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Antoine Brumel, Missa Et Ecce Terrae Motus a 12 voci: una delle meraviglie della scrittura corale rinascimentale

Antoine Brumel è stato uno dei principali compositori della scuola franco-fiamminga. La sua Missa Et Ecce Terrae Motus è una delle meraviglie della scrittura corale rinascimentale, sia per la sua insolita scrittura a 12 voci sia per la sua attenzione al dettagliato fraseggio melodico. 



Antoine Brumel, anche noto come Brummel o Brunello, è stato uno dei principali compositori ed uno dei primi rinomati membri francesi della scuola franco-fiamminga del Rinascimento e, dopo Josquin Desprez, si annovera tra i più influenti della sua generazione. Allievo di J. Ockeghem, godette una vasta fama presso i contemporanei, attestata dalle fonti letterarie dell'epoca e dal grande numero di codici che ci tramandano le sue opere. 

Brumel fu al centro dei cambiamenti avvenuti nella musica europea intorno al 1500, in cui lo stile precedente di parti vocali altamente differenziate, composte una dopo l'altra, stava lasciando il posto a parti fluide e uguali, composte simultaneamente. Questi cambiamenti possono essere visti nella sua musica, con alcuni dei suoi primi lavori conformi allo stile più antico, e le sue composizioni successive che mostrano la fluidità polifonica che divenne la norma stilistica della generazione di Josquin.

Brumel è meglio conosciuto per le sue messe, la più famosa delle quali è la Missa Et ecce terrae motus a dodici voci. Le tecniche compositive variarono nel corso della sua vita: utilizzò come in questo caso la tecnica del cantus firmus, già arcaica alla fine del XV secolo, e anche la tecnica della parafrasi, in cui il materiale di partenza appare elaborato, e in voci diverse dal tenore, spesso in imitazione. Usava l'imitazione biunivoca, come Josquin, ma spesso in maniera più libera rispetto al compositore più famoso.

Dopo Josquin Desprez, Brumel è considerato uno dei più grandi compositori della sua generazione. Durante la sua vita Ottaviano Petrucci pubblicò un libro con le sue messe e numerosi altri compositori scrissero brani per commemorarlo dopo la sua morte. Questa impressionante Missa et ecce terrae motus a 12 voci sopravvive da un libro parziale conservato a Monaco del 1570, molto tempo dopo la sua morte, evidentemente utilizzato per le esibizioni di Lasso.

David Vernier, di Classic Today, scrive che la Missa “Et ecce terrae motus” di Antoine Brumel (altrimenti detta la messa del “terremoto”) fu giustamente famosa durante la vita del compositore e rimane una delle vere meraviglie della scrittura corale rinascimentale, con la sua insolita partitura a 12 voci e per la sua costruzione accurata dettagli melodici contro tratti sorprendentemente lunghi di blocchi di armonia che si muovono lentamente. Sebbene quest'opera non abbia assolutamente nulla a che vedere con i terremoti (il suo cantus firmus è tratto dall'antifona pasquale “Ed ecco ci fu un grande terremoto”), se volete rimanervi piacevolmente, indimenticabilmente “scossi”, basta ascoltare il finale di questo disco otto minuti: l'Agnus Dei. Niente in tutta la musica rinascimentale può superarlo in termini di pura potenza emotiva e impressionante padronanza delle forze musicali. 

Francamente, nessun compositore prima o dopo ha sostenuto così efficacemente un'idea basata sul testo (Sibelius raggiunse un risultato orchestrale simile con la conclusione della sua Seconda sinfonia), i più vicini sono William Byrd o Vaughan Williams nelle rispettive messe. Capirai cosa intendo quando sperimenterai l'Agnus Dei di Brumel, con la sua cascata apparentemente infinita di armonie riccamente colorate e dalla trama densa, sormontate da vortici vorticosi di melodie, aromatizzate con i timbri striduli di un coro di sacchi ed esclamate dagli stessi belle voci dell'Ensemble Clément Janequin di Dominique Visse.

Un ascoltatore distratto della Missa Et ecce terrae motus, potrebbe inizialmente essere confuso dal brulicante dettaglio degli schemi ritmici, giudicando frettolosamente alcune armonie piuttosto deludenti. Un ascolto più attento invece rivelerà perché Brumel scelse di scrivere in così tante parti: ne aveva bisogno per decorare i suoi colossali pilastri armonici. In tal modo abbandonò di fatto la polifonia, intesa come linee melodiche indipendenti ma interconnesse, e ricorse a sequenze e figurazioni atipiche per il suo tempo. 

Come ebbe a dire Peter Philips, emerito direttore che ha dedicato la sua vita e lavoro alla ricerca ed esecuzione della polifonia rinascimentale, l'effetto sonoro del brano può anche essere simile a quello dell'arte islamica: statico, non rappresentativo, instancabilmente creativo nell'uso di disegni astratti, intensificati dalla loro applicazione ripetitiva. La Messa è composta da tre soprani, un vero contralto, cinque tenori di ampio respiro e tre bassi. La tessitura di tutte queste parti (tranne forse quella dei soprani) è imprevedibile fino all'eccentricità. Il controtenore II, ad esempio, ha un'estensione di due ottave e un tono; una delle estensioni vocali più ampie riscontrate nella musica rinascimentale.


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