Il mercato del vino: le imprese del settore fra evoluzione dei consumi e nuove strategie di adattamento
Il mercato del vino non sta attraversando un periodo particolarmente favorevole, sia in Italia che a livello internazionale. Incidono soprattutto la congiuntura economica e l’aumento generalizzato del livello dei prezzi.
Uno scenario complesso e mutevole, quello che il mercato del vino si trova ad affrontare. Aziende e operatori del settore devono tener conto di un diffuso cambiamento dei comportamenti d’acquisto dei consumatori. Una fase chiave questa che costringe tutti gli attori di settore ad adattarsi alle “nuove regole del gioco”.
Partendo dalle rilevazioni dell’Osservatorio Wine Monitor di Nomisma emerge in modo chiaro un cambio di abitudini e di comportamenti in una logica di evoluzione in base alla valutazione di alcuni dati del mercato e all'approfondimento delle ragioni per cui sarà necessario un cambio di paradigma sul prodotto vino.
Per Roberta Gabrielli, Head of Marketing, Business Processes e Communication di Nomisma, è a causa dell’inflazione e della congiuntura economica negativa che si registrano una riduzione dei consumi di vino in tutto il mondo e anche l’Italia non sfugge a questo trend. Inoltre, in questa fase si assiste a un cambiamento non solo nella scelta delle tipologie di vino consumate, ma anche nei comportamenti d’acquisto, con una contrazione degli acquisti per motivi economici. Se esaminiamo quest’ultimo aspetto, di fatto è come se si fossero persi in termini di reddito pro capite quasi 6.700 euro dal 2021 al primo semestre 2023. Questo ha implicato per 3 italiani su 4 la necessità di adottare comportamenti e strategie per far fronte a questa situazione, come la riduzione degli sprechi, l’aumento degli acquisti di prodotti in promozione e la riduzione del consumo di vino quando si è al ristorante.
Questo cambio interessa in particolare gli under 25, che approcciano il mondo del vino in maniera differente rispetto alle abitudini delle generazioni precedenti. I giovani bevono di meno, lo fanno principalmente fuori casa e privilegiano la modalità mixata, rispetto al vino tradizionale. Se guardiamo alle tipologie di vino, in Italia sul canale GDO prevalgono le etichette DOP e IGP, mentre nel canale discount i vini bianchi. In generale, emerge una preferenza verso i vini più leggeri, mentre i consumi di quelli più corposi si concentrano in alcuni mesi dell’anno.
Non si può più parlare solo di prodotto vino ma va contestualizzato rispetto a tutto quello che c’è dietro. Rispetto alle sfide che oggi stanno affrontando le aziende vitivinicole, il fatto di ragionare in una logica di valore, di esperienza a 360° come è ad esempio l’enoturismo, può essere la soluzione che abilita una nuova linea di business riducendo il rischio sulla componente della vendita, che ovviamente resta principale, ma può e deve essere affiancata da attività che ti permettono di conoscere e fidelizzare il cliente, che poi magari sarà lo stesso che acquisterà il vino tramite e-commerce.
Leonardo Ricci, Referente Area Progetti Cofinanziati di Enoteca Regionale Emilia Romagna, fa notare che la riduzione dei consumi è diventata ormai strutturale, basti pensare che siamo passati dai 140 litri di vino consumati pro capite nel dopoguerra ai 20/30 litri attuali. Alla luce di questo occorre una riflessione su cosa oggi rappresenta il vino: in questi decenni è cambiato lo scopo di consumo, il bisogno al quale ha sempre risposto, fin dalla sua creazione, questa bevanda. Siamo passati da un compito primario come ausilio potabile alla deglutizione dei cibi, con agganci rituali e religiosi per sottolinearne l’importanza, a, mano a mano, l'affermarsi di un ruolo totalmente differente oggi preponderante.
Partendo da questa distinzione di scopi d’uso, possiamo dunque distinguere due prodotti completamente differenti: il vino commodity, che "guarda al passato" e come principale fattore di successo ha il prezzo, e il vino come esperienza semi edonistica, dove si aggiunge un valore immateriale fatto di narrazione personale e di territorio: sempre di più “il vino del futuro”. Così come il vino sta cambiando scopo d’uso, i produttori devono ‘cambiare mestiere’, o quantomeno aggiungerne un altro: scoprire le ragioni per cui i loro prodotti vengono scelti e consumati, quali sono le nuove esigenze alle quali bisogna rispondere e concentrarsi sulla creazione di un valore che trascende dalla materialità del calice e va ad abbracciare tanti altri aspetti della vita umana.
In questo senso si innesta il tema della creazione di identità: oggi non si vende più solo un mero prodotto, ma un bene identitario. Avere un luogo fisico dove mostrarsi, accogliere persone, favorire esperienze dirette sul prodotto è un aspetto che in futuro sarà sempre più importante per le imprese vitivinicole.
Alla luce di queste premesse, è evidente come per le imprese vitivinicole, in particolare quelle di piccola dimensione, risulti oggi più difficile ottenere performance ottimali. Nell’arco di 9 anni, a consolidarsi sono state le imprese di più grandi dimensioni. Le micro aziende con fatturato inferiore ai 2 mln di euro, più della metà delle imprese di settore, presentano indicatori di marginalità (EBITDA) pari all’8,6%, mentre le imprese medio grandi, con fatturato tra i 50 e i 100 mln di euro, superano il 12%. Gli effetti si vedono anche in quello che è il costo del debito e, più in generale, l’incidenza degli oneri finanziari sull’EBITDA 2022: per le micro imprese si parla di un’incidenza tra le 3 e le 4 volte superiore rispetto alle imprese di più grandi dimensioni.
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