Una ricerca dell'Università Cattolica ha indagato sull'utilizzo del DNA per contrastare la contraffazione del vino analizzando sia il monovitigno che il multivitigno. Lo studio su campioni prelevati nell'Oltrepò Pavese. Il lavoro pubblicato sulla rivista Food Control.
Il vino è uno dei prodotti agroalimentari più sofisticati al mondo. Come scrissi in un recente articolo, più del 10% dei consumatori, è indotto con l’inganno ad acquistare un prodotto falso con serie ripercussioni per il settore vitivinicolo italiano. La contraffazione avviene per lo più in Paesi extra UE dove, secondo i dati Equipo, l’Ufficio europeo che si occupa della tutela e della proprietà intellettuale, entro il 2022, si stima che un consumatore su due possa correre il rischio di acquistare un prodotto falsificato e ciò può avvenire in un punto qualunque del ciclo di produzione del vino. Spesso la contraffazione dei vini più pregiati avviene usando la bottiglia, l’etichetta e perfino il tappo originali, solo il contenuto non lo è. E' una notizia recente quella della scoperta di una grande truffa di falsi vini italiani pregiati venduti in una nota piattaforma online.
In tal senso si via via intensificando l'attività di tutela delle denominazioni, specialmente da parte di consorzi e cooperative, che grazie alla scienza riesce ad arginare questo fenomeno. Un team di ricercatori italiani, attraverso l'utilizzo del DNA, è riuscito a garantire per vero il contenuto di una bottiglia di vino.
La tracciabilità di una bottiglia di vino lungo l’intera filiera vitivinicola, è il fattore determinante che ci può ricondurre a tutti i dettagli relativi al prodotto finito, alla sua provenienza geografica ed alla sua qualità. Ultimamente tra i metodi di tracciabilità disponibili, il DNA è di particolare interesse in quanto fornisce, nello specifico, la possibilità di riconoscere in modo univoco la varietà d'uva utilizzata nella produzione del vino. Già altri studi erano andati in questa direzione, ovvero supportando l'uso del DNA nella tracciabilità del vino. Fino ad oggi l'attenzione si era concentrata su condizioni controllate (livello di laboratorio o piccole cantine di produzione), ma la situazione può cambiare completamente quando si passa da realtà controllate a realtà non controllate e di solito su vini prodotti da una singola varietà di uva.
Gli scienziati dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza sono andati oltre, analizzando sia il monovitigno che il multivitigno, su campioni prelevati lungo tutta la filiera di una grande realtà cooperativa di produzione come Terre d'Oltrepò, nell'Oltrepò Pavese.
Nel presente studio è stata seguita l'intera filiera produttiva, per una produzione monovarietale (Pinot nero DOP) e polivarietale (Rosso Oltrepò TGI). Sono stati prelevati campioni dal punto in cui le uve sono state consegnate al produttore, dopo la pigiatura e la fermentazione, e dal vino preimbottigliato e imbottigliato.
I risultati supportano la fattibilità della tracciabilità del DNA dall'uva in consegna all'intero processo di fermentazione e attraverso le più comuni operazioni enologiche come la svinatura e la filtrazione.
L'applicazione dei metodi più aggressivi (come il processo di termovinificazione) può aumentare la degradazione del DNA riducendo ma non ostacolando la possibilità di applicare il DNA a fini di tracciabilità. Una situazione diversa riguarda la conservazione del vino in serbatoi, nonostante le condizioni di temperatura e luce controllate, o in bottiglie dove la degradazione del DNA continua ad influenzare la possibilità di applicare la tracciabilità.
Come riportato dai ricercatori sulla rivista Food Control, dove il lavoro è stato pubblicato, l'obiettivo della ricerca era dimostrare la fattibilità della tracciabilità del vino, non in laboratorio ma in condizioni di campo nelle condizioni incontrollate di una grande cantina cooperativa. È stato possibile identificare la cultivar dell'uva per entrambi i tipi di vino lungo tutta la filiera, nonostante i processi di produzione impegnativi tra cui svinatura, filtrazione e termovinificazione (portando il pigiato ad alte temperature prima della fermentazione). Era un po' più difficile identificare le cultivar con il vino multi-varietà - ma ancora fattibile - soprattutto se la proporzione delle varietà di uva che entravano nel processo di produzione era sconosciuta.
Dopo una conservazione prolungata del vino in serbatoi o bottiglie, la scomposizione del DNA ha reso l'identificazione della cultivar molto più impegnativa, ma i ricercatori affermano che potrebbe essere affrontata modificando i metodi utilizzati per estrarre il DNA dai campioni.
È possibile accedere alla ricerca
qui .
Commenti
Posta un commento