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Vino in anfora, il ritorno dell'argilla da retaggio del passato a trend commerciale

Da passato remoto del vino a fenomeno di nicchia declinato al futuro. È l’anfora, antico contenitore del nettare di Bacco protagonista al Simei di Unione italiana vini.

Credits: Associazione culturale La terracotta e il vino



Si è svolto oggi il convegno “Vino e anfore: il ritorno all’argilla”, un focus che ne ha ripercorso la storia e ne ha indagato prospettive e sviluppi commerciali. La vinificazione in anfora è una tecnica che affonda radici lontane nel tempo. I contenitori di terracotta sono fra i più antichi vasi enologici utilizzati sia per la fermentazione che per la conservazione. Chi recupera oggi tecniche di vinificazione come quelle in anfora, sceglie di guardare al passato per dare una nuova interpretazione del futuro. Il futuro antico del vino in anfora porta con sé la riscoperta di sapori e profumi antichi.

Il ritorno della vinificazione in argilla è ormai un fenomeno commerciale ben consolidato. In Italia lo scorso mese di giugno, nella magnifica location della Certosa di Firenze, si è svolta la 4° edizione de “La Terracotta e il Vino 2022”, la più importante manifestazione al mondo dedicata ai vini in anfora. Espositori da tutto il mondo hanno preso parte a uno dei momenti più esclusivi di riflessione sul rapporto tra la terracotta e il vino mettendo a confronto esperienze e scelte stilistiche di produttori che hanno fatto della vinificazione in anfore di terracotta una consapevole pratica enologica.

La terracotta è un materiale naturale, mantiene intatte nel bicchiere le caratteristiche del vitigno, consentendo al vino di rimanere fedele al terroir. Per questo chi utilizza la terracotta, fa una scelta in termini di sostenibilità e benessere, facendo dell’anfora, in questo ritorno alla terra e agli elementi naturali, un prodotto “romantico”.

Al convegno sono intervenuti l’international editor del Gambero Rosso Lorenzo Ruggeri. I vini in anfora stanno vivendo un momento di forte sperimentazione, ha spiegato. Si tratta di un fenomeno dal futuro roseo, in particolare perché sfrutta una dinamica di comunicazione orizzontale che coinvolge da un lato i giovani produttori, molto interessati alla ricerca delle potenzialità di questa pratica di vinificazione, e dall’altro i giovani consumatori, che rispondono con interesse. 

Lo sviluppo dei contenitori in argilla si osserva bene anche in Paesi come il Portogallo, come ha sottolineato il produttore Paulo Amaral (José Maria da Fonseca – Vinhos SA). La produzione in anfora della Doc Alentejo è cresciuta tra il 2014 e il 2021 più di sette volte, con buone performance anche sul fronte export. 

L’anfora di fatto è stato non solo il primo contenitore, ma anche uno dei primi strumenti di marketing per il vino, con le incisioni che rappresentavano il commerciante e la forma che ne svelava la provenienza, ha fatto notare Attilio Scienza, docente universitario e tra i maggiori esperti mondiali di viticoltura. L’anfora rappresenta un ‘iconema’, l’immagine di un luogo o di un oggetto che si fissa nella memoria e che trasforma il paesaggio in monumentum attivando un processo di sinestesia: lo stimolo visivo dell’anfora viene associato alle sensazioni del vino e al desiderio di ripetere l’esperienza gustativa, facendola divenire un’espressione estetica

Un trait d’union con il territorio osservato anche dalla produttrice Elena Casadei, che da anni investe e sperimenta in questo campo. L’anfora rappresenta il ritorno alla terra dopo la lavorazione in cantina. Un contenitore che, come una cassa acustica, fa risuonare la qualità delle uve che ci mettiamo dentro. 

La varietà dall’uva è cruciale per determinare la qualità del prodotto – ha detto il capo redattore della casa editrice Meininger, Robert Joseph –, ma bisogna ricordare che, nonostante le evocazioni che l’argilla suscita, i vini in anfora non sono necessariamente biologici o sostenibili.

Concludendo il Master of Wine Gabriele Gorelli, ha sottolineato che il ritorno all’anfora rappresenta oggi una novità destinata a crescere ed affermarsi, anche se bisogna ricordare che, al di là del marketing, questa vinificazione non rappresenta in sé una garanzia di piacevolezza o di stile. I produttori dovranno trovare il modo di differenziare le loro etichette dandone un’interpretazione soggettiva e distintiva.

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