Musica corale sacra: dalla voce "ferma", alla disposizione dei registri vocali, fino all'organico di soli uomini, alla ricerca di una credibile prassi esecutiva del Rinascimento
Ricostruire la prassi esecutiva della musica corale nel Rinascimento non è un lavoro di facile attuazione, una prassi della quale forse si è irrimediabilmente persa ogni continuità, a differenza di quella barocca, con la quale è stato invece intrapreso un cammino di pertinenza estetica. Questa lacuna nel mondo corale potrebbe in parte essere colmata da una attenta ricerca da parte di chi decida di cimentarsi nella rappresentazione di questo repertorio.
Essendo un campo di ricerca in cui c'è sempre molto da esplorare ed indagare, è necessario analizzare con spirito critico le fonti primarie, gli spartiti ed i trattati teorici, come anche le cronache, i libri paga, le testimonianze letterarie di pratiche musicali e le rappresentazioni iconografiche. Soltanto attraverso il confronto tra tutti questi documenti sarà possibile avvicinarsi il più possibile alla prassi del tempo: il numero dei cantori che eseguivano polifonia, gli equilibri tra le diverse voci, il variare degli organici nelle varie occasioni in cui si faceva musica, l'uso degli strumenti, il giusto modo di cantare e il variare di tutti questi parametri al variare del genere musicale, della funzione che assumeva la musica in quel contesto e anche in base all'effetto sonoro desiderato dal committente. Questo ultimo aspetto è importante ed implica in parte anche lo stile personale del compositore, ma non necessariamente, almeno in questo caso. (la tematica sarà trattata in un prossimo articolo per un'analisi stilistica della polifonia rinascimentale).
In pratica iniziare con la valutazione della vocalità e la gestione dell'organico, ovviamente, ci obbliga ad addentrarci in quelli che sono gli aspetti tecnici basilari. Sappiamo che nel Rinascimento, vocalmente, non esisteva il terzo registro (cantus fino al mi [fa], altus fino al la [sib], tenor fino al fa [sol] e bassus fino al si [do], tutto esattamente come la nota limite nelle chiavi antiche). Occorre quindi necessariamente, per la concreta pratica musicale di oggi, usare la regola del trasporto che permette a ogni voce di cantare nella sua tessitura naturale. L'altus (voce maschile tenorile) scavalca il secondo registro del tenore rimanendo nella postura del citato registro e procedendo verso l'alto come "tirando un elastico" (falsettone). Il colore dell'altus rimane dunque un colore "tenorile" e non prevalentemente falsettistico, come accade, talvolta, nei cori inglesi. Nel sentire comune infatti, in qualche modo, si è di fatto affermata una linea interpretativa tipica del nord Europa, in particolare del mondo anglosassone, con suoni fermi, intonazione basata sulla scala temperata, grande precisione nelle articolazioni e di piacevole ascolto, indipendentemente dal testo. Tale prassi interpretativa, lodevole e frutto di una ininterrotta tradizione di professionalità, rischia però di comprendere in modo univoco le caratteristiche dei compositori dell'epoca.
In termini comunicativi, un aspetto interessante è che all'epoca esisteva una continuità vocale di approccio al canto in cui le espressività erano affidate alla teoria degli "affetti", "pertinenti" quindi, ed estremamente "arricchenti", solo se realizzate sulla base di un'emissione vocale "ferma", senza vibrato, necessaria, nello specifico, nel repertorio sacro. L'attenzione di questo aspetto è quindi rivolta ad evitare una generalizzazione che invita facilmente ad adottare un suono corale di stampo più verosimilmente operistico. Sulla base di una emissione vocale "ferma" e, senza vibrato, il cuore, il nucleo di tutto il "colore" di questo genere di musica, sarà facilmente identificabile nell'accento tonico della parola (all'interno, ovviamente, del contesto generato dalla frase). Tale punto fondamentale può essere raggiunto attraverso la "distensione o tensione" - determinata dall'ubicazione delle note in relazione al tactus - in grado di farci arrivare alla radice sonora della scrittura rinascimentale.
Oggi siamo in grado di comprendere esaustivamente il segno grafico rinascimentale al fine di operare corrette trascrizioni in notazione moderna. Ma il passaggio dal "segno grafico" al "segno sonoro" è sostanzialmente affidato al gusto, codificando così una curiosa situazione dove semiologia e pratica musicale, di fatto, non dialogano. Le trascrizioni in notazione moderna della musica rinascimentale, per facilitare una pratica che ricerchi una "pertinenza estetica", dovrebbero essere fatte mantenendo i valori della grafia rinascimentale originale, per permettere di distinguere più chiaramente e immediatamente le note bianche da quelle nere - quest'ultime in termini di leggerezza richiesta - aiutando non poco alla pronta identificazione del tactus, alla comprensione dell'architettura globale del brano musicale.
Riguardo ai registri vocali, un aspetto molto sottovalutato, è che l'organico cinquecentesco non prevedeva bambini. La voce del cantus era praticata da falsettisti e, con molta probabilità, non da castrati. La voce dell'altus rappresenta una sorta di "cerniera" tra il cantus e il resto del coro, ed è la voce che, nella sua tessitura acuta, fornisce ricchezza di armonici e compattezza a tutto il coro. Quindi è importante considerare che in un coro con la presenza di bambini, affidare a questi la voce dell'altus, come una sorta di "contralto", è sostanzialmente tradire il suono tipico della formazione rinascimentale, costringendo lo stesso a un'estetica di stampo romantico.
Per una adeguata disposizione dell'organico, sappiamo che nel XVI secolo esisteva un assetto in qualche modo, "costretto". Di fatto tutti leggevano da un libro comune posto in un grande leggio. Guardando il coro si trovava così, nella prima fila, a sinistra l'altus e a destra il cantus, e nella seconda fila a sinistra il bassus e a destra il tenor. Attualmente, avendo ogni corista una propria parte musicale, mantenere il coro nella stessa posizione del Rinascimento appare ingenuo e anche, acriticamente, "nostalgico". Infatti, per facilitare il coro ad avvicinarsi a un credibile suono "rinascimentale" orientato verso una ricercata "chiarezza" e "trasparenza", si potrebbe provare a disporlo a "piramide", e cioè, su tre file: il bassus nell'ultima come base del coro, in seconda fila il tenor e l'altus, e in prima fila il cantus. Nel caso di un organico con la presenza di voci femminili occorrerebbe - dove necessariamente le donne cantano la parte dell'altus - prevedere la presenza di qualche tenore "acuto" nella sezione, per garantire l'unità sonora del coro.
Choraliter
Choraliter, avverbio latino se letto unitamente, che specifica il carattere corale dell'Associazione, non solo nel senso di un'associazione di cori, ma anche inteso nel senso che fondere coralmente le diverse esperienze e capacità deve essere la caratteristica dell'associazione. Letto nelle sue due componenti semantiche, evidenziate anche graficamente nella testata, Choraliter, o viaggio del coro, sottolinea il carattere di ricerca mossa dalla passione che l'attività corale deve avere e alla quale devono servire Feniarco e le Associazioni Regionali Corali. La periodicità della rivista impone un taglio più rivolto al dibattito e alla discussione che non alla cronaca, pur rispettando la doverosa informazione sull'attività interna di Feniarco e delle Associazioni Regionali Corali. Uno specifico argomento viene di volta in volta trattato e concorre a formare il dossier della rivista, in cui le voci della coralità italiana, più o meno note, aprono il dibattito ed offrono spunti di riflessione. Avviato nel 1999, esce abitualmente nei mesi di gennaio, maggio e settembre.
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