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Riflessioni musicali, la gestualità nella direzione di coro. Il tactus, ovvero l'importanza della chironomia nel repertorio cinquecentesco

Una riflessione sull'importanza del fattore gestuale nella direzione di coro molto spesso sottovalutata. La corretta interpretazione ritmica basata sul tactus, equivalente al battito del polso umano, è la più aderente alla pratica esecutiva polifonica per l'esecuzione del repertorio cinquecentesco.



Ho letto con attenzione la tesi di abilitazione alla direzione di coro a cura di Matteo Unich, accreditato insegnante di vocalità e gestualità in diversi corsi organizzati da AERCO. Unich osservava che è esperienza frequente oggi l'imbattersi in direttori con gestualità che è generoso definire lacunose. Tra i principali difetti venivano elencati: il gestire in modo identico con ambo le mani, lo scarso uso della sinistra, una ridotta mobilità delle braccia (ovvero il non utilizzo della completa estensione brachiale), attacchi e chiusure non correttamente risolti. Essendo questi movimenti l'unico veicolo di comunicazione tra direttore e coristi durante l'atto della rappresentazione concertistica, occorrerebbe quindi maggiore consapevolezza da parte dei direttori nell'uso del gesto, e un maggiore impegno nella ricerca di una chironomia inequivocabile dal punto di vista ritmico ed espressiva rispetto all'interpretazione. 

Un altra interessante osservazione è che i cori sono generalmente diretti sempre solo dal loro maestro per molti anni di seguito. Questo crea, ovviamente, un'assoluta dipendenza dal gesto del direttore, un'assuefazione alla chironomia tipica del maestro; ciò rende il complesso poco ricettivo nei confronti dei segni di altri direttori che si avventurino alla sua guida e allo stesso tempo rende meccanico il repertorio gestuale del direttore stabile.

Ovviamente la direzione di un coro non si riduce al solo fatto chironomico: ben altre sono le caratteristiche che connotano un bravo direttore di coro. Ciononostante, il fatto di possedere un gesto chiaro, espressivo, che non metta i coristi nella necessità di sforzarsi di capire l'intenzione del maestro ma che al contrario la palesi esplicitamente, è da ritenersi un'importante prerogativa, tale da far preferire chi la possieda ad altri pur validissimi artisti.

Considerato quanto affermato da Unich, la mia riflessione si concentra, nello specifico, al tactus, e quanto sia importante nella esecuzione del repertorio cinquecentesco. Cominciamo col dire che il tactus (altrimenti detto battuta da Zarlino) è appunto l'unità di tempo usata nel repertorio vocale del '500, equivalente al battito del polso, della durata quindi di circa un secondo con le variazioni suggerite dall'interpretazione del testo. Il tactus comprende i due movimenti dell'atto chironomico del direttore del coro, posizione ed elevazione della mano, corrispondenti alla tesi e all'arsi in cui si suddivide il tactus stesso: tesi e arsi rappresentano poi ciascuna un tempo primo, cioè il tempo più breve una semiminima - necessario a pronunciare una sillaba. 

Nella notazione rinascimentale bianca, il tactus equivale in verità alla semibreve, ma nelle trascrizioni moderne è divenuto usuale dimezzare i valori di notazione, sicché il tactus assume, nella traslitterazione attuale, il valore di minima. Modernamente si usa suddividere il percorso musicale in misure comprendenti due tactus, separate da stanghette. Queste erano adoperate nel '500 nelle intavolature strumentali, nelle trascrizioni per voce e liuto ecc., ma non nelle parti della polifonia vocale: da quando intorno alla fine del secolo anche questa è stata disposta in partitura (primo esempio sono i madrigali a 4 voci di Cipriano de Rore nel 1577 presso Gardano) si è sempre fatto uso delle stanghette esclusivamente per comodità visiva. L'uso poi di porre le stanghette ogni due tactus rappresenta una convenzione (che alla fine del '500 non era unica, giacché talvolta si ponevano anche tre o quattro tactus per misura): tale convenzione non ha alcuna influenza sul risultato musicale, in quanto la misura così determinata non assume il significato moderno di battuta.

Nel '700 e nell'800 infatti, e particolarmente nel caso delle forme di danza, la battuta è di solito lo specchio fedele della misura della musica e risponde veramente alle esigenze delle accentuazioni ritmiche (corrispondenti anche a quelle dinamiche) che prospettano la presenza di tempi forti contro tempi deboli, di battere contro levare, di suoni accentati opposti a quelli atoni. Viceversa nella polifonia vocale del '500 la posizione dei tactus dentro le stanghette non indica una differenza di rilievo ritmico fra i due tactus stessi (il primo non è forte in battere e il secondo non è debole in levare). 

Nel secondo '500 le composizioni profane sono spesso scritte non a note bianche bensì a note nere, cioè in una notazione preceduta da C (tempo imperfetto integro) anziché da quella tagliata. In questo caso i valori originali non vanno dimezzati, ma l'esecuzione deve essere sempre basata su due tactus per misura. Di fatto, per tutto ciò che attiene ai problemi ritmici della notazione originale, e della sua trascrizione attuale, ci si attiene alle indicazioni della moderna scuola romana (Casimiri ecc.). 

Senza voler entrare in polemiche, cosa inevitabile dato che i teorici del '500 non sono concordi e di conseguenza neppure quelli moderni, bisogna notare che altri musicologi (Tirabassi, Apel ecc.) sostengono la tesi secondo cui nel C tagliato il tactus equivale alla breve (originale): se ciò corrisponde in effetti alla teoria (e alla pratica) del primo Rinascimento, c'è tuttavia da osservare che nel corso del '500 il tactus major (per cui sotto il C tagliato il tactus equivale alla breve) è sostituito dal tactus minor (per cui sotto il C il tactus equivale alla semibreve) anche se rimane l'usanza di mantenere il C tagliato.

In definitiva nel '500 sotto il C tagliato il tactus equivale alla semibreve: scrive infatti il teorico Heinrich Faber (Ad musicam practicam introductio, 1550) che al suo tempo anche sotto il C tagliato il tactus minor è rimasto solus apud cantores regnans, come conferma del resto anche il teorico A. Wilphlingseder (Frothemata musicae practicae, 1563). Conseguentemente, nella notazione a note nere del secondo '500 il tactus sotto il segno C equivale come si è visto alla minima. 

Concludendo, l'interpretazione ritmica seguita da Casimiri, basata sul tactus equivalente al polso umano, è la più aderente alla pratica esecutiva polifonica, mentre l'altra seppur teoricamente valida rende difficilmente attuabile, o addirittura impossibile, l'esecuzione del repertorio cinquecentesco.

Il fatto infine che in origine, cioè prima delle modifiche cinquecentesche, il tactus equivalesse nel C tagliato alla breve è dimostrato dal nome che assume l'indicazione alla breve appunto, perché è la breve (anziché la semibreve come nel C) a valere un tactus. Tale indicazione è detta anche a cappella perché caratteristica del repertorio vocale eseguito nelle cappelle pontificie, principesche ecc. di qui il termine musica a cappella per indicare in senso lato ogni composizione per coro senza accompagnamento strumentale.


Fonti: La tecnica del contrappunto vocale nel cinquecento (Renato Dionisi, Bruno Zanolini)

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