considerando le difficoltà esistenti nel quadro orario generale e quelle relative all’ampliamento degli organici, occorre infatti garantire un adeguato livello culturale che preveda un giusto riconoscimento della disciplina e il pieno riconoscimento dei titoli d’accesso previsti per l’insegnamento di questo percorso, come ad esempio la Laurea magistrale in Musicologia, o il Diploma accademico in Discipline storiche in seno all’AFAM. Pertanto, questo insegnamento non può essere affidato a personale docente soprannumerario senza il possesso di specifici titoli e competenze. L’insegnamento della storia della musica è, dunque, un’occasione privilegiata di formazione culturale e professionale per tutti gli studenti che desiderano conoscere il patrimonio storico-musicale e le radici musicali nazionali. Come l’interrogativo che si pone lo studente Federico Bani di Milano: «Da studente del quarto anno del liceo scientifico ritengo sia di notevole interesse lo studio della storia, non soltanto delle diverse epoche e degli innumerevoli conflitti, ma anche, e soprattutto, della letteratura italiana, dell’arte, della filosofia, degli autori latini. Pertanto, è da diverso tempo che mi chiedo perché non vi sia anche lo studio della musica, che dal XVII secolo costituisce un imprescindibile elemento culturale della vita di tutti i giorni»LORENZO BIANCONI (vicepresidente del «Saggiatore musicale»)
Parlo qui in rappresentanza del «Saggiatore musicale», associazione di musicologi riconosciuta dal Ministero come ente accreditato per la formazione e l’aggiornamento del personale della Scuola. Grazie all’impulso di Giuseppina La Face, già ordinario di Pedagogia musicale nell’Università di Bologna, da decenni «Il Saggiatore musicale» si adopera perché i musicologi italiani rinvigoriscano questo ramo della loro disciplina. Parlo anche in base all’esperienza fatta nel 2009/2010 in seno alla commissione ministeriale che ha elaborato i programmi dei licei musicali e coreutici; in particolare, ho stilato le Indicazioni nazionali di Storia della musica, disciplina oggi contemplata esclusivamente in questi due Licei (cfr. D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89). La domanda posta nel convegno odierno, “Quale futuro per la Storia della musica nelle scuole italiane?”, presenta varie facce. Ne considero tre: un assunto educativo, un pregiudizio disciplinare, un fabbisogno didattico. L’assunto educativo è presto detto. Monsieur de La Palisse lo riassumerebbe così: si può vivere senza conoscere il Don Giovanni di Mozart, Il barbiere di Siviglia di Rossini, La bohème di Puccini; ma conoscendoli si vive meglio. Chi li ha incontrati tra i 15 e i 19 anni – l’età in cui si struttura la coscienza estetica – avrà imparato a meglio ridere e a meglio piangere. Il valore formativo dell’arte musicale non è certo inferiore a quello delle arti visive. Attenzione: parlo qui del confronto con l’opera d’arte musicale, non dell’esercizio musicale. Ora, la storia dell’arte –un vanto del Liceo italiano – è presente in tutti gli ordini di licei; la storia della musica c’è invece nel solo Liceo musicale e coreutico. Ottima cosa che anche i futuri musicisti ricevano un’educazione storico-artistica: pessima, viceversa, che la storia della musica venga denegata a tutti gli altri studenti delle Secondarie di secondo grado. Sosteniamo che, per la buona formazione di tutti i nostri giovani concittadini, è utile che essi incontrino, a scuola, la musica d’arte. Il pregiudizio disciplinare. Proprio il caso della commissione per il Liceo musicale offre un esempio eloquente e paradossale. Nella bozza di programma orario che gli uffici del Ministero proposero ai commissari, l’insegnamento di Storia dell’arte figurava sull’intero quinquennio con due ore settimanali, mentre la Storia della musica ne prevedeva una sola. Non soltanto, dunque, la storia della musica era (ed è) prevista nel solo Liceo orientato verso l’esercizio della musica (e della danza): ma aveva una portata irrisoria. Grazie alla argomentata caparbietà della commissione e alla sensibilità dell’ufficio, la disciplina è poi stata elevata a due ore per tutti e cinque gli anni: il minimo indispensabile, anche per far spazio all’ascolto, che ha le sue durate, incomprimibili. C’è, radicatissima anche tra gli intellettuali italiani, una credenza fallace: ‘capisce’ la musica soltanto chi la ‘pratica’. Sbagliato: la comprensione dell’arte musicale non è riservata a chi ne possieda la grammatica; la musica si apprende in primis attraverso l’ascolto. E la storia della musica non è un racconto nozionistico, è l’accostamento all’opera d’arte e al suo contesto storico mediante l’ascolto riflessivo. La didattica dell’ascolto è la strada da percorrere, e la sua sede primaria è l’insegnamento della storia della musica, beninteso modulato in base ai prerequisiti. Infine, il fabbisogno didattico. Docenti e studenti, come tutti noi, vivono immersi in un mondo pervaso da musiche della più varia specie. Nel gran bailamme, c’è forte richiesta di orientamento. Ai corsi di formazione e aggiornamento che «Il Saggiatore musicale» offre ai docenti delle Scuole secondarie di primo e secondo grado, come pure ai corsi musicali occasionalmente impartiti nel programma “I Lincei per la Scuola”, partecipano a frotte docenti di lettere, lingua, storia, filosofia: il desiderio di integrare la cultura musicale nei programmi ufficiali è forte e diffusa. Che gli agganci didattici siano abbondanti, è nozione ormai acquisita. Va incoraggiata. A scanso di equivoci. Non abitiamo sulla luna. Forse non si può far posto alla storia della musica negli orari curricolari, notoriamente anelastici? Il sistema scolastico allora metta a frutto, per questa disciplina, i diversi canali alternativi che consentono di ampliare e arricchire l’offerta formativa. Siamo pronti a collaborare.GIOVANNI GIURIATI (presidente ADUIM)
Onorevole sottosegretario Frassinetti, onorevole Manzi, dott.ssa Palumbo, care colleghe e cari colleghi, ringraziando sentitamente per questa opportunità che ci viene data per far sentire la nostra voce, in questo mio intervento in rappresentanza della musicologia universitaria vorrei evidenziare il nostro ruolo nel campo della formazione. A partire dalla fine degli anni Cinquanta la Musicologia si è largamente consolidata nelle università ed è ora presente in oltre 40 atenei con un organico di 138 docenti. Vorrei anche sottolineare che l’Associazione fra Docenti Universitari Italiani di Musica (ADUIM) rappresenta tanto musicologi che etnomusicologi, divisi in due diversi settori scientifico-disciplinari (L-ART/07 e L-ART/08),ma sostanzialmente uniti negli obiettivi didattici e istituzionali, oltre che nella ricerca scientifica in una ricchezza di approcci interdisciplinari. La musicologia universitaria rilascia titoli di studio in Musicologia su tutto il territorio nazionale, dal Trentino-Alto Adige fino alla Sicilia, in un quadro in continuo divenire che annovera attualmente oltre 20 corsi triennali in DAMS e Beni culturali (L 3) e sette corsi di laurea magistrale in Musicologia (LM45), a cui vanno aggiunti 25 corsi nella classe di Scienze dello spettacolo e produzione multimediale (LM65) nei quali la presenza della Musicologia è in molti casi rilevante. Sono inoltre attivi diversi dottorati di ricerca, sia specificamente musicologici che accorpati con altri settori umanistici, come anche in convenzione con i conservatori di musica. Per il terzo livello di formazione è da segnalare anche la Scuola di specializzazione in Beni musicali interateneo di recentissima istituzione che consorzia le Università di Bologna, Pavia e Roma “La Sapienza”. Un rilevante sbocco professionale per questa ampia e intensa attività formativa è quello dell’insegnamento. La musicologia universitaria è per questo da anni anche molto impegnata nella formazione dei futuri insegnanti attraverso l’attivazione dei diversi percorsi formativi per l’abilitazione, a iniziare dalle SISS, per proseguire con i PAS, e poi con i percorsi TFA e FIT ed è, fra l’altro, anche presente con l’Etnomusicologia e con didattiche specialistiche nei 24 CFU, obbligatori per accedere a tutte le classi di concorso. Naturalmente è pronta a fare la sua parte anche nel nuovo sistema che è stato recentemente avviato. La ricerca scientifica si sviluppa in ambito internazionale attraverso l’intensa partecipazione a convegni e gruppi di ricerca e all’attività editoriale. Un risultato da segnalare è il successo ottenuto negli ultimi bandi PRIN con un alto numero di progetti musicologici finanziati nell’ambito dell’area umanistica. Vorrei anche sottolineare l’intensa attività della musicologia universitaria nel quadro della cosiddetta ‘Terza missione’, compresa la promozione di pratiche musicali dirette e la divulgazione in molteplici forme, ivi incluse quelle didattiche. Anche in questo campo la musicologia sta conseguendo risultati importanti, come testimoniato dagli alti punteggi che i progetti musicali universitari hanno ottenuti nella recente VQR. Tra le attività principali recenti dell’ADUIM, condotte in sinergia con le al-tre associazioni musicologiche qui presenti, vorrei segnalare quantomeno il sostegno dato al progetto di legge presentato dall’on. Michele Nitti, Delega al Go-verno per l’introduzione dell’insegnamento della storia della musica nella scuola secondaria di secondo grado(XVIII Legislatura, Camera dei Deputati, n. 1553), nonché la pro-mettente e avanzata trattativa intavolata con il Ministero della Cultura per l’istituzione del profilo di funzionario musicologo, storica battaglia della musicologia italiana. Come si vede, la presenza della musicologia universitaria nel sistema formativo è ampia, solida e in rafforzamento. Non mancano tuttavia ancora cose da fare e proposte da avanzare. Il tempo oggi è troppo breve per segnalarle tutte, e auspico ci siano presto altre occasioni di incontro. Vorrei in questa sede giusto menzionare la necessità di sostenere le prerogative dei nostri laureati nell’accesso alle classi di concorso per l’insegnamento, dato un quadro normativo non sempre chiaro che crea anche una non necessaria rivalità con i conservatori, con i quali gioverebbe al contrario poter collaborare serenamente per interessi convergenti. La questione di fondo che solleviamo è che questo accesso deve essere aperto a entrambi i canali, quello AFAM e quello universitario, con pari dignità e mantenendo le rispettive specificità, cosa che purtroppo non sempre avviene, come, ad esempio, nelle consultazioni al MUR nel momento in cui vengono prese nell’uno o nell’altro comparto (AFAM e Università) decisioni che investono l’intera disciplina. Vorrei quindi segnalare una questione specifica e pertinente rispetto all’incontro odierno, che merita particolare attenzione: l’insegnamento della storia della musica nei licei musicali, che attende ancora una sistemazione adeguata. Il problema principale è costituito dalle cattedre che non prevedono orario completo (generalmente dieci ore corrispondenti al ciclo formativo quinquennale di una sezione) e che per questo non possono essere ricoperte da insegnanti di ruolo vincitori del concorso specifico; per le supplenze è poi richiesto un doppio titolo (universitario e AFAM) che esclude musicologi formatisi, anche a livello dottorale, nelle Università. Ritornando a questioni più generali, il punto fondamentale che vorrei qui ribadire, unendomi ai colleghi, è che mentre la musica è certo declinabile attraverso una pratica che raggiunge eccellenze nel nostro Paese ed è essenziale, non bisogna dimenticare che essa è anche una parte molto importante della cultura italiana e come tale necessita dunque di una riflessione sui percorsi storici, culturali, sociali che essa ha intrapreso nel passato e intraprende anche nella nostra società contemporanea. Riflessione e consapevolezza che devono essere presenti anche nel nostro sistema formativo attraverso l’insegnamento della storia della musica (o, meglio, delle musiche).CLAUDIO TOSCANI (presidente SIdM)
Sono molti i motivi che rendono paradossale l’assenza, o una presenza solo marginale, della storia della musica nella Scuola secondaria italiana, determinando una vistosa lacuna nella formazione del cittadino e dunque nella cultura generale degli italiani. Non desidero qui ripetere quanto più volte richiamato in convegni, incontri pubblici, appelli a mezzo stampa, né quanto hanno già sotto-lineato le più recenti proposte legislative (come la n. 1553, a firma Michele Nitti, del 30 gennaio 2019) per l’introduzione della storia della musica nel curricolo della Scuola secondaria di secondo grado; proposte che non hanno potuto concretizzarsi per la limitata durata delle legislature dalle quali l’attuale è stata preceduta. Basterà qui richiamare qualcuna delle ragioni per le quali l’assenza di un’educazione alla musica nel percorso scolastico generale degli italiani, con la diffusa incompetenza che ne discende a livello nazionale, costituisca una questione tanto clamorosa quanto irrisolta: la ricchezza di una tradizione storica e di un patrimonio, materiale e immateriale, ineguagliati nel mondo per importanza e vastità; la valenza formativa di un’educazione alla musica d’arte, strumento di conoscenza ma anche lo conferma un’ampia messe di studi psico-pedagogici di affinamento della sensibilità personale, di perfezionamento delle capacità cognitive ed emozionali; non solo arricchimento culturale, dunque, ma anche conoscenza di sé, dei propri affetti e delle proprie azioni: l’educazione alla musica è capace di stimolare una vera e propria educazione etico-emotiva e di sviluppare, di conseguenza, il senso civico del cittadino; il contributo che lo studio della storia della musica (inteso anche come educazione all’ascolto, come acquisizione di una consapevolezza storico-critica dei repertori) può dare a una comprensione più piena dei fenomeni storici, culturali, artistici e sociali della nostra tradizione; che la cultura musicale possa e debba essere integrata alle conoscenze sulla storia, la filosofia, la letteratura, le arti figurative e via dicendo, è ormai opinione comune ed esigenza educativa largamente condivisa. Se non mancano dunque le buone ragioni per integrare la storia della musica nel percorso formativo nazionale e farne un elemento fondante della cultura di ogni cittadino, vorrei richiamare in questa sede l’attenzione su un motivo ulteriore, non sempre messo in luce con il dovuto risalto. Nella storia del nostro Paese la musica ha svolto un ruolo centrale per la formazione di una coscienza collettiva e ha promosso l’idea di appartenenza nazionale in quel processo che ha portato l’Italia, quasi duecento anni fa, a non esser più considerata come una semplice espressione geografica. In uno stato che ha raggiunto tardi l’unità politica, e solo in tempi molto recenti una certa unità linguistica, l’idea di appartenere a una nazione si è sviluppata in tempi altrettanto recenti. Un’idea che ha avuto origine solo nella prima metà dell’Otto-cento, quando si è costituita gradualmente attraverso la fissazione di simboli e rituali che ne hanno promosso la consapevolezza anche presso una popolazione largamente analfabeta e insensibile ad elementi identitari che andassero al di là del proprio campanile. In questo processo di formazione gli storici hanno riconosciuto da tempo che un ruolo fondamentale è stato svolto dal melodramma. Grazie alla diffusione capillare e duratura, al successo popolare, a canali di propagazione quanto mai ramificati, l’opera ha rappresentato, per l’Italia, il fenomeno artistico che più di ogni altro le ha conferito quell’unità che secoli di storia le avevano negato. Da una parte il melodramma ha divulgato ovunque la musica e la lingua italiane, anche negli ambienti sociali che, per condizione economica o disloca-zione geografica, non avevano alcun accesso ai teatri in cui si cantava l’opera (la diffusione della lingua italiana, del resto, è un ruolo che il melodramma ancora oggi svolge nel mondo). Dall’altra ha adottato modalità di narrazione della realtà che rassicurano sull’ordine morale che regola il mondo (per esempio, sulla possibilità di far trionfare la virtù smascherando i tiranni): ha rappresentato perciò una ‘scuola’, una vera e propria educazione etico-sentimentale, promossa tramite la rappresentazione di modelli etici e comportamentali ampiamente condivisi, che hanno profondamente influito sulla cultura, la politica, la società dell’Italia unita. Nella storia della nazione il melodramma ha svolto dunque una funzione importante sia per la nascita dell’idea stessa di nazione, sia per la formazione di una coscienza collettiva e dell’appartenenza a una comunità nazionale. È anche per questo che ancora oggi è uno degli elementi tipici con i quali si identifica l’italianità nel mondo. Ed è anche per questo che riconoscerne le radici storiche e approfondirne lo studio negli anni cruciali della formazione dei nostri giovani è, per il nostro Paese, quasi un dovere morale.
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