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Il restauro delle polifonie frammentarie: ricostruita la Missa Scaramella di Jacob Obrecht. Il ruolo fondamentale del cantus firmus basato su una famosa melodia italiana

Terminato il restauro della Missa Scaramella a quattro voci di Jacob Obrecht. Basata su un cantus firmus da una famosa melodia italiana monofonica, era presente in due libri con due parti mancanti: quella del ​​tenore (al centro della trama) e quella del discantus (riga superiore). La sua ricostruzione è frutto del lavoro iniziato dal defunto Prof. Philip Weller e poi completata grazie al musicologo Paul Kolb. L'edizione della Messa restaurata è appena uscita per Hyperion interpretata dal The Binchois Consort. 

Copertina dell'album del The Binchois Consort

Un processo di restauro molto impegnativo quello della Missa Scaramella di Jacob Obrecht che, ricordo, fu uno dei principali compositori responsabili di cambiamenti significativi nello stile musicale alla fine del XV secolo. La ricostruzione da un materiale frammentario è stata una sfida di portata eccezionale, ad iniziare dall'identificazione della melodia monofonica italiana che funge da modello dell'opera. Come possiamo immaginare l'attenzione principale del restauratore si è rivolta alle implicazioni del materiale esistente per poi portare la musica a uno stato eseguibile.

L'importanza del lavoro di restauro di un opera musicale potrebbe essere messo in parallelo a quello pittorico, che prevede in primis un lavoro investigativo, e in parte di (ri)composizione. Se ad esempio nel contemplare una Natività rinascimentale, in cui le figure più vicine al bambino Gesù sono state cancellate, possiamo essere significativamente sicuri di chi potrebbero essere: Maria e Giuseppe certamente, o forse i tre Magi. Le convenzioni iconografiche impongono poi che la veste di Maria sia blu, che Giuseppe sia rappresentato come un uomo anziano, che i Magi portino doni e siano sontuosamente vestiti, e così via. 

Nella polifonia frammentaria, il contesto fornito dal materiale esistente è ovviamente il punto di partenza, ma altrettanto importante è il genere dell'opera. In una messa o in un mottetto, ad esempio, le convenzioni che hanno a che fare con la forma, la struttura e la partitura vocale aiutano a guidare la mano del restauratore, mentre la conoscenza dello stile musicale informa le decisioni a livello locale: sono congetture, certamente, ma quasi sempre congetture istruite. 

Quando ci troviamo di fronte ad un compositore di prim'ordine, la posta in gioco è alta, ma lo sono anche le ricompense. Ad esempio, attraverso la ricostruzione di un mottetto di Johannes Regis, il musicologo Theodor Dumitrescu ha fatto luce su una delle opere più famose della musica rinascimentale: l' Ave Maria…virgo serena di Josquin, che il compositore fiammingo compose senza dubbio tenendo ben a mente il modello di Regis.

Lo studio della musica del XV secolo si occupa quasi esclusivamente dell'opera di un numero ristretto di compositori, tra questi appunto Jacob Obrecht, del quale esiste un corpus di opere importanti a lui attribuite ed inserite in un canone di composizione polifonica che è informato dalle loro caratteristiche determinate da propri assi analitici. 

Sappiamo che le contingenze della storia e la natura eccezionalmente varia delle fonti, hanno portato a una trasmissione incerta delle opere polifoniche del XV secolo. Ma anche quando possiamo fissare adeguatamente i confini di un dato repertorio ai fini dell'analisi, omettiamo una parte enorme e molto importante del repertorio che risulta di fatto essere ancora poco studiato. Un aiuto potrebbe essere dato dall'individuazione e dall'analisi del materiale musicale antico, attraverso l'osservazione di un paradigma compositivo possibilmente alternativo a quello "ufficiale", e che definisca al contempo i parametri analitici.

Il progetto per la ricostruzione della Missa Scaramella è iniziato nel 2010, e successivamente presentato al primo convegno sul restauro delle polifonie frammentarie ('Restituter la polyphonie lacunaire: enjeux, méthodologie et perspectives') ospitato dal Centre d'Études Supérieures de la Renaissance di Tours. La Messa è sopravvissuta solo in due dei quattro libri manoscritti originali conservati a Cracovia (i libri mancanti sono quelli del discantus e del tenore, mentre quelli sopravvissuti sono l'altus e il bassus).  

L'edizione della Messa restaurata appena uscita per Hyperion, è interpretata da The Binchois Consort. Il prestigioso gruppo fondato dal suo direttore Andrew Kirkman nel 1995, si è esibito in Europa e negli Stati Uniti. Ha registrato tredici dischi sempre per Hyperion Records, ottenendo un incredibile successo di critica e numerosi importanti premi.  Questa di Scaramella è un'audace registrazione che ha l'obiettivo di ricreare l'esperienza degli esecutori originali di 500 anni fa: sicuramente un album destinato ad attirare enorme interesse da parte di critici e studiosi del Rinascimento.

Tecnica di restauro riassuntiva

La ricostruzione del tenore è stata facilitata dalla consapevolezza che l'opera è una Messa concepita con un cantus firmus basato su una famosa melodia italiana; un motivetto fintamente bellicoso che viene spesso cantato dal tenore in note lunghe. Si sente chiaramente nel Kyrie I e II e alla fine del Gloria, ma è forse ancora più udibile nella sezione centrale del Credo (chiarezza concettuale, eleganza e raffinatezza sono puro Obrecht), e nel secondo Agnus Dei, dove si dispiega serenamente nella voce acuta. Nell'Osanna I e nell'Agnus Dei I, dove il cantus firmus è in una delle voci sopravvissute, quelle mancanti hanno dovuto essere ricostruite. 

A proposito del Credo, risultano qui evidenti le soluzioni formali o di notazione insolite, come gli enigmatici canoni  ricostruiti. Se non fosse per la certezza delle durate del cantus firmus in questi punti, e la coerenza della notazione di Obrecht, il restauratore avrebbe dovuto affrontare non pochi problemi; non ci sono esatti analoghi nella produzione di Obrecht. Questo sottolinea in sostanza il divario concettuale tra ciò che è noto che il compositore faccia, e ciò che avrebbe potuto plausibilmente fare. Resta al restauratore la facoltà di colmare questo gap. L'alternativa d'altro canto rischia di tendere verso una “normalizzazione” del linguaggio musicale e di evitare soluzioni troppo fantasiose solo per seguire le “regole”'; in altre parole, di giocare sul sicuro. Questo rischio d'altro canto è inevitabile, soprattutto quando si ha a che fare con un compositore capace proprio di tali salti fantasiosi; ma la tensione tra le due posizioni è di fatto il punto cruciale del restauro polifonico.

Nella prima parte del Sanctus, è stato ideato un retrogrado (il che significa che il materiale notato della voce viene letto prima in avanti e poi al contrario) per la voce acuta, in tandem con il retrogrado nel bassus sopravvissuto. Il 'Pleni sunt caeli' ha la melodia cantata contro se stessa in inversione, creando una serie di accordi statici contro i quali il restauratore ha modellato una linea superiore melodicamente soddisfacente, come presumibilmente fece Obrecht. 

La cosa più impegnativa è risultato essere il discantus dell'Agnus Dei I che consiste in una serie di brevi frammenti di materiale melodico, ognuno dei quali viene ripetuto prima di passare al successivo. Questa sfida tecnica, che si dispiega contro il cantus firmus nell'altus (la voce sotto il discantus), ha avuto origine per il fatto che Obrecht usava la stessa tecnica nell'altus dell'Osanna I e nel bassus dell'Osanna II. Quindi, il discantus dell'Agnus Dei I estende semplicemente il principio nella sezione seguente.

Per gli standard di Obrecht la Messa Scaramella è di lunghezza media, ma è proprio la relativa brevità della maggior parte delle singole sezioni a creare un'impressione di compattezza. Due brevi e assertivi Kyrie incorniciano un Christe riflessivo ed espressivo, (a me è piaciuto molto), che viene gradualmente preso in consegna dal ritmo ternario. 

L'"Et in terra" inizia con una coppia di duetti che parafrasano la melodia di Scaramella. Questo si avverte un po' più tardi nel basso e nel tenore, ma con ritmi cambiati. La maggior parte del Gloria è composta da duetti, che conferiscono una leggerezza di tocco che contrasta con le sottosezioni più dense ma più brevi del Sanctus e dell'Agnus Dei. 

Un momento saliente del Gloria è al centro del 'Qui Tollis', dove il bassus (sopravvissuto) e il discantus (ipotetico) si muovono in valori lenti e uguali contro il cantus firmus, mentre l'altus canta una linea più animata e agile: un momento di quiete in un'opera che altrimenti sarebbe risultata troppo animata. 

Nel Qui Tollis, il materiale delle voci esistenti, nei passaggi lasciati senza spiegazione, suggerisce alternative che sono abbondantemente documentate nella pratica di Obrecht: portano l'inconfondibile marchio di una delle sue procedure preferite, ovvero la sequenza che assume diverse forme sia all'interno che all'esterno delle affermazioni del cantus firmus.

Un altro degli stratagemmi preferiti di Obrecht è la circolazione di materiale melodico, che va da poche note a frasi complete, e che in genere comprende materiale cadenzale, tra le voci libere. La tecnica può spiegare interi periodi di musica, specialmente in passaggi di una sezione completamente spartita in cui il cantus firmus è silenzioso, sebbene spesso venga esteso all'entrata successiva del tenore. 

L''Et incarnatus est' è il punto medio del ciclo e, in un certo senso, ne è il cuore, esponendo le credenze cristiane più fondamentali e presentando la melodia per la prima volta, nella voce acuta, come una sorta di epifania. 

Le cinque sezioni del Sanctus sono ancora più contrastate, essendo la sezione di apertura piuttosto solenne (che ricorda, forse, l'apertura del Sanctus della Missa Fortuna desperata di Obrecht ), le due spavalde Osanna contrappuntisticamente nodose, e il 'Pleni' contemplativo. 

Nel Benedictus la voce acuta ricostruita si muove in decimi paralleli con il bassus; una procedura contrappuntistica caratteristica che (per una volta) ha posto al restauratore non molte difficoltà. In effetti, è una specie di cliché, cosa che non si può dire dell'approccio a sorpresa alla cadenza nel 'Pleni', che presenta una meravigliosa dissonanza tra Fa naturale nel bassus e Fa diesis nel discantus.

L'Agnus Dei si evidenzia invece con maggior concentrazione e lirismo. L'Agnus Dei III ha la melodia in tutte e quattro le voci in successione; un trucco inequivocabilmente "obrechtiano" per arguzia e logica. Ciò corrisponde allo schema delle sezioni precedenti, dove il cantus firmus appare in successione in ogni voce dal basso verso l'alto: nel bassus e tenor in due Osannas, e nell'altus e discantus nelle prime due impostazioni dell'Agnus Dei. 

Sulla base delle voci sopravvissute e del materiale tenorile, che può essere dedotto da esse, si può affermare decisamente che la Missa Scaramella è probabilmente da annoverare tra i migliori cicli di messe di Obrecht. Dalla prospettiva del restauratore, il suo impatto retorico è molto diretto. Il ritmo nei movimenti più lunghi è sicuro e persuasivo, e i movimenti più brevi che compongono il resto della Messa, sono altamente individuali. E' in effetti l'individualità delle sue diverse sezioni ad essere una delle caratteristiche eccezionali della Missa Scaramella di Obrecht. Il suo restauro non sarebbe stato possibile senza essere a conoscenza di alcuni aspetti salienti che riconducono allo Jacob Obrecht artista. 

Ricordo in tal senso che egli fu uno dei principali compositori responsabili di cambiamenti significativi nello stile musicale alla fine del XV secolo. Importante sottolineare che Obrecht portò allo sviluppo di forme più ampie, e fu il primo a dimostrare sistematicamente una struttura formale unificata e una pianificazione cadenzale a lungo raggio nel corso di opere più estese. 

L'approccio di Obrecht all'unità e allo sviluppo, andò oltre il semplice impiego di un cantus firmus o gesto unificante. Le sue innovazioni toccarono anche il regno della "sonorità", dove riaffermò l'importanza di passaggi di partitura ridotti, ed in tal senso fu pioniere di un mondo sonoro più leggero, in cui i cambiamenti nel numero di voci attive, servivano a continuare un argomento musicale più ampio senza essere fini a se stessi. 

Interessante notare che, le recenti revisioni delle biografie e delle cronologie di Obrecht, indicano che alcuni sviluppi precedentemente attribuiti a Josquin erano in realtà opera di Obrecht. Emerge infatti oggi la visione che il compositore era un talento precoce, il primo della sua generazione a perfezionare lo stile maturo dell'epoca, ridefinendo di fatto la composizione negli anni '80 del Quattrocento. Il suo lavoro fu seguito solo in seguito dalle raffinatezze dello stesso Josquin.

Sebbene i risultati e l'apparente intelletto musicale di Obrecht possano reggere il confronto con chiunque nella musica occidentale, il suo profilo di carriera non è segnato da un successo costante. Sicuramente questo è dovuto ad alcuni aspetti del suo carattere non sempre edificanti. I pezzi secolari di Obrecht indicano un compositore interessato prima di tutto al giubilo e alla celebrazione popolare. In effetti, questa immagine emerge chiaramente proprio nello stile ritmicamente animato delle sue messe. La percezione della sua musica, disegna un Obrecht felice, persino spensierato, ed è questa sensazione di vivere il momento che deve colorare qualsiasi altra visione delle sue mancanze di responsabilità, piuttosto che i pensieri stereotipati dell'artista intransigente. 

Si dice che Obrecht abbia scritto un ciclo di messe in una sola notte. Solo oggi ci accorgiamo che queste sono sicuramente le sue creazioni più impressionanti: la sua capacità di animare brevi frasi in sezioni più lunghe e infine, in forme su larga scala, rimane quasi ineguagliata. 

L'uso rigoroso di Obrecht della disposizione del cantus firmus può essere il suo tratto più immediatamente osservabile, ma è nella progressione senza soluzione di continuità della sua musica, negli elementi e argomenti su piccola scala, e da quelli su larga scala, nell'apparente indifferenza a ciò che sulla carta sembrano essere vincoli formali oppressivi, dove emerge la sua qualità più avvincente. 

Il senso di Obrecht per l'impostazione formale è dapprima attribuibile in modo trasparente alla sua conoscenza di Busnoys, espressa in quella che deve essere la sua prima messa, Missa Petrus apostolus, e poi a una predilezione più espansiva riconducibile alla semplice imitazione stilistica di Ockeghem, in opere come Missa De Sancto Donatiano e Missa Sicut spina rosam. Tuttavia, Obrecht aumentò presto la portata e la chiarezza di questi modelli, adottando una serie di progetti di cantus firmus volti ad estendere i limiti dell'organizzazione razionale. 

Nelle sue messe mature, il compositore raggiunse un senso accresciuto di "scopo" musicale che avrebbe infuso gli sforzi successivi di Josquin. 

In messe come Missa Fortuna desperata e Missa Malheur me bat, l'intenzione artistica e la progettazione formale sono osservabili in una nuova misura. Non solo questa musica mostra un notevole senso di controllo e attenzione alle relazioni dettagliate attraverso intervalli più ampi, ma lo fa con un incredibile vigore melodico. È questa esuberanza e capacità di spaziare nel tempo il suo marchio di fabbrica che spinge specifiche manipolazioni del cantus firmus in secondo piano. 

Messe successive come la Missa Si dedero, in cui imposta una tecnica di parodia embrionale, e la Missa Maria zart, in cui sembra seguire un programma per estendere i suoi "spazi" a una durata quasi infinita, servono a farci dedurre gli aspetti di questo stile della sua maturità.

Nonostante le sue innovazioni formali, la quasi indifferenza di Obrecht verso il testo, in molti dei suoi passaggi musicali più eclatanti, porta a definire la sua mentalità come più "medievale" di quella delle generazioni successive. Questo è uno dei motivi per cui la sua musica fu copiata meno aggressivamente nel XVI secolo. 

La morte prematura di Obrecht ha privato l'Europa di uno dei suoi grandi intelletti musicali, e si può solo speculare sulle idee che avrebbe esplorato nel 1500. È questa morte così immediata che ha in parte preparato il terreno per il più lento e coscienzioso Josquin, per assumere il suo posto finale come principale rappresentante dell'età d'oro della polifonia.


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