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Il vino in India

India: grazie al nuovo governo diventa un mercato promettente anche per il vino 
“Grazie alla politica del nuovo Governo il nostro Paese torna a essere un grande mercato di sbocco per i produttori di vino mondiali. Opportunità colossali per chi vende, ma anche per chi fabbrica tecnologie in campo vitienologico, di cui i produttori locali avranno sempre più fame”. Parola di Rajeev Samant (Sula Vineyards)



L’India è un Paese che, se non ben conosciuto nelle sue logiche e nei suoi meccanismi socioeconomici, religiosi, burocratici e commerciali, per chiunque voglia importarvi dei beni di consumo “esotici”, come il vino, rischia di essere un mercato inaccessibile. O, comunque, improduttivo. Una difficoltà che tende a raddoppiare proprio per le delicate implicazioni etiche del prodotto-vino in sé. Ma in tal senso il recentissimo cambio di governo, che ha portato ai vertici il partito conservatore, rappresenta per i produttori vinicoli stranieri un’opportunità forse irripetibile per far breccia nelle piazze enoiche della seconda democrazia più grande del mondo.

Parola di Rajeev Samant, fondatore e amministratore delegato di Sula Vineyards, il più importante produttore indiano di vino (7 milioni di bottiglie all’anno e una quota del 60% del mercato locale conquistata a partire dal 1999, anno di fondazione della compagnia), intervenuto al recente Simposio dei Masters of Wine di Firenze.

Non si era mai sentito nessuno sottolineare l’esistenza di un filo così diretto tra politica e consumo vinicolo come, tra la sorpresa generale, ha fatto Samant in occasione del suo intervento durante l’8° Simposio dei Masters of Wine. “Le dichiarazioni rilasciate dal nuovo governo appena insediato – ha detto intervenendo alla sessione “Beyond the strategies: creating a strategy for sustained growth” – mi rendono estremamente ottimista sullo sviluppo del mercato del vino nel mio Paese: i provvedimenti annunciati per riportare a crescere fino al 7% annuo il pil nazionale si possono tradurre, grazie all’aumento di ricchezza così indotto, ad un aumento del 25% dei consumi enoici. Riallineandosi in tal modo, ma con volumi infinitamente più sostenuti, al trend dell’ultimo decennio”.

Una prospettiva estremamente invitante, che – come ha con insistenza ribadito Rajeev – per essere cavalcata ha bisogno di un raffinato know how commerciale. Il quale a sua volta non può prescindere dalla conoscenza della complessità socioeconomica indiana. “Per dare un’idea della potenziale accelerazione dei consumi interni di vino – ha detto – bisogna considerare ad esempio che nell’arco di una generazione la percentuale di donne consumatrici di vino è passata in India dall’1% al 5%. E che tale incremento è il frutto di un profondo cambio di mentalità, all’interno del quale in consumo di vino non è solo salito quantitativamente, in virtù dell’aumento del reddito, ma è oggi socialmente accettato”.

“E le maglie – ha proseguito – si stanno ulteriormente allargando. La tendenza al proibizionismo era nel dna delle vecchie amministrazioni, che non distinguevano tra i diversi tipi di alcolici. Ora invece la tendenza è di rendere le norme di vendita e consumo di birra e vino molto più semplici ed elastiche rispetto ai distillati. Ne consegue che, se la prevista ripresa economica sarà confermata, in soli 4 anni il consumo del vino in India potrebbe raddoppiare”.

I dati sono incoraggianti: con i suoi 1,2 miliardi di abitanti, l’India ha tuttora, con 0,12 litri di vino all’anno per persona, il consumo pro capite più basso del mondo, “un tasso che però è decuplicato in soli dieci anni, a dimostrazione che, anche a breve-medio termine, i margini di crescita sono enormi. Consideriamo poi – ha aggiunto – che su oltre un miliardo di persone, appena 3 milioni di indiani hanno assaggiato il vino”.

Un quadro senza dubbio roseo a cui però fa da contrappeso, avverte il ceo di Sula Vineyards, l’estrema complessità del sistema amministrativo e legislativo indiano. Una complessità di cui il mercato e le sue dinamiche risentono fortemente: “Pensare di aggredire il nostro mercato senza un’adeguata preparazione culturale e una conoscenza capillare del territorio è un suicidio economico – ha detto il manager -. L’India è suddivisa in 34 Stati diversi, ognuno con proprie leggi. Ciò significa che anche per il vino si hanno norme fiscali, burocratiche, commerciali differenti, soggette talvolta a interpretazioni differenti tra città e città o tra circoscrizione e circoscrizione. Per questo dico che esportare vino nel mio Paese è al tempo stesso una grande opportunità di business, ma anche una cosa molto complicata”.

A partire dal nodo della distribuzione: “Viste le nostre suddivisioni amministrative, non solo per un produttore straniero è impensabile servirsi di un unico distributore, ma alla fine sarà necessario averne uno per ogni principale città, visto che perfino tra provincia e provincia possono esserci regole diverse su tasse, etichettatura e adempimenti vari. Noi di Sula Vineyards, per coprire l’intero Paese, abbiamo una rete di 120 distributori diversi. Ma i problemi sono anche altri – ha proseguito -. Ad esempio la distribuzione può essere fatta solo in esclusiva e solo tramite ditte che siano in partenariato con aziende indiane. Il che presume una serie di accordi e di contatti preventivi. A ciò spesso si aggiungono le difficoltà logistiche impreviste per gli occidentali, ad esempio quelle legate allo stoccaggio del prodotto a causa della mancanza di magazzini refrigerati”. Una complessità a cui fanno riscontro, rimarca Samant, prospettive di sviluppo che però vanno oltre l’aspetto commerciale.

“Per il vino in India – ha detto – intravedo molte strade di business. Di cui quello direttamente legato all’incremento dei consumi è solo una parte. Se e nella misura in cui il vino entrerà a far parte dei costumi sociali del popolo indiano, per tutti le opportunità si moltiplicheranno velocemente. Penso all’enoturismo, ad esempio. A 180 km da Mumbay ci sono splendidi vigneti. Fino a qualche anno fa erano necessarie però otto ore di sbuffante trenino per arrivarci, impossibili per un’escursione di piacere, mentre oggi bastano tre ore di comoda autostrada. La nostra azienda ha contato, nel 2013, oltre 200.000 visitatori ed è la prima destinazione del Paese per in neofiti in cerca di un approccio con il mondo del vino. Nulla, certo, rispetto al totale della popolazione, ma sono numeri su cui bisogna lavorare”.

“Penso anche – ha proseguito – all’enorme fabbisogno di conoscenze agronomiche per lo sviluppo della viticoltura, alla ricerca delle varietà più adatte ai suoli e ai climi, alla sperimentazione. Tutte questioni di know how che occorre acquisire dall’estero e che, quindi, rappresentano anche grandi opportunità occupazionali per i professionisti del settore. Basti citare gli studi sull’adattabilità dei diversi vitigni: attualmente pare che una delle specie più adatte per la messa a dimora su vasta scala sia, pedoclimaticamente parlando, il Tempranillo. Ma le possibilità sono tante. E sono direttamente legate pure a un’altra questione che, a sua volta, rappresenta un possibile filone di business: quello del terreno vitabile. Che oggi, in India, è scarso e pertanto è carissimo, con quotazioni da 100.000 euro a ettaro. Ma anche su questo fronte le politiche economiche e fiscali annunciate dal nuovo governo, che agevolano i viticoltori, potrebbero riservare opportunità positive per gli investitori indiani e stranieri”.

Ricordiamo che dal 12 luglio 2011 l’India è ufficialmente divenuta il 45esimo stato membro dell’OIV (Office International de La vigne ed du Vin) organizzazione sovranazionale, considerate una sorta di ONU del vino planetario. Un passo formale importante che fa entrare uno dei più grandi paesi asiatici in questo consesso dove si prendono importanti decisioni sul vino, in tutti i campi che riguardano la bevanda di bacco e i suoi derivati (legislatura, enologia, viticoltura). Nell’OIV non sono rappresentati due grandi paesi produttori. Uno è la Cina (che pare in procinto di entrare) e l’altro sono gli Stati Uniti, che hanno lasciato l’assemblea una decina di anni fa per gravi dissensi. 

Dal punto di vista dei numeri la Repubblica dell’India con i suoi 71.400 ettari di vigneto (raggiunti con una crescita del 66% negli ultimi 10 anni), rappresenta l’1% della superficie vitata, mentre con 1,7 milioni di tonnellate di uva da vino prodotta rappresenta il 2,6 % della produzione mondiale. A questi vanno aggiunti 1,7 milioni di tonnellate di uva da tavola (dati OIV, 2008).

La vite in India ha storia antica e pare sia stata introdotta dai persiani tremila anni prima di Cristo. Ma la maggiore diffusione della viticoltura si è avuta nel XVII sec. grazie ai Portoghesi della colonia di Goa. Le problematiche riguardo alle diverse religioni non hanno certo favorito nei secoli il consumo di vino. Negli ultimi quindici anni grazie alla crescita del livello economico medio, grazie all’occidentalizzazione di una larga fascia della popolazione e alla percezione che il vino è tra le bevande alcoliche la più salutare, la produzione di vino è in costante incremento. Il grosso della produzione indiana – oltre l’80% – è concentrato della stato di Maharashtra (area centrale del paese), dove il distretto più importante è quello di Nasik, seguito da quelli di Solapur, Sangali, Pune. Due piccole aree viticole sono una al nord nel distretto di Himachal, e l’altra al sud nel distretto di Bangalore. Si coltivano soprattutto varietà internazionali – chardonnay, sauvignon, cabernet e zinfandel – e si utilizza come sistema di allevamento la pergola a causa delle elevata umidità.

Negli ultimi anni l’India ha raggiunto un consumo interno di circa 13 milioni di litri, in costante e forte crescita ogni anno e ciò fa della Repubblica Indiana un obiettivo primario per i paesi produttori europei , tra quali in prima fila vi è l’Italia, che sembra già avere conquistato una fetta della quota export vicina al 30%. Interessante notare che gli indiani puntano maggiormente al vino di qualità, e si dimostrano consumatori molto preparati ed esigenti.

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