Genesi della tonalità: dalle modalità acustiche alla logica armonica. Una Sintesi tra Dahlhaus e Duffin
La genesi della tonalità armonica, intesa come sistema strutturante e fondamento estetico dell’opera musicale moderna, ha rappresentato un tema centrale della storiografia musicale. Integrando le riflessioni metodologiche di Carl Dahlhaus sul ruolo della tonalità con l’analisi empirica di Ross W. Duffin sull’ideale acustico della Just Intonation nel Rinascimento, è possibile ricostruire un quadro più articolato del percorso che ha condotto al linguaggio tonale europeo. Esempi concreti mostrano come la modalità rinascimentale e il senso di tonalità nascente si intreccino, prefigurando le strutture armonico-funzionali dei secoli successivi.
La genesi della tonalità armonica europea può essere interpretata come il risultato della convergenza tra aspirazioni estetiche e vincoli pratici. Fondamentali in tal senso sono le riflessioni di Carl Dahlhaus sulla formazione della tonalità moderna e l’analisi di Ross W. Duffin sull’Intonazione Giusta nel Rinascimento, che mostrano come l’evoluzione della logica armonica sia stata guidata tanto dai principi acustici quanto dalle esigenze di stabilità esecutiva. Nella pratica musicale, la percezione di maggiore e minore emerge gradualmente dai movimenti vocali, dal ruolo stabilizzante delle quinte e dal colore delle terze, in connessione con le scelte di intonazione e i sistemi di temperamento.
Carl Dahlhaus, nei Fondamenti di storiografia musicale, interpreta la storia della musica europea moderna attraverso il concetto di opera (Werk), privilegiando la poiesis (costruzione dell’opera) rispetto alla praxis (l’agire sociale). In questa prospettiva, la storia della composizione e della tecnica musicale è strettamente legata alla storia delle opere. Dahlhaus individua nell’emergere della tonalità armonica “form-creative” e nello sviluppo di temi e motivi l’evento centrale della musica strumentale del Settecento e dell’Ottocento.
La tonalità assume una duplice funzione tecnica ed estetica: consente alla musica di aspirare a un’autonomia percettiva come “discorrere per suoni” (Klangrede), garantendo coesione strutturale attraverso nessi armonico-tonali differenziati e elaborazione motivo-tematica. Dahlhaus sottolinea anche la storicità del sistema tonale: l’idea di leggi immutabili era un pregiudizio dell’estetica conservatrice ottocentesca. Con l’armonia cromatica tardo-romantica, il significato fondante dello schema tonale si ridusse, spingendo i compositori a estendere l’elaborazione motivo-tematica.
Se Dahlhaus si concentra sul Settecento, Ross W. Duffin analizza i fondamenti acustici e l’ideale estetico del Rinascimento. Già a partire da Ramos de Pareja (1482), la Just Intonation rappresentava l’ideale intervallare dei teorici rinascimentali: ottava (2:1), quinta (3:2), terza maggiore (5:4) e terza minore (6:5), noti come intervalli del “sei-limite”, apprezzati per la loro purezza acustica. Questo ideale non era solo teorico: gli intervalli puri erano percepiti come più consonanti e gradevoli, e musicisti come Vincenzo Galilei confermavano che i cantanti cercavano di applicare rapporti “veri e perfetti” nelle esecuzioni.
Tuttavia, l’applicazione rigorosa incontrava difficoltà pratiche, note come "migrazione di comma". Il comma sintonico, un intervallo molto piccolo (meno di un quarto di tono), rappresenta la differenza tra la scala costruita con intervalli puri e l’ottava naturale. Giovanni Battista Benedetti osservò che in certe progressioni questa discrepanza si accumulava ad ogni ripetizione, rendendo difficile mantenere stabile l’intonazione nei passaggi complessi.
Nei repertori del Quattro-Cinquecento, la percezione della tonalità emergeva gradualmente. Le quinte aperte iniziali restavano neutre e solo l’ingresso delle terze determinava il colore armonico: la quinta fungeva da stabilizzatore verticale, mentre la terza definiva la qualità maggiore o minore della triade. La grammatica sonora era governata da modelli modali e contrappunto: quinte e quarti aperti, sospensioni e paralleli curati, con terze spesso episodiche.
Un brano paradigmatico è l’Ave Regina caelorum di Walter Frye, dove l’apertura si basa su quinte aperte e rimane tonicamente indeterminata fino all’emergere della terza superiore, che chiarisce la percezione di maggiore. Allo stesso modo, l’analisi della subfinalis Re nel Deuterus mostra come i centri secondari del modo contribuissero a una percezione graduale di gravità tonale, anticipando logiche di attrazione e chiusura tipiche del sistema maggiore/minore pur mantenendo la struttura modale originaria.
Per ovviare ai limiti della Just Intonation, musicisti e costruttori di strumenti a tastiera adottarono sistemi di temperamento, in particolare il mesotonico, che preservava la consonanza delle terze e delle quinte pur introducendo piccole imperfezioni controllate. I tasti neri spesso usati per due alterazioni (C♯/D♭) potevano generare la dissonanza nota come “nota di lupo” se impiegati in tonalità non previste.
Duffin sottolinea che i cori rinascimentali, privi di strumenti a intonazione fissa, probabilmente sviluppavano un “istinto” per stabilizzare il tono, applicando un compromesso “quasi-giusto”, ovvero mantenere la stabilità generale, tollerare piccole deviazioni e collocare gli intervalli imperfetti in punti ritmicamente o armonicamente meno evidenti.
L’analisi integrata di Dahlhaus e Duffin mostra come la tonalità armonica maggiore/minore del Settecento possa essere interpretata come la soluzione strutturale alle instabilità acustiche intrinseche della pratica rinascimentale. Come i musicisti rinascimentali affrontavano le difficoltà della Just Intonation, la tonalità armonica forniva un sistema coerente che garantiva coesione e chiarezza, permettendo all’opera autonoma di emergere come forma compiuta e conciliando l’ideale acustico con le esigenze pratiche dell’esecuzione.
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