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Musica in rosa, la "Cecchina": bellezza e talento di Francesca Caccini. Lodata da Monteverdi, fu la prima donna a comporre un melodramma

Francesca Caccini, donna "fiera ed irrequieta" degna erede degli insegnamenti del padre Giulio. Celebrata artista, fu la prima donna a comporre un melodramma. Divenne ben presto famosa in Italia e in Francia. Compose Euridice e La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina; il suo miglior lavoro giunto sino a noi di un mondo tutto al femminile.



Francesca Caccini, figlia di Giulio Caccini, celebre compositore e cantore italiano, nasce a Firenze il 18 settembre 1587. E' stata una compositrice, clavicembalista e soprano italiana. Il padre come è noto, fu uno dei nomi più illustri del primo '600 italiano, nonché uno dei fondatori del melodramma moderno. Francesca, sua amorevole allieva, debuttò a 13 anni con la sua opera Euridice messa in scena in occasione del matrimonio di Maria de' Medici con Enrico IV, distinguendosi subito per talento e bellezza.

Proprio alla sua avvenenza deve il vezzeggiativo toscano di "Cecchina" con cui è spesso ricordata nelle cronache del tempo. Brillantissimo e affascinate personaggio dell'alta società fu anche poetessa ed attrice ed ebbe modo di formarsi come cantatrice e strumentista (clavicembalo, liuto e chitarrinetto) nel celebre «Concerto Caccini», insieme alla sorella Settimia, a Margherita (seconda moglie di Giulio), e al fratello Pompeo, divenendo presto celebre virtuosa in Italia e alla corte Medicea.

Lodata da Monteverdi, scrisse anche gli immancabili lamenti (Lasciatemi qui solo) che seguono i topoi più tipici della retorica musicale del lamento fissata dal grande compositore cremonese. Ammirata da celebri letterati e poeti come Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera, la Cecchina era richiesta nelle più importanti corti e città italiane (Modena, Milano, Roma, Genova), ma i granduchi medicei, consapevoli del valore dell'artista, le permisero raramente di lasciare la Toscana per non privarsi della sua preziosa collaborazione agli spettacoli di palazzo e alle esecuzioni di musica sacra.

Nel 1625 Francesca Caccini godeva ancora di grande credito presso la corte medicea e l'incarico avuto dalla Gran Duchessa Maria Maddalena le permise di comporre La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina, il suo miglior lavoro giunto sino a noi, che venne allestito nel suggestivo scenario della villa fiorentina di Poggio Imperiale con grandiosi apparati e sfarzosi costumi. Lo spettacolo entusiasmò Ladislao di Polonia, tanto che volle farlo rappresentare anche a Varsavia nel 1628.

La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina è chiaramente definita, nel libretto e nella partitura, come «balletto». Si tratta di una forma che ebbe particolare fortuna negli spettacoli organizzati per le feste di corte, insieme alla «opera-torneo» e al «carosello». Il balletto, a piedi o a cavallo, riuniva l'interesse per l'azione drammatica (tipica dell'opera-torneo) con quello per gli elementi coreografici, ed ebbe particolare diffusione a Firenze all'inizio del Seicento.

Il balletto di corte con intenti rappresentativi aveva avuto origine in Italia già nel Quattrocento e si era ampiamente sviluppato anche in Francia nel Cinque e Seicento. È nota la reciproca influenza tra il ballet de cour francese e il nascente teatro musicale fiorentino; spettacoli che contribuirono alla creazione del «balletto cantato» di Monteverdi e Rinuccini a Mantova (Ballo delle Ingrate del 1608) e al Ballet de la Reyne (Parigi, 1609) in stile monodico e in genere rappresentativo, conosciuto come ballet mélodramatique. La liberazione di Ruggiero, opera vista con 'maraviglia', si inserisce dunque in una tradizione ormai consolidata, almeno per quanto riguarda i riferimenti formali e tematici: un'azione drammatica in stile recitativo - ispirata ai canti VI, VII, VIII dell'Orlando Furioso - che si conclude 'festosamente' con un ballo di otto dame e otto cavalieri e un ballo a cavallo. 

È un mondo tutto al femminile quello della Liberazione dove Ruggero è dominato da due potenti maghe: la severa Melissa - restauratrice dell'ordine morale e l'appassionata Alcina, difenditrice di un affascinante, sebbene irreale, mondo amoroso. Ricorrendo alle loro arti magiche le due donne si trasformano per raggiungere i loro scopi. L'una vestendo gli abiti dell'austero Atlante, quasi a voler rafforzare in un ruolo maschile - la propria autorità per strappare Ruggero agli incanti d'amore. L'altra, vecchia megera, si tramuta in bellissima regina, impegnata a creare e a difendere l'illusorio incanto del miraggio amoroso.

Sebbene concepita come «balletto» per la celebrazione di un evento cortigiano, la partitura della Cecchina rappresenta un'importante testimonianza dello sviluppo del teatro musicale italiano. Francesca si rivela musicista di grande fascino, capace di fondere in uno stile personale gli insegnamenti del padre Giulio (legati alle teorie estetiche e artistiche della Camerata de' Bardi), l'esperienza nata dalla collaborazione con Marco da Gagliano e le innovazioni monteverdiane. 

Le opere della Cecchina, contengono una scrittura vocale rivelatrice del suo virtuosismo, ma anche attenta a indagare il complesso rapporto tra sfera concettuale della parola e la sua manifestazione sonora, che l'avvicinano a quel nuovo modo di intendere il rapporto poesia-musica che, dalle discussioni della Camerata Fiorentina, porterà alla «seconda pratica» di Monteverdi. .

Francesca rimase alla corte medicea almeno fino al 1628. Secondo una testimonianza dello storico del teatro Alessandro Ademollo, la Cecchina si risposò con un lucchese, seguendo le orme della sorella Settimia che si era stabilita a Lucca col marito Alessandro Ghivizzani, compositore e capo della musica della Cappella di quella città fino al 1624. 

Non conosciamo l'esatta data di morte di Francesca ma, a partire dal 1640, non abbiamo più notizie di lei e, se è vero quanto riferisce ancora l'Ademollo, strano destino fu il suo che la volle veder morire proprio di «cancro alla gola».

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