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Libri. La tecnica del contrappunto vocale nel Cinquecento. Un trattato fondamentale per giovani compositori

Scritto da Renato Dionisi e Bruno Zanolini per la Suvini Zerboni, La tecnica del contrappunto vocale nel Cinquecento è ancora oggi un testo di riferimento per quanti vogliano intraprendere gli studi di composizione offrendo all'allievo una base per potersi appropriare di un solido artigianato che gli consenta di "piegar la nota al voler dell'idea".




Quello scritto da Renato Dionisi e Bruno Zanolini che fu suo allievo, costituisce un'ottima guida sullo studio del contrappunto e per la formazione del giovane compositore che ancora non ha individuato una personale cifra stilistica. La scrittura corale era per Dionisi, allievo di Celestino Eccher, maestro di formazione romana, la base di ogni possibile apprendistato in virtù del rigore che la scrittura corale impone e del relativamente più facile controllo che se ne può avere. 

In Italia, e non solo in Italia, gli studi di composizione si svolgono ancora secondo un percorso obbligato, che parte dall'armonia, prosegue con il contrappunto, la fuga ed arriva infine alla composizione (una cosa "diversa" e separata dal resto!). Si tratta di un piano di lavoro antistorico di comodo, in quanto proposto in un periodo nel quale l'armonia tonale era cosa di tutti e di tutti i giorni.

Ancora oggi, d'altronde, per non pochi didatti risulta assolutamente necessario far precedere lo studio del contrappunto da quello dell'armonia, il che è insostenibile: infatti tutta la prassi armonica che non si riferisca strettamente al puro fatto verticale dei suoni deriva chiaramente dal contrappunto e non viceversa. Lo stesso collegamento fra due accordi propone, per forza di cose, un movimento di linee e quindi un procedimento contrappuntistico.

Sarebbe invece auspicabile condurre gli studi musicali seguendo un percorso storico delle tecniche dall'archeologia ai nostri tempi - cominciando perciò (e già dalle scuole elementari) ad affrontare i problemi relativi al ritmo e alla sua organizzazione (invece del solfeggio tradizionale), poi quelli della melodia e della composizione lineare necessariamente combinati con quelli ritmici (analisi del gregoriano, del canto popolare ecc.), per passare al contrappunto vocale da due a molte parti e quindi ai problemi strutturali, contrappuntistici e armonici contenuti nelle varie letterature vocali e strumentali e nei vari sistemi dalla fine del '500 ad oggi.

Il libro è dedicato all'indagine tecnica della letteratura vocale del '500, all'analisi cioè dei caratteri distintivi di una vocalità che riassume in sé il travaglio di secoli di polifonia. Alla luce della prospettiva storica indicata, esso prescinde dai riferimenti alla musica vocale e strumentale dei periodi successivi, pur usando per comodità e chiarezza alcuni termini del linguaggio tecnico attuale, e dà invece per scontata la conoscenza delle nozioni teoriche e, in una certa misura, del canto gregoriano che sono alla base della prassi musicale dell'epoca.

Lo studio, condotto su una pratica d'arte e non su teorie astratte, si propone di mettere in luce le costanti tecniche della polifonia vocale cinquecentesca, precisando - per quanto possibile le differenze riscontrabili fra repertorio sacro e profano e fra scholae e autori diversi, differenze che si risolvono nelle eccezioni.

Non esiste infatti procedimento, per quanto basilare, che sia assoluto: questo è ovvio, giacché l'eccezione è il segno inconfondibile del cammino di ogni espressione artistica, rappresentando il continuo porsi in divenire del linguaggio di un certo periodo, del suo maturarsi, del suo decadere e rinnovarsi. Ciò è tanto più valido per il '500, secolo di grande evoluzione musicale, che nasce nel fiamminghismo e si prolunga nel barocco e che evidente- mente non può proporre al suo inizio gli stessi dati tecnico-stilistici che presenterà alla sua conclusione. Le inquietudini del periodo storico si ritrovano poi nella stessa produzione dei singoli autori, per cui ad esempio il primo Palestrina non è uguale all'ultimo, e di tale dinamismo le eccezioni rappresentano appunto il segno particolare.

Differenze di rilievo esistono poi fra i due repertori, da una parte quello sacro, dotto e conservatore per forza di cose, dall'altra quello profano, assai più possibilista e soggetto a mutamenti anche rapidi per la spinta del prodotto popolare. Si tratta comunque di due posizioni artistiche adiacenti e non antitetiche, che si influenzano a vicenda.

Il maggiore senso armonico della frottola, della villanella e del madrigale mette in evidenza il problema dell'accordalità che - gradualmente - sarà anche un problema della musica sacra, spesso ancorata al senso del contrappunto strettamente orizzontale. L'omoritmia, procedimento "facile" di natura popolare, investe la musica sacra dalla quale è sapientemente collocata nelle lunghe proposizioni letterarie del Gloria e del Credo della messa. L'imitazione (e più raramente il canone) entra a dare rigore stilistico al madrigale. La modalità, rigidamente osservata in campo sacro, si scioglie gradatamente di fronte alla più larga interpretazione che ne dà il repertorio profano, sicché i due campi - nel secondo '500 - si trovano insieme a presentare le più valide proposte per il passaggio alla nuova musica. Per valutare la complessità del quadro, si consideri ancora che le varie scholae si rifanno spesso a tradizioni culturali e artistiche differenti, che influiscono in varia misura sulle caratteristiche musicali dei rispettivi autori.

In riferimento a ciò, sono stati scelti per l'analisi dei dati tecnici e strutturali della letteratura vocale i compositori più significativi delle diverse scholae: in campo sacro. soprattutto Josquin des Près (1440-1521) e Orlando di Lasso (1530–1594) per la scuola fiamminga, Costanzo Festa (1480-1545), Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594) e Tomás Luis de Victoria (1548-1611) per la scuola romana e spagnola. Nel repertorio pro- fano oltre che agli stessi autori (escluso de Victoria), ci si è rivolti in particolare a Cipriano de Rore (1516–1565), Andrea Gabrieli (1510–1586), Luca Marenzio (1553–1599). Naturalmente non sono stati trascurati altri compositori; viceversa un autore come Monteverdi non è stato preso in considerazione, se non marginalmente, perché pur partendo da posizioni simili a quelle degli altri autori rinascimentali, si proietta poi stilisticamente e cronologicamente nel barocco.

Il trattato ha anche lo scopo di offrire all'allievo una base per potersi appropriare di un solido artigianato che gli consenta di "piegar la nota al voler" dell'idea come diceva Verdi — in relazione alle esigenze del mestiere attuale che non esiste e non può esistere senza i precedenti dai quali deriva. Si tratta di una disciplina mentale e manuale che non è fine a se stessa, ma che permette di confrontare il presente col passato - due termini non antitetici ma complementari se è vero che l'arte non conosce progresso, ma, come un sistema siderale, gira su se stessa con alternanza di corsi e di ricorsi i quali vicendevolmente mettono in luce nuova con nuovi rilievi zone rimaste in ombra che si ripropongono all'attenzione e all'interesse dei secoli successivi.

Così, per fare un parallelismo, alcune ceramiche di Picasso si rifanno più o meno consciamente a quelle dell'antichissimo Iran, le statue dell'antichità ellenica si rinnovano nei profili delle sculture michelangiolesche, motivi delle letterature greca e latina vengono ripensati e riproposti dagli umanisti; moduli bizantini rifioriscono in alcuni atteggiamenti delle musiche sacre di Stravinsky, procedimenti modali e strutturali degli organa medievali si ritrovano e si illuminano nei procedimenti paralleli di Debussy e Ravel, il mondo dell'enigmistica fiamminga rientra nelle strutture canoniche della scuola viennese.

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