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Lo spartito del mondo, breve storia del dialogo tra culture in musica. Un viaggio nel linguaggio universale dell'arte dei suoni

Un libro interessante questo di Giovanni Bietti, compositore, pianista e musicologo, noto al grande pubblico per le sue seguitissime "Lezioni di Musica", in onda settimanalmente su Rai-Radiotre. Pagina dopo pagina Bietti ci accompagna in un viaggio in quella sorta di lingua cosmopolita che è la musica: una lingua capace di mescolare, intrecciare, fondere le diverse tradizioni a qualsiasi latitudine. Da Orlando di Lasso, fino alle sperimentazioni contemporanee, la musica si rivela un mezzo di scoperta del mondo.


Nelle migliori librerie e negozi online, potete trovare questo gioiellino per Economica Laterza. A me è arrivato oggi. Un libro ricchissimo di spunti che affronta con mirabile leggiadria la storia multiculturale degli ultimi cinquecento anni in musica: dall’opera al jazz afroamericano, dalla Suite alla world music, lo straordinario potere di questa lingua universale di attraversare lo spazio e il tempo e far dialogare culture lontane. 

Giovanni Bietti ci accompagna così, pagina dopo pagina, in un viaggio in quella sorta di lingua cosmopolita che è la musica: una lingua capace di mescolare, intrecciare, fondere le diverse tradizioni a qualsiasi latitudine. Da Orlando di Lasso agli ideali pacifisti e universali che hanno ispirato musicisti settecenteschi come François Couperin, ottocenteschi come Beethoven o novecenteschi come Béla Bartók, fino alle sperimentazioni contemporanee che coinvolgono le culture e le sonorità extraeuropee, la musica si rivela un mezzo di scoperta del mondo. Un modo per imparare a valorizzare le differenze, un’esperienza di sintesi e di arricchimento. Perché la musica può dirci molto su di noi, sugli altri, sul mondo.

Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Bietti come relatore nell'ambito di Italia Mia, progetto triennale supportato dalla Fondazione Caetani e ammirevolmente organizzato dall’Associazione Ghimel. In questa occasione ho potuto apprezzare la sua fervida e costruttiva dialettica, attraverso un momento di riflessione sullo studio, l'approfondimento e l'esecuzione del repertorio madrigalistico, vero e proprio laboratorio sul quale si sono confrontati i massimi compositori italiani del Cinquecento, mettendo in musica testi poetici di grande raffinatezza e illuminandoli con eleganza e profondità. 

D'altro canto Bietti è considerato uno dei migliori divulgatori musicali italiani, oltre che compositore, pianista e musicologo. Collabora con l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, e ha inoltre insegnato Composizione presso il Conservatorio "V. Bellini" di Catania ed Etnomusicologia presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Tiene regolarmente conferenze e in particolare concerti-conferenze, direttamente al pianoforte, presso molti dei più prestigiosi Enti italiani. Come dicevo è il curatore delle seguitissime "Lezioni di Musica", la grande iniziativa di divulgazione musicale che va in onda settimanalmente su Rai-Radiotre, e del ciclo omonimo dal vivo che attira migliaia di persone negli spazi dell'Auditorium-Parco della Musica di Roma. Ha partecipato accanto a Piero Angela, alle cinque giornate della prestigiosa trasmissione Superquark Musica su Rai 1.

Lo spartito del mondo, breve storia del dialogo tra culture in musica è un vero e proprio viaggio nel linguaggio universale dell'arte dei suoni. Come ben delineato nella prefazione, è un libro che parla della capacità della musica di far dialogare tra loro le persone, i linguaggi, le culture appunto. Parla di multiculturalità, per usare una parola che oggi viene ripetuta molto spesso, forse perché racchiude significati attualissimi che vanno ben al di là dell'ambito puramente musicale o artistico: l'interazione tra culture diverse, i problemi della cosiddetta società multietnica, dell'integrazione, delle tensioni razziali.

Il libro nasce quindi da una domanda che a noi musicisti si presenta in continuazione, e in modo sempre più urgente: qual è il ruolo della musica nella nostra società? E l'arte dei suoni è davvero un linguaggio universale, riesce veramente a far parlare le culture, a diffondere il rispetto e la tolleranza, a mostrarci il valore delle differenze?

Se ci si interroga su queste questioni cruciali, si scopre che la multiculturalità non è un fenomeno che riguarda la sola musica di oggi: le culture hanno sempre parlato attraverso i suoni; le danze, le melodie, gli strumenti musicali viaggiano da secoli, confrontandosi con le realtà locali che incontrano nel corso del viaggio. Uno strumento per noi tipicamente occidentale come il violino ha antenati cinesi e arabi. Il liuto, che nel nostro immaginario evoca una sonorità caratteristica della civiltà rinascimentale o barocca, deriva (anche nel nome) dall'oud arabo e persiano. Innumerevoli sono le tradizioni e gli stili musicali misti, come ad esempio la musica andalusa che si sviluppa a partire dall'Alto Medioevo unendo elementi arabi ed europei. 

È davvero affascinante seguire il modo in cui l'idea multiculturale si è evoluta e trasformata nella storia della musica occidentale: trovarne l'espressione in alcuni brani vocali del Rinascimento, esplorare le migrazioni di diverse danze europee che verso la metà del Seicento confluiscono nella forma della Suite, osservare il modo in cui le culture musicali italiana, francese, tedesca si confrontano nella prima metà del Settecento. E allo stesso tempo occuparsi del lento percorso di avvicinamento, spesso carico di diffidenze e sospetti, tra la tradizione musicale occidentale colta e le culture musicali extraeuropee.

Forse la cosa più importante che si scopre nel corso di questo viaggio multiculturale attraverso il tempo è che l'idea esplicita di unire i popoli attraverso la musica - spesso in totale contrasto rispetto a ciò che contemporaneamente accadeva nella società, alle tensioni politiche e militari - è stata più volte espressa dagli stessi musicisti, a partire almeno dal XVII secolo: Georg Muffat e François Couperin dichiarano perfino di voler realizzare una 'pace' musicale per mezzo dei suoni; e altrettanto forti suonano le affermazioni di universalità di Beethoven, l'intento di "affratellare i popoli" di Béla Bartók o gli esperimenti di tanti musicisti più recenti.

Bietti crede che in questi gesti artistici, e in molti altri citati nel corso del libro, si manifesti una delle caratteristiche più forti e più importanti della nostra tradizione musicale: l'idea che, lungi dall'essere un semplice godimento estetico, o un semplice mezzo di intrattenimento, la musica possa venire concepita come uno strumento di esplorazione e di conoscenza, e che si proponga quindi come una metafora del mondo. Nelle opere di molti musicisti si esprime la volontà di capire una cultura e un linguaggio diversi da quelli più usuali e familiari, di confrontarsi con essi, di provare a comunicare al mondo circostante il senso di questa scoperta.

Accanto all'esplorazione storica e musicale, e all'intento divulgativo, il senso del libro è quindi anche etico (e, se vogliamo forzare un po' i termini, politico): mostrare quanto la musica possa ancora dirci, oggi. Su di noi, sugli altri, sul mondo.

Dal libro emerge anche che la storia della musica, e più in generale la storia dell'arte, ha da sempre una zona d'ombra, un lato ambiguo e contraddittorio: il rapporto con il potere, e di conseguenza con il mercato. Ad esempio anche la Nona Sinfonia di Beethoven, uno dei massimi simboli artistici riconosciuti di universalità, uguaglianza, fratellanza, fu dedicata al re di Prussia. E nella musica dei giorni nostri, soprattutto degli ultimi settant'anni, la relazione tra aspirazioni artistiche e interessi economici e commerciali si è fatta molto intricata. Quando si parla poi del rapporto tra arte colta occidentale e arte extraeuropea il discorso è ancora più complesso e delicato, visto che coinvolge concetti come il colonialismo, la discriminazione razziale, la schiavitù.

Diversi musicologi, in particolare anglosassoni, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso si sono occupati in dettaglio proprio di questo rapporto, sostenendo che nella storia della musica occidentale le culture "altre" sono sempre state rappresentate con uno sguardo eurocentrico, discriminatorio. Il libro Beyond Exoticism (Oltre l'esotismo) di Timothy D. Taylor - uno studio davvero stimolante, citato spesso come termine di confronto - si apre con queste parole: "Questo è un libro sul potere, sui sistemi di dominazione e di oppressione, e su chi ha avuto il potere di rappresentare l'Altro in musica". Vale a dire sul potere dell'Occidente, naturalmente, e sul modo unilaterale di "rappresentare l'Altro", le culture extraeuropee. Un'affermazione perentoria e decisamente politically correct, come si dice oggi.

Per Taylor, anche il tipico concetto occidentale di "opera d'arte individuale", di "capolavoro", va messo totalmente in discussione. Bisognerebbe considerare gli artisti come "soggetti sociali, culturali e storici, invece che come individui autonomi con biografie ben conosciute": l'artista, insomma, non è "libero" di esprimersi, ma è - consciamente, o meno - soggetto alle idee, alle convenzioni, ai condizionamenti  culturali del suo tempo. Ed è quindi ben difficile che egli possa realmente dialogare attraverso la musica con una cultura "altra" in maniera aperta e libera da pregiudizi.

Il libro prende in esame poi alcuni momenti significativi del dialogo multiculturale nella storia della musica occidentale, dal Rinascimento ai giorni nostri. Ossia, approssimativamente, dalla nascita della stampa e dell'editoria musicale (1501) fino all'era della musica "riprodotta", del disco, del CD, & Youtube. Si potrebbe dire che in questi cinquecento anni nasce, cresce, si trasforma il "mercato" della musica, un concetto tipico della nostra cultura; allo stesso tempo, proprio grazie al fatto che l'oggetto musicale viene fissato, sulla carta o su altri supporti, esso si diffonde più facilmente, lascia più tracce ed è quindi possibile seguirne gli spostamenti e l'influenza. 

Il viaggio che Bietti propone al lettore si sviluppa come un racconto cronologico, attraverso undici capitoli. Alcuni di questi sono dedicati a un singolo musicista, o addirittura a una singola composizione; altri invece prendono in esame un'intera epoca (per esempio l'Ottocento), un genere musicale (la Suite o la Tarantella), una tendenza estetica (la categoria del grottesco), e ne seguono l'evoluzione. I singoli capitoli possono quindi avere un tono e uno sviluppo molto diversi: alcuni coprono un arco temporale di un paio di secoli mentre altri si occupano solo di un periodo, magari di pochi anni.

I primi nove capitoli terminano con un approfondimento, dal tono leggermente più specialistico: l'idea è quella di offrire qualche spunto in più e qualche ulteriore strumento di interpretazione ai lettori più esperti, senza però penalizzare chi è privo di conoscenze musicali, o si accosta al libro perché è semplicemente curioso. È possibile, insomma, leggere il libro tralasciando gli approfondimenti, senza che la continuità del discorso venga meno.

Insomma per concludere le note musicali è certo, formano l’alfabeto della lingua del mondo. A ogni angolo della terra tutti le riconoscono, tutti le sanno leggere allo stesso modo. Stanno lì, sulle cinque righe del pentagramma, e risuonano in quella misteriosa orchestra che è la nostra anima, come avrebbe detto il poeta Fernando Pessoa. Le ritroviamo in questo libro, straordinario sin dal titolo, di Giovanni Bietti.

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