Nel Cinquecento si parla spesso di versi «rivestiti di musica»; metafora per intendere la musica come una veste che avvolge ora con semplicità, ora con sfarzosa eleganza il corpo della poesia. Luca Marenzio fu uno dei maestri più ingegnosi nell'arte del Ton Malerei o della pittura sonora.
L'intonazione dei madrigali sgorga dalla parola poetica ed elegge a proprio medium sonoro l'unione armoniosa di più voci umane, solitamente quattro o cinque, ma anche più. Un'altra metafora ricorrente attribuisce ai versi posti in musica un aspetto meno fisico e più spirituale. È giustamente famosa la lettera dedicatoria premessa al Primo libro de' madrigali a quattro voci (1569) di Marc'Antonio Mazzone:
Il corpo della musica son le note, e le parole son l'anima, e sí come l'anima per esser più degna del corpo deve da quello esser seguita ed imitata, cosi anco le note devono seguire ed imitare le parole.
D'altra parte, la stessa simbiosi corpo/anima caratterizza un'altra espressione tipica della cultura di corte cinquecentesca: la raffigurazione delle imprese. L'impresa esprime un programma di vita attraverso l'abbinamento di motti e figure; essa si fonda sul rapporto parola-immagine, fedele al detto oraziano ut pictura poësis.
Nell'impresa il motto si chiama anima, e il disegno simbolico corpo: le due componenti sono inscindibili per una corretta comprensione della forma simbolica. Anche in questo caso l'elemento verbale precede ed ispira l'elaborazione artistica, nella fattispecie figurativa.
L'operato del madrigalista, inoltre, presenta non poche analogie con quello dell'oratore. Nella retorica classica si distingue fra la dottrina della materia (thema) e la dottrina della elaborazione (tractatio). Proprio come il buon oratore, anche il madrigalista dev'essere nella condizione di comprendere qualsiasi materia poetica e, soprattutto, di saperla trattare attraverso le note musicali nel modo più efficace e persuasivo.
Tanto più sarà efficace l'intonazione polifonica quanto più essa aderirà al significato della poesia, secondo il principio accettato, soprattutto nel tardo Cinquecento, della imitazione delle parole. Un concetto, questo, esemplarmente ribadito nella dedicatoria che il letterato Alessandro Guarini, figlio di Battista, scrisse per il Sesto libro de madrigali a cinque voci (1596) di Luzzasco Luzzaschi:
Ma come a nascere fu prima la poesia, cosí la musica lei (come sua donna) riverisce ed onora. [...] Onde ne siegue che se il poeta inalza lo stile, solleva eziandio il musico il tuono. Piagne, se il verso piagne, ride, se ride, se corre, se resta, se priega, se niega, se grida, se tace, se vive, se muore: tutti questi affetti ed effetti cosí vivamente da lui vengon espressi, che quella par quasi emulazione, che propriamente rassomiglianza dee dirsi.
Di norma, l'intonazione musicale della poesia procede un verso alla volta. Le parole più significative del testo possono ricevere un trattamento speciale, di natura simbolica o descrittiva, secondo quel procedimento che in retorica si chiama ipotiposi (rappresentazione) e che in musica si definisce Ton Malerei cioè pittura sonora, o madrigalismo: Luca Marenzio, soprattutto nei brani degli anni 80, fu uno dei maestri più ingegnosi da questo punto di vista.Non tutti i versi del testo hanno la medesima importanza: per alcuni basterà un'intonazione priva di particolari indugi ed emozionalmente neutra, ma altri richiederanno grande cura e, magari, diverse ripetizioni.
Nel comporre il tessuto polifonico, il musicista decide dove collocare i punti di articolazione formale: le cadenze (in latino, clausulae) svolgono in musica una funzione paragonabile a quella dei segni di punteggiatura nella scrittura. Vi sono brani in cui cadenze 'perfette', chiaramente percepibili all'udito, concludono quasi ogni verso; viceversa vi sono brani che danno l'impressione di un nastro sonoro continuo e saldamente intrecciato in cui il compositore fa di tutto pur di 'fuggire la cadenza'.
L'alternanza di passi in contrappunto imitativo e di sezioni omoritmiche è un altro modo di procedere che garantisce la varietas stilistica. Con la scrittura fugata il compositore può dare ampio respiro musicale ad una singola porzione del testo, mentre con la verticalità accordale egli mette al primo posto la perfetta comprensibilità della parola.
Nel penultimo decennio del Cinquecento, che coincide con la piena affermazione professionale di Luca Marenzio, il madrigale era pervenuto a quella che potremmo definire la fase di più equilibrata maturità raggiunta nel corso del suo articolato sviluppo. Mai come in quegli anni si diedero alle stampe tante composizioni a quattro, cinque o sei voci su testi poetici in lingua italiana; il numero stesso dei madrigalisti attivi in quell'epoca toccò probabilmente il culmine e ciò dimostra da un lato che il mercato editoriale era florido, dall'altro che la tecnica polifonica, per lo meno nei suoi rudimenti, si propagava facilmente dai maestri agli allievi, questi ultimi sempre più numerosi.
Parlare di equilibrata maturità stilistica significa prescindere da ogni valutazione d'ordine estetico, ed è proprio in questa fase storica che il linguaggio del madrigale polifonico - inteso come l'arte di porre un testo poetico in polifonia - dispiegò un'ampia varietà di soluzioni tecnico-espressive, mantenendosi comunque al riparo dalle sofisticazioni armoniche e dalle tendenze monodiche e concertanti che fra Cinque e Seicento - malgrado i meravigliosi esiti artistici cui approdarono - fra gli altri, il tardo Marenzio, Gesualdo, Monteverdi e Sigismondo D'India, avrebbero causato la sua profonda trasformazione e, in ultima analisi, la sua disgregazione.
Fonte: Marco Bizzarini. Luca Marenzio
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