Palestrina: sublime artigiano di Dio. Le sue Messe come preghiera universale, omaggio eloquente a l'intera umanità
Sublime e onesto artigiano di Dio, le sue opere rimarranno per sempre i capolavori di un genio. Per il compositore di scuola romana, scrivere una Messa significava collaborare alla preghiera universale, rendere un omaggio eloquente, preciso e collettivo a tutta l'umanità. Depone la sua personalità per sacrificarla al perfetto esercizio di un'arte considerata un mero mestiere. Artista credente, manovale sincero, fissava nei suoi pensieri la fine di una giornata di lavoro, con la calma certezza che un'opera non richiede tanto di essere sognata quanto di essere fatta, cioè impegnata, costruita pietra su pietra, incessantemente perseguita. Attraverso il suo atteggiamento discreto e fertile, Palestrina ci dà una doppia lezione di musica e di rinuncia.
Se esaminiamo una delle tante opere composte da Palestrina come ad esempio la Messa Brevis, tra l'altro non a caso una delle sue opere più eseguite e, come non troppo scherzosamente, qualche autorevole musicologo definisce il "primo balbettio dell'arte polifonica", è facile intuire che chi l'ha scritta è in possesso di una delle tecniche più sciolte e sviluppate che si possano immaginare.
Il contributo di Palestrina, nell'evolversi della storia della musica, è quello di aver valorizzato all'estremo quel linguaggio musicale tipico del suo tempo, mostrando forse più di altro i risultati che se ne possono trarre. Ecco che, indiscutibilmente, i suoi lavori restano insuperati di bravura polifonica.
Palestrina non si preoccupa di colpire l'ascoltatore con arditezze inedite, con modi di dire nuovi e originali, no non di certo, tutto questo su di lui ha ben poca presa. Egli trova il linguaggio musicale a un certo grado di evoluzione esteriore, e lo lascia tale e quale. Palestrina non si preoccupa di trovarne di nuovi, ma usa i mezzi che la musica del suo tempo gli offre. Come dicevo, di fronte a tale comportamento, non c'è molto posto per le mezze vie: ne risulteranno le opere di un onesto artigiano o i capolavori di un genio.
Possiamo così osservare che l'unico modo che Palestrina ha per trarre da quei mezzi già acquisiti un discorso nuovo e originale, è quello di alitarvi la vita del suo entusiasmo, della sua fiducia in essi, della tranquilla sicurezza nella loro aderenza ai suoi sentimenti. Profondamente credente, le sue Messe sono una preghiera universale, un omaggio eloquente a l'intera umanità, il lavoro di un sublime artigiano di Dio.
Mi affaccio a qualche nota tecnico informativa della Missa Brevis, che ho ormai giustamente evocato, in quanto nella sua unità di forma riflette la pace e la serenità che Palestrina aveva nella sua fede. L'opera apparve per la prima volta nel suo Terzo Libro delle Messe (1570) e con ogni probabilità fu scritta intorno all'anno 1558. La scrittura è a quattro voci, ad eccezione del secondo Agnus, concepito a cinque voci.
Gli elementi motivici sono simili, se non identici, a quelli della Messa Audi, filia di Claude Goudimel, uno dei più importanti compositori francesi del XVI secolo. La Messa non è affatto "brevis" poiché essa non è più breve di una tipica messa a quattro voci di Palestrina. Haberl, eminente studioso ed esperto della musica polifonica sacra rinascimentale, suggerisce che il termine "brevis" sia stato scelto perché ogni movimento si apre con una breve. Tuttavia, questa era una pratica comune all'epoca e potrebbe forse non meritare di essere menzionata.
La cosa importante comunque, è che la Missa Brevis è l'epitome dello stile di Palestrina, un'opera come fosse redatta a fini divulgativi o didattici, in quanto bilancia l'uso modale vecchio e nuovo di dissonanze e accentuazioni, ed al contempo anche la polifonia imitativa e le texture omoritmica.
L'opera presenta frequenti cambi di tempo caratteristici dello stile di Palestrina, governati interamente dal significato e dall'importanza mutevoli del testo cantato. Nell'opera di fatto resta evidente un maggior senso di frase, una pittura musicale, in una sottesa pulsazione ritmica, rispetto alla quale gli accenti naturali delle parole e le linee vocali suonano sempre con la massima libertà possibile.
Alcuni sostengono che la Missa Brevis faceva parte del periodo "concettuale" di Palestrina, e da qui la sua originalità. Altri suggeriscono che potrebbe provenire dalle prime note del Credo I in canto gregoriano: la gamma melodica all'interno delle singole sezioni è di fatto limitata a poche note.
Non bisogna dimenticare che il canto gregoriano, la più pura forma di melodia mai concepita, esercita ancora una certa influenza sulla musica di Palestrina, e non solo nelle opere basate su vere e proprie melodie gregoriane. Una conseguenza di questa influenza si vede nel modo in cui Palestrina svolge le sue linee melodiche in tratti molto lunghi che non presentano quasi mai ripetizioni immediate o progressioni.
Questo è evidente nel frequente uso delle eccezionali progressioni nel Credo che è parte essenziale della Messa Brevis. Il Credo presenta alternanze equilibrate tra duetto, trio e tessiture complete a quattro voci, con una sorprendente omoritmia di accordi al centro del testo "et incarnatus est". In tutta la Messa, lo stile è uniformemente quello dell'imitazione, con ciascuna delle ultime tre voci che riproduce, a intervalli prestabiliti, il motivo enunciato dalla prima.
Tecnicismi a parte, e concludo, il lavoro fondamentale di Palestrina è quello di valorizzare al massimo elementi semplicissimi. Fin dall'inizio di un disegno che potrebbe risultare elementare, il connubio fra il valore della voce, la vocale, il ritmo, l'atmosfera delle parole, fissano un clima espressivo ben definito, che infonde nell'ascoltatore la fiducia nel discorso che si va dipanando. Tutto questo genera in noi l'impressione di verità. Chissà forse Palestrina ebbe la soddisfazione di accorgersi di quanto spesso nelle sue musiche si realizzi esteticamente la massima morale del Vangelo: "Sia il vostro parlare: sì, il sì, no, il no; il di più viene dal Maligno".
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