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Soft Power: è la gastro-diplomazia la vera forza del nostro Paese

“La concorrenza per conquistare menti e portafogli in tutto il mondo passa sempre di più da piatti e stomaci”- ha dichiarato Andrea Goldstein durante la conferenza “Soft Power, Made in Italy e Italian Lifestyle nel mondo. Quale ruolo per la gastronomia?”

Il potenziale d'attrazione di una nazione non è rappresentato esclusivamente dalla sua forza economica e militare, ma si alimenta attraverso la diffusione della propria cultura e dei valori storici fondativi di riferimento. E' la Soft Power, espressione coniata negli anni Novanta del 20° sec. dallo scienziato politico statunitense Joseph Nye per definire l'abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non la coercizione, ed il segreto del nostro paese per diventare una "soft-superpotenza" è racchiuso nel suo immenso patrimonio enogastronomico. 

Cibo, cucina, cultura enogastronomica sono sempre più percepiti infatti come strumenti di politica estera e di diplomazia economica. Come il paesaggio, l’architettura, la letteratura, il cinema o la moda sono un’espressione dei valori nazionali. Uno strumento di soft power, ma anche una leva potente per promuovere l’export di beni e servizi, non solo quelli legati direttamente alla tavola e al cibo. Quali politiche di promozione e valorizzazione allora per il patrimonio gastronomico italiano? Quale ruolo per i differenti attori? Cosa imparare dalle best practice internazionali?

Questi i temi discussi nel convegno “Soft Power, Made in Italy e Italian Lifestyle nel mondo – Quale ruolo per la gastronomia?” organizzato da Nomisma lo scorso 6 dicembre a Bologna, con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale. Focus dell'incontro è stato la “gastro-diplomazia”, cioè l’insieme di iniziative realizzate per promuovere attraverso la cucina l’immagine di un paese nel mondo e i suoi interessi, sia economici, sia politici.

La gastro-diplomazia ha una doppia funzione: da una parte accompagnare lo sviluppo di opportunità economiche e commerciali, dall’altra contribuire alla costruzione di un’immagine nazionale e di soft power che influenzi la percezione dell’opinione pubblica estera. Quando si parla di cucina, e di alta cucina, limitarsi ai confini nazionali è molto riduttivo. Nomisma ha studiato in profondità l’universo dei migliori ristoranti al mondo ed emergono vari spunti interessanti.

Ecco allora che nel panorama dei ristoranti tri-stellati l’Italia si posiziona al 4° posto nel mondo con 8 ristoranti, preceduta da Giappone (26 ristoranti), Francia (25 ristoranti) e Stati Uniti (14 ristoranti). La Francia è un paese che annovera una lunga tradizione di alta cucina: ben 11 ristoranti a tre stelle esistono da oltre 10 anni, in Italia sono soltanto 4. Un primato che permane anche se si considerano i ristoranti tre stelle di cucina francese al di fuori della Francia (19 ristoranti conto i 2 ristoranti a 3 stelle di cucina italiana che si trovano all’estero). La cucina francese è la più gettonata tra i 118 ristoranti tri-stellati del mondo (37,3%), seguita dalla giapponese (21,2%), dalla creativa (18,6%), dall’italiana e dalla spagnola (8,5%) e da quella asiatica (5,9%).

I grandi chef del mondo sono soprattutto francesi (31) e giapponesi (27) e quasi tutti uomini (solo 3 sono donne). Un quarto di essi esercita la propria attività al di fuori del paese di origine e 1 su 9 ha ereditato le 3 stelle.Nelle grandi città dell’Anglosfera (New York, Los Angeles, Chicago, Londra e Toronto) il cibo italiano non teme il confronto con quello francese: secondo la Zagat i migliori ristoranti italiani hanno la stessa nota di qualità dei migliori ristoranti francesi che perdono però il confronto considerando i parametri del décor e del servizio.

Per quanto riguarda poi il vino, cosa si beve nei migliori ristoranti al mondo? Nei grandi ristoranti dei paesi che non producono grandi vini si beve soprattutto francese (10 volte il numero di bianchi rispetto ai vini italiani, “solo” 5 volte per i rossi) e il prezzo medio di una bollicina francese è 5 volte quello dei nostri spumanti.

Dall'analisi emerge che è la Francia a dominare nelle carte vini dell'alta cucina, e questo perché ed è cosa risaputa, è stato probabilmente il primo paese a dotarsi di una strategia di diplomazia culinaria più di due secoli fa, e che nell’ultimo decennio si sono moltiplicate le iniziative di questo tipo.

L’Italia invece ha adottato di una strategia formale di gastro-diplomazia solo di recente con il Food Act, il piano di azioni per la valorizzazione della cucina italiana. A fine novembre 2016 poi si è tenuta la prima Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, sul modello di iniziative simili che altri paesi che si vantano della propria cucina, non solo per la storia e la tradizione cui è associata, ma anche per la carica innovativa che contiene, realizzano da vari anni.

Alcuni paesi come Giappone e Corea hanno creato apposite istituzioni per promuovere la diplomazia culinaria, mentre in Francia, Spagna, Tailandia e Perù sono i Ministeri o i loro enti incaricati ad occuparsene direttamente o indirettamente. Chef e ristoranti sono attori fondamentali della competitività gastronomica assieme alle scuole di cucina.

Anche le risorse dedicate alla gastro-diplomazia sono consistenti. Per esempio, l’iniziativa "Enjoy, it’s from Europe": la nuova politica di promozione adottata dalla Commissione europea che intende aiutare i professionisti del settore a inserirsi nei mercati internazionali o a consolidarvi la loro posizione e rendere i consumatori europei più consapevoli degli sforzi compiuti dagli agricoltori europei, che ha ricevuto nel 2016 €111 milioni — una cifra che crescerà ogni anno fino ad arrivare a €200 milioni nel 2019.

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