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Coronavirus e ricerca, la condivisione fa bene alla scienza

Dal 2016 al 2019 un articolo scientifico su cinque non ha rispettato la prescrizione della condivisione dei dati genomici e metagenomici pubblicati o utilizzati in uno studio. Lo rivela una indagine del Consiglio nazionale delle ricerche pubblicata sulla rivista PLoS Biology e Plos Magazine. La pandemia di SARS-CoV-2 invece ha ricordato l’importanza della condivisione. Le irregolarità si registrano nelle riviste più tecnologico/applicative e in quelle che pubblicano una grande mole di articoli.






Un articolo scientifico su cinque, indipendentemente dal settore di studio, nel periodo tra il 2016 ed il 2019, non ha rispettato la prescrizione della condivisione dei dati genomici e metagenomici pubblicati o utilizzati nello studio, creando un danno al progresso scientifico globale e alla credibilità della scienza. È quanto si evince da una ricerca condotta dal Gruppo di ecologia molecolare (Meg) dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irsa) di Verbania, supportata da molti studiosi impegnati nella lotta all’antibiotico-resistenza. Un campo nel quale questo problema ne crea altri, in quanto limita la conoscenza delle caratteristiche dei tanti e diversi geni che conferiscono le resistenze agli antibiotici, ponendo un gravissimo problema per il futuro della medicina moderna.

 “La condivisione dei dati genomici e metagenomici è una buona pratica ed è obbligatoria da più di un decennio per consenso scientifico, supportato sia dalle azioni di “open data” di molti governi che dalle publishing policies di tutti i principali editori, poiché permette di meglio valutare la qualità biologica, bioinformatica e statistica delle analisi prodotte e, consentendo l’accesso al dato originale, di fugare il dubbio di errate assunzioni”, spiega Gianluca Corno del Cnr-Irsa, tra gli autori dello studio. “Non solo, questa tipologia di dati, pur essendo presentati in pubblicazioni, sono a volte utilizzati nello studio solo in piccolissima parte, di solito intorno all’1-2%, e se non vengono depositati in database pubblici si perde un’enorme mole di conoscenza”.

Il trend degli ultimi anni ha assunto un andamento negativo, tant’è che nel lavoro pubblicato su PLoS Biology i ricercatori Cnr e gli altri coautori, gli editori e revisori della rivista, tra i quali Craig Venter e Holly Bic, richiamano il mondo scientifico ad una maggiore accuratezza e cooperazione. “Un articolo senza questi dati non permette di individuale l’eventuale errore, malafede e/o superficialità di tutti i soggetti coinvolti nella pubblicazione”, aggiunge Corno. “Tale comportamento coinvolge le riviste in misura diversa, con picchi di irregolarità in quelle più tecnologico/applicative o che pubblicano una grande mole di articoli, a conferma di una competizione spinta all’estremo, più quantitativa che qualitativa”. Il cosiddetto “publish or perish”.

“La pandemia di Sars-CoV-2 ci ha invece drammaticamente ricordato l’importanza della condivisione dei dati metagenomici: proprio grazie alla pronta disponibilità in tutto il mondo del genoma del Coronavirus causa del Covid19 sequenziato in laboratori cinesi, molti centri di ricerca a livello mondiale hanno potuto prontamente iniziare a studiare il virus, le sue caratteristiche e a lavorare su vaccini e farmaci specifici”, conclude Corno. “La mancata cooperazione invece arreca danni enormi allo sviluppo del sapere, viene meno la possibilità di progredire insieme in modo esponenziale, sommando capacità e conoscenze. Solo attraverso risposte globali e cooperative si può far fronte alla richiesta di conoscenza che giunge dal mondo globalizzato”.


Il risultato dell’indagine pubblicato sulla rivista PLoS Biology e su PloS Magazine:  journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3000698

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