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Paleovite d'Abruzzo

Paleovite d'Abruzzo, un progetto di salvaguardia della vite selvatica
Scoperta l'unica popolazione sopravissuta in Abruzzo nella riserva naturale della Lecceta di Torino di Sangro



Una piccola popolazione di Vitis sylvestris, la vite selvatica antenata della vite coltivata, ormai rara in Italia, è stata scoperta dal naturalista Aurelio Manzi nella riserva Naturale della Lecceta di Torino di Sangro. Si tratta, salvo nuove scoperte, dell'unica popolazione sopravvissuta in Abruzzo.

La Cantina Frentana ha avviato, in collaborazione con il Prof. Manzi e con gli enti pubblici interessati, un progetto che si pone tre obiettivi: salvaguardia, studio e ripopolamento. Al progetto partecipano, ognuno per le proprie competenze, la Riserva Naturale della Lecceta di Torino di Sangro, il Parco Nazionale della Majella e la Riserva Regionale Bosco di Don Venanzio.

Ormai rara, ma preziosa perché capace di raccontarci qualcosa di più sulla storia della vite, e di aprire nuove frontiere in ottica scientifico produttiva, come racconta a WineNews il professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti di enologia al mondo e tra i protagonisti del progetto.

“Sono viti selvatiche, non coltivate, che hanno sempre fatto parte della nostra flora - racconta il professor Attilio Scienza - sin dalla fine del Quaternario, come un frassino o una quercia. Abbiamo sempre considerato la vite come una pianta domestica, coltivata, ordinata in filari e produttiva, ma la sua origine, come tante altre specie che coltiviamo abitualmente è selvatica. L’Italia è uno dei Paesi d’Europa in cui di queste sottospecie di “Vitis Vinifera Sylvestris” ce ne sono ancora molte, anche se si tratta di una catalogazione che ha perso di senso, perché in fin dei conti di parla di due fasi di un processo evolutivo: la vite coltivata è la stessa “Vitis Vinifera Sylvestris” tolta dai boschi e trasformata in una varietà produttiva, tanto che a livello genetico le differenze sono ben poche, ed intervengono in quegli ambiti molecolari sui quali l’uomo ha agito per eliminare quella variabilità che non produceva, o che era unisessuale per andare verso individui ermafroditi, che allegavano bene, che davano acini grossi, che potevano maturare bene e così via”.

La ricerca, però, non nasce certo oggi, tutt’altro, “è da 30 anni che studiamo questo argomento, i risultati stanno vedendo la luce proprio ora - continua Attilio Scienza - e sono a dir poco interessanti, perché va a cercare glie elementi di interesse a livello genetico di queste viti: è importante perché sono parenti di molti vitigno che noi coltiviamo abitualmente, e se ad esempio volessimo risalire all’origine delle varietà coltivate oggi dovremmo studiare proprio le viti selvatiche, o le più primitive delle viti coltivate. È importante poi per capire l’origine geografica di tante varietà: quelle che coltiviamo in Toscana, Piemonte o Sicilia non sono nate lì, ma ci sono state portate da altri ambienti, dove abbiamo finalmente individuato gli ancestrali per capire da dove sono venute e che tipo di selezione è stata fatta su queste piante”.

Oltre a soddisfare le curiosità relative all’origine storiche di tante varietà, “un altro aspetto interessante è che alcuni di questi individui hanno fonti di resistenza - spiega ancora il professor Scienza - sulle quali investire e cercare di approfondire la ricerca: ci sono viti selvatiche giordane, caucasiche o azerbaigiane resistenti alle peronospora. Poi ci sono aspetti legati al mantenimento della biodiversità: queste viti selvatiche molto spesso sono espressioni di viti rinselvatichite, sono cioè state paraddomesticate intorno al quinto secolo a. C. in molte zone dell’Italia Centrale e poi, con l’abbandono di questi siti, sono rimaste nei boschi, mantenendo però dentro di sé l’effetto dell’azione dell’uomo, quindi sono viti in parte addomesticate ma tornate ad uno stato selvatico”.

Da un punto di vista prettamente scientifico, grande interesse nasce dal fatto che “molti di questi individui - conclude Scienza - hanno avuto il Dna di varietà arrivate da altri luoghi: le viti selvatiche sono delle viti con individui maschili e femminili, a differenza della vite coltivata che ha individui ermafroditi, per cui quando arriva il polline di un’altra varietà che va a fecondare le viti femminili selvatiche si crea un fenomeno di introgressione, in cui il Dna entra nella vita ed origina nuovi semi, creando una nuova variabilità. In conclusione, è un grande materiale di ricerca, non solo per una questione culturale, ma anche perché ci permette di capire a fondo l’origine dei nostri vitigni, ed eventualmente la loro possibilità di resistenza alle malattie”.


Il progetto 'Paleovite d'Abruzzo' sarà presentato alla stampa, mercoledì 10 settembre p.v., con il seguente programma di massima:

Ore 17.00 Introduzione: Carlo Romanelli Presidente della Cantina Frentana
A seguire Interventi: Attilio Scienza, docente Università di Milano - Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali “Dalla vite selvatica ai vitigni autoctoni”
Aurelio Manzi, naturalista “La vite selvatica in Abruzzo, storia e attualità”
Andrea Natale, ecologo, Direttore della Riserva Naturale della Lecceta di Torino di Sangro “Le aree protette costiere, presidio della biodiversità e occasione di sviluppo”
Luciano Di Martino, botanico Parco Nazionale della Majella; Marco Di Santo, agronomo Parco Nazionale della Majella “Ruolo della banca del germoplasma e giardini botanici per il recupero e la riproduzione della vite selvatica e delle antiche varietà regionali di interesse agricolo”

Coordina i lavori Maurizio Gily, agronomo e direttore della rivista Millevigne

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