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Contrastare la Great Resignation con il coaching. Come il capo coach può far scappare (o no) il talento dall’azienda

“Great resignation”, ovvero il significativo aumento delle dimissioni. Si tratta di un fenomeno globale in costante crescita; un numero crescente di persone lascia infatti il proprio lavoro per le ragioni più svariate. A farlo sono soprattutto i giovani tra i quali molti talenti che non sentono appagate le proprie ambizioni di crescita professionale. 



Quello della “Great Resignation” è un tema molto caldo. In Italia, nei primi nove mesi del 2022, oltre 1,6 milioni lavoratori si sono dimessi: il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Nel solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni sono state pari a 562mila, in crescita del 6,6% sul terzo trimestre 2021. 

Quali sono le cause di questa fuga di massa? Secondo Emma de Carolis, Business Partner di Into the Change, azienda che opera nell’affiancare le aziende in cambiamento, “quello che osserviamo è che l’allontanamento e la disaffezione si verificano spesso come conseguenza di una cultura manageriale di stampo direttivo, molto concentrata sul controllo delle performance e meno attenta ad una reale valorizzazione delle persone, dei loro talenti e delle loro passioni”. Di contro, continua de Carolis - vediamo, direi con piacere, che sempre più aziende decidono di investire sui manager e dar loro una formazione specifica su competenze quali l’ascolto, la fiducia, la presenza, ovvero le “coach abilities”, che permettono di creare un ambiente di lavoro dove le persone si sentono valorizzate e possono esprimere il proprio potenziale. E’ questo che può giocare un ruolo fondamentale nel migliorare la qualità del lavoro e trattenere risorse e talenti in azienda, al di là dello stipendio” 

Questo trend spiega come mai il coaching sia un settore in forte crescita, con aziende più consapevoli dell’importanza di avere al proprio interno manager in grado di creare questi legami tra persona e organizzazione. I dati raccolti nell’indagine ICF Global Coaching Studies nel 2020 raccontano infatti che il numero di coach è salito del 33% e il numero di manager che utilizzano le cosiddette coaching skills è salito del 46%. 

Secondo Cinzia Pollio, Direttrice di ISFOR - FONDAZIONE A.I.B., l’ente di formazione di Confindustria Brescia: “Anche nel tessuto imprenditoriale italiano, fatto di piccole e medie imprese, questa esigenza di avere manager e imprenditori - coach in grado di relazionarsi in modo efficace, soprattutto con le nuove generazioni, è un aspetto fondamentale per vincere la nuova “Guerra dei talenti” che sta caratterizzando oggi il mercato del lavoro”. 

Per avere manager preparati in questo senso, le competenze di coaching dovrebbero entrare di diritto anche nella formazione universitaria, come dichiara il Dott. Alessio Acomanni, Presidente e Direttore generale di Unimarconi: “abbiamo attivato nell’ambito della nostra offerta accademica  un percorso di alta formazione in coaching allineato con gli standard di qualità richiesti dall’International Coaching Federation, per permettere di acquisire le competenze necessarie per diventare manager capaci di guidare il loro team con successo.”, E’ di fondamentale importanza, infatti - prosegue Irene Morrione - Master Certified Coach e direttore scientifico del percorso Unimarconi, che, in una professione non regolamentata come il coaching, i nuovi  professionisti siano formati secondo standard etici e di qualità molto elevati”.

In conclusione, analizzando i trend, si potrebbe presupporre che la professione del coach sarà molto richiesta nel futuro, sia da Manager e aziende che da liberi professionisti che vogliono formarsi per rispondere alle crescenti richieste del mercato. Gli esperti prevedono che questo mercato crescerà con un tasso di crescita medio annuo del 6,7%. Lo si denota anche dall’aumento degli investimenti da parte delle organizzazioni nelle iniziative HR e da quelle che saranno le competenze più richieste nel futuro del mercato del lavoro (World Economic Forum).

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